Caterina, Lettere 119

119

A monna Alessa vestita dell'abito di santo Domenico, quando era a la Rocca.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti seguitare la dottrina de lo immaculato Agnello col cuore libero e spogliato d'ogni creatura, vestita solo del Creatore, col lume della santissima fede, però che senza el lume non potresti andare per la via dritta dello svenato e immaculato Agnello.

E però desidera l'anima mia di vedere te e l'altre schiette e virili; e che non vi volliate mai per neuno vento che vi venisse. Guarda che tu non volti mai el capo a dietro; ma sempre va' inanzi, tenendo a mente la dottrina che t'è stata data. E ogni dì di nuovo fa' che entri nell'orto dell'anima tua, col lume de la fede, a trarne ogni spina che potesse affogare el seme de la dottrina (Mt 13,7 Mc 4,7 Lc 8,7) data a te, e a rivoltare la terra: cioè che ogni dì spogli el cuore di nuovo.

Questo è di necessità, di spogliarlo continuamente, però che spesse volte ò veduto di quelli che è paruto che sieno stati spogliati, che io gli ò trovati vestiti per pruova più che per parole: con la parola parrebbe el contrario, ma l'operazione dimostra l'affetto. Voglio dunque che tu in verità spogli el cuore seguitando Cristo crucifisso; e fa' che el silenzio stia ne la bocca tua. Sommi aveduta che poco credo che l'altra l'abbi tenuto: di questo molto m'incresce, se elli è così come mi pare. Vuole el mio Creatore che io porti, e io so' contenta di portare; ma non so' contenta dell'offesa di Dio.

Scrivestimi che pareva che Dio ti costrignesse nella orazione a pregarlo per me: grazia sia a la divina bontà che tanto amore ineffabile dimostra a la miserabile anima mia. Dicesti che io ti scrivesse se io avevo pene, e se io avevo de le mie infermità usate in questo tempo; a che ti rispondo che Dio à proveduto ammirabilmente dentro e di fuore: nel corpo à proveduto molto in questo Avvento, facendo spassare le pene con lo scrivere. è vero che, per la bontà di Dio, elle sono più agravate che elle non solevano. E se egli l'à più agravate, à proveduto che Lisa è guarita, subbito che frate Santi infermò: che è stato in su la estremità de la morte. Ora quasi miracolosamente è tanto migliorato, che si può dire guarito.

Ma e' pare che lo sposo mio della verità etterna abbi voluto fare una dolcissima e reale pruova dentro e di fuore, di quelle che si veggono e di quelle che non si veggono - che sono molto più, innumerabilmente, che quelle che si veggono -; ma egli à tanto dolcemente proveduto, insieme con la pruova, che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo. Unde io voglio che le pene mi siano cibo, le lagrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6), e il sudore uno unguento.

Le pene voglio che m'ingrassino, le pene mi guariscano; le pene mi diano lume, le pene mi diano sapienzia; le pene mi rivestano la mia nudità, le pene mi spoglino d'ogni proprio amore, spirituale e temporale.

La pena de la privazione de le consolazioni d'ogni creatura m'aricchisca ne la provazione de le virtù, in cognoscere la imperfezione mia e 'l perfettissimo lume de la dolce Verità, proveditore e accettatore de' santi desiderii e non de le creature: quelli che non à ritratto adietro la sua bontà verso di me per la mia ingratitudine, né per lo poco lume e cognoscimento mio; ma solamente à raguardato a sé, che è sommamente buono.

Pregoti per l'amore di Gesù Cristo crucifisso, dilettissima figliuola mia, che non allenti l'orazione - anco la radoppia, però che io n'ò maggiore bisogno che tu non vedi -; e che tu ringrazii la bontà di Dio per me. E pregalo che mi dia grazia che io dia la vita per lui, e che mi tolga, se gli piace, el peso del corpo mio (perché la vita mia è di poca utilità altrui, ma più tosto è penosa, e gravezza a ogni persona da lunga e da presso per li peccati miei). Dio per la sua pietà mi tolga tanti defetti, e questo poco del tempo che io ò a vivere mi faccia vivere spasimata per amore de la virtù; e con pena offeri dolorosi e penosi desiderii dinanzi a lui per la salute di tutto quanto el mondo, e per la reformazione de la santa Chiesa. Gode, gode in croce con meco, sì che la croce sia uno letto dove si riposi l'anima, una mensa dove si gusti el cibo e 'l frutto de la pazienzia con pace e con quiete.

