Caterina, Dialogo 120

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CAPITOLO CXX.

Hora t'ò mostrato, carissima figliuola, una sprizza de l'eccellenzia loro - una sprizza dico, per rispetto di quello che ella è - e narrati della dignità nella quale Io gli ò posti, perché gli ò eletti e fatti miei ministri.

E per questa dignità e autorità che Io ò data a loro, Io non voleva né voglio che sieno toccati per veruno loro difetto per mano de' secolari, e toccandogli offendono me miserabilemente. Ma voglio che gli abbino in debita reverenzia: non loro per loro, come detto t'ò, ma per me, ciò è per l'autorità che Io l'ò data. Unde questa reverenzia non debba diminuire mai, perché in loro diminuisca la virtù. Ne' virtuosi de' quali Io t'ò narrato delle virtù loro, e postoteli ministratori del sole, cioè del corpo e del sangue del mio Figliuolo, e degli altri sacramenti - questa dignità tocca a' buoni e a' gattivi, ogni uno l'à a ministrare come detto è - dissiti che questi perfetti avevano la condizione del sole cioè illuminando e scaldando, per la dilezione della carità, i prossimi loro; e con questo caldo facevano frutto e germinare le virtù ne l'anime de' sudditi loro.

Òtteli posti che essi sono angeli, e così è la verità: dati da me a voi per vostra guardia, perché vi guardino e spirino le buone spirazioni nei cuori vostri per sante orazioni e dottrina con specchio di vita, e che vi servano ministrandovi i santi sacramenti, sì come fa l'angelo che vi serve e guardavi, e spira le buone e sante spirazioni in voi.

Sì che vedi che, oltre alla dignità nella quale Io gli ò posti, essendovi l'adornamento delle virtù - sì come di questi cotali Io t'ò narrato, e come tutti sono tenuti e obligati ad essere - quanto essi sono degni d'essere amati. E doveteli avere in grande reverenzia, questi che sono diletti figliuoli (114v), e uno sole messo nel corpo mistico della santa Chiesa per le loro virtù. Però che ogni uomo virtuoso è degno d'amore, e molto maggiormente costoro per lo ministerio che Io l'ò dato in mano. Sì che per virtù e per la dignità del sacramento gli dovete amare; e odiare dovete i difetti di quegli che vivono miserabilemente; ma non però farvene giudici, ché Io non voglio, perché sono i miei cristi, e dovete amare e reverire l'autorità che Io ò data a loro.

Voi sapete bene che, se uno immondo o male vestito vi recasse uno grande tesoro del quale traeste la vita, che per amore del tesoro e del signore che ve'l mandasse voi non odiareste però il portatore, non ostante ch'egli fusse stracciato e immondo. Dispiaciarebbevi bene e ingiegniarestevi per amore del signore, che si levasse la immondizia e che si rivestisse. Così dunque dovete fare per debito, secondo l'ordine della carità, e voglio che voi el faciate, di questi cotali miei ministri poco ordinati, che con immondizia e col vestimento de' vizi, stracciati per la separazione della carità, vi recano i grandi tesori cioè i sacramenti della santa Chiesa. Da' quali sacramenti ricevete la vita della grazia, ricevendoli degnamente, non ostante che essi siano in tanto difetto, per amore di me, Dio etterno che ve li mando, e per amore della vita della grazia che ricevete dal grande tesoro, ministrandovi tutto me Dio e uomo, cioè il corpo e 'l sangue del mio Figliuolo, unito con la natura mia divina. Debbanvi dispiacere, e odiare i difetti loro, ed ingiegnarvi, con affetto di carità e con l'orazione santa, di rivestirli, e con lagrime lavare la immondizia loro, cioè offerirli dinanzi a me con lagrime e grande desiderio che Io gli rivesta, per la mia bontà, del vestimento della carità. Voi sapete bene che Io lo' voglio fare grazia, pure che essi si dispongano a ricevere e voi a pregarmi. Però che di mia volontà non è che essi vi ministrino il sole in tenebre, né che sieno dinudati del vestimento della virtù, né immondi vivendo disonestamente: anco gli ò posti e dati a voi perché sieno angeli terrestri e sole (115r), come detto t'ò. Non essendo, mi dovete pregare per loro e non giudicarli, e 'l giudicio lassate a me, e Io, con le vostre orazioni, volendo essi ricevere, lo' farò misericordia. E non correggendosi la vita loro, la dignità che essi ànno lo' sarà in ruina, e con grande rimproverio da me sommo giudice ne l'ultima estremità della morte, non correggendosi né pigliando la larghezza della mia misericordia, saranno mandati al fuoco etternale.



