Caterina, Lettere 39

39

A don Jacomo monaco di Certosa nel monasterio di Pontignano presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, la quale pazienzia dimostra se le virtù sono vive nell'anima o no.

La pazienzia non si pruova se no nel tempo della fadiga, però che senza la tribulazione non si pruova questa virtù, ché chi non è tribulato non gli bisogna pazienzia, perché non à chi gli faccia ingiuria. Dico che la pazienzia dimostra se le virtù sono nell'anima: con che cel dimostra se esse non vi sono? con la impazienzia. Vuoli tu vedere se le virtù sono anco imperfette, e se la radice dell'amore proprio vive ancora nell'anima? Miralo al tempo delle fadighe, che frutto gli nasce. Però che se gli nasce frutto di pazienzia, la radice della propria volontà è segno che è morta, e le virtù sono vive; e se nasce frutto di impazienzia, mostra chiarissimamente che la radice della propria volontà è anco viva in lui (e però si sente: però che colui che è vivo si sente, ma la cosa morta no); e le virtù mostrano alienate in quella anima.

Ma attendete che sono due ragioni di impazienzia: l'una dà morte, perché esce della morte, e l'altra impedisce la perfezione, perché esce de la imperfezione, sì come sono due stati principali: che nell'uno sta la vita e nell'altro la morte, cioè in coloro che stanno nella morte del peccato mortale. Costoro parturiscono, ricevendo tribulazione e persecuzione dal mondo - perché questa vita non passa senza fadiga, in qualunque stato si sia -, una impazienzia con odio e dispiacimento del prossimo suo, con una mormorazione verso di Dio, giudicando in suo male quello che Dio gli à fatto per bene, e per reducerlo allo stato della grazia, e per tollergli la morte del peccato mortale. Ma elli, come ignorante e miserabile, perché la radice sua è morta a grazia, però produsse el frutto morto della impazienzia; e con questo segno della impazienzia dimostra la morte che è dentro nell'anima.

Un'altra impazienzia è, la quale dico che impedisce la perfezione - e così è la verità -, e dimostra la imperfezione, e, se esso non se ne corregge, potrà venire a tanto che perdarà el frutto della sua fadiga, e starà in continua pena. Questi sono coloro che sono levati da la tenebre del peccato mortale, e vivono in grazia; ma che è? è che la radice dell'amore proprio non è anco morta in loro: sono ancora imperfetti, con una tenerezza di loro medesimi, con la quale tenerezza s'ànno compassione. Però che, perché anco s'ama, si duole; e quello che elli à in sé - d'aversi compassione - vorrebbe che ognuno gli l'avesse, e non truovando che gli sia avuta compassione, à pena. E così l'una pena con l'altra, cioè la pena della tribulazione - o di infermità o di molestia mentale, o per persecuzione dagli uomini, o da qualunque lato ella viene -, acordata questa pena con quella che elli porta - cioè di volere che altri gli abbi compassione -, viene a impazienzia, e spesse volte a mormorazione contra el prossimo suo, e a giudicio, giudicando la volontà altrui, però che spesse volte potrà averli compassione, e non gli 'l dimostrarà. E tutto questo gli adiviene, perché la radice dell'amore proprio non è morta in lui.Chi ce la mostra? la impazienzia, come detto è. Perocché ella à partorito frutto imperfetto: non però di morte, perocché egli è levato dalla colpa mortale, ma uno dispiacimento e una pena che egli riceve delle fatiche sue proprie, e verso del prossimo suo, non parendogli ch'egli gli abbia compassione come egli vorrebbe.

Questa è una imperfezione la quale impedisce la grande perfezione del monaco o d'altri religiosi, li quali ànno lassato lo stato imperfetto della carità comune - dove stanno i secolari -, volendo vivere in grazia, e iti alla grande perfezione dove essi debbono essere specchio d'obedienzia e di pazienzia, con volontà morta e non viva. Quale sarebbe quella lingua che potesse narrare quanti inconvenienti ne vengono? non credo che ne fusse neuna. Ma tre principali n'escono di colui che non à morta la sua voluntà: l'uno è che elli è infedele, e non fedele col lume della fede viva; anco à posta la nebula sopra l'occhio dell'intelletto, dove sta la pupilla del lume de la fede. Unde, subbito che elli à questo principale - cioè d'avere posta una nebbia d'amore proprio sopra l'occhio suo, e offuscato el lume della fede - cade subbito nel secondo e nel terzo, cioè ne la disobedienzia - dunde verrà la impazienzia -, e nel giudicio - dunde verrà nella mormorazione -; e se voi raguardate bene, di questi tre l'uno non è senza l'altro.

