Caterina, Lettere 66

66

A frate Guglielmo d'Inghilterra, baccelliere che sta a Lecceto, dell'ordine di santo Agostino.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliuolo in Cristo Gesù, la vostra indegna Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio che a noi sia detta quella parola che disse Dio ad Abraam: «Esce de la casa e de la terra tua» (Gn 12,1). Abraam obbediente non fece resistenzia al comandamento di Dio, che disse «seguitami», ed egli el seguitò.

O quanto sarà beata l'anima nostra quando udiremo questa dolce parola: che noi ci partiamo da questa nostra terra del misero miserabile corpo! In due modi si debba levare l'uomo e seguitare la prima Verità che 'l chiama. El primo è che noi traiamo l'affetto de la casa di questa nostra passione sensitiva terrena, amore proprio di noi medesimi, e de la terra nostra: cioè che l'affetto si levi da ogni amore terreno e seguitiamo l'Agnello, svenato in su.legno della santissima croce. El quale Agnello c'invita e ci chiama a seguitarlo per vie d'obrobii di pene e di rimproverii, e' quali, all'anima che 'l gusta, sono di grandissima dolcezza e suavità. A questo affetto ci à tratti Dio per la sua infinita bontà e misericordia.

Or che voce aspetta ora l'anima poi che ella à udita la prima voce, ed ella à risposto abandonando el vizio e seguitando le virtù, le quali fa gustare Dio per grazia in questa vita? Sapete, padre, quale ella aspetta? quella dolce parola de la Cantica: «Vienne, diletta sposa mia» (Ct 4,8). E drittamente s'adempie la parola, tra l'anima e 'l corpo, che disse Cristo a' discepoli suoi, dicendo: «Lassate i parvoli venire a me, ché di costoro è el reame del cielo» (Mt 19,14 Mc 10,14 Lc 18,16). Questo modo tiene Dio co' servi suoi, quando gli trae di questa miserabile vita, e menagli a luogo di riposo, comandando a questa nostra carne, che è stata serva e discepola dell'anima: «Lassa questa anima venire a me, ché di costei è el reame del cielo!».

O inestimabile dolcissima ardentissima carità! tu dici, né più né meno, come se l'anima t'avesse servito per sé medesima, con-ciò-sia-cosa-che ogni servigio fatto a te, tu ne se' l'operatore e donatore, però che tu se' colui che se' (Ex 3,14), e senza te noi non siamo. Così diceva l'appostolo: «Noi non potiamo bene pensare, se non ci fusse dato di sopra» (2Co 3,5), adunque per grazia ci dai e non per debito. Questo fa el tuo smisurato amore - che 'l tuo medesimo vuoli remunerare in noi -: che, quando l'anima raguarda tanto fuoco d'amore, s'inebria per sì-fatto modo che perde sé medesima, e ciò che vede e sente, vede nel suo Creatore. Or questa è la voce de la quale desidera l'anima mia che noi siamo chiamati.

Ma non parrebbe, padre, che io fussi molto contenta, se, innanzi a questa, io non n'udissi un'altra: cioè la voce desiderata da tutt'i servi di Dio, cioè che noi udiamo: «Escite, figliuoli, de le terre e de le case vostre; seguitatemi, venite a fare sacrifizio del corpo vostro». Quando io considero, padre, che Dio ci facesse tanta di grazia d'udirla e di vederci dare la vita per lo smisurato amore dell'Agnello, e' pare che l'anima, a mano a mano, pur del pensiero si voglia partire dal corpo! Or corriamo, figliuoli e fratelli miei in Cristo Gesù, distendiamo e' dolci e amorosi desiderii, costregnendo e pregando la divina bontà che tosto ce ne faccia degni; e qui non ci conviene commettare negligenzia, ma grande sollicitudine: e voi sempre sollecitando, e altrui.

El tempo pare che s'abrevii, trovando molta disposizione ne le creature, e sappiate che quello frate Iacomo, che noi mandammo al giudice d'Arborea con una lettara dove si conteneva di questo santo passaggio, elli m'à risposto graziosamente che vuole venire con la sua persona, e fornire per due anni diece galee e mille cavalieri e tremilia pedoni e seicento balestrieri. Sappiate che anco Genova è tutta commossa, a questo medesimo profferendo l'avere e le persone. E sappiate che di questo e dell'altre cose Dio aduopera l'onore suo.

Altro non dico, se non che io vi prego e vi racomando questo giovano, che à nome Mateo Forestani, che vi sia racomandato che 'l faciate spacciare el più tosto che potete che sia ricevuto a la santa religione.

