Caterina, Lettere 34

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Al priore de' frati di Monte Oliveto presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo padre - per riverenzia di quel santissimo sagramento - e fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi quello pastore buono e virile che pasciate e governiate con solecitudine perfetta le pecorelle a voi comesse, imparando dal dolce maestro della verità, che à posto la vita per noi pecorelle che eravamo fuori della via della grazia.

è vero, dolcissimo fratello in Cristo Gesù, che questo non potete fare senza Dio, e Idio non potiamo avere nella terra; ma uno dolce rimedio ci vego: che, essendo col cuore basso e piccolo, voglio che facciate come Zaccheo che, essendo piccolo, salì in sull'albore per vedere Dio. Per la quale solecitudine meritò d'udire quella dolce parola, dicendo: «Zaccheo, vattene alla tua casa, ché oggi è di bisogno ch'io mangi con teco» (
Lc 19,5). Così dobiamo fare noi: che essendo noi bassi con estretto cuore e poca carità, noi saliamo in sull'albore della santissima croce. Ine vedaremo e toccaremo Dio: ine trovaremo el fuoco della sua inestimabile carità e amore, el quale l'à fatto corrare infino a li obrobii della croce, levato in alto, affamato e assetato di sete de l'onore del Padre e della salute nostra. Ecco dunque il nostro dolce e buono pastore, che à posto la vita con tanto affamato desiderio e affocato amore, non riguardando alle pene sue, né alla nostra ignoranza e ingratitudine di tanto benifizio, non a rimproveri de' Giudei, ma come inamorato, ubidiente al Padre con grandissima riverenzia.

Ben si può dunque, se noi vorremo, adempire in noi quella parola - se la nostra negligenzia non ci ritraie - salendo in sull'albore, sì come disse la dolce bocca della Verità: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me» (Jn 12,32). E veramente così è, che l'anima che ci è salita vede versare la bontà e potenzia del Padre, per la quale potenzia à data virtù al sangue del Figliuolo di Dio di lavare le nostre iniquità. Ine vediamo l'obedienzia di Cristo crocifisso, che, per obedire, muore; e falla questa obedienzia con tanto desiderio che maggiore gli è la pena del desiderio che la pena del corpo. Vedesi la clemenzia e l'abondanzia dello Spirito santo, cioè quello amore ineffabile che 'l tenne confitto in sul legno della santissima croce: ché né chiovi né fune l'arebe potuto tenere legato se 'l legame della carità non fusse.

Ben sarebe cuore di diamante che non disolvesse la sua durizia a tanto smisurato amore; e veramente el cuore vulnerato di questa saetta si leva su con tutta sua forza, e non tanto è l'uomo in sé mondo, ma è monda l'anima, per la quale Dio à fatto ogni cosa. E se mi diceste: «Io non posso salire, però che esso è molto in alto», dicovi ch'egli à fatto li scaloni nel corpo suo: levate l'affetto a' piedi del Figliuolo di Dio, e salite al cuore che è aperto e consumato per noi, e giognarete a la pace della bocca sua, e diventarete gustatore e mangiatore dell'anime; e così sarete vero pastore che porrete la vita per le pecorelle vostre.

Fate che sempre abiate l'occhio sopra di loro, acciò che 'l vizio sia stirpato e piantatavi la virtù.

E io vi mando due altre pecorelle: date a loro l'agio della cella e dello studio, però che sonno due pecorelle le quali nutricarete senza fadiga, e aretene grande alegrezza e consolazione. Altro non vi dico.

Confortatevi insieme legandovi col vincolo della carità, salendo in su quello albore santissimo dove si riposano e' frutti delle virtù, maturi sopra 'l corpo del Figliuolo di Dio. Corrite con solecitudine. Gesù dolce, Gesù amore.



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A frate Nicolò di Ghida e a frate Giuvanni Zerri e a frate Nicolò di Jacomo di Vannuccio di Monte Oliveto.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguitatori de l'umile e immaculato Agnello, el quale ora c'è rapresentato da la santa Chiesa in tanta umilità e mansuetudine che ogni cuore di creatura ne doverebbe venire meno, e confondere e spegnare la superbia sua.

Questo Parvolo è venuto per insegnarci la via e la dottrina della vita, perché la via era tolta per lo peccato d'Adam, per modo che neuno poteva giognere al termine di vita etterna. E però Dio Padre, costretto del fuoco della sua carità, ci mandò el Verbo de l'unico suo Figliuolo, el quale venne come uno carro di fuoco (2R 2,11), manifestandoci el fuoco dell'amore ineffabile e la misericordia del Padre eterno; insegnandoci la dottrina della verità e mostrandoci la via dell'amore, la quale noi doviamo tenere. E però disse egli: «Io so' via verità e vita (Jn 14,6): chi va per me, non va per la tenebre, ma giogne alla luce». E così è, però che chi seguita questa via in verità ne riceve vita di grazia, e va col lume della santissima fede, e con esso lume giogne a l'etterna visione di Dio.

Dove ce l'à insegnata questa dottrina, questo dolce e amoroso Verbo? In su la catedra della santissima croce, e ine ci lavò la faccia dell'anima nostra col sangue suo. Dico che c'insegnò la via dell'amore e la dottrina de le virtù: elli ci mostrò in che modo noi doviamo amare, a volere avere la vita. Noi siamo tenuti e obligati di seguitarlo; e chi nol seguita per la via delle virtù, essofatto el perseguita col vizio. Unde molti sono che vogliono perseguitare, e non seguitare; e vogliono andare inanzi a lui, ma non drieto a lui, facendo un'altra via di nuovo - cioè di volere servire a Dio e avere le virtù senza fadiga -, ma ingannati sono, però che elli è la via.