Non è dunque da dubbitare che, essofatto che la radice dell'amore proprio non è morta in noi, l'occhio è tenebroso, e tutti e' frutti delle virtù sono imperfetti, però che ogni perfezione procede da uccidere la volontà sensitiva e dare vita a la ragione nella dolce volontà di Dio. Sì che, essendo viva e imperfetta, subbito è disobediente contra Dio e contra el prelato suo, però che, se elli fusse obediente, portarebbe la disciplina di Dio e quella del prelato con debita reverenzia; ma perché elli non è obediente - ma è disobediente con volontà viva - però viene a impazienzia verso di Dio e a disobedienzia. Però che volontà di Dio è che noi portiamo con pazienzia ogni disciplina, da qualunque lato elli ce la concede; e con vera pazienzia ricevarle da lui e con quello amore che elli ce le dà, però che ciò che elli dà e permette a noi è per nostra santificazione, e però con amore le doviamo ricevere. Unde, non facendo così, siamo disobedienti a lui, e cadiamo nella mormorazione e in uno giudicio, con una tenerezza di noi medesimi, con una superbia e infedelità di volere eleggere di servire a Dio a nostro modo. Però che, se in verità credessimo che ogni cosa che è procede da Dio, eccetto el peccato, e che elli non può volere altro che el nostro bene, el quale vediamo e gustiamo nel sangue di Cristo crucifisso - però che se elli avesse voluto altro che la nostra santificazione, non ci avarebbe dato sì-fatto ricompratore -, dico che se questo credessimo in verità, che el lume della fede non fusse offuscato con l'amore proprio di noi, saremmo obedienti e ricevaremmo con reverenzia quello che elli ci dà, e giudicaremmolo in nostro bene, dato a noi per amore e non per odio, come elli è. Ma perché c'è la infedelità, però riceviamo pena e siamo impazienti delle pene che noi sosteniamo e disobedienti verso el prelato, giudicando la volontà del prelato e non la volontà di Dio in lui.

Però che spesse volte el prelato farà con buona e santa intenzione quello che elli farà verso del suddito; e 'l suddito infedele e disobediente terrà tutto el contrario. Questo è per la superbia sua, perché la radice dell'amore proprio non è morta in lui: però che se ella fusse morta, farebbe quello per che elli entrò all'ordine, cioè d'obedire schiettamente e senza alcuna passione, sì come fa l'umile obediente. Che se el prelato suo fusse uno dimonio, el vero obediente ciò che gli è fatto, o imposte le gravi obedienzie, ogni cosa riceve con pazienzia, giudicando che volontà di Dio è di fare tenere quelli modi al prelato verso di lui: o per necessità della sua salute, o per farlo venire a grande perfezione; e però riceve con pace e quiete di mente l'obedienzia sua, e gusta l'arra di vita etterna in questa vita. Perché esso à morta la volontà, e ito col lume della fede e con vera obedienzia, però gusta el dolce e amoroso frutto de la pazienzia, con fortezza e perseveranzia infine alla morte. Questo frutto à dimostrato che elli in verità s'è levato da la imperfezione e gionto alla perfezione, sì come el disobediente mostra e' difetti suoi con la impazienzia.

Unde vediamo che sempre si scandalizza, se non quando la prosperità andasse a modo suo e 'l prelato facesse quello che elli vuole; ma se fa el contrario, si turba. Perché? perché elli è vivo, però che, se elli fusse morto, non gli adiverrebbe.