Studiatevi quanto potete che elli venga a le vere e reali virtù, singularmente di mortificarli in lui el parere del mondo e la volontà sua. Èmmi paruto el meglio che elli non sia andato in altro viaggio, perché poteva essere più tosto esvagolamento de la mente sua che altro.

Dissemi frate Nofrio come frate Stefano stava male, e voi ancora avete sentito, e temavate di non avere chi vi servisse. Non temete, ma confidatevi che quando Dio tolle l'uno, elli ci provede dell'altro. Confortate e benedicete frate Antonio cento migliaia di volte in Cristo Gesù.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù Gesù Gesù.



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Al convento de' monaci di Pasignano dell'Ordine di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi frategli e figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fiori odoriferi piantati nel giardino della santa religione, e non fiori puzzolenti.

Sappiate, figliuoli carissimi, che el religioso che non vive secondo la santa religione con costumi religiosi, ma lascivamente con appetito disordenato, con impazienzia - portando impazientemente le fadighe dell'Ordine -, o con disordenata allegrezza ne' diletti e piaceri del mondo, con superbia e vanità - della quale superbia e vanità nasce la disonestà e di mente e di corpo -, o con desiderare l'onore e lo stato e le ricchezze del mondo - le quagli sono la morte dell'anima, vergogna e confusione de' religiosi -, questo cotale è fiore puzzolente che gitta puzza a Dio e agli angeli e nel cospetto degli uomini.

Costui è degno di confusione: egli conduce sé medesimo in morte etternale. Desiderando le ricchezze, impoverisce; volendo onore, si vituopera; volendo diletto sensitivo e amare sé senza Dio, egli s'odia; volendosi saziare de' diletti e piaceri del mondo egli rimane affamato, e di fame si muore, perché tutte le cose create e diletti e piaceri del mondo non possono saziare l'anima (perché queste cose create sono fatte per la creatura ragionevole, e la creatura è fatta per Dio; sì che le cose create sensibili non possono saziare l'uomo, perché sono minori de l'uomo: solo Dio è colui che è Creatore e fattore di tutte le cose create, e colui che 'l può saziare). Sì che vedete bene che si muore di fame.

Ma non fanno così i fiori odoriferi, ciò sono i veri religiosi, osservatori dell'Ordine e non trapassatori, che inanzi eleggono la morte che trapassarlo mai; spezialmente nel voto che fa nella professione, quando promette obbedienzia, povertà volontaria e continenzia di mente e di corpo. Dico che i veri religiosi, e' quagli voi figliuoli dovete essere, e che osservano l'Ordine suo, già mai non vogliono trapassare l'obbedienzia dell'Ordine e del prelato. Ma sempre vuole obbedire; e none investiga la volontà di chi gli comanda, ma semplicemente obbedisce: e questo è il segno della vera umilità, però che l'umilità è sempre obediente, e l'obbediente è sempre umile. L'obbediente è umile perché à tolto da sé la perversa volontà, la quale fa l'uomo superbo; l'umile è obbediente, perché per amore à renunziato alla propria volontà: annegata l'à, e tolto el giogo suo sopra di sé, cioè che la rebellione della parte sensitiva che vuole ribellare al suo Creatore, col giogo suo de la sua volontà, el rompe: cioè che volontariamente à sottomesso sé alla volontà di Dio, e al giogo della santa obbedienzia.

Sì che, umile, à spregiata la ricchezza - unde la propria volontà trae la superbia -, e appetisce la vera e santa povertà, perché vede che la povertà volontaria del mondo aricchisce l'anima e tra'la della servitudine; fallo benigno e mansueto; e tollegli la vana fede e speranza delle cose transitorie: dàgli fede viva e speranza vera. Spera nel suo Creatore per Cristo crocifisso, e non per sé, potere ogni cosa. Vede bene che egli è maladetto colui che si confida ne l'uomo, e però pone la sua speranza e fede in Dio e ne le vere e reali virtù, perché la virtù è ricchezza dell'anima, onore, gaudio, riposo e perfetta consolazione. E però cerca el vero religioso di fornire la casa dell'anima sua; e giusta al suo potere spregia ciò che è contrario alla virtù, e ama tutto quello che ve 'l fa venire: e però è tanto amatore de le pene, de le ingiurie, scherni e villanie, perché vede bene che questa è quella cosa che pruova l'uomo e fallo venire a virtù. Così vedete che per amore della vera ricchezza spregia la vana ricchezza, e cerca povertà e fassela sposa per amore di Cristo crocifisso, che tutta la vita sua non fu altro che povertà. Nascendo, vivendo e morendo, non ebbe luogo dove riposare el capo suo (Mt 8,20 Lc 9,58); con-ciò-sia-cosa-che fusse Dio, somma etterna ricchezza, nondimeno, come regola nostra, elesse e amò la povertà (2Co 8,9) per insegnare a noi ignoranti miserabili.