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CAPITOLO CXXI.

Ora attende, carissima figliuola, che acciò che tu e gli altri servi miei aviate più materia d'offerire a me per loro umili e continue orazioni, ti voglio mostrare e dire la scellerata vita loro. Bene che da qualunque lato tu ti volli, e secolari e religiosi, cherici e prelati, piccoli e grandi, giovani e vecchi e d'ogni altra maniera di gente, non vedi altro che offesa; e tutti mi gittano puzza di colpa di peccato mortale. La quale puzza a me non fa danno veruno né nuoce, ma a loro medesimi.

Io t'ò contiato infino a qui de l'eccellenzia de' miei ministri e della virtù de' buoni, sì per dare refrigerio a l'anima tua e sì perché tu meglio cognosca la miseria di questi miserabili, e vegga quanto sono degni di maggiore reprensione e di sostenere più intollerabili pene; sì come gli eletti e diletti miei, perché ànno esercitato in virtù il tesoro dato a loro, sono degni di maggiore premio e d'essere posti come margarite nel cospetto mio. Il contrario questi miserabili, però che riceveranno crudele pena.

Sai tu, carissima figliuola - e attende con dolore e amaritudine di cuore - dove essi ànno fatto il principio e 'l fondamento loro? § 93 ,462ss.) Ne l'amore proprio di loro medesimi, unde è nato l'arbore della superbia col figliuolo della indiscrezione; ché, come indiscreti, pongono a loro l'onore e la gloria cercando le grandi prelazioni, con adornamenti e dilicatezza del corpo loro, e a me rendono vitoperio e offesa. E retribuiscono a loro quello che non è loro, e a me dànno quello che non (115v) è mio: a me debba essere dato gloria, e loda al nome mio, e a loro debbono rendere odio della propria sensualità con vero cognoscimento di loro, reputandosi indegni di tanto misterio quanto egli ànno ricevuto da me, Ed essi fanno il contrario però che, come enfiati di superbia, non si saziano di rodere la terra delle ricchezze e delizie del mondo, stretti, cupidi e avari verso i poveri.

Unde per questa miserabile superbia e avarizia, la quale è nata dal proprio amore sensitivo, ànno abandonata la cura de l'anime, e solo si dànno a guardare e avere sollicitudine delle cose temporali, e lassano le mie pecorelle, ch'Io l'ò messe nelle mani, come pecore senza pastore. (Jdt 11,15 Mt 9,36 Mc 6,34) E non le pascono né notricano, né spiritualmente né temporalmente. Spiritualmente ministrano i sacramenti della santa Chiesa - i quali sacramenti per veruno loro difetto vi possono essere tolti, né diminuiscie la virtù loro - ma non vi pascono d'orazioni cordiali, di fame e desiderio della salute vostra con onesta e santa vita; e non pascono i sudditi delle cose temporali, ciò sono i povaregli.

Della quale sustanzia Io ti dissi § 114 ,432ss.) che se ne die fare tre parti: l'una a la loro necessità, l'altra a' poveregli, l'altra in utilità della chiesa; ed essi fanno il contrario, ché non tanto che diano quella sustanzia che sono tenuti ed obligati di dare a' poveri, ma essi tolgono l'altrui per simonia e appetito di pecunia, e vendono la grazia dello Spirito santo. (Ac 8,19-20) Però che spesse volte sono di quegli che sono tanto sciagurati, che non vorranno dare a chi n'à bisognio quello ch'Io l'ò dato per grazia e perché 'l diano a voi, che non lo' sia piena la mano, o proveduti con molti presenti. E tanto amano i sudditi loro quanto ne ritraggono, e più no. § 33 ,112) Tutto il bene della Chiesa non spendono in altro che in vestimenti corporali e in andare vestiti delicatamente, non come cherici e religiosi, ma come signori o donzelli di corte. E studiansi d'avere e grossi cavagli, e molti vaselli d'oro e d'argento con adornamento di casa, tenendo e possedendo quello che non debbano tenere, con molta vanità di cuore. Il cuore loro favella con (116r) disordinata vanità, e tutto il desiderio loro è in vivande, facendosi del ventre loro dio, (Ph 3,19) mangiando e beiendo disordinatamente. E però caggiono subito nella immondizia vivendo lascivamente.