Unde questi cotali sono debili, però che come la paglia se lo' rivolle tra' piei, così vengono meno. E se el prelato comanda cosa che non gli piaccia, elli si turba; e se elli è infermo, elli è impaziente per la tenerezza che à al corpo suo, e spesse volte sotto colore di bene dirà: «Se io avesse un'altra infermità, io me la portarei più agevolmente, ma questa infermità è una cosa occulta, che non si vede, e però non m'è creduta e impediscemi l'offizio e l'altre osservanzie, di non potere fare come gli altri: e però non pare che io ci possa avere pace». Costui, come imperfetto e con poco lume, è ingannato da la propria passione e tenerezza di sé. Chi cel dimostra? la impazienzia che elli à, perché non gli pare che altri gli abbi compassione: questi vuole eleggere el tempo e 'l luogo e le fadighe a suo modo. Non debba fare così, ma umiliarsi sotto la potente mano di Dio (1P 5,6) e ogni cosa avere in reverenzia, e fare quello che elli può fare. E quando elli non può rendere el debito dell'offizio e degli altri essercizii, come gli altri, ed elli renda el debito de la pazienzia.

Però che Dio non ci richiede più che noi potiamo fare, ma bene ci richiede l'amore col santo desiderio, e con pazienzia portare ogni pena e fadiga in ogni tempo e in ogni luogo che noi siamo, con odio e dispiacimento della propria sensualità; perocché così fanno coloro che vogliono essere perfetti. E a questo modo gustarà vita etterna in questa vita nelle pene sue; e avendo pena, non averà pena, ma la pena gli sarà refrigerio, pensando che elli si possa conformare con gli obrobii di Cristo crucifisso. E non vorrà elli, servo, tenere per altra via che 'l Signore e però portarà con reverenzia, bagnandosi e annegandosi nel sangue di Cristo crucifisso, el quale sangue, all'anima che 'l gusta con affetto di carità, rimane morta la volontà sua. Morta la volontà gli è tolta ogni pena, però che solo la volontà è quella cosa che le pene e tribulazioni ce le fa essere pene; ma morta la volontà nostra, e vestiti della volontà di Dio, la pena c'è diletto, e 'l diletto sensitivo, per odio santo di noi, ci sarebbe fadiga, perché vedremmo che la via del diletto non è la via di Cristo crucifisso, né de' santi che l'ànno seguitato. E vede che el regno del cielo, vita etterna, non si vende né s'acquista per diletto, anco s'acquista e si guadagna el regno di Dio con povertà volontaria, e con avere la pena per diletto, e con molto sostenere; e 'l diletto ci paia fadiga, come detto è.

La volontà allora, acordata con la volontà di Dio, ne riceve l'arra: e però dicevo che in questa vita gusta l'arra di vita etterna.

Costui non cade nel terzo difetto, del giudicio: cioè di giudicare la volontà di Dio altro che giustamente, e con amore - e vedendosi amato da lui, per amore riceve ogni cosa -, né in giudicare la volontà delli uomini in alcun modo del mondo - né per strazio, né per ingiurie, o persecuzioni che gli fussero dette o fatte da loro -, ma giudica, con una santa considerazione, che Dio el permetta per suo bene, e che essi el faccino per provarlo in virtù. Né non giudicarà mai e' servi di Dio, né l'operazioni d'alcuna creatura; eziandio se vedesse el male 'spressamente, nol vede né debba vedere per giudicio né per mormorazione, ma con compassione portarlo dinanzi da Dio, ponendo e' difetti del prossimo suo sopra di sé. Così vuole l'affetto della carità; e non vuole che si faccia come fanno gl'imperfetti - acecati ancora da uno proprio amore di loro medesimi -, che pare che si notrichino del giudicare le creature: e non tanto che gli uomini del mondo, ma e' servi di Dio, volendoli mandare al loro modo; e se non vanno al loro modo, sono scandalizzati in loro, e spesse volte, sotto colore di compassione, caggiono nella mormorazione.

Costui vuole ponere legge allo Spirito santo, e non se n'avede. Perché non se n'avede? perché 'l dimonio l'à velato col velame de la compassione, ma ella è piuttosto una radicata invidia e presunzione - presummendo di sé di sapere alcuna cosa - più che compassione. Però che se ella fusse compassione e zelo della salute delle anime e onore di Dio, usarebbe la carità, e dichiararebbe sé medesimo a le proprie persone di cui elli avesse pena; e così guadagnarebbe sé e 'l prossimo suo, e godarebbe - se elli fusse largo in carità e con vero lume - di vedere e' differenti modi e vie che Dio tiene co' servi suoi, unde dimostra la somma bontà che elli à che dare. E però disse Cristo benedetto: «Ne la casa del Padre mio à molte mansioni» (Jn 14,2).