A mano a mano seguita l'altro della vera continenzia, però che colui che è umile e obbediente - e à spregiato la ricchezza e 'l mondo con tutte le delizie sue -, fatto amatore della povertà e viltà, dilettasi de la conversazione della cella e de la santa orazione: è fatto subbito continente, ché, non tanto che egli s'involla nel loto della carnalità attualmente, ma el pensiero gli verrà a tedio, e correggiarà sé medesimo; e fugge tutte le cagioni e le vie le quali gli possono tòllare la ricchezza della continenzia e della purità del cuore, e stregne e ama quello che glil conserva. Perché vede che la conversazione de' gattivi e de' dissoluti gli è molto nociva - e la conversazione e amistà di femmine -, e però le fugge come serpenti velenosi; piglia, e studiasi di pigliare, la conversazione della santissima croce, e con tutti quelli servi di Dio che sono amatori di Cristo crocifisso. Della vigilia e dell'orazione non se ne sazia e stanca mai, perché vede che ella è la madre che ci dona el latte de la divina dolcezza, e notrica al petto suo e' figliuoli de le virtù: però tanto se ne diletta. Ella fa unire l'anima con Dio, ella l'adorna di purità, e donagli perfetta sapienzia di vero cognoscimento di sé e de la bontà di Dio in sé. Cercando, carissimi figliuoli, tutti i tesori e diletti che può avere una anima in questa vita, truova nella santissima orazione.

Or questi cotali sono fiori odoriferi che gittano odore nel cospetto di Dio, ne la natura angelica, e dinanzi agli uomini, e però io vi prego, per amore di Cristo crocifisso, che se per infine al dì d'oggi fuste stati el contrario che voi vi poniate fine e termine. Fate ragione d'essere novizii, che testé di nuovo con grande reverenzia entraste a osservare la santa religione: poiché Dio v'à fatti degni d'essere nello stato angelico non vogliate ponarvi a stato umano, ché nello stato umano stanno i secolari - che sono chiamati allo stato comune -, ma voi sete nello stato perfetto, che none essendo perfetti, non sareste in stato umano, ma peggio che in istato d'animali. Orsù, figliuoli, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso - el quale fortificarà l'anima e torràvi ogni debilezza -, conversate in cella, dilettatevi del coro, siate obbedienti e fuggite la conversazione, studiate all'orazione e alla vigilia. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



68

A madonna Bandecca donna che fu di missere Bocchino de' Belforti da Volterra, essendo essa in Fiorenza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi dilettissima e carissima madre e suoro in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, e desidero di vedervi vestita dell'uomo nuovo - e spogliata dell'uomo vecchio (Ep 4,22-24) - cioè de la pazienzia dell'uomo nuovo Cristo crocifisso, sapendo che senza la pazienzia non potiamo piacere a Dio.

E però io v'invito carissimamente a questa vera pazienzia, però che colui che è impaziente è vestito del vecchio, cioè del peccato, à perduta la libertà e non possede la città dell'anima sua, però che si lassa signoreggiare a l'ira. Ma non è così colui ch'è paziente che possede sé medesimo (così disse el nostro dolce salvatore: «Ne la pazienzia vostra possedarete l'anime vostre» (Lc 21,19)). O pazienzia dolce piena di letizia e di galdio, però che quando ella procede da carità, cioè portando per Dio ogni tribolazione o per morte o per vita o per qualunque cosa Dio la conceda, allora dico che sotto questo giogo de la pazienzia, acquistata co.la soavità dolce de la volontà di Dio, ogni amaritudine diventa dolce e ogni gran peso diventa legiero. Di questo santo e dolce vestimento si veste l'anima quando ella si veste de la volontà di Dio, che non vuole altro che la nostra santificazione, e ciò che dà e permette a noi sì ci dà per nostro bene perché siamo santificati in lui.