Questi cotali non son forti né perseveranti, anco vengono meno, e nel tempo della battaglia gittano a terra l'arme: cioè arme de l'umile e continua orazione con l'affocata carità, e il coltello della volontà con che si difende, el quale à due tagli, cioè odio del vizio e amore della virtù. E 'l piglia con la mano del libero arbitrio, e dàllo al nemico suo, sì che - trattosi l'arme che riparava a' colpi delle molte tentazioni, molestie dalla carne, e persecuzioni dagli uomini, e dato il coltello con che si difendeva -, rimane vénto e sconfitto.

Non gli seguita gloria, anco vergogna e confusione; e tutto gli adiviene perché non seguitava la dottrina del Verbo, ma perseguitava, volendo andare per altra via che tenesse elli.

Adunque ci conviene tenere per lui, e amare schiettamente in verità, non per timore della pena che seguita a colui che non ama; non per rispetto dell'utilità e diletto che truova l'anima nell'amore, ma solo perché el sommo bene è degno d'essere amato da noi, e però el doviamo amare se mai utilità non n'avessimo; che se danno non avessimo per non amare, noi doviamo pur amare. Così fece elli, però che elli ci amò senza essere amato da noi, non per utilità che elli potesse ricevere, né per danno che ne potesse avere non amandoci, però che elli è lo Dio nostro che non à bisogno di noi: unde el nostro bene non gli è utile, e 'l nostro male non gli è danno.

Dunque, perché ci amò per sua bontà, così dunque noi doviamo amare per la bontà sua medesima; e quella utilità che noi non potiamo fare a lui, doviamo fare al prossimo nostro, e amarlo caritativamente; e non diminuire l'amore verso di lui per alcuna ingiuria che ci facesse, né per sua ingratitudine: ma doviamo essere constanti e perseveranti nella carità di Dio e del prossimo. Così fece questo dolce e amoroso Verbo, che non attendeva ad altro che a l'onore del Padre e alla salute nostra; e non allentò l'andare di corrire all'obrobiosa morte della croce per nostra ingratitudine - che ci vedeva spregiatori del sangue -, né per pena né per obrobii che si vedeva sostenere. Perché? perché el suo fondamento era d'amare noi solo per onore del Padre e per salute nostra. Questa è la via che elli ci à insegnata, dandoci dottrina d'umilità e d'obedienzia, pazienzia, fortezza e di perseveranzia, perché non lassò el giogo dell'obedienzia che aveva ricevuto dal Padre, né la salute nostra, per alcuna pena; ma con tanta pazienzia che non è udito el grido suo per neuna mormorazione: forte e perseverante infine all'ultimo che elli remisse la sposa de l'umana generazione nelle mani del Padre etterno.

Adunque vedete, figliuoli miei, che elli v'à mostrata la via e insegnata la dottrina. Dovetela dunque seguitare virilmente e senza alcuno timore servile, ma con timore santo, con speranza e fede viva, però che Dio non vi porrà maggiore peso che voi potiate portare. E con questa fede rispondere al dimonio, quando vi mettesse timore nelle menti vostre dicendo: «Le battaglie e le fadighe dell'Ordine e 'l giogo dell'obedienzia tu non le potrai portare»; e dicendo: «Meglio t'è che tu ti parta, e stia nella carità comune.

O tu va' in una altra religione, che ti sia più agevole che questa: e potrai meglio salvare l'anima tua». Non è da credarli; ma col lume della fede perseverare nello stato vostro infine alla morte.

Già sete levati, carissimi figliuoli, per la bontà di Dio da la puzza del secolo, e sete intrati nella navicella della santa religione a navicare in questo mare tempestoso sopra le braccia dell'Ordine, e non sopra le braccia vostre, col timone della santa obedienzia, e ritto l'arbolo de la santissima croce, e spiegatavi su la vela dell'ardentissima sua carità: con la quale vela giognarete a porto di salute, se voi vi soffiarete col vento del santissimo desiderio - con odio e dispiacimento di voi, con umile, obediente e continua orazione -, e con questo vento prospero si giogne, e con perseveranzia, al porto di vita etterna. Ma guardate che 'l timone dell'obedienzia non v'esca delle mani, però che subbito sareste a pericolo di morte. So' certa che se averete spogliato el cuore del proprio amore sensitivo, e in verità vestiti di Cristo crocifisso - cioè d'amare lui schiettamente senza rispetto di pena o di diletto, come detto è -, voi el farete stando nella navicella dell'Ordine, e abracciarete l'arbolo della santissima croce, seguitando le vestigie e la dottrina de l'umile e immaculato Agnello, annegando e uccidendo la propria vostra voluntà, con obedienzia pronta che mai non allenti per alcuna fadiga, o per obedienzia incomportabile; ma sempre obedienti infine alla morte. O gloriosa virtù che porti teco l'umilità! Però che tanto è umile quanto obediente, e tanto obediente quanto umile. El segno di questa obedienzia, che ella sia nel suddito, è la pazienzia; con la quale pazienzia non vorrà ricalcitrare alla volontà di Dio né a quella del prelato suo (guarda già che non gli fusse comandato cosa che fusse offesa di Dio: a questa non debba obedire, ma a ogni altra cosa sì). Questa virtù non è sola, quando ella è perfetta nell'anima; anco, è acompagnata col lume della fede fondata ne l'umilità, però che altrimenti non sarebbe obediente con la fortezza e con la longa perseveranzia, e con la gemma preziosa della pazienzia. A questo modo correte per la via dell'amore in verità, tenendo per la via del Verbo unigenito Figliuolo di Dio; e seguitarete la dottrina sua d'essere obedienti, correndo per onore di Dio e per salute vostra e del prossimo all'obrobiosa morte della croce, cioè con ansietato desiderio di volere sostenere pene in qualunque modo Dio ve le concede, o per tentazioni dal dimonio, o per molestie nel corpo vostro, o per mormorazioni o ingiurie che vi facessero le creature; e ogni cosa portarete per Cristo crucifisso infine alla morte.