E quale sarà quella lingua che possa narrare tanti diversi modi e visitazioni, doni e grazie che Dio fa, non tanto in molte creature, ma in una anima medesima? Però che come le virtù sono diverse, poniamo che tutte traghino nel segno de la carità, così sono diversi e' modi e costumi de' servi di Dio. Non che chi à perfettamente la virtù della carità, non abbi tutte quante l'altre virtù; ma a cui è propria una virtù, e a cui un'altra, sopra la quale principale virtù tira tutte l'altre. Altri modi vediamo in colui a cui è propria la virtù della carità, e tutto dilatato nella carità del prossimo suo; e altro modo à colui a cui è appropriata la virtù de l'umilità, con una fame di solitudine; in uno altro la giustizia; in uno altro una libertà con una fede viva, che di neuna cosa pare che possa temere; e altri in una penetenzia, dandosi tutti a mortificare e' corpi loro; e altri studia a uccidere solamente la propria volontà, con vera e perfetta obedienzia.

Or così sono diversi e' modi e costumi loro, e ciascuno corre però nella virtù della carità; unde aviamo che e' santi, che sono a vita etterna, tutti sono andati per la via della carità, ma in diversi modi, ché l'uno non è simile all'altro - e eziandio ne la natura angelica è differenzia, ché non sono tutti equali -: unde tra gli altri diletti che abbi l'anima a vita etterna, si è di vedere la grandezza di Dio ne' santi suoi, in quanti diversi modi gli à remunerati. E in tutte quante le cose create troviamo questa differenzia, cioè di vederle variate in qualche cosa, però che tutte non sono a uno modo, poniamo che tutte sieno fatte da uno medesimo affetto, cioè create da Dio in uno medesimo amore. E questa è la grande dignità a vedere in Dio, a chi avesse lume e volesse punto cognoscere la sua grandezza, però che la trovarebbe nelle cose visibili e invisibili, come detto è. Dunque bene è matto e folle colui che vorrà mandare le creature a suo modo e, chi non andarà secondo el suo parere, ne sarà scandalizzato in lui. Non debba dunque cadere in questo terzo giudicio, ma debba godere e avere in reverenzia e' modi e costumi de' servi di Dio, dicendo in sé medesimo con umilità: «Grazia sia a te, Signore, de' tanti modi e vie, quante tu dai e fai tenere a le tue creature».

E quando 'spressamente vedesse el difetto o ne' servi di Dio o ne' servi del mondo, portilo con grande compassione dinanzi da Dio, e se può caritativamente dirlo al prossimo suo, el debba dire. Così fa colui che è perfetto in carità e umile, che non presumma di sé medesimo: costui è veramente fondato, e non si scandalizza in sé per pena che sostenga, né nel prelato per la grave obedienzia; anco obbedisce infino alla morte in ogni cosa, se non in quello che vedesse che fusse fuora de la volontà di Dio, però che cosa che egli vedesse che fusse offesa di Dio, nol debba fare, ma ogni altra cosa, sì. E non si scandalizza nel prossimo, né per ingiuria che gli fusse fatta da lui, né per modi e costumi diversi che in loro vedesse; ma d'ogni cosa gode e guadagna, e trae el frutto a sé per la virtù della carità che è dentro nell'anima sua. Chi 'l dimostra questo? la virtù della pazienzia che à fatto chiaro e manifesto la virtù nel perfetto, e il mancamento della virtù nello imperfetto vedendovisi el contrario, cioè la impazienzia.

Adunque bene è vero che la virtù della pazienzia è uno segno dimostrativo, che mostra l'uomo perfetto e imperfetto. Voi sete posto nello stato della grande perfezione, e però dovete essere paziente per lo modo che detto è - bagnata e annegata la propria volontà nel sangue di Cristo crucifisso -, però che in altro modo offendareste la propria perfezione, a la quale sete entrato a servire, e così cadareste nella seconda impazienzia, de la quale facemmo menzione. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, a ciò che fra le fadighe godeste e gustaste l'arra di vita etterna, e nell'ultimo riceveste el frutto delle vostre fadighe. E però riposatevi in croce col dolce e immaculato Agnello. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



40

A certe figliuole da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serve fedeli al vostro Creatore e perseveranti, che giamai non volliate el capo adietro per veruna cosa che sia: né per prosperità pigliandone troppo letizia, né per aversità pigliandone impazienzia e amaritudine.