Non vi paia malagevole, carissima madre e suoro in Cristo Gesù, ché 'l medico de la vita durabile è venuto nel mondo per sanare le nostre infermità e fa come vero medico, dandoci medicina amara e traendoci sangue per conservare la sanità: ogni cosa porta lo infermo per lo rispetto che à a la sanità. Oimè perché facciamo peggio al medico celestiale che non vuole la morte del peccatore, anco vuole che si converta e viva? (Ez 33,11 2P 3,9) Allora, dilettissima madre, ci dà el dolce Gesù l'amaritudine a la sensualità ma no a la ragione, e trae el sangue quando ritrae a sé privandoci o di figliuoli o di sanità o di prosperità o di qualunque altra cosa sia. Confortatevi dunque, però che non l'à fatto per darvi morte, anco per darvi vita e conservarvi la sanità. Pregovi per amore di quello dolcissimo e abbondantissimo sangue, el quale fu sparto per la nostra redenzione, acciò che la volontà di Dio sia piena in voi: acciò che tutte queste amaritudini tornino in vostra santificazione, sì come vuole la volontà di Dio. Non voglio che pensiate, madre carissima, nel vostro figliuolo che v'è rimaso, come cosa vostra, ché non è vostra - anco saremmo ladri -; ma, come cosa prestata, usare a vostra necessità. Sapete bene che è così, ché se fusse nostra noi la potremmo tenere e usare secondo la nostra volontà, ma perché è prestata conviencela rendare secondo el piacere del dolce maestro de la verità che è donatore e facitore di tutte le cose che sono. O 'nestimabile dilezione di carità, quanta è la pazienzia tua che tu ài inverso l'indurati ignoranti cuori, che vogliono possedere quello che è tuo per loro: lagnansi di quello che ài fatto per loro bene. Non facciamo così, per l'amore di Dio, ma portiamo con pazienzia la disciprina sua; e se mi diceste: «Io non posso acordare questa sensualità», voglio che la ragione venca e pigli tre cose. L'una si è la brevità del tempo; e la volontà di Dio che gli à tratti a sé secondo che mi mandaste dicendo (de la quale cosa quando l'udii rallegra'mi de la loro salute; ebbivi un poca di compassione poniamo ch'io mi rallegrasse del frutto che avarete de la tribolazione); e 'l danno che seguitarebbe de la impazienzia. Confortatevi che 'l tempo è breve e la fadiga è poca e 'l frutto è grande.

La pace di Dio sia con voi. Caterina serva inutile vi si raccomanda.



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A Sano di Maco in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio di vedere in voi quella virtù della santa fede e perseveranzia che fu nella Cananea, però che ella l'ebbe tanto forte che ella meritò ched el demonio fusse cacciato da dosso de la figliuola sua; e più ancora, ché, volendo Dio manifestare quanto gli piaceva la fede sua, volse rimettare la vittoria in lei, dicendo: «Sia fatto alla figliuola tua come tu vuogli» (Mt 15,22-28 Mc 7,25-30).

O gloriosa ed eccellentissima virtù! tu se' colei che manifesti el fuoco de la divina carità quando è nell'anima, però che l'uomo non à mai fede né speranza se none in quello che egli ama. Queste tre virtù, l'una tiene dietro all'altra, però che amore non è senza fede, né fede senza speranza. Elle sono tre colonne che conservano e mantengono la rocca dell'anima nostra, sì e per sì-fatto modo che neuno vento di tentazione, né parole iniuriose, né lusinghe di creatura, né amore terreno, né di sposa né di figliuoli, el può dare a terra; ma in tutte queste cose sarà fortificato da queste vere colonne. Allora faremo come questa Cananea, che, vedendo passare Cristo dentro per l'anima nostra, per santo e vero desiderio vollarenci a lui, con vera contrizione e dispiacimento del peccato, e diremo: «Signore, delibera la figliuola mia, cioè l'anima mia, però che 'l dimonio la molesta con le molte tentazioni e desordenati pensieri».

E se noi perseverremo e terremo ferma la volontà che non consenta, né s'inchini a veruna cosa amare fuore di Dio - umiliandosi e reputandosi indegno della pace e de la quiete, e con fede aspettare, e con pazienzia e speranza, per Cristo crucifisso, di potere ogni cosa: dire con santo Paulo «Ogni cosa posso, non per me, ma per Cristo crucifisso, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13) -, allora udiremo quella dolce voce: «Sia sanata la figliuola, cioè l'anima tua, secondo che tu vuogli». Qui manifesta la smisurata bontà di Dio el tesoro, che egli à dato nell'animo, del proprio e libero arbitrio, che né demonio né creatura el può constrignare a uno peccato mortale, se egli non vuole. O carissimo figliuolo in Cristo Gesù, raguardate, con fede e vera perseveranzia, che infine alla morte queste parole sono dette a noi. Sappiate che, come l'uomo è creato da Dio, gli sono dette queste parole: «Sia fatto come tu vuogli», cioè: «Io ti fo libero, che tu non sia suggetto a veruna cosa se none a me».