Guai, guai a la loro misera vita! Ché quello ch'el dolce Verbo unigenito mio Figliuolo acquistò con tanta pena in sul legno della santissima croce, essi lo spendono con le publiche meretrici. Sono divoratori de l'anime ricomprate del sangue di Cristo, divorandole con molta miseria in molti e diversi modi; e di quello de' poveri ne pascono i figliuoli loro.

O templi del diavolo, Io v'ò posti perché siate angeli terrestri in questa vita, e voi sete dimoni, e preso avete l'officio delle dimonia. Le dimonia dànno tenebre di quelle che ànno per loro e ministrano crociati tormenti; sottraggono l'anime da la grazia con molte molestie e tentazioni per riducerle a la colpa del peccato mortale ingiegniandosi di farne quello che essi possono, ben che neuno peccato possa cadere ne l'anima più che essa voglia; ma essi ne fanno quel che possono.Così questi miserabili, non degni d'essere chiamati ministri, sono dimoni incarnati, perché per loro difetto si sono conformati con la volontà delle dimonia, e però fanno l'officio loro ministrando me, vero lume, con la tenebre del peccato mortale; e ministrano la tenebre della disordinata e scellerata vita loro nei sudditi e ne l'altre creature che ànno in loro ragione; e dànno confusione e ministrano pene nelle menti delle creature che disordinatamente gli veggono vivere.

Anco sono cagione di ministrare pene e confusione di coscienzia in coloro che spesse volte sottraggono dallo stato della grazia e via della verità, e conducendoli a la colpa gli fanno andare per la via della bugia; ben che colui che gli sèguita non è però scusato da la colpa sua, perché non può essere costretto a colpa di peccato mortale, né da questi dimoni visibili né dagl'invisibili, però che neuno debba guardare a la vita loro né seguitare quello che fanno, ma, come v'amonì la mia Verità nel santo Evangelio, (Mt 23,3) dovete fare quello che essi vi dicono - ciò è la dottrina che v'è data nel corpo mistico della santa Chiesa, porta per la santa Scrittura, per lo mezzo de' banditori, ciò sono i predicatori (116v) che v'ànno ad annunziare la parola mia - e i loro guai che meritano e la mala vita loro non seguitare né punirli voi, però che offendareste me. Ma lassate la mala vita a loro e voi pigliate la dottrina; e la punizione lassate a me, però ch'Io so' il dolce Dio etterno che ogni bene remunero e ogni colpa punisco.

Non lo' sarà risparmiata da me la punizione per la dignità ch'egli ànno d'essere miei ministri: anco saranno puniti, se non si correggono, più miserabilemente che tutti gli altri, perché più ànno ricevuto da la mia bontà; però che, offendendo tanto miserabilemente, sono degni di maggiore punizione. Sì che vedi che essi sono dimoni, sì come degli eletti miei ti dissi ch'egli erano angeli terrestri, e però facevano l'offizio degli angeli.



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CAPITOLO CXXII.

Io ti dissi che in loro riluceva la margarita della giustizia. Ora ti dico che questi miserabili tapinelli portano nel petto loro per fibbiale la ingiustizia, la quale ingiustizia procede ed è affibbiata con l'amore proprio di loro medesimi, però che per lo proprio amore commettono ingiustizia verso de l'anime loro e verso me, con la tenebre della indiscrezione. A me non rendono gloria, e a loro non rendono onesta e santa vita, né desiderio della salute de l'anime né fame delle virtù. E per questo commettono ingiustizia verso i sudditi e prossimi loro, e non correggono i vizi; anco come ciechi che non cognoscono, per lo disordinato timore di non dispiacere alle creature gli lassano dormire e giacere nelle loro infermità. Ma essi non s'aveggono che volendo piacere alle creature dispiacciono a loro e a me, Creatore vostro.

E alcuna volta correggeranno per mantellarsi con quella poca della giustizia, e non si faranno al maggiore, che sarà in maggiore difetto che il minore, per timore che essi avaranno che non lo' impedisca e tolga lo stato e la vita loro; ma farannosi al minore, perché veggono che non lo' può nuocere né tollerlo' lo stato loro. Questi commettono la ingiustizia col miserabile amore proprio di loro medesimi.