E non venite a tedio per alcuna battaglia che vi venisse, ma ditelo al prelato vostro; e portate virilmente, e conservate la volontà che non consenta. A questo modo non offendarete, ma ricevarete el frutto de le vostre fadighe; e per questo modo seguitarete la dottrina de l'umile e immaculato Agnello. In altro modo verreste meno, e non perseverareste nel vostro andare, ma ogni movimento vi darebbe a terra. E però vi dissi che io desideravo di vedervi seguitatori de l'umile e immaculato Agnello, perché altra via non ci sapevo vedere; e così è la verità, e chi altra via cerca rimane ingannato. Adunque virilmente, carissimi figliuoli, adempite la volontà di Dio in voi, e la promessa che faceste quando vi partiste da la tenebre del mondo ed entraste alla luce della santa religione. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.

Siavi raccomandato frate Giovanni, che preghiate Dio per lui ch'egli torni al suo ovile. E pigliate essemplo da lui d'umiliarvi, e non tenere la infirmità del cuore. Gesù dolce, Gesù amore.



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A certi novizii dell'ordine di Santa Maria di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figliuoli obbedienti infino alla morte, imparando dall'Agnello immaculato che fu obbediente al Padre infino all'obrobriosa morte della croce.

Pensate che elli è via (Jn 14,6) e regola, la quale voi e ogni creatura dovete osservare: voglio che vel poniate per obiecto dinanzi agli occhi della mente vostra. Raguardate quanto elli è obbediente, questo Verbo: elli none schifa la fadiga che elli sostiene per lo gran peso che gli è posto dal Padre, anco corre con grandissimo desiderio. Questo manifestòe nella cena del giovedì santo, quando disse: «Con desiderio io ò desiderato di fare Pasqua con voi prima ch'io muoia» (Lc 22,15).

Ciò intendeva di fare: la pasqua d'adimpire la volontà del Padre e l'obbedienzia sua; e però, vedendosi quasi consumato el tempo - vedevasi nell'ultimo che elli dovea fare sacrifizio del corpo suo al Padre per noi -, gode ed essulta, e con letizia dice: «Con desiderio io ò desiderato» (Lc 22,15). Questa era la pasqua che elli diceva, cioè di dare sé medesimo in cibo, e per obbedienzia del Padre fare sacrifizio del corpo suo, ché, de l'altre pasque del mangiare co' discepoli suoi, spesse volte l'avea fatta, ma non mai questa. Oh inestimabile dolcissima e ardentissima carità, tu non pensi delle tue pene, né dell'obrobriosa morte tua: ché se tu vi pensassi non andaresti con tanta letizia, e non la chiamaresti Pasqua. Pensate, figliuoli miei, che questo dolce Agnello egli è una aquila vera, che non raguarda la terra della sua umanità ma ferma l'occhio solo nella rota del sole, nel Padre etterno; ché e' in sé medesimo vede che la volontà sua è questa: che noi siamo santificati in lui. Questa santificazione non si può avere, per lo peccato del nostro primo padre Adam; conviensi dunque che ci sia un mezzo, e pongaci cosa che questa volontà di Dio si possa adimpire: vede el Verbo che egli à posto lui, e àlli data per isposa l'umana generazione; comandato gli à per obbedienzia che elli ci ponga in mezzo el sangue suo, acciò che la sua volontà s'adempia in noi, sì che nel sangue siamo santificati. Or questa è la dolce Pasqua che questo Agnello immaculato piglia; e con grandissimo affetto e desiderio insiememente adempie la volontà del Padre in noi, e osserva e compie la sua obbedienzia.

Oh dolce amore inestimabile, tu ài unita e conformata la creatura col Creatore: ài fatto come si fa della pietra che si conforma colla pietra, acciò che, venendo el vento (Mt 7,25) non vuole che sia impedita: mettevi la calcina viva intrisa coll'acqua. Tu, Verbo incarnato, ài fondata questa pietra della creatura; àila innestata nel suo Creatore; àici messo in mezzo el sangue intriso nella calcina viva della divina essenzia, per l'unione che ài fatta nella natura umana; ài proveduto a molti venti contrarii di forte battaglie e tentazioni, a molte pene e tormenti che ci sono dati dal dimonio, dalla creatura, e dalla carne propria, che tutti ci sono contrarii e percuotono l'anima nostra. Veggo te, dolce prima Verità, che, per lo sangue che ci ài posto in mezzo, questo muro è di tanta fortezza, che veruno vento contrario lo può dare a terra.

Adunque bene à materia, dolcissimo amore, d'amare la creatura solo te, e di non temere per veruna illusione che venisse.