O inestimabile dilettissimo fuoco d'amore, tu mostri e manifesti l'eccellenzia della creatura, ché ogni cosa ài creato perché serva alla tua creatura; la creatura ài fatta perché serva a te. Ma noi, miseri miserabili, andiamo ad amare el mondo con le pompe e diletti suoi, per lo quale amore l'animo perde la signoria, ed è fatto servo e schiavo del peccato. Questo cotale à preso per signore el dimonio: o quanto è pericolosa la signoria sua, ché sempre cerca e tratta la morte de l'uomo! Non mi pare che sia da servire sì-fatto signore, ma voglio che noi siamo di quelle anime inamorate di Dio, raguardando sempre noi essere schiavi ricomprati del sangue dell'Agnello: lo schiavo non si può più vendare, né servire altro signore. Noi siamo comprati non d'oro, né di dolcezza d'amore, ma di sangue.

Scoppino e' cuori e l'anime nostre d'amore; levinsi con sollicitudine a servire e temere el dolce e buono Gesù, raguardando che egli ci à tratti di pregione e della servitudine del dimonio che ci possedea come suoi. Egli entrò in ricolta e pagatore, e stracciò la carta dell'obligagione (Col 2,14). Quando intrò in ricolta? quando si fece servo, prendendo la nostra umanità. Oimé, non bastava a noi, se non avesse pagato el debito fatto per noi. E quando si pagò? in su.legno della santissima croce, dando la vita per renderci la vita della grazia, la quale noi perdemmo. O inestimabile dolcissima carità, tu ài rotta la carta che era tra l'uomo e 'l dimonio, stracciandola in su legno della santissima croce. La carta non è fatta d'altro che d'agnello, e questo è quello Agnello immaculato el quale ci à scritti in sé medesimo; ma stracciò questa carta. Confortinsi dunque l'anime nostre: poi che siamo scritti, e rotta la carta, non ci può più dimandare l'aversario e contrario nostro.

Or corriamo, figliuolo dolcissimo, con santo e vero desiderio, abracciando le virtù, con la memoria del dolce Agnello svenato con tanto ardentissimo amore. Non dico più. Sappiate che in questa vita noi non potiamo avere altro che de' mollicoli che caggiono della mensa, sì come questa Cananea (Mt 15,27 Mc 7,28): le mollicole sono la grazia che riceviamo, e caggiono della mensa del Signore. Ma quando noi saremo nella vita durabile, dove noi gustaremo Dio e vedrello a faccia a faccia, allora averemo delle vivande della mensa. Adunque none schifate mai labore: io vi mandarò de le mollicole e de le vivande come a figliuolo, e voi combattete e predicate virilmente.

Sappiate che noi stiamo tutti bene, per la divina grazia. L'onore di Dio si vede più l'uno dì che l'altro. Noi none uscimmo mai di casa di Gherardo; ne esciremo quando sarà l'ora del tempo che Dio averà ordenato.

Io ve lo scrivarò el più tosto che si potrà.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.



70

A frate Bartolomeo Dominici, dell'ordine de' Predicatori, quando era baccelliere di Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e padre, per reverenzia di quello dolcissimo sagramento, io Alessa, e Caterina, e Caterina serva inutile di Gesù Cristo vi si racomanda, con desiderio di vedervi unito e trasformato in quello trasformato e unito desiderio di Dio.

O fuoco ardentissimo che sempre ardi, drittamente tu se' uno fuoco! Così parbe che dicesse la bocca de la Verità: «Io so' fuoco e voi le faville» (Sg 3,7 Is 1,31). Dice che 'l fuoco sempre vuole tornare nel suo principio, ché sempre ritorna in su. O ineffabile diletta carità, che bene dici vero: ché bene siamo faville, però vuoli che siamo umiliati. Sì come favilla riceve l'essare dal fuoco, così noi riconosciamo l'essare dal nostro primo principio, e però disse elli: «Io so' fuoco e tu favilla». Fa' sì che l'anima tua non si levi in superbia, e fa' che tu facci come la favilla, che prima va in su e poi torna in giù: el primo movimento del santo desiderio nostro die essare nel cognoscimento di Dio e nell'onore suo; poi che siamo saliti, ora scendiamo a cognosciare la miseria e la nigligenzia nostra - o adormentato, destati! - e così saremo umiliati, trovandoci nell'abisso de la sua carità. O madre dolce de la carità, che non è veruna mente tanto dura né tanto adormentata, che non si dovesse destare e risolvere a tanto fuoco di carità! Dilatate dilatate l'anima vostra a ricevare el prossimo per amore e per desiderio. Non vego che potiamo avere questo desiderio, se l'occhio non si vòlle come aquila verso el legno de la vita. O dolcissimo amore Gesù, che dicesti: «Vuoli tu essare inanimato all'onore di me e a la salute de le creature, essare forte a sostenere ogni tribolazione con pazienzia? sì raguarda me, Agnello svenato in croce per te: tutto verso da capo a pie'; non è udito el grido mio per mormorazione. Non raguardo la tua ignoranzia; né la tua ingratitudine non mi ritrae che, come pazzo e transformato per fame ch'io ò di te, io none aduopari la tua salute.»