Il quale amore proprio à atoscato tutto quanto il mondo § 17 ,257ss.) e il corpo mistico della santa (117r) Chiesa, e à insalvatichito il giardino di questa Sposa e adornato di fiori putridi. Il quale giardino fu dimesticato al tempo che ci stavano i veri lavoratori, cioè i ministri santi miei, adornato di molti odoriferi fiori, perché la vita de' sudditi, per li buoni pastori, non era sciellerata, anco erano virtuosi con onesta e santa vita. Oggi non è così, anco è il contrario, però che per li gattivi pastori sono gattivi i sudditi. Piena è questa Sposa di diverse spine di molti e variati peccati.

None che in sé possa ricevere puzza di peccato, cioè che la virtù dei santi sacramenti possa ricevere alcuna lesione; ma quelli che si pascono al petto di questa Sposa ricevono puzza ne l'anima loro tollendosi la dignità nella quale Io gli ò posti: non che la dignità in sé diminuisca, ma in verso di loro medesimi. Unde per li loro difetti n'è avilito il sangue cioè perdendo i secolari la debita reverenzia che debbono fare a loro per lo sangue, ben che essi non il debbano fare. E se la perdono, non è però di minore la colpa loro per li difetti dei pastori; ma pure i miserabili sono specchio di miseria, dove Io gli ò posti perché sieno specchio di virtù.



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CAPITOLO CXXIII.

Unde riceve l'anima loro tanta puzza? Da la propria loro sensualità. La quale sensualità con amore proprio ànno fatta donna; e la tapinella anima ànno fatta serva, dove Io gli feci liberi, col sangue del mio Figliuolo, della liberazione generale, quando tutta l'umana generazione fu tratta della servitudine del dimonio e della sua signoria. Questa grazia ricevette ogni creatura che à in sé ragione; ma questi che Io ò unti gli ò liberati della servitudine del mondo e postili a servire solo me, Idio eterno, a ministrare i sacramenti della santa Chiesa. E ògli fatti tanto liberi, che Io non ò voluto né voglio che neuno signore temporale di loro si faccia giudice.

E sai che merito, dilettissima figliuola, essi me ne rendono, di tanto benefizio quanto ànno ricevuto da me? Il merito loro è questo: che continuamente (117v) mi perseguitano in tanti diversi e scellerati peccati che la lingua tua non gli potrebbe narrare, e a udirlo ci verresti meno. Ma pure alcuna cosa te ne voglio dire, oltre a quello ch'Io t'ò detto, per darti più materia di pianto e di compassione.

Essi debbono stare in su la mensa della croce per santo desiderio, e ine notricarsi del cibo de l'anime per onore di me. § 76 ,1277) E ben che ogni creatura che à in sé ragione questo debba fare, molto maggiormente il debbono fare costoro che Io ò eletti perché vi ministrino il corpo e'l sangue di Cristo crocifisso unigenito mio Figliuolo, e perché vi diano esemplo di santa e buona vita, e con pena loro e con santo e grande desiderio, seguitando la mia Verità, prendano il cibo de l'anime vostre.

Ed essi ànno presa per mensa loro le taverne, ine giurando e spergiurando con molti miserabili difetti publicamente, come uomini aciecati e senza lume di ragione: sono fatti animali per li loro difetti, e stanno in atti in fatti e in parole lascivamente. E non sanno che si sia officio; e se alcuna volta el dicono, el dicono con la lingua e'l cuore loro è dilonga da me. (Is 29,13 Mt 15,8 Mc 7,6) Egli stanno come ribaldi e barattieri, e poi che ànno giocata l'anima loro e messala nelle mani delle dimonia, ed essi giuocano i beni de la chiesa; e la sustanzia temporale, la quale ricevono in virtù del sangue, giuocano e sbarattano. Unde i povari non ànno il debito loro, e la chiesa n'è sfornita, e non con quelli fornimenti che le sono necessari.

Unde, perché essi sono fatti templo del diavolo, non si curano del templo mio, ma quello adornamento che debbono fare al templo e nella chiesa per riverenzia del sangue, essi el fanno nelle case loro dove essi abitano. E peggio è che essi fanno come lo sposo che adorna la sposa sua: così questi dimoni incarnati del bene della chiesa adornano la diavola sua, con la quale egli sta iniquamente e immondamente. E senza veruna vergogna le faranno andare e stare e venire: mentre ch'e' miseri dimoni saranno a celebrare a l'altare, non si curaranno che questa miserabile (118r) diavola vada co' figliuoli a mano, a fare l'offerta con l'altro popolo.