Mandastimi dicendo etc. De la quale cosa fui consolata, sì per la vita sua, sperando che ella si corregga, menandola con meno vanità di cuore che infino a ora non à fatto; e sì per li fanciulli, che erano condotti al lume del santo baptesmo. Dio lo' dia la sua dolcissima grazia; e lo' dia la morte, se non debbono essere buoni. Benedì loro, e conforta lei in Cristo dolce Gesù; e dille che ella viva col santo e dolce timore di Dio e che ella ricognosca da Dio la grazia che ella à ricevuta, che non è stata piccola, ma bene grande. E se ella ne fusse ingrata, dispiacerebbe molto a Dio; e forse che non la lassarebbe impunita. Racomandaci etc.

Di costoro novella neuna non ò avuta; la cagione non so. Sia fatta la volontà di Dio.

El nostro salvatore m'à posta in su l'Isola, e da ogni parte i venti percuotono. Ognuno goda in Cristo crucifisso, di longa l'uno dall'altro, serrati ne la casa del cognoscimento di noi. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




120

A monna Rabe di Francesco di Tato Tolomei.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vivere morta a la propria sensualità; però che in altro modo non potereste participare la vita de la grazia.

Dunque voglio che con grandissimo affetto e desiderio v'ingegniate di levare da la fragilità del mondo, ché non è cosa convenevole che noi, che siamo fatti per gustare l'abitazione del cielo e notricarsi del cibo de le virtù, che noi gustiamo la terra e notrichianci del proprio amore sensitivo, unde procedono tutti e' vizii.

Ma dovianci levare e salire a l'altezza de le virtù, aprendo l'occhio de l'intelletto, e raguardare in sul legno de la croce, dove noi troviamo l'Agnello immaculato, arbore di vita, che del corpo suo à fatto scala.

El primo scalone che ci à insegnato a salire sì sonno e' piei, cioè l'affetto: ché come e' piei portano el corpo, così l'affetto porta l'anima. Essendo saliti el primo, cioè co' piei confitti e chiavellati in croce, trovarete l'affetto spogliato del disordinato amore; giognendo al secondo, cioè al costato aperto di Cristo crocifisso, e vederete el secreto del cuore: con quanto amore inefabile v'à fatto bagno del sangue suo. Nel primo si leva e si spoglia l'affetto, nel secondo gusta l'amore che truova nel cuore aperto di Cristo.

Vedendo el terzo scalone, e giognendo cioè a la bocca del Figliuolo di Dio, notricasi ne la pace. Ché, poi che l'anima è vestita d'amore di Cristo crocifisso, e spogliata del perverso amore sensitivo che gli dà guerra, à trovata la pazienzia e ogni amaritudine gli pare dolce; anco si diletta ne le persecuzioni e tribolazioni del mondo, da qualunque lato Dio le concede, perché à trovata la pace de la bocca. La persona che dà la pace si unisce con colui a cui ella dà: così l'anima, vestita de le virtù, con affetto d'amore gusta Dio, e unisce la bocca del santo desiderio nel desiderio di Dio, e in esso desiderio di Dio si unisce con pace e quiete. Sì che vedete che Cristo crocifisso à fatta scala del corpo suo, acciò che noi saliamo a l'altezza del cielo de la vita durabile, dove à vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio e fame senza pena: ché, come dice santo Augustino, di lunga è il fastidio da la sazietà, e di lunga è la pena da la fame, perché e' cittadini che sonno a vita eterna, di quello che ànno fame e desiderio sonno saziati nella eterna visione di Dio.

Bene è ignorante e miserabile quella anima che per suo difetto perde tanto bene, e fassi degna di molto male. Levatevi su, dunque, figliuola carissima, e non aspettate quello tempo che voi non avete; ma con grande affetto d'amore vi levate da la perversità de l'amore sensitivo vostro - il quale vi tolle il lume de la ragione, e favvi amare el mondo e' figliuoli senza modo -, ché in altro modo non potereste giognere al fine per lo quale sete creata. E però dissi ch'io desideravo di vedervi vivere morta a la propria volontà e al proprio amore, perché mi pare che ci sete pure assai viva.

E a questo me n'aviddi, a la lettera che voi scriveste, che 'l cieco amore vi faceva escire fuore del modo ordenato secondo Dio. Mandaste dicendo che Francesca stava molto male: per la quale cosa volevate che frate Mateio ne venisse, rimossa ogni cagione, e se non ne venisse, che rimanesse con la vostra maladizione; e non potendo fare altro, tollesse uno contadino a sua compagnia. Dicovi che la mattezza e stoltizia vostra voi non la potete negare: lassiamo stare che non fusse secondo Dio, ma, secondo quello poco del senno che ci porge la natura, se l'aveste avuto non l'avareste fatto. Se avevate o avete desiderio, o è per bisogno per contentare la vostra figliuola, che frate Mateio ne venga, aveste mandati una coppia di frati, che l'uno ne fusse venuto con lui e l'altro rimaso; ché voi sapete bene che né l'uno né l'altro può venire né rimanere solo, ma voi favellate come persona passionata che avete piene l'orecchie di mormorazioni.