O carissimi, o dolcissimi fratelli, levianci levianci da tanta negligenzia, corriamo con sollecitudine per la via de la verità, e corriamo con sollecitudine e morti; non ci ritraga la ingratitudine de le creature.

Seminate seminate la parola di Dio: rendete e' talenti commessi a voi (Mt 25,14-29 Lc 19,12-26). Non tanto che Dio v'abbi commesso uno talento, elli ve n'à commessi diece, a voi e al prossimo vostro, e' quali sono e' dieci comandamenti, che sono la vita dell'anima nostra: adunque siate sollecito d'essercitarli.

Ricordivi di quella santa abitazione de la cella dell'anima e del corpo, e così dicete a frate Tommasso e agli altri nostri fratelli. Pregovi che siate solleciti: el tempo è breve, e 'l camino è longo.

Io, misera miserabile, sono tanto moltiplicati li miei peccati che mai, poi che voi andaste, (.) dì non fui degna di ricevare el dolcissimo e venerabile sagramento. Questo vi dico, perché voi m'aitiate a piangere, e preghiate che mi sia aitato acciò ch'io riceva la plenitudine de la grazia. Perdonatemi, padre, a la mia ignoranzia; racomandatemi a la vostra santissima messa, ed io ricevarò el corpo dolce del Figliuolo di Dio spiritualmente da voi.

Io Alessa vi prego che preghiate quello dolcissimo Agnello che mi faccia insieme con voi vivare e trasformare nell'amore di Dio e nel cognoscimento di me. Racomandomivi cento cento migliaia di volte; maravigliomi come non ci avete mandate novelle di voi, con-ciò-sia-cosa-ch'io ve ne pregasse.

Secondo ch'io ò inteso, parmi che vi sia la mortalità. Racordatemi a frate Tommasso. Se la mortalità v'è, pare a frate Tommasso che voi ne veniate amenduni. Altro non dico. Racomandovi el vostro frate Tommasso, e fratelli e suoro e figliuole. Pregovi che voi mandiate una lettara a monna Gemmina, ché voi sete degno di riprensione, ché vi partiste e non le faceste motto.

Laldato sia Gesù Cristo crocifisso. Amatevi amatevi insieme.



71

A monna Bartalomea d'Andrea Mei da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e reale virtù, però che senza el mezzo della virtù non potremmo piacere al nostro Creatore.

Però che Dio sempre à voluto dare la vita de la grazia col mezzo: sapete bene che essendo caduto l'uomo primo Adam, per la disobedienzia, nella colpa - a la quale colpa seguitò la morte etternale -, e volendolo restituire a grazia e darli vita etterna, elli el fece col mezzo dell'unigenito suo Figliuolo, ponendoli che con l'obedienzia uccidesse la disobedienzia nostra, e col mezzo della morte sua ci rendesse la vita, e consumasse e distruggesse la nostra morte. E veramente così fu; ché facendo uno torniello in su el legno de la croce questo dolce e innamorato Verbo, elli giocò alle braccia con la morte, e con la morte vinse la morte; e la morte uccise la vita: cioè che la morte della colpa nostra uccise el Figliuolo di Dio in su el legno della santissima croce, sì che con la morte sua ci tolse la morte e rendecci perfetta vita. Dunque la vita è rimasa donna e à sconfitto el dimonio infernale che teneva e possedeva la signoria de l' uomo, del quale non debba essere signore altri che solo Dio.