Ma io voglio, e vi prego, che veruna cosa sia che vi tolga e impedisca el santo desiderio. E acciò che 'l desiderio cresca in voi e none scemi, voglio che upriate l'occhio de l'intelletto a conosciare l'amore inefabile che Dio v'à: che per amore v'à dato l'unigenito suo Figliuolo, e 'l Figliuolo v'à data la vita con tanto fuoco d'amore che ogni cuore duro debba disolvare la durezza sua. Or qui ponete l'occhio de l'intelletto vostro, pensando e cogitando el prezzo del Figliuolo di Dio; e nel sangue lavate la faccia de l'anima vostra. Levisi e destisi dal sonno de la negligenzia; e pigliate solicitudine, poi che è lavata, di ponare la bianchezza della purità e 'l colore de l'ardentissima carità, la quale tutta trovarete nel sangue de l'Agnello.

E voglio che voi pensiate, figliuole mie, che questa purità di mente e di corpo non si potrebbe avere con le molte conversazioni de le creature, né col ponere l'affetto e l'amore vostro in loro né in cose create, fuori de la volontà di Dio, né con amore proprio e tenerezza del corpo vostro, ma acquistasi con molta solicitudine di vigilie e d'orazioni, e con continova memoria del suo Creatore, sempre ricognoscendo l'amore inefabile che Dio gli à.

Poi che l'anima avarà acquistata la purità per lo modo detto, vedendo che a Dio non può fare utilità neuna distendarà l'amore al prossimo suo, facendo a lui quella utilità che egli non può fare a Dio: visitando gli infermi (Mt 25,36), sovenendo a' povari, consolando e' tribolati; piangendo con coloro che piangeno, e godendo con coloro che godono (Rm 12,15): cioè piangendo con coloro che sonno nel pianto del peccato mortale - avendo lo' compassione, offrendo per loro continove orazioni nel cospetto di Dio -, e godendo con coloro che godono, che sonno veri servi di Cristo crocifisso; e sempre dilettarvi de la loro conversazione. Così vi prego, figliuole mie, che facciate, e a questo modo sarete serve fedeli, e non infedeli; e questo desidera l'anima mia di vedere in voi. Altro non dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.



41

A frate Tommaso da la Fonte dell'ordine de' Predicatori, quando era a santo Quirico nel loro spedaletto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi, carissimo e dilettissimo padre dell'anime nostre in Cristo Gesù, Caterina e Alessa e tutte l'altre vostre figliuole vi si racomandano, con desiderio di vedervi sano dell'anima e del corpo quanto piace a Dio.

Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, vostra indegna figliuola sopra tutte l'altre vostre figliuole io so', perché io abbi poca fame dell'onore di Dio e abbi poco tenuto a mente la petizione che spesse volte m'à detta, che io viva morta a la mia perversa volontà, la quale volontà non ò sottoposta con debita reverenzia al giogo de la santa obbedienzia quanto avrei potuto e dovuto. Oimé, disaventurata l'anima mia, che non so' corsa con cuore virile, abbraccicando la croce del mio dolcissimo e carissimo Sposo Cristo crocifisso, ma sommi posta a sedere per negligenzia e per ignoranzia! Adunque io mi doglio e rendomi in colpa a Dio e a voi, carissimo padre, e pregovi pietosamente che m'assolviate, e benedicete me e tutte l'altre.

Ora prego voi, padre carissimo, che vogliate adempire el mio desiderio, cioè di vedervi unito e trasformato in Dio; e questo non potiamo avere, se noi non siamo uniti co.la volontà sua. O dolcissima volontà etterna, che ci ài insegnato el modo a trovare la santa tua volontà! E se noi dimandissimo quello dolcissimo e amantissimo giovano, clementissimo padre, egli ci rispondarebbe e diciarebbe così: «Dilettissimi figliuoli, se volete sentire e trovare el frutto de la mia volontà, fate che voi sempre siate abitatori de la cella dell'anima vostra», la quale cella è uno pozzo, el quale pozzo tiene in sé l'acqua e la terra (ne la quale terra potiamo cognosciare la nostra miseria: cognosciamo noi non essare; poiché noi non siamo, adunque vediamo che l'essare nostro è da Dio). O ineffabile infiammata carità, vego dunque che è trovata la terra, l'acqua viva è gionta, cioè el vero del cognoscimento de la sua dolce e vera volontà, che non vuole altro che la nostra santificazione.