Così vi prego, figliuoli miei dolci in Cristo dolce Gesù, che non temiate mai, confidandovi nel sangue di Cristo crocifisso. Né per movimenti e illusioni dissolute, né per timore che venisse di non poter perseverare, né per paura della pena che vi paresse in sostenere l'obbedienzia e l'Ordine vostro, né per veruna cosa che potesse adivenire non temete mai: conservate pure in voi la buona e santa volontà, quella che è signore di questo muro, che col piccone del libero arbitrio el può disfare e conservare, secondo che piace al Signore della buona volontà. Dunque non voglio che già mai temiate: ogni timore servile sia tolto da voi. Direte col dolce inamorato di Pavolo, rispondendo alla tiepidezza del cuore, e alle illusioni delle dimonia: «Porta oggi, anima mia: per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, però che per desiderio e amore è in me che mi conforta». Amate, amate, amate; inebriatevi del sangue di questo dolce Agnello, che fatta v'à forte la rocca dell'anima vostra, àlla tratta dalla servitudine del tiranno perverso dimonio, àvela data libera e donna - ché veruno è che le possa tòllare la signoria, se ella non vuole -: e questo à dato ad ogni creatura.

Ma io m'aveggo che la divina providenzia v'à posti in una navicella - acciò che non veniate meno nel mare tempestoso di questa tenebrosa vita -: cioè la santa e vera religione, la quale navicella è menata col giogo della santa e vera obbedienzia. Pensate quanta è la grazia che Dio v'à fatta, cognoscendo la debilezza delle braccia vostre, ché chi è nel secolo naviga in questo mare sopra le braccia sue; ma colui che è nella santa religione naviga sopra le braccia altrui: se elli è vero obbediente, elli none à a rendere ragione di sé medesimo; ma àlla a rendere l'Ordine, ché elli à osservata l'obbedienzia del prelato suo. A questo m'avedrò che voi seguitarete l'Agnello isvenato: se sarete obbedienti - già v'ò detto ch'io voglio che impariate dal dolce e buono Gesù, che fu obbediente infino alla morte (Ph 2,8), adempì la volontà del Padre e l'obbedienzia sua -; così vuole Idio che facciate voi, che voi adimpiate la volontà sua osservando l'Ordine vostro, ponendovela per specchio: inanzi eleggere la morte che trapassare mai l'obbedienzia del prelato. Guardate già che se mai veruno caso venisse - e Dio, per la sua pietà, el levi - che 'l prelato comandasse cose che fussero fuor di Dio, a questo non dovete, né voglio anco io che obbediate mai, però che non si debba obbedire la creatura fuore del Creatore; ma in ogni altra cosa vogliate sempre obbedire.

Non mirate a vostra consolazione, né spirituale né temporale. Questo vi dico perché alcuna volta el dimonio ci fa vedere sotto colore di virtù e di più divozione: vorremo e' luoghi e tempi a nostro modo, dicendo: «Nel cotal tempo e luogo io ò più consolazione e pace dell'anima mia»; l'obbedienzia alcuna volta non vorrà. Dico ch'io voglio e dovete seguitare più tosto l'obbedienzia che le vostre consolazione.

Pensate che questo è uno inganno occulto che tocca a tutti i servi di Dio, che sotto spezie di più servire a Dio elli diservono Idio. Sapete che sola la volontà è quella che diserve e serve: se tu, religioso, ài volontà, el dimonio non te la mostra colle cose grosse di fuore - ché già le ài abbandonate, avendo lassato el secolo -, ma elli te la pone dentro con le spirituale, dicendo: «Elli mi par avere più pace e più stare in amore di Dio starmi nel tal luogo, e non nell'altro». E per avere questo elli resiste a l'obbedienzia; e se pur gliel convien fare, el fa con pena, sì che, volendo la pace, elli si tolle la pace.

Meglio è adunque a tòllare la propria volontà, e non pensare di sé cavelle; solo di vedere in sé compire la volontà di Dio e dell'Ordine santo, e compire l'obbedienzia del suo prelato. So' certa che sarete aquilini che impararete dall'aquila vera. Così fanno li uomini del mondo che si partono dalla volontà del lor Creatore: quando Dio permette a loro alcuna tribulazione e persecuzione, dicono: «Io non le vorrei; non tanto per la pena, quanto mi pare che sieno cagione di partirmi da Dio». Ma e' sono ingannati, ché quella è falsa passione sensitiva; ché colla illusione del dimonio schifano la pena, e più temano la pena che l'offesa: sì che con ogni generazione usa questo inganno. Convienci dunque annegare questa nostra volontà: e' secolari obbedienti osservare i comandamenti di Dio; e' religiosi osservare e' comandamenti e consigli, come ànno promesso alla santa religione.

Orsù, figliuoli miei, obbedienti infino alla morte colle vere e reali virtù! Pensate che tanto quanto sarete umili, tanto sarete obbedienti, ché dell'obbedienzia nasce la vena dell'umilità, e dell'umilità l'obbedienzia; le quali escono del condotto dell'ardentissima carità. Questo condotto della carità trarrete del costato di Cristo crocifisso: ine voglio che la procacciate; questo vi do per luogo e abitazione. Sapete che 'l religioso che è fuore della cella è morto, come 'l pesce che è fuore de l'acqua; e però vi do la cella del costato di Cristo, dove trovarete el cognoscimento di voi e della sua bontà. Or vi levate con grandissimo e acceso desiderio; andate, entrate e state in questa dolce abitazione, e non sarà dimonio né creatura che vi possa tòllare la grazia, né impedire che voi non giogniate al termine vostro a vedere e gustare Idio. Altro non dico. Obbedienti infino alla morte, seguitando l'Agnello che v'è via e regola! Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; niscondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso.