Da questo veniamo noi a la prima morte e perdiamo la vita la quale aviamo col mezzo del sangue di Cristo: cioè quando l'anima piglia a servire la propria sensualità con disordenati desiderii o di stato o di ricchezze o di figliuoli o d'altra creatura, o in qualunque modo si sia, che non sia ordenato e fondato in Dio. Ed eziandio alcuna volta l'anima spiritualmente diventarà serva e schiava de la propria volontà sotto colore di spirito, e per più avere Dio: cioè quando noi desideriamo consolazione o tribulazione o tentazione dal dimonio, o tempo o luogo a nostro modo, dicendo alcuna volta: «In altro modo vorrei avere la tribulazione, però che in questo me ne pare perdere Dio. Questa portarei pazientemente, ma quella non posso. Se io non n'offendesse Dio, io la vorrei, ma perché me ne pare offendere, però me ne doglio».

Carissima madre, se aprite l'occhio dell'intelletto vederete che questa è la propria volontà sensitiva, amantellata col mantello spirituale; però che se fusse savio, non farebbe così, ma con fede viva credarebbe che Dio non gli permette più che elli possa portare, né senza necessità della salute sua: però che elli è lo Dio nostro che non vuole altro che la nostra santificazione. E così facciamo spesse volte delle proprie consolazioni della mente: che, non sentendole quando vuole - né quelli tempi né quelli luoghi che desidera -, ma più tosto sente battaglie e molestie e la mente sterile e asciutta, ne viene in pena, in amaritudine e in afflizione e in tedio grandissimo. E spesse volte, per inganno del dimonio, le fa vedere che quello che ella dice allora e fa non sia piacevole né acetto a Dio, quasi le dica: «Poiché non gli piace - perché tu se' così gattiva - lassa stare ora; e un' altra volta forse ti sentirai meglio e potrai fare la tua orazione». Questo fa el dimonio perché noi perdiamo l'essercizio corporale e mentale della santa orazione attuale, vocale e mentale. Però che, avendo noi perduta l'arme con che el servo di Dio si difende da' colpi del dimonio, della carne e del mondo, avarebbe da noi ciò che elli volesse; e arrendarebbesi allora la città dell'anima a lui, e intrarebbevi come signore.

E non ne potrebbe essere altrimenti, avendo perduta l'arme e la forza dell'orazione, la quale orazione ci dà l'arme de la vera umilità e dell'ardentissima carità: però che l'orazione santa ci fa cognoscere perfettamente noi medesimi e la propria fragilità, e la infinita carità e bontà di Dio; e meglio si cognosce l'uno e l'altro nel tempo delle battaglie e de la mente asciutta, e tra'ne più perfetta umilità e sollicitudine.

Unde se ella è prudente, che non serva alla propria volontà sotto colore di consolazione, e non creda al dimonio, ma virilmente e con odio santo di sé perseveri ne l'orazione - in qualunque modo Dio le 'l dà, o con sentimento di dolcezza o con sentimento d'amaritudine -, ella guadagna più per lo modo detto nell'amaritudine e pene, per qualunque modo Dio le 'l concede, che ne la dolcezza: però che nel bisogno va tutta umiliata e con vera sollicitudine corre al suo benefattore, cognoscendo che per sé non può cavelle, ma solo Dio è quello in cui ella spera e che può e vuole venirla ad aitare. Dunque per farci venire a vera virtù - che senza questo mezzo non verremmo alla virtù provata, ma potrebbe bene essere conceputa per desiderio la virtù - si conviene di bisogno che col sostenere - con vera e reale pazienzia - la tribulazione della mente e quella che ci danno le creature - o per infamie o per altri scandali che ci dessero - veniamo a virtù; però che questi sono quelli mezzi che ci fanno parturire la virtù: perché è provato ne le fadighe, sì come l'oro si pruova nel fuoco.

Però che, se ne le fadighe non avesse fatta pruova vera di pazienzia - anco le schifasse per lo modo detto di sopra, o per alcuna altra cosa che avenisse -, segno sarebbe manifesto che non servirebbe el suo Creatore; e non si lassarebbe signoreggiare a lui, ricevendo umilemente e con amore quello che el suo signore gli dà; e non mostrarebbe segno di fede che credesse essere amato dal signore. Però che se elli el credesse in verità, di neuna cosa si potrebbe mai scandalizzare, ma tanto gli pesarebbe e avarebbe in reverenzia la mano dell'aversità quanto quella della prosperità e consolazione, però che ogni cosa vedarebbe fatto per amore. Ma però nol vede, perché dimostra che elli sia fatto servo della propria sensualità e volontà spirituale, o da qualunque lato viene, come detto è, e àssene fatto suo signore, e però si lassa signoreggiare a loro. Convienci dunque, perché questa servitudine ci dà morte - cioè la servitudine del mondo e la servitudine della propria volontà spirituale detta -, fuggirla, però che c'impedisce la perfezione di non essere servi liberali a Dio, ma facci volerli più tosto servire a nostro modo che a suo, la quale cosa è sconvenevole e fa el servigio mercennaio.