Adunque entriamo in questa profondità di questo pozzo, ché per forza si convenrà che, abitandoci dentro, noi cognosciamo noi e cognosciamo la bontà di Dio. Cognoscendo noi non essare, noi ci aviliamo umiliandoci, e noi entriamo nel cuore arso consumato uperto, come finestra senza uscio che non si serra mai; mettendo noi l'occhio de la volontà libera che Dio ci à data, cognosciamo e vediamo che la sua volontà non è andata in altro che ne la nostra santificazione. Amore amore dolce, uopreci uopreci la memoria a ricevare e a ritenere tanta bontà di Dio e intendare, ché intendendo amiamo; amando, noi ci troviamo uniti e transformati ne la dilezione de la madre de la carità, passati e passando per la porta di Cristo crocifisso, sì come elli disse a' discepoli suoi: «Io venrò e farò mansione con voi» (Jn 14,23). E questo è il mio desiderio: di vedervi in questa mansione e trasformazione desidera l' anima mia di voi singularmente, e di tutte l'altre creature. Pregovi che stiate confitto e chiavellato in su la croce.

Mandastemi dicendo che fuste al corpo di santa Agnesa, della qual cosa molto ne sono consolata che ci racomandaste a lei e alle sue figliuole. Perché dicete che non avete desiderio di tornare e non sapete la cagione, due cagioni ci possono essare: l'una si è - quando l' anima è molto unita e trasformata in Dio, dimentica sé e le creature; l' altra si è - quando altri si fusse abbattuto in luogo che fusse cagione di riduciarsi a sé medesimo. Se queste cagioni sono in voi, è a me grandissima consolazione, ché altro non desidera l'anima mia di voi; bene che alcuna volta io ò creduto e credo che la mia miseria e ignoranzia è cagione del tempo che passa, credo che quella ineffabile carità di Dio vogli gastigare e correggiare la mia iniquità, e questo fa per singulare amore, acciò ch'io ricognosca me medesima. Parmi che abbiate intendimento d'andare altrui, de la quale andata non mi pareva che doveste fare ora; non di meno sia adempita la volontà di Dio e la vostra. Dio vi dia a pigliare el meglio di questo: date le vostre operazioni, sì che sia onore di Dio e salute dell'anima vostra. Laudato sia Gesù Cristo crocifisso.

Racomandovi la nostra Caterina, e Alessa vi si manda molto racomandando che voi preghiate Dio per lei, e che voi la benediciate da parte di Cristo crocifisso; e pregate Dio per Giovanna pazza.

Caterina serva e schiava ricomprata del sangue del Figliuolo di Dio.

Perdonatemi se io avesse dette parole di presunzione. Dio v'arda d'amore. Gesù dolce Gesù dolce Gesù dolce Gesù.



42

A Neri di Landoccio quando era a Fiorenza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con perfetto lume e cognoscimento de la verità eterna, acciò che con lume e con discrezione siano fatte tutte l'operazioni tue, però che senza el lume ogni cosa sarebbe fatta in tenebre. E questo lume perfettamente non potresti avere, se tu con odio non ti tollessi la nuvola dell'amore proprio di te medesimo: adunque ti studia con grande sollicitudine di perdere te, acciò che tu possa acquistare el lume e ogni tuo parere sia abnegato nel parere e volere de la dolce bontà di Dio.

Non dico più.

Permane ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



43

Data a ser Cristofano di Gano, notaio in Siena.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio di vedervi che fuste di quegli figliuoli veri che servaste e adempiste sempre l'uopara che vi dice el vero Padre celestiale, quando dice: «Chi non abandona madre e padre, e suore e frategli e sé medesimo, non è degno di me» (Mt 10,37).

Adunque pare che voglia che noi l'abandoniamo.