Tutto questo v'adiviene perché non avete levata la faccia da la terra, né salito el primo scalone de' piei; che se l'aveste salito, desiderareste solo che 'l vostro figliuolo cercasse l'onore di Dio e la salute de l'anime.

Con questo desiderio voi e l'altre e gli altri vi turareste l'orecchie e vi mozzareste la lingua, per non udire le parole che vi sonno dette, o per non dirle. Or non più così: bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e levatevi da la conversazione de' morti, e conversate co' vivi con le vere e reali virtù. Altro non vi dico.

Confortate Francesca etc.

Permanete etc. Gesù etc.



121

A' signori Defensori da Siena, essendo ella a Santo Antimo.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimi signori in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri signori e con cuore virile, cioè che signoreggiate la propria sensualità con vera e reale virtù, seguitando el vostro Creatore; altrimenti non potreste tenere giustamente la signoria temporale, la quale Dio v'à concessa per sua grazia.

Conviensi dunque che l'uomo che à a signoreggiare altrui e governare, signoreggi e governi in prima sé.

Come potrebbe el cieco vedere e guidare altrui? (Lc 6,39) Come potrà el morto sotterrare el morto, lo infermo governare lo infermo, e il povero sovenire al povero? Non potrebbe. Veramente, signori carissimi, che chi è cieco e à offuscato l'occhio dell'intelletto suo per lo peccato mortale non cognosce né sé né Dio: male potrà dunque vedere o correggere el defetto del suddito suo; e se pure el corregge, el corregge con quella tenebre e con quella imperfezione che egli à in sé. E spesse volte, per lo poco cognoscimento, ò veduto e veggo punire e' defetti colà dove non sono, e non punire quelli che sono iniqui e gattivi e che meritarebbero mille morti.

El poco lume non lassa discernere la verità, e pone la calunnia colà dove ella non è, e genera el sospetto in coloro de' quali egli si può sicurare e fidare - cioè de' servi di Dio, e' quali gli parturiscono con lagrime e con sudori e con la continua e santa orazione, mettendosi ad ogni pericolo e pena e tormento per onore di Dio e salute loro e di tutto quanto el mondo -, e fidandosi di coloro che sono radicati nell'amore proprio di loro medesimi, e' quali per ogni vento si vollono. E tutto questo procede dal poco lume e tenebroso peccato: èvi bisogno dunque d'avere el lume.

Dico che el morto non può sotterrare el morto, cioè che colui che è morto a grazia non à né ardire né vigore di sotterrare el morto del defetto del prossimo suo, perché si sente in quella medesima morte che è egli, e però nol vuole né sa correggere; vedesi in quella medesima infermità e non se ne cura, e non si cura del suddito suo perché egli el vegga infermo. E anco è tanta la gravezza de la infermità del peccato mortale che non vi pone remedio, se prima non cura sé medesimo. E issofatto che egli sta in peccato mortale è venuto in povertà - perduta la ricchezza de le vere e reali virtù non seguitando le vestigie di Cristo crucifisso -: e però non può sovenire al povero, privato, come dissi, de la ricchezza de la divina grazia. Per la tenebre dunque à perduto el lume, unde non vede el defetto colà dove egli è: e però fanno le ingiustizie, e non le giustizie. Per la infermità perde el vigore del santo e vero desiderio in desiderare l'onore di Dio e la salute del suo prossimo; e cresce sempre questa infermità se egli non ricorre al medico, Cristo crucifisso, vomicando el fracidume per la bocca, usando la santa confessione. Se elli el fa riceve la vita e la sanità; ma se egli nol fa subbito riceve la morte, e allora el morto non può sepellire el morto, come detto è. E che maggiore povertà si può avere, che esser privato del lume de la sanità e de la vita? Non so che peggio si possa avere: questi cotali dunque non sono buoni né atti a governare altrui, poiché non governano loro. Convienvi dunque avere le predette cose; e però dissi che io desideravo di vedervi veri signori.

Ma considerando me che l'essere vero signore non si può avere, se non signoreggiasse sé medesimo - cioè signoreggiando la propria sensualità con la ragione -, però vi dico in quanti inconvenienti vengono coloro che si lassano signoreggiare a la miseria loro e non si signoreggiano, e acciò che vi guardiate di non cadere voi in questo.