Permanete etc. Amatevi, amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.



37

A frate Nicolò di Ghida dell'ordine di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e de la bontà di Dio in voi; la quale cella è una abitazione che l'uomo porta con seco dovunque va.

In questa cella s'acquistano le vere e reali virtù, e singolarmente la virtù de l'umilità e dell'ardentissima carità, però che nel cognoscimento di noi l'anima s'aumilia, cognoscendo la sua imperfezione e sé non essere; ma l'essere suo el vede avere avuto da Dio. Poi, dunque, che cognosce la bontà del suo Creatore in sé, retribuisce a lui l'essere, e ogni grazia che è posta sopra l'essere: e così acquista vera e perfetta carità, amando Dio con tutto el cuore e con tutto l'affetto, e con tutta l'anima sua (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27).

E come elli ama, così concepe uno odio verso la propria sensualità, in tanto che per odio di sé è contento che Dio voglia e sappi punirlo - per qualunque modo si vuole - delle sue iniquità.

Questi è fatto subbito paziente in ogni tribulazione, o dentro o di fuore che l'abbi: se elli l'à dentro per diverse cogitazioni, elli le porta voluntariamente, reputandosi indegno della pace e quiete della mente la quale ànno gli altri servi di Dio; e reputasi degno della pena e indegno del frutto che seguita doppo la pena. Questo dunde gli procede? dal cognoscimento santo di sé: colui che cognosce sé, cognosce Dio e la bontà sua in sé; e però l'ama.

Di che si diletta allora quella anima? dilettasi di portare senza colpa per Cristo crucifisso; e non cura le persecuzioni del mondo né le detrazioni delli uomini - ma il suo diletto è di portare e' difetti del suo prossimo -; e cerca di portare in verità le fadighe dell'ordine, e inanzi morire che trapassare el giogo dell'obedienzia, ma sempre è suddito e non tanto che al prelato, ma al più minimo che v'è, però che non presumme di sé medesimo, reputandosi alcuna cosa; e però si fa veramente suddito a ogni persona per Cristo crucifisso, non in subiezione di piacere né di colpa di peccato, ma con umilità e per amore della virtù.

Elli fugge la conversazione del secolo e de' secolari e fugge el ricordamento de' parenti - non tanto che d'avere loro conversazione - sì come serpenti velenosi. Elli è fatto amatore della cella, e dilettasi del psalmeggiare con umile e continua orazione e àssi fatto de la cella uno cielo; e più tosto vorrà stare in cella con pene e con molte battaglie del demonio, che fuore della cella in pace e in quiete. Unde à questo cognoscimento e desiderio? àllo avuto e acquistato nella cella del cognoscimento di sé: però che, se prima non avesse avuta questa abitazione della cella mentale, non avarebbe avuto desiderio, né amarebbe la cella attuale. Ma perché vidde e cognobbe in sé quanto era pericoloso el discorrire e stare fuore di cella, però l'ama; e veramente el monaco fuore della cella muore, sì come el pesce fuore dell'acqua.

Oh quanto è pericolosa cosa al monaco l'andare a torno! quante colonne abiamo vedute essere date a terra, per lo discorrire e stare fuore della cella sua, di fuore dal tempo debito ed ordinato! E quando el mandasse l'obbedienzia o una stretta ed espressa carità, per questo l'anima danno non ricevarebbe, ma per leggerezza di cuore e per la semplice carità: la quale alcuna volta lo ignorante - per illusione del dimonio per farlo stare fuore della cella - elli aduopera nel prossimo suo. Ma elli non vede che la carità si debba prima muovere da sé; cioè che a sé non debba fare male di colpa né cosa che gli abbi a impedire la sua perfezione, per neuna utilità che potesse fare al prossimo suo.

Perché gli adiviene che lo stare fuore della cella attuale gli è tanto nocivo? perché prima che elli esca de la cella attuale, è uscito de la cella mentale del cognoscimento di sé: perché se non ne fusse escito avarebbe cognosciuta la sua fragilità, per la quale fragilità non faceva per lui d'andare fuore, ma di stare dentro.

Sapete che frutto n'esce per l'andare fuore? frutto di morte, però che la mente se ne svagola, pigliando la conversazione delli uomini e abandonando quella delli angeli. Votiasi la mente de' santi pensieri di Dio, ed empiesi del piacimento delle creature; con molte varie e malvage cogitazioni diminuisce la sollicitudine e la devozione dell'officio e raffredda el desiderio nell'anima: unde apre le porte de' sentimenti suoi, cioè l'occhio a vedere quello che non debba, e l'orecchie a udire quello che è fuore della voluntà di Dio e salute del prossimo, la lingua a parlare parole oziose, e scordasi dal parlare di Dio. Unde fa danno a sé e al prossimo suo, tollendoli l'orazione, però che nel tempo che debba orare per lui, ed elli va discorrendo; e tollegli anco la edificazione, unde la lingua non sarebbe sufficiente a narrare quanti mali n'escono. E non se n'avederà se non s'à cura: ché a poco a poco sdrusciolarebbe tanto, che si partirebbe da l'ovile della santa religione.