Dico dunque che poi che tanto male ne seguita, e Dio vuole fare ogni cosa con mezzo, che noi seguitiamo questa via (Jn 14,6) e dottrina sua che elli ci à data. Noi vediamo bene che per noi medesimi noi non fummo creati; ma esso medesimo fece mezzo la sua carità, però che per puro suo amore ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), perché noi participassimo e godessimo dell'etterna sua visione. Ma noi la perdemmo per la colpa e amore proprio del primo nostro padre; unde per rendere a l'uomo quello che aveva perduto, ci donò el mezzo del suo Figliuolo, el quale fece come tramezzatore a pacificare l'uomo con Dio; ed esso tramezzatore ricevé le percosse, però che in altro modo questa pace non si poteva fare, sì grande era stata la guerra. Però che era offeso Dio infinito, e l'uomo finito, che aveva offeso, per neuna sua pena che avesse sostenuta non poteva satisfare allo infinito dolce Dio; e però el fuoco dell'abisso de la sua carità trovò el modo per fare questa pace. E perché a la giustizia sua fusse satisfatto, unisce sé medesimo, cioè la deità etterna, natura divina, con la nostra natura umana.

E unito Dio infinito con la natura de l'uomo finita, fu sufficiente Cristo uomo, sostenendo le pene in su el legno della santissima croce, a satisfare al Padre suo e a placare l'ira che veniva sopra de l'uomo. E gittando uno colpo questo dolce Verbo in su el legno della croce, e facendo insiememente misericordia a l'uomo, à in questo modo contenta la misericordia e à donata la grazia a noi che l'avavamo perduta, ed è contenta la giustizia che voleva che de la colpa si facesse la vendetta; ed elli l'à fatta sopra el corpo suo in quella medesima natura che aveva offeso, perché la carne di Cristo fu della massa d'Adam. Ma noi ingrati e scognoscenti perdiamo spesse volte per li peccati nostri la grazia e intriamo in guerra con Dio: e alcuna volta è guerra mortale, e alcuna volta è sdegno d'amico.

La guerra mortale è quella quando l'anima giace nella morte del peccato mortale, facendosi Dio del mondo, della carne e de' miserabili diletti, unde questi ànno perduta la vita in tutto. è vero che con la confessione e mezzo del sangue di Cristo la può ricoverare mentre che vive, sì che vedete che senza el mezzo non può vivere in grazia, né giognere alla vita durabile. Sdegno d'amico è in quelli e in quelle che servono a Dio privati del peccato mortale, e sono in grazia e vogliono essere servi di Dio veri. Ma spesse volte, per ignoranzia - la quale ignoranzia procede da la propria volontà spirituale, la quale s'à fatta signore, che 'l dilonga dalla verità -, non che esca della verità che caggia in peccato mortale, ma offende la perfezione a la quale in verità vorrebbe venire, volendo eleggere el tempo, el luogo, la consolazione e tribulazione e tentazione a suo modo. Allora Dio piglia sdegno con l'anima che gli è amica, perché non gli pare che vada, né va, con quella libertà schietta che debba andare; unde uno mezzo ci à posto, e richiede che noi l'usiamo se vogliamo che sia levato lo sdegno e 'l dispiacere, e non ci sia impedito el nostro andare a la perfezione dolce: cioè che noi anneghiamo la propria volontà, sì che non cerchi né voglia altro che Cristo crucifisso, e tutto el suo diletto sia di riposarsi ne gli obrobrii di Cristo, parturendo le virtù, concepute per santo desiderio, nella carità del prossimo con vera umilità. Unde col mezzo del sostenere pene e fadighe secondo che Dio concede, e sterelità di mente, con vera e santa pazienzia, saremo fondati in vera e reale virtù, e avaremo forza e cognoscimento di grande e non di fanciullo che non vuole andare né fare altro che a suo modo.

Per altra via non veggo che potiamo passare, e però vi dissi che io desideravo di vedervi fondata in vera e reale virtù. E volendo che l'anima vostra sia unita in Dio per affetto d'amore, non si poteva fare senza el mezzo della virtù, perché ogni cosa vuole fare con mezzo, come detto è. So' certa per la infinita bontà di Dio che adempirete la volontà sua ed el desiderio mio. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 66