Vogliate vogliate aprire l'occhio dell'intelletto, e non essere tanto acecati col disordinato timore. Vogliate credere e fidarvi de' veri servi di Dio, e non degl'iniqui servi del demonio che per coprire le iniquitadi loro vi fanno vedere quello che non è. Non vogliate ponere i servi di Dio contra di voi, ché tutte l'altre cose pare che Dio sostenga più che la ingiuria gli scandali e le infamie che sono poste a' suoi servi. Facendo a loro, fate a Cristo: troppo sarebbe dunque grande ruina a farlo. Non vogliate, carissimi fratelli e signori, sostenere che né voi né altri el faccia, ma tagliate la lingua del mormoratore - cioè riprendere e non dare fede a colui che mormora -: così facendo usarete l'atto de la virtù, e levarannosi via molti scandali.

Ma e' pare che i peccati nostri non meritino ancora tanto, e tutto el contrario pare che si faccia: cioè che i gattivi sono uditi, e i buoni sono spregiati. Unde io ò inteso che per l'arciprete di Montalcino o per altri v'è messo sospetti, e questo fa per ricoprire la sua iniquità verso missere l'abbate di santo Antimo, el quale è così grande e perfetto vero servo di Dio, quanto già grandissimo tempo fusse in queste parti: che se aveste punto di lume, non tanto che di lui aveste sospetto, ma voi l'avereste in debita reverenzia. Pregovi per l'amore di Cristo crucifisso che vi piaccia di none impacciarlo, ma sovenirlo e aitarlo in quello che bisogna. Tutto dì vi lagnate che i preti e gli altri cherici non sono corretti; e ora, trovando coloro che gli vogliono correggiare, gl'impedite, e lagnatevi.

Del mio venire io qua con la mia famiglia anco v'è fatto richiamo e messo sospetto, secondo che m'è detto; non so però se egli è vero. Ma se voi costaste tanto a voi, quanto voi costate a me e a loro, in voi e in tutti gli altri cittadini non caderebbero le cogitazioni e le passioni tanto di leggiero; e turrestevi l'orecchie per non udire. Cercato ò io e gli altri, e cerco continuamente, la salute vostra dell'anima e del corpo, non mirando a veruna fadiga, offerendo a Dio dolci e amorosi desiderii con abondanzia di lagrime e di sospiri, per riparare che i divini giudicii non vengano sopra di noi e' quali meritiamo per le nostre iniquitadi. Io non so' di tanta virtù che io sappia fare altro che imperfezione; ma gli altri che sono perfetti e che attendono solo all'onore di Dio e a la salute dell'anime, sono coloro che 'l fanno.

Ma non si lassarà però, per la ingratitudine e per l'ignoranzie de' miei cittadini, che non s'adoperi infino a la morte per la salute vostra. Impararemo da quello dolce inamorato di Paulo, che dice: «El mondo ci bastemmia, e noi benediciamo; egli ci perseguita e ci caccia, e noi pazientemente portiamo» (1Co 4,12); e così faremo noi, e seguitaremo la regola sua. La verità sarà quella che ci libererà (Jn 8,32). Io v'amo più che voi non v'amate voi, e amo lo stato pacifico e la conservazione vostra come voi, sì che non crediate che né per me né per veruno degli altri de la mia famiglia si faccia el contrario. Noi siamo posti a seminare la parola di Dio e ricogliere el frutto dell'anime. Ognuno die essere sollicito dell'arte sua: l'arte che Dio ci à posta è questa, conviencela dunque essercitare e non sotterrare el talento, però che saremmo degni di grande reprensione (Mt 25,24-30); ma in ogni tempo e in ogni luogo adoperare, e in ogni creatura. Dio non è accettatore de' luoghi né de le creature (Rm 2,11), ma de' santi e veri desiderii, sì che con questo ci conviene adoperare.

Veggo che 'l demonio si duole de la perdita che in questa venuta egli à fatta e farà per la grazia e bontà di Dio. Per altro non venni se non per mangiare e gustare anime, e tollerle de le mani de le demonia: la vita voglio lassare per questo, se n'avessi mille; e per questa cagione andarò e starò secondo che lo Spirito santo farà fare. Diravi Petro a bocca la principale cagione per la quale io venni e sto qua. Altro non dico.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crucifisso, se volete la vita; in altro modo caderemmo ne la morte eternale.

Non vi incresca a leggere e a udire, ma portate pazientemente però che il dolore e l'amore che io ò mi fa abondare in parole: amore, dico, de la vostra salute, e dolore de la nostra ignoranzia. Voglia Dio che per divino giudicio non ci sia tolto el lume di non cognoscere la verità. Non dico più.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



122

A Salvi di sere Pietro orafo in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero servo fedele a Cristo crucifisso, e che giamai non volliate la faccia adietro né per prosperità né per aversità, ma virilmente e con viva fede, ché in altro modo sapete che la fede senza l'opera è morta (Jc 2,26).