E però colui che cognosce sé vede questo pericolo, e però fugge in cella, e ine empie la mente sua, abracciandosi con la croce, con la compagnia de' santi dottori, e' quali col lume sopra naturale, come ebbri, parlavano de la larghezza della bontà di Dio, e de la viltà loro; e inamoravansi de le virtù, prendendo el cibo de l'onore di Dio e della salute dell'anime in su la mensa della santissima croce, sostenendo pena con vera perseveranzia infine alla morte. Or di questa compagnia si diletta; e quando l'obedienzia el mandasse fuore, duro gli pare, ma stando di fuore, sta dentro per santo e vero desiderio e in cella si notrica di sangue.

Elli s'unisce col sommo ed etterno bene per affetto d'amore; elli non fugge né refiuta labore, ma come vero cavaliere sta in cella in sul campo della battaglia, difendendosi da' nemici col coltello de l'odio e dell'amore, e con lo scudo della santissima fede (Ep 6,16). Mai non volta el capo indietro, ma con speranza e col lume della fede persevera, infine che con la perseveranzia riceve la corona della gloria. Costui acquista la ricchezza delle virtù, ma non l'acquista né compra questa mercanzia in altra bottiga che nel cognoscimento di sé e della bontà di Dio in sé, per lo quale cognoscimento è fatto abitatore de la cella mentale e attuale; però che in altro modo mai non l'avarebbe acquistate.

Unde considerando me che altro modo non ci à, dissi che io desideravo di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi. Ma pensate che fuore della cella non l'acquistareste voi mai. E però voglio che voi strettamente torniate a voi medesimo, stando in cella; e lo stare fuore della cella vi venga a tedio, di fuore da quello che vi pone l'obedienzia e la estrema necessità. E l'andare alla terra vi paia andare a uno fuoco, e la conversazione de' secolari vi paia veleno; ma fuggite a voi medesimo e non vogliate essere fatto crudele all'anima vostra. Figliuolo carissimo, io non voglio che dormiamo più, ma destianci nel cognoscimento di noi, dove trovaremo el sangue de l'umile e immacolato Agnello. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Strettamente ci racomandate al priore e a tutti gli altri.

Gesù dolce, Gesù amore.



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A monna Agnesa donna che fu di missere Orso Malavolti.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera pazienzia, considerando me che senza la pazienzia non potiamo piacere a Dio.

Però che sì come lo impaziente piace molto al dimonio e a la propria sensualità - e non si diletta altro che d'ira quando gli manca quello che la sua sensualità vuole -, così per contrario dispiace molto a Dio, e perché l'ira e la impazienzia è el mirollo de la superbia, però piace molto al dimonio. La impazienzia perde el frutto della sua fadiga, priva l'anima di Dio - e comincia a gustare l'arra dello 'nferno -, e dàlle poi l'etterna dannazione, però che nello 'nferno arde la mala e perversa volontà con ira, odio e impazienzia. Arde e non si consuma, ma sempre rinfresca; cioè che non viene meno in loro, e però dico: non consuma. À bene consumata e diseccata la grazia nell'anime loro, ma non è consumato l'essere, come detto è, e però dura la pena loro etternalmente. Questo dicono i santi, che i dannati dimandano la morte e non la possono avere, perché l'anima non muore mai; muore bene a grazia per lo peccato mortale, ma non muore a essere.

Non è alcuno vizio né peccato che in questa vita faccia gustare l'arra dello 'nferno, quanto l'ira e la impazienzia: elli sta in odio con Dio, elli à a dispiacere el prossimo suo, e non vuole né sa portare né soportare e' difetti del suo prossimo (e ciò che gli è detto o fatto, subbito va a vela; e muovesi el sentimento all'ira e a la impazienzia, come la foglia al vento). Elli diventa incomportabile a sé medesimo, perché la perversa volontà sempre el rode; e appetisce quello che non può avere; scordasi da la volontà di Dio e da la ragione dell'anima sua. E tutto questo procede da l'arbolo della superbia, el quale à tratto fuore el mirollo dell'ira e de la impazienzia. E diventa l'uomo uno dimonio incarnato; e molto fa peggio a combattere con questi dimoni visibili, che con gl'invisibili. Bene la debba dunque fuggire ogni creatura che à in sé ragione.

Ma attendete che sono due ragioni di impazienzia. Questa è una impazienzia comune, de' comuni uomini del mondo, che l'adiviene per lo disordenato amore che ànno a loro medesimi e a le cose temporali, le quali amano fuore di Dio: che per averle non si curano di perdere l'anima loro, e di metterla nelle mani delle dimonia. Questo è senza remedio se elli non cognosce sé che à offeso Dio, tagliando questo arbolo col coltello della vera umilità; la quale umilità notrica la carità nell'anima, che è uno arbolo d'amore, che el mirollo suo è la pazienzia e benivolenzia del prossimo. Però che, come la impazienzia dimostra più che l'anima sia privata di Dio, che neuno altro vizio (perché si giudica subbito: perché c'è el mirollo, elli c'è l'arbolo della superbia), così la pazienzia dimostra meglio e più perfettamente, che Dio sia per grazia nell'anima, che veruna altra virtù. Pazienzia, dico, fondata nell'arbolo dell'amore: che per amore del suo Creatore dispregi el mondo, e ami la ingiuria, da qualunque lato ella viene.