O dimoni sopra dimoni! Almeno le iniquità vostre fussero più nascoste negli occhi dei vostri sudditi; ché, facendole nascoste, offendete me e fate danno a voi, ma non fate male al prossimo ponendo attualmente la vita vostra scellerata dinanzi a loro, però che per lo vostro esemplo gli sete materia e cagione, non che egli esca dei peccati suoi, ma che egli caggia in quelli simili e maggiori che avete voi.

è questa la purità che Io richieggio al mio ministro quando egli va a celebrare a l'altare? Questa è la purità che egli porta: che la mattina si levarà con la mente contaminata e col corpo suo corrotto, stato e giaciuto con lo immondo peccato mortale, e andarà a celebrare. O tabernacolo del dimonio, dove è la vigilia della notte col solenne e devoto offizio? dove è la continua e devota orazione? nel quale tempo della notte tu ti debbi disponere al misterio che ài a fare la mattina, con uno cognoscimento di te, cognoscendoti e reputandoti indegno a tanto misterio, e con uno cognoscimento di me, che per la mia bontà te n'ò fatto degno e non per li tuoi meriti, e fattoti mio ministro acciò che'l ministri a l'altre mie creature.



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CAPITOLO CXXIV.

Io ti fo a sapere, carissima figliuola, che tanta purità richieggio a voi e a loro in questo sacramento, quanta è possibile a uomo in questa vita; in quanto dalla parte vostra e loro ve ne dovete ingiegniare d'aquistarla continuamente. Voi dovete pensare che, se possibile fusse che la natura angelica si purificasse, a questo misterio sarebbe bisogno che ella si purificasse; ma non è possibile, perché non à bisogno d'essere purificata, perché in loro non può cadere veleno di peccato. Questo ti dico perché tu vegga quanta purità Io richieggio da voi e da loro in questo sacramento, e singularmente da loro. Ma il contrario mi fanno, però che tutti immondi, e non tanto della immondizia e fragilità alla quale sete inchinevoli naturalmente (118v) per fragile natura vostra - bene che la ragione, quando il libero arbitrio vuole, fa stare queta la sua rebellione - ma i miseri, non tanto che raffrenino questa fragilità, ma essi fanno peggio, commettendo quello maladetto peccato contra natura. E come ciechi e stolti, offuscato il lume de l'intelletto loro, non cognoscono la puzza e la miseria nella quale essi sono: che non tanto che ella puta a me che so' somma eterna purità - ed èmmi tanto abominevole che per questo solo peccato profondaro cinque città (Gn 19,24-25 Sg 10,6) per divino mio giudicio, non volendo più sostenere la divina mia giustizia, tanto mi dispiacque, questo abominevole peccato - ma non tanto a me, come detto t'ò, ma alle dimonia, le quali dimonia i miseri s'ànno fatti signori, lo' dispiace. Non che lo' dispiaccia il male perché lo' piaccia alcuno bene, ma perché la natura loro fu natura angelica, e però quella natura schifa di non vedere né di stare a vedere commettere quello enorme peccato attualmente. Àgli bene inanzi gittata la saetta avelenata del veleno della concupiscenzia, ma giognendo a l'atto del peccato egli si va via, per la cagione e per lo modo che detto t'ò.

Sì come tu sai, se bene ti ricorda, innanzi la mortalità che Io el manifestai a te quanto m'era spiacevole, e quanto il mondo di questo peccato era corrotto. Unde, levando Io te sopra di te per santo desiderio ed elevazione di mente, ti mostrai tutto quanto il mondo, e quasi in ogni maniera di gente tu vedevi questo miserabile peccato. E vedevi i dimoni, sì come Io ti mostrai, che fuggivano come detto è. E sai che fu tanta la pena che tu ricevesti nella mente tua e la puzza, che quasi ti pareva essere in su la morte. Tu non vedevi luogo dove tu e gli altri servi miei vi poteste ponare acciò che questa lebbra non vi si ataccasse. E non vedevi di potere stare né tra piccoli né tra grandi, né vecchi né giovani, né religiosi né cherici, né prelati né sudditi, né signori né servi che di questa maledizione non fussero contaminati le menti e corpi loro.

Mostra'telo in generale; non ti dico né mostrai dei particulari (119r) se alcuno ce n'à a cui non tocchi.