Questo non pare che caggia nella mente vostra di volere osservarla, sotto spezie e colore di farvene coscienzia di lassarla. Questa coscienzia procede più dal dimonio che da Dio, per impedirvi lo stato perfetto al quale pare che lo Spirito santo vi chiamasse. E se voi mi diceste: «Idio mi comanda che io sia ubidiente a loro», ben è vero, in quanto non vi ritraghino da la via di Dio; ma se ce la 'mpediscano, dobbiamo passare sopra el corpo loro e seguitare el vero Padre, col gonfalone della santissima croce, annegando e uccidendo le nostre perverse volontà. Oimé, dolcissimo fratello in Cristo Gesù, ben m'incresce che tu fai resistenzia e non conosci questo venerabile stato: parmi che ti dovesse fare più conscienzia di non lassarla, che di lassarla. Ma poi che è così, prego la somma ed eterna verità che ti tenga la sua santissima mano in capo, che ti dirizzi in quello stato che gli debba più piacere. Pregoti che, in ogni stato e in tutte le tue operazioni, tenghi l'ochio dirizzato a Dio, cercando sempre l'onor suo e la salute della creatura; e mai non t'esca di mente el prezzo del sangue dell'Agnello, che è pagato per noi con tanto fuoco d'amore.

Del fatto della sposa io vi rispondo che mal volontieri di questo io mi impaccio, però che s'apartiene a' secolari più che a me; non di meno non posso contradire al vostro desiderio, considerato la condizione di tutte e tre, ch'ognuna è buona. Se vi sentite di non curarvi perch'abbi auto altro sposo, potetel fare, poi che volete impacciarvi in el malvagio e perverso secolo. Se lasaste però, prendete quella di Francesco Ventura da Camporeggi. Altro non dico.

Prego la somma ed eterna carità che vi dia quello che debba essare più suo onore e salute vostra; mandi sopra l'uno e l'altra la plenitudine della grazia e la somma sua ed eterna benedizione.

Permanete nella santa dilezione di Dio.



44

A ser Antonio di Ciolo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi unito per santo desiderio nel nostro dolce Salvatore, però che in altro modo non potremo spregiare el mondo, né venire a perfetta purità conservando la mente e il corpo nostro ne lo stato de la continenzia.

Però che l'anima che non s'acosta a Dio e uniscesi in lui per affetto d'amore, conviensi per forza che ella si sia unita con le creature fuori di Dio, e con le dilizie piaceri e stati del mondo, perché l'anima non può vivare senza amore: convienle amare o Idio o il mondo. E l'anima sempre s'unisce in quella cosa che ama e ine si trasforma, e in tanto si trasforma che sempre piglia di quello ch'è ne la cosa che ama. Se ella ama el mondo, nel mondo non à altro che pena, perché per lo peccato germina triboli e spine di grande amaritudine. La carne nostra non dà né tiene altro che puzza e veleno di peccato e di corruzione: intanto che, conformandosi l'anima con la volontà della carne e passione sensitiva, ne riceve veleno che l'atosca per sì-fatto modo che le dà morte, tollendole la vita de la grazia, cadendo in colpa di peccato mortale.

Altro non ne può ricevare di questo così-fatto amore: egli sta sempre in tristizia, ed è incomportabile a sé medesimo, perché Dio à permesso che l'affetto disordinato sia incomportabile a sé medesimo.

E per contrario l'affetto ch'è ordinato nella dolce volontà di Dio, unito in lui per affetto d'amore, dà nell'anima di quello che à in sé. Idio è somma ed eterna dolcezza, e però e' servi suoi sentono tanto diletto nelle cose amare e malagevoli, perché, trovandosi Idio per grazia in sé medesima, è saziata e quieta; però che di neuna cosa si può saziare, se non di Dio, perché è maggiore di lei, ed ella è maggiore di tutte le cose create. Unde ciò che Dio creò, creò in servigio dell'uomo, e l'uomo per sé, acciò che l'amasse con tutto el cuore e con tutto l'affetto suo (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,37), e lui servisse in verità; e però queste cose del mondo non possono saziare l'uomo, perché sonno meno di lui. Adunque à pace e riposo quando sta in lui: in lui participa una larghezza di cuore che ogni creatura che à in sé ragione vi cape dentro per affetto di carità. Anco s'ingegna di servirle, sovenendo el prossimo suo, mostrando in lui l'amore che à al suo Creatore.