Questa è l'operazione de la fede: che noi concepiamo in noi le virtù per affetto d'amore, e parturiscansi i frutti con vera pazienzia, col mezzo del prossimo nostro, portando e sopportando i defetti l'uno dell'altro.

Non bastarebbe, a noi e a la nostra salute, avere ricevuta la forma de la fede con la divina grazia quando riceviamo el santo baptesmo: basta bene al fanciullo parvolo ché, morendo ne la puerizia sua, riceve vita eterna solo col mezzo del sangue dell'Agnello; ma poi che siamo venuti ad età perfetta, avendo solamente el santo baptesmo non ci bastarebbe se noi non essercitassimo el lume de la fede con amore.

A noi adiviene come all'occhio del corpo, ché, perché l'uomo abbia l'occhio - e sia puro e sano a potere vedere -, e egli non l'apre col libero arbitrio che egli à a poterlo aprire, e con amore de la luce, può dire che, avendo l'occhio, non abbia l'occhio. L'occhio à per la bontà del Creatore; e non à la virtù dell'occhio per defetto de la propria volontà che non l'apre: può dunque dire che sia morto, e non fa frutto. Così, carissimo figliuolo, Dio, per la sua infinita bontà, ci à dato l'occhio dell'intelletto - el quale occhio empie dandoci el lume de la fede nel santo baptesmo -, e con esso el libero arbìtro, tollendo el legame del peccato originale. Ora richiede Dio, poi che siamo venuti a età compita d'avere cognoscimento, che questo occhio che egli ci à dato s'apra col libero arbìtro e con amore de la luce.

Poi che l'anima vede in sé occhio da potere vedere, debbalo aprire al suo Creatore: e che lume si debba ponare, a vedere in Dio? Solo l'amore, però che veruna cosa si può adoperare senza amore, né spirituale né temporale: ché se io voglio amare cose sensitive, subbito l'occhio si pone ine per dilettarvisi dentro. E se l'uomo vuole servire e amare Dio, l'occhio dell'intelletto s'apre, ponendoselo per obiecto; e con l'amore trae l'amore: cioè, vedendo che Dio sommamente l'ama, non può fare che egli non renda l'amore, e che egli non l'ami. Perde allora l'amore sensitivo e concepe uno amore vero, vedendosi creato a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), e recreato a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo. Questo occhio à trovato el lume, e avendo trovato el lume è fatto amatore d'esso lume: e però non resta mai di cercare di fuggire e odiare quella cosa che gli tolle el lume, e amare e desiderare quello che glili dà. Allora si leva con la fede viva, e concepe i figliuoli de le virtù, con desiderio di vestirsi de la somma e eterna volontà di Dio; perché l'occhio e il lume de la fede à mostrato all'affetto suo la volontà di Dio, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione.

Chi ce la manifesta bene chiara? El Verbo del Figliuolo suo, che è venuto nel carro de la nostra umanità pieno di fuoco d'amore, manifestandoci col sangue suo la volontà del Padre per adempirla in noi: ché quella volontà dolce, con la quale egli ci creò, ci creò per darci vita eterna; avendola perduta per lo peccato nostro, non si adempiva, e però ci manda el Figliuolo per farcela chiara e manifesta, dandolo a la obbrobriosa morte de la croce. E ciò che egli dà e permette a noi, dà solo per questo fine, cioè perché partecipiamo la somma e eterna bellezza sua. L'anima prudente, che à aperto l'occhio suo nel lume, come detto è, col lume de la fede, subbito piglia uno santo giudicio, giudicando la santa volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene, e non la volontà degli uomini.

Sai che n'esce di questo lume? Una acqua pacifica, chiara e senza veruna macula, e none conturbata da l'aversità per impazienzia; né per molestie di demonio, né per ingiurie, né per persecuzioni, né per mormorazioni d'uomini già mai si muove, ma sta ferma, però che già à veduto che Dio el permette per suo bene, e per dargli el fine suo per lo quale fu creato. Questa è la via, e neuna altra ce n'è: con molte spine e triboli ci conviene passare, seguitando Cristo crocifisso, però che egli è la via, e così disse egli, che egli era via verità e vita (Jn 14,6). Bene seguita la verità colui che tiene per questa via, però che s'adempie in lui la volontà del Padre eterno, conducendoci al fine per lo quale fummo creati. Se altra via ci fusse stata, averebbe detto che neuno andasse al Padre se non per lo Padre, ma egli non disse così, però che nel Padre non cadde pena, ma sì nel Figliuolo; e a noi conviene passare per la via de la pena: adunque ci conviene seguitare Cristo crocifisso.