Ché pure tra' gattivi ò riservato alcuno dei miei dei quali, per le loro giustizie, Io tengo la mia giustizia, (Gn 18,23-32) ché non comando a le pietre che si rivolgano contra di loro, né alla terra che gl'inghiottisca, né agli animali che gli devorino, né alle dimonia che ne portino l'anime e corpi. Anco vo trovando le vie e i modi per poterlo' fare misericordia, ciò è perché correggano la vita loro, e metto per mezzo i servi miei che sono sani e non lebbrosi, perché per loro mi preghino. E alcuna volta lo' mostrarrò questi miserabili difetti acciò che sieno più solliciti a cercare la salute loro, offerendoli a me con maggiore compassione, e con dolore dei loro difetti e de l'offesa mia pregare me per loro, sì come Io feci a te, per lo modo che tu sai e detto t'ò. E se ben ti ricorda, facendoti sentire una sprizza di questa puzza, tu eri venuta a tanto che tu non potevi più, sì come tu dicesti a me: «O Padre eterno, abbi misericordia di me e delle tue creature! O tu mi traie l'anima di corpo, però che non pare che io possa più, o tu mi dà refrigerio, e mostrami in che luogo io e gli altri servi tuoi ci possiamo riposare, acciò che questa lebbra non ci possa nuocere né tollere la purità de l'anime e de' corpi nostri».

Io ti risposi vollendomi verso te con l'occhio della pietà, e dissi e dico: «Figliuola mia, il vostro riposo sia di rendere gloria e loda al nome mio, e gittarmi oncenso di continua orazione per questi tapinelli che si sono posti in tanta miseria, facendosi degni del divino giudicio per li loro peccati. Il vostro luogo, dove voi stiate, sia Cristo crocifisso unigenito mio Figliuolo, abitando e nascondendovi nella caverna del costato suo, (Let47) dove voi gustarete, per affetto d'amore, in quella natura umana la natura mia divina. In quello cuore aperto trovarrete la carità mia e del prossimo vostro, però che per onore di me, Padre etterno, e per compire l'obbedienzia ch'Io posi a lui per la salute vostra, corse a l'obbrobriosa morte della santissima croce. Vedendo e gustando questo amore seguitarete la dottrina sua, notricandovi in su la mensa della croce, cioè portando (119v) per carità con vera pazienzia il prossimo vostro: pena, tormento e fadiga, da qualunque lato elle si vengano. A questo modo camparete e fuggirete la lebbra».

Questo è il modo che Io diei e do a te e agli altri. Ma per tutto questo da l'anima tua non si levava però il sentimento della puzza, né a l'occhio de l'intelletto la tenebre. Ma la mia providenzia providde, però che comunicandoti del corpo e del sangue del mio Figliuolo, tutto Dio e tutto uomo, sì come ricevete nel sacramento de l'altare, in segno che questo era verità, levossi la puzza per l'odore che ricevesti nel sacramento, e la tenebre si levò per la luce che in esso sacramento ricevesti. E rimaseti per ammirabile modo, sì come piacque a la mia bontà, l'odore del sangue nella bocca e nel gusto del corpo tuo per più dì, sì come tu sai.

Sì che vedi, carissima figliuola, quanto m'è abominevole in ogni creatura: or ti pensa ch'è molto maggiormente in questi che Io ò tratti che vivano nello stato della continenzia. E tra questi continenti che sono levati dal mondo, chi per religione e chi come pianta piantata nel corpo mistico della santa Chiesa, tra quali sono e ministri, non potresti tanto udire quanto più mi dispiace questo difetto in loro, oltre al dispiacere che Io ricevo dagli uomini generali del mondo, e dei particulari continenti dei quali Io t'ò detto; perché costoro sono lucerne poste in sul candelabro, (Mt 5,15) ministratori di me vero Sole in lume di virtù, di santa e onesta vita; ed essi ministrano in tenebre.

E tanto sono tenebrosi, che la santa Scrittura, che in sé è illuminata perché la trassero i miei eletti col lume sopranaturale da me, vero lume, sì come in uno altro luogo Io ti narrai, § 85 per l'enfiata loro superbia e perché sono immondi e lascivi, non ne veggono né intendono altro che la corteccia, litteralmente; e quella ricevono senza alcuno sapore perché il gusto de l'anima non è ordinato, anco è corrotto dall'amore proprio e dalla superbia, ripieno lo stomaco della immondizia, desiderando di compire i disordinati diletti loro, ripieni di cupidità e d'avarizia; e senza vergogna pubblicamente commettono i difetti loro. E l'usura, che è vetata da me, (Lv 25,37) saranno molti (120r) miserabili che la commettaranno.