Perché Dio è somma ed eterna purità, però l'anima e 'l corpo ne participa per l'unione che à fatta in lui, conservando la mente e 'l corpo suo in perfetta purità, elegendo inanzi la morte che volere contaminare e lordare la mente e il corpo suo per immondizia. Non è che i pensieri del cuore lui li possa tenere, né spesse volte i movimenti della carne; ma i movimenti e i pensieri non inlordano l'anima, ma la volontà, quando ella consente volontariamente alla fragilità sua e alle cogitazioni del cuore. Ma non consentendo, non comette colpa neuna ma merito, facendo una santa resistenzia, traendo sempre di queste spine la rosa odorifera d'una perfetta purità, perché per questo viene a maggiore conoscimento di sé. E con uno odio santo si leva contra la propia fragelità, e con amore rifuge a Cristo crocifisso con umili e continove orazioni, vedendo che in altro modo non può campare da tanti mali; e già abiamo detto che quanto più s'acosta a lui, più participa della sua purità. Adunque bene è vero che di queste bataglie egli ne trae la rosa purissima. Questo v'è il rimedio contra questo miserabile peccato della debile fragile carne, e d'ogni altra gravezza di peccato: che noi ci acostiamo e conformiamo per affetto d'amore in Dio.

E non aspetiamo el tempo, carissimo figliuolo; però ch'egli è breve e non ci aspetta, non doviamo aspettare lui. Grande fatto è che l'uomo voglia dormire in tanta ciechità, e non destarsi da questo sonno; ma bene è vero che destare non ci potiamo, né venire a questa unione, senza el lume. Convienci conoscere col lume della santissima fede la miseria e colpa nostra, e coll'occhio purificato ponarci per obiecto l'amore inefabile che Dio ci à, el quale ci à manifestato col Verbo de l'unigenito suo Figliuolo, e 'l Figliuolo ce l'à mostrato col sangue suo sparto con tanto fuoco d'amore, corso come inamorato all'obrobiosa morte de la santissima croce. E come si potrebbe tenere l'anima, vedendosi tanto amare, che non amasse? Non potrebbe.

O carissimo figliuolo, non vi dilungate da questo lume, ma con solecitudine dissolvete la nuvila dell'amore propio di voi; e con fede viva riguardate lo immaculato e svenato Agnello che con tanto amore vi chiama: e rispondendogli verrete a questa perfetta unione; essendo unito sentirete l'odore della perfetta purità.

Molto è buono contra questo vizio el riguardare la degnità in ch'è venuta l'anima nostra e la miserabile carne, per l'unione che Dio à fatto nell'uomo, unita la natura divina con la natura nostra umana.

Vergognarassi l'anima e saràle uno freno di darsi a tanta miseria, vedendola levata sopra tutti e' cori de li angeli. Per forza, quando così dolcemente la mente e 'l desiderio vostro si levarà, si spegnarà la puzza del vizio. Anco ci conviene gastigare el corpo nostro e mortificarlo con la vigilia e umile e continova orazione; attacarsi a l'albore della santissima croce; fuggire le conversazioni, più che si può, di coloro che viveno lascivamente. E non dubitate che Dio vi farà grandissima grazia, pure che voi brighiate di tagliare e non stare a sciogliare: spacciatamente disponete tutti e' fatti vostri.

Corrite con dolce e amoroso desiderio al giogo della santa ubidienzia: ine uccidarete la volontà, e mortificarete el corpo; ine gustarete l'arra di vita eterna. E non vi paia fadigoso, ché la fadiga tornarà a grandissimo diletto. So' certa che se farete mansione per affetto d'amore col dolce e buon Gesù, che voi el farete, e altrimenti no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi unito per affetto d'amore nel salvatore nostro, acciò che veniste a vera purità, e perdeste la passione che vi dà tanta pena. Non dubito che, se voi il farete, ne sarete privato almeno che la volontà elegerebbe prima la morte che volere offendare.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso e cominciate una vita nuova, con isperanza che le colpe vostre si consumaranno nel sangue e fuoco d'amore. E io voglio pigliare le colpe vostre, e ismaltirle con lagrime e orazioni nel fuoco della divina carità; e voglio portare la penitenzia per voi. Solo di questo vi prego e costringo, che vi diate a svilupare tosto del mondo, e darli tosto di calcio, ché se voi non deste a lui, lui sarebbe ben presto di dare a voi. Non fate resistenzia a lo Spirito santo che vi chiama. Altro non dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.




Caterina, Lettere 39