Dicevo che l'ira e la impazienzia era in due modi, cioè in comune e in particulare. Aviamo detto de' comuni; ora la dico in particulare, cioè di coloro che già ànno spregiato el mondo, e vogliono essere servi di Cristo crocifisso a loro modo, in quanto truovano diletto in lui e consolazione. Questo è perché la propria volontà spirituale non è morta in loro, e però dimandano e chiegono a Dio che doni la consolazione e tribulazione a loro modo, e none a modo di Dio; e così diventano impazienti quando essi ànno el contrario di quello che vuole la propria volontà spirituale. E questo è uno ramoscello di superbia che esce della vera superbia: sì come l'arbolo che mette el ramoscello da lato, che pare separato da lui, e non di meno la sustanzia de la quale elli vive la traie pur dal medesimo arbolo. Così la volontà propria dell'anima che elegge di servire a Dio a suo modo; e mancandoli quello modo, sostiene pena, e da la pena viene alla impazienzia, ed è incomportabile a sé medesimo, e non gli diletta di servire né a Dio né al prossimo. Anco - chi venisse a lui per consiglio o aiuto - non gli darebbe altro che rimproverio, e non saprebbe comportare el bisogno suo.

Tutto questo procede da la propria volontà sensitiva spirituale che esce de l'arbolo della superbia, el quale è tagliato ma non dibarbicato. Tagliato è quando già s'è levato el desiderio suo dal mondo e postolo in Dio, ma àvelo posto imperfettamente: èvi rimasa la radice, e però à messo el figliuolo da lato, e così si manifesta nelle cose spirituali. Se gli manca la consolazione di Dio, e rimanga la mente sterile e asciutta, subbito si conturba e contrista in sé medesimo; e sotto colore di virtù, perché gli pare essere privato di Dio, diventa mormoratore e ponitore di legge a Dio. Ma se elli fusse veramente umile, con vero odio e cognoscimento di sé, si reputarebbe indegno della visitazione che Dio fa nell'anima, e reputarebbesi degno della pena che sostiene quando si vede essere privato per consolazione, e non per grazia, la mente di Dio.

Pena sostiene allora perché gli conviene lavorare co' ferri suoi, sì che la volontà spirituale ne sente pena sotto colore di timore di none offendere Dio, ma ella è la propria sensualità.

E però l'anima umile che liberamente à tratta la barba della superbia con affettuoso amore, e à annegata la volontà, cercando sempre l'onore di Dio e la salute dell'anime, non si cura di pene, ma con reverenzia porta più la mente inquieta che quieta: avendo rispetto santo, che Dio le 'l dà e concede per suo bene, a ciò che ella si levi da la imperfezione e venga alla perfezione. Quella è la via da farvela venire, però che per quello cognosce meglio el difetto suo e la grazia di Dio, la quale truova in sé per buona volontà che Dio l'à data, dispiacendole el peccato mortale. E anco, per considerazione che ella à de' difetti e delle colpe sue antiche e presenti, à conceputo odio verso sé medesima, e amore alla somma etterna volontà di Dio, e però le porta con reverenzia; ed è contenta di sostenere dentro e di fuore, in qualunque modo Dio le 'l concede.

Purché possa adempire in sé e vestirsi della dolcezza della volontà di Dio, d'ogni cosa gode tanto quanto più si vede privare di quella cosa che ama, o consolazioni da Dio, come detto è, o da le creature.

Che spesse volte adiviene che l'anima ama spiritualmente: e se non truova quella consolazione e satisfazione da quelle creature come vorrebbe - o che le paia che ami o satisfaccia più altri che liei -, ne viene in pena, in tedio di mente, in mormorazione del prossimo e in falso giudicio, giudicando la mente e la intenzione de' servi di Dio; e spezialmente quella di coloro di cui à pena. Unde diventa impaziente, e pensa quello che non die pensare, e con la lingua dice quello che non die dire. E vuole allora usare, per queste cotali pene, una stolta umilità, che à colore d'umilità (ma elli è el figliuolo della superbia che esce da lato), dicendo in se medesima: «Io non lo' voglio fare motto, né impacciarmi più con loro; starommi pianamente, e non voglio dare pena né a loro né a me». E sta in terra con uno perverso sdegno; e a questo se ne die avedere, che elli è sdegno: nel giudicare che sente nel cuore, e nella mormorazione de la lingua.

Non die fare così, però che, per questo modo, non levarebbe però via la barba, né mozzarebbe el figliuolo da lato, che impedisce che l'anima non giogne a la sua perfezione la quale à cominciata. Ma debba con libero cuore e con odio santo di sé, e con spasimato desiderio de l'onore di Dio e salute dell'anime, e affetto di virtù nell'anima sua, ponarsi in su la mensa della santissima croce a mangiare questo cibo; cercando con pena e con sudori d'acquistare le virtù, e non con proprie consolazioni né da Dio né da le creature; seguitando le vestigie e la dottrina di Cristo crocifisso; dicendo a sé medesima con grande rimproverio: «Tu non debbi, anima mia, tu che se' membro, passare per altra via che el capo tuo: sconvenevole cosa è che sotto el capo spinato stieno e' membri dilicati». Che se per propria fragilità e inganno di demonio e' venti de' molti movimenti del cuore, per lo modo detto di sopra o per altra via, venissero, debba allora salire l'anima sopra la coscienzia sua, e tenersi ragione, e non lassarlo passare che non sia punito e gastigato, con odio e dispiacimento di sé medesimo. E così divellerà la radice, e col dispiacimento di sé cacciarà el dispiacimento del prossimo suo, cioè dolendosi più del disordenato sentimento del cuore e cogitazioni che della pena che ricevesse da le creature, o per altra ingiuria o dispiacere che per loro le fusse fatto.