Dico ancora che nol turba la prosperità del mondo per disordinato affetto e desiderio, anco la mette sotto sé, spregiandola con dispiacimento, vedendo col lume de la fede che queste cose sono transitorie, che passano come el vento, e che tòllono la via e il lume de la grazia a colui che l'appetisce e possiede con disordinato affetto. Costui parturisce e' figliuoli vivi con fede viva ne l'onore di Dio e salute del prossimo, però che nel prossimo si pruova l'amore che noi aviamo a Dio: ché del nostro amore utilità a lui non potiamo fare, ma vuole che la facciamo nel mezzo - che egli ci à posto - del prossimo nostro, portando e soportando i defetti loro, e portandoli dinanzi a Dio per compassione, e con pazienzia portando le ingiurie che essi ci fanno; e debita reverenzia usare a' servi suoi. Ogni altro modo che noi avessimo in noi, diciamo che ella è fede morta e senza opera (Jc 2,26).

Non dico però che la sensualità non senta molte contradizioni, ma quello contradire non gli tolle la perfezione, anco glil'aiuta a dare, però che cognosce più el defetto suo e cognosce la bontà di Dio, che gli conserva la volontà che non consente né va dietro a' sentimenti sensitivi per diletto, ma con odio e dispiacimento di sé gli corregge. Così di quello sentimento ne trae la virtù de l'umiltà per cognoscimento di sé, e la virtù de la carità per cognoscimento de la bontà di Dio in sé. Io, considerando che ella è di tanta eccellenzia e di sì grande necessità che senza essa non possiamo avere vita di grazia, desidero di vedervi fondato nel lume de la viva fede; e però dissi che io desideravo di vedervi servo fedele e non infedele a Cristo crucifisso. E però vi prego che vi leviate con vera e perfetta sollicitudine, destandovi dal sonno de la negligenzia e aprendo l'occhio dell'intelletto nell'amore che Dio v'à, acciò che adempiate la volontà sua e il desiderio mio in voi. Non dico più qui.

Rispondovi, carissimo figliuolo, a la lettera che mi mandaste - la quale io viddi con singulare allegrezza -, dove io viddi che si conteneva una particella di quello che Dio manifestò a una serva sua: che quelli che si chiamano figliuoli erano scandalizzati per illusione de le demonia che stavano dintorno a loro per trarne el seme che lo Spirito santo aveva seminato in loro; e eglino, come imprudenti e non fondati sopra la viva pietra, non facevano resistenzia, ma come sentivano lo scandalo in loro così el seminavano in altrui, colorato con colore di virtù e d'amore.

Ora vi dichiaro se volontà è di Dio che io stia: e dico che avendo io grandissimo desiderio di tornare per timore di non offendere Dio nel mio stare, per tante mormorazioni e suspetti quanti di me è preso e del padre mio frate Ramondo, fu dichiarato da quella Verità che non può mentire a quella medesima serva sua, dicendo: «Persevera di mangiare a la mensa a la quale io v'ò posti: io v'ò posti a la mensa de la croce a prendere con vostra pena e molte mormorazioni, e a gustare e a cercare l'onore di me e la salute dell'anime. L'anime che in questo luogo io t'ò messe ne le mani - perché elle escano de le mani de le demonia e pacifichinsi con meco e col prossimo loro - non le lassare infino che è compito quello che è cominciato, ché, per impedire tanto bene, el demonio semina tanto male. Poi vi tornate, e non temete: che io sarò colui che sarò per voi». L'anima mia per lo detto di questa serva di Dio rimase pacificata.

Ingegnomi d'adoperare quello bene - per onore di Dio e salute dell'anime e bene de la nostra città - che io posso, poniamo che negligentemente io el faccia. Godo che io seguiti le vestigie del mio Creatore, e che per bene fare io riceva male: per far-lo' onore facciano a me vergogna, per dar-lo' vita vogliano dare a me la morte; ma la loro morte è a noi vita, e la loro vergogna è a noi onore, però che la vergogna è di colui che commette la colpa; dove non è colpa non è vergogna né timore di pena. Io mi confido "in Domino nostro Jesu Christo", e non negli uomini. Io farò così: essi daranno a me infamie e persecuzioni, e io darò a loro lagrime e continua orazione, quanto Dio mi darà la grazia. E voglia el demonio o no, io m'ingegnarò d'essercitare la vita mia nell'onore di Dio e salute dell'anime per tutto quanto el mondo, e singularmente per la mia città.