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CAPITOLO CXXV.

In che modo possono questi, pieni di tanti difetti, correggere e fare giustizia e riprendere i difetti dei sudditi loro? Non possono, perché i loro difetti lo' tolgono l'ardire e'l zelo della santa giustizia. E se alcuna volta la facessero, fanno dire i sudditi, scellerati con loro insieme: «Medico, medica te medesimo innanzi e poi medica me, (Lc 4,23) e io pigliarò la medicina che tu mi darai. Egli è in maggiore difetto egli che non so' io e dice male a me!» Male fa colui la cui reprensione è solo con la parola e non con buona e ordinata vita; non che egli non debba però riprendere il male, o buono o gattivo che egli si sia, nel suo suddito; male nondimeno fa che egli non corregge con santa e onesta vita. E molto peggio fa colui che, per qualunque modo gli è fatta la reprensione, o da buono o da gattivo pastore che sia, che egli non la riceve umilemente correggendo la vita sua scellerata, però che egli fa male pure a sé e non altrui, ed egli è quello che sosterrà le pene dei difetti suoi.

Tutti questi mali, carissima figliuola, adivengono per non correggere con buona e santa vita. Perché non correggono? Perché sono aciecati da l'amore proprio di loro medesimi, nel quale amore proprio sono fondate tutte le loro iniquità, e non mirano se non in che modo possano compire i loro disordinati diletti e piaceri, e sudditi e pastori, e cherici e religiosi.

Doh, figliuola mia dolce, dove è l'obbedienzia dei religiosi? i quali sono posti nella santa religione come angeli, ed essi sono peggio che dimoni; posti perché annunzino la parola mia in vita e in dottrina, ed essi gridano solo col suono della parola, e però non fanno frutto nel cuore de l'uditore. Le loro predicazioni sono fatte più a piacere degli uomini e per dilettare l'orecchie loro che ad onore di me; e però studiano non in buona vita, ma in favellare molto pulito.

Questi cotali non seminano il seme mio in verità, perché non attendono a divellere i vizi e piantare le virtù. Unde, perché non ànno tratte le spine de l'orto loro, non si curano di (120v) trarle de l'orto del loro prossimo. Tutti i loro diletti sono d'adornare i corpi e le celle loro e d'andare discorrendo per le città. E adiviene di loro come del pescie, il quale stando fuore de l'acqua muore.

Così questi cotali religiosi con vana e disonesta vita, stando fuore della cella muoiono. Partonsi dalla cella, della quale si debbono fare uno cielo, e vanno per le contrade cercando le case de' parenti e d'altre genti secolari, secondo che piace a loro, miseri sudditi, e a' gattivi prelati che gli ànno legati longhi e non corti, e come miserabili pastori non si curano di vedere il loro frate suddito nelle mani delle dimonia, anco spesse volte essi stessi ve ne mettono.

E alcuna volta, cognoscendo che essi sono dimoni incarnati, gli mandaranno per li monasterii a quelle che sono dimonie incarnate con loro insieme, e cosí l'uno guasta l'altro con molti e sottili ingegni ed inganni.

Il loro principio porrà il dimonio sotto colore di devozione, ma perché la vita loro è lasciva e miserabile, non sta molto colorato col colore della devozione, anco subito appariscono i frutti delle loro devozioni: prima si veggono i fiori puzzolenti de' disonesti pensieri con le foglie corrotte delle parole, e con miserabili modi compiono i desideri loro. I frutti che se ne veggono, bene lo sai tu che n'ài veduti, che sono i figliuoli. E spesse volte si conducono a tanto che l'uno e l'altro escie della santa religione. Egli è fatto uno ribaldo, ed ella una pubblica meretrice.

Di tutti questi mali e di molti altri sono cagione i prelati, perché non ebbero l'occhio sopra il loro suddito, anco gli davano largo, ed esso medesimo el mandava e faceva vista di non vedere le miserie sue. E perché il suddito non si dilettò della cella, così per difetto dell'uno e dell'altro n'è rimaso morto. La lingua tua non potrebbe narrare tanti difetti, né per quanti miserabili modi essi m'offendono. Fatti sono arme del diavolo, e con le puzze loro avelenano dentro e di fuore: di fuore ne' secolari e dentro nella religione. Privati sono della carità (121r) fraterna, e ogni uno vuole essere il maggiore, e ogni uno mira di possedere. Unde essi fanno contra il comandamento e contra il voto che ànno fatto.