Questo è quello dolce e santo modo che tengono coloro che sono tutti affocati in Cristo, però che con esso modo ànno divelta la radice de la perversa superbia e 'l mirollo della impazienzia, lo quale di sopra dicemmo che piaceva molto al dimonio, perché è principio e cagione d'ogni peccato; così per lo contrario, che come ella piace molto al dimonio, così dispiace molto a Dio. Dispiaceli la superbia, e piaceli l'umilità, e in tanto gli piacque la virtù de l'umilità di Maria che fu costretto per la bontà sua di donare a lei el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo; ed ella fu quella dolce madre che el donò a noi. Sapete bene che infine che Maria non mostrò col suono della parola l'umilità e volontà sua, dicendo: «"Ecce ancilla Domini"; sia fatto a me secondo la parola tua» (Lc 1,38), el Figliuolo di Dio non incarnò in lei; ma, detta che ella l'ebbe, concepé in sé quello dolce immaculato Agnello; mostrando a noi la prima dolce Verità quanto è eccellente questa virtù piccola, e quanto riceve l'anima che con umilità offera e dona la volontà sua al suo Creatore. Sì che nel tempo de le fadighe e persecuzioni, ingiurie e strazii e villania - ricevendole dal prossimo suo -, e battaglie di mente, e privazione di consolazione spirituale e temporale, dal Creatore e da la creatura (dal Creatore per dolcezza, quando ritrae a sé el sentimento della mente, che non pare che allora Dio sia nell'anima, tante sono le battaglie e le pene che à; e da le creature per conversazione e recreazione, parendole più amare che ella non è amata), in tutte queste cose l'anima perfetta con umilità dice: «Signore mio, ecco l'ancilla tua. Sia fatto in me secondo la tua volontà, e non secondo quello che voglio io sensitivamente». E così gitta l'odore della pazienzia verso del Creatore e de la creatura e di sé medesima, e gusta la pace e la quiete de la mente; e nella guerra à trovata la pace, perché à tolto da sé la propria volontà fondata ne la superbia; ed à conceputo nell'anima sua la divina grazia. E porta nel petto della mente sua Cristo crocifisso, e dilettasi ne le piaghe di Cristo crocifisso, e non cerca di sapere altro che Cristo crocifisso (1Co 2,2), ed el suo letto è la croce di Cristo crocifisso. Ine anniega la sua volontà e diventa umile e obediente, perché non è obedienzia senza umilità, e non è umilità senza carità.

E questo truova nel Verbo, che con l'obedienzia del Padre e con l'umilità corre all'obrobiosa morte della croce, conficcandosi e legandosi col chiovo e legame della carità; sostenendo con tanta pazienzia che non è udito el grido suo per mormorazione. Non erano sufficienti e' chiovi a tenere Dio e Uomo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto. Questo gusta l'anima, e però non si vuole dilettare altro che con Cristo crocifisso. Che se e' fusse possibile acquistare le virtù, fuggire lo 'nferno e avere vita etterna senza pena, e avere le consolazioni del mondo spirituali e temporali, non le vorrebbe; ma più tosto vuole con pena, sostenendo infine a la morte, che per altro affetto avere vita etterna, purché si possa conformare con Cristo crocifisso e vestirsi degli obrobii e de le pene sue. Ella à trovata la mensa dello immaculato Agnello. Oh gloriosa virtù! chi non volesse darsi mille volte alla morte, e sostenere ogni pena per volerla acquistare? Tu se' reina che possedi tutto quanto el mondo; tu abiti nella vita durabile, ché, essendo ancora l'anima, che di te è vestita, mortale, tu la fai abitare per affetto d'amore con quelli che sono immortali.

Poi che tanto è eccellente e piacevole a Dio, e utile a noi e salute del prossimo, questa virtù, levatevi, carissima figliuola, dal sonno de la negligenzia e ignoranzia, gittando a terra la debilezza e fragilità del cuore, a ciò che non senta pena né impazienzia di neuna cosa che Dio permetta a noi, sì che noi non cadiamo nella impazienzia comune, né ne la particulare, sì come è detto di sopra; ma virilmente con libertà di cuore e con perfetta e vera pazienzia servire el nostro dolce salvatore. Facendo altrimenti, nella prima impazienzia perdaremmo la grazia, e nella seconda impediremmo lo stato perfetto; e non giognareste a quello che Dio v'à chiamata.

Dio pare che vi chiami alla grande perfezione, e a questo me n'aveggo, che elli vi tolle ogni legame el quale ve la potesse impedire, però che, secondo che io intendo, pare che s'abbi chiamata a sé la vostra figliuola, che era l'ultimo legame di fuore. De la quale cosa so' molto contenta, con una santa compassione, che Dio abbi sciolta voi, e tratta liei di fadiga. Ora voglio che al tutto voi tagliate la propria volontà, a ciò che ella non stia attaccata altro che a Cristo crocifisso: per questo modo adempirete la volontà sua e 'l desiderio mio. E però vi dissi, non cognoscendo io altra via perché voi l'adempiste, che io desideravo di vedervi fondata in vera e santa pazienzia, perché senza essa non potremmo tornare al nostro dolce fine. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 34