Grande vergogna si fanno e' cittadini da Siena, di credere o imaginare che noi stiamo per fare i trattati ne le terre de' Salimbeni, o in veruno luogo del mondo: temono de' servi di Dio, ma non temono degl'iniqui uomini. Ma essi profetano, e non se n'avegono: ànno la profezia di Cayphas, che profetò che uno morisse per lo popolo, acciò che non perisse (Jn 11,50). Egli non sapeva quello che si diceva, ma lo Spirito santo el sapeva bene, che profetava per la bocca sua. Così i miei cittadini credono che per me o per la compagnia che io ò con meco, si facciano trattati: eglino dicono la verità, ma non la cognoscono, e profetano, ché altro non voglio io fare né voglio che faccia chi è con meco, se non che si tratti di sconfiggiare el demonio e tollargli la signoria che egli à presa de l'uomo per lo peccato mortale; e trargli l'odio del cuore, e pacificarlo con Cristo crocifisso e col prossimo suo. Questi sono i trattati che noi andiamo facendo, e che io voglio che si faccia per chiunque sarà con meco.

Dogliomi de la negligenzia nostra, che nol facciamo se non tiepidamente; e però ti prego, figliuolo mio dolce, e a tutti quanti gli altri el di', che ne preghino che io sia bene sollicita a fare questo e ogni santa operazione per onore di Dio e salute dell'anime. Non dico più, ché molto averei che dire. Non è cognosciuto el discepolo di Cristo per dire: Signore, Signore! (Mt 7,21) ma in seguitare le vestigie sue.

Conforta Francesco in Gesù Cristo. Frate Ramondo, poverello calunniato, ti si racomanda che preghi Dio per lui che sia buono e paziente.

Permane ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



123

A' signori Defensori da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori temporali in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomini virili e non timorosi governatori de la città propria e de la città prestata, considerando me che il timore servile impedisce e avilisce el cuore - e non lassa vivere né adoperare come uomo ragionevole, ma come animale senza veruna ragione -, però che el timore servile esce e procede da l'amore proprio di sé.

E quanto egli è pericoloso l'amore proprio di sé, noi el veggiamo in signori e in sudditi, in religiosi e in secolari, e in ogni maniera di gente, però che non attendono ad altro che a loro medesimi. Unde se egli è suddito secolare, mai none obedisce né osserva quello che gli è imposto per lo suo signore; e se egli è signore, mai non fa giustizia ragionevolmente, ma con appetito sensitivo commette molte ingiustizie: chi per propria utilità e chi per piacere agli uomini - giudicando secondo la volontà altrui e non secondo la verità -, o veramente che egli teme di dispiacere, el quale dispiacere gli torrebbe la signoria: unde d'ogni cosa piglia timore e suspetto con molta cechità, però che 'l piglia colà dove non debba e nol piglia colà dove debba.

O amore proprio e timore servile, tu aciechi l'occhio dell'intelletto e non gli lassi cognoscere la verità; tu tolli la vita de la grazia, la signoria de la città propria e quella de la città prestata; tu fai incomportabile l'uomo a se medesimo, perché sempre desidera quello che non può avere, e quello che possiede, possiede con pena, però che à timore di non perdarlo: unde non avendo e temendo, sempre à pena perché la volontà sua non è adempita, unde drittamente in questa vita gusta lo 'nferno.

O cechità d'amore proprio e timore disordinato, tu giogni a tanta cechità che non tanto che tu condanni la comune gente e gli iniqui uomini - e' quali giustamente si potrebbero condennare, e temere de le falsitadi loro -, ma tu lassi el timore de lo iniquo e condanni el giusto, recandosi a di petto i poverelli servi di Dio, e' quali cercano l'onore di Dio e la salute dell'anime e la pace e la quiete de le cittadi; non restando mai i dolci desiderii, e la continua orazione, lagrime e sudori, d'offerire dinanzi a la divina bontà. Come dunque ti può patire, amore proprio e timore servile, di temere e giudicare coloro che si dispongono a la morte per la tua salute, e per conservare e crescere in pace e in quiete lo stato tuo? Ma veramente, carissimi fratelli, questo è quello perverso timore e amore che uccise Cristo, però che temendo Pilato di non perdere la signoria acecò e non cognobbe la verità, e per questo uccise Cristo. E non di meno gli venne in capo quello di che temeva, però che poi, al tempo che piacque a Dio - non che gli piacesse el defetto suo -, egli perdé l'anima e il corpo e la signoria. Unde a me pare che tutto el mondo sia pieno di questi Pilati, e' quali per lo timore cieco non si curano di perseguitare i servi di Dio gittando-lo' pietre di parole d'infamia e di persecuzioni. E tanta è la cechità loro che non mirano né come né a cui; ma, come la bestia, si lassano guidare a la propria sensualità, ponendo quelli colori e quella legge a loro, che si pone agli uomini che non attendono ad altro che al mondo.