Essi ànno fatta promessa d'osservare l'ordine ed eglino la trapassano: che non tanto che l'osservino essi, ma e' faranno come lupi affamati sopra gli agnelli che vorranno essere osservatori de l'ordine, beffandogli e schernendoli. E credono, i miserabili, con le persecuzioni beffe e scherni che fanno a' buoni religiosi e osservatori de l'ordine, ricoprire i difetti loro, ed essi gli scuoprono molto piú. E tanto male è venuto nei giardini delle sante religioni, però che sante sono in loro, perché sono fatte e fondate dallo Spirito santo, e però l'ordine, in sé, non può essere guasto né corrotto per lo difetto del suddito. E però colui che vuole intrare ne l'ordine non debba mirare a quegli che sono gattivi, ma debba navigare sopra le braccia de l'ordine, che non è infermo né può infermare, osservandolo infino alla morte.

Dicevoti che a tanto erano venuti per li mali correggitori e per li gattivi sudditi, che quegli che tengono l'ordine schiettamente lo' pare che trapassino l'ordine non tenendo i loro costumi e non osservando le loro cerimonie, le quali ànno ordinate e osservanle negli occhi de' secolari, volendo compiacere per mantellare i difetti loro. Sì che vedi che 'l primo voto de l'obbedienzia, d'osservare l'ordine, non l'adempiono: della quale obbedienzia in un altro luogo ti parlarò.

Fanno voto ancora d'osservare volontaria povertà e d'essere continenti. Questo come essi l'osservano? Mira le possessioni e la molta pecunia che essi tengono in particulare, separati dalla carità comune di comunicare coi frati suoi le sustanzie temporali e le spirituali, sì come vuole l'ordine della carità e l'ordine suo. Ed essi non vogliono ingrassare altro che loro e gli animali; e l'una bestia notrica l'altra, e il suo povero frate muore di freddo e di fame. E poi che è ben foderato egli, ed à le buone vivande, di lui non pensa, né con lui si vuole ritrovare alla povera mensa del refettorio (121v). Il suo diletto è di potere stare dove egli si possa empire di carne e saziare la gola sua.

Impossibile gli è a questo cotale osservare il terzo voto della continenzia, però che'l ventre pieno non fa la mente casta, anco diventano lascivi con disordinati riscaldamenti, e così vanno di male in male. E molto ne l'adiviene del male per lo possedere, perché se essi non avessero che spendere, non vivarebbero tanto disordinatamente e non avarebbero le curiose amistà, però che non avendo che donare non si tiene l'amore, né l'amistà che è fondata per amore del dono e per alcuno diletto e piacere che l'uno traie de l'altro e non in perfetta carità.

O miseri posti in tanta miseria per li loro difetti, e da me sono posti in tanta dignità! Essi fuggono dal coro come se fusse un veleno, e se eglino vi stanno, gridano con la voce, e il cuore loro è dilonga da me. Alla mensa de l'altare se l'ànno presa per una consuetudine d'andarvi senza veruna disposizione, sì come d'andare alla mensa corporale.

Tutti questi mali, e molti altri dei quali Io non ti voglio più dire per none apuzzare l'orecchie tue, seguitano per difetto de' gattivi pastori che non correggono né puniscono i difetti de' sudditi e non si curano né sono zelanti che l'ordine sia osservato, perché essi non sono osservatori de l'ordine. Porranno bene le pietre in capo delle grandi obbedienzie a coloro che'l vogliono osservare, (Mt 23,4) punendoli delle colpe che non ànno commesse. E tutto questo fanno perché in loro non riluce la margarita della giustizia ma della ingiustizia. E però ingiustamente dànno: a colui che merita grazia e benivolenzia, penitenzia e odio; a quegli che sono membri del diavolo, come eglino, dànno amore diletto e stato, commettendo in loro gli offizi de l'ordine. Come aciecati vivono, e come aciecati dànno gli offizi e governano i sudditi. E se essi non si correggono, con questa ciechità giongono alla tenabre de l'etterna dannazione, (Mt 15,14) e convien lo' rendere ragione a me, sommo Giudice, de l'anime de' sudditi loro. Male e gattivamente me la possono rendere, e però ricevono da me, giustamente, quello che ànno meritato (122r).




Caterina, Dialogo 120