Unde veramente io vi dico così: che ogni volta che questo giudicio toccasse a noi - cioè di condennare e calunniare l'operazioni atti e costumi e conversazioni de' servi di Dio -, oimé, oimé, noi abiamo bisogno di temere el divino giudicio che non venga sopra di noi, però che Dio reputa fatto a sé quello che è fatto a' suoi servi: non sarebbe dunque altro se non chiamare l'ira di Dio sopra di noi. Noi abbiamo bisogno, carissimi fratelli e signori, d'acostarci a Dio col santo timore suo, e a' servi suoi non levando-lo' le carni con le molte mormorazioni e disordinati suspetti; ma lassargli stare e andare come perregrini, secondo che lo Spirito santo gli guida, cercando e adoperando l'onore di Dio e la salute dell'anime - traendole de le mani de le demonia - e 'l bene e la pace e la quiete vostra.

Non sia veruno tanto ignorante che si voglia ponere a regolare lo Spirito santo ne' servi suoi. Unde a me pare che Cristo fusse più paziente ne la ingiuria sua che in quella del suo apostolo santo Tommaso, però che la sua non volse vendicare, ma benignamente rispose a colui che gli dié la gotata, dicendo: «Se io ò male detto, raporta che io ò detto male; ma se io ò detto bene, perché mi batti? » (Jn 18,23). A Tommaso non fece così, anco, essendo percosso ne la faccia stando a mensa, prima che se ne levasse ne fece la vendetta facendolo strangolare a uno animale, e poi gli staccò la mano che l'aveva percosso, e portolla in su la mensa dinanzi a santo Tommaso. Unde tutte l'altre cose ci saranno più tosto sostenute che queste, ché se sono tanti i nostri peccati che noi ci cadiamo, l'ultima cosa sarebbe per la quale potremmo aspettare grandissima ruina.

Tutta questa cechità procede da l'amore proprio e timore servile, e però vi dissi che io desideravo di vedervi uomini virili e non timorosi; ma bene desidera l'anima mia di vedervi fondati nel santo e vero timore di Dio, el quale timore nutrica uno amore divino nell'anima. Egli è quello timore santo che si pone Dio dinanzi all'occhio suo; e inanzi elegge la morte che offendere Dio o il prossimo suo, o, che volesse fare una ingiustizia o una giustizia, che non la rivolga e vegga bene da ogni lato prima che la faccia. Di questo santo timore avete bisogno, e così possedarete la città propria e la città prestata; e non sarà demonio né creatura che ve la possa tòllere.

La città propria è la città dell'anima nostra, la quale si possiede col santo timore fondato ne la carità fraterna, pace e unità con Dio e col prossimo suo, con vere e reali virtù. Ma non la possiede colui che vive in odio e in rancore e in discordia, pieno d'amore proprio; e la vita sua mena lascivamente con tanta immondizia che da lui al porco non à cavelle. Costui non signoreggia la sua città, ma esso è signoreggiato da' vizi e da' peccati; e à tanto avilito sé medesimo che si lassa signoreggiare a quella cosa che non è, e perde la dignità sua de la grazia. E spregia el sangue di Cristo, el quale fu quello prezzo pagato per noi che ci fa manifesto la divina misericordia e la somma eterna verità, amore ineffabile, el quale amore ci creò e ricomprò di sangue e non d'argento (1P 18-19), e manifestocci la grandezza dell'anima nostra e la gentilezza sua. Unde bene è cieco colui che non vede tanto fuoco d'amore, e tanta sua miseria a la quale si conduce giacendo ne la tenebre del peccato mortale; e non possedendo sé, come detto è, male possederà la cosa prestata, se in prima non governa e signoreggia sé medesimo.

Signoria prestata sono le signorie de le cittadi o altre signorie temporali le quali sono prestate a voi e agli altri uomini del mondo, le quali sono prestate a tempo, secondo che piace a la divina bontà, o secondo i modi e i costumi de' paesi: unde o per morte o per vita elle trapassano, sì che, per qualunque modo egli è, veramente elle sono prestate. Colui che signoreggia sé la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato, come cosa prestata e non come cosa sua; guardarà la prestanza de la signoria che gli è data con timore e reverenzia di colui che glil dié. Da solo Dio l'avete avuta, sì che quando la cosa prestata c'è richiesta dal Signore, ella si possa rendere senza pericolo di morte eternale. Or con uno vero e santo timore voglio che voi possediate; e dicovi che altro remedio non ànno gli uomini del mondo a volere conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente - però che per altro non vengono meno se non per gli peccati e defetti nostri -; e però levate via la colpa e sarà tolto via el timore, e averete cuore vigoroso e non timoroso, e non averete paura dell'ombra vostra. Non dico più.

Perdonate a la mia presunzione: l'amore che io ò a voi e a tutti gli altri cittadini, e il dolore che io ò de' modi e costumi vostri - poco ordinati secondo Dio -, me ne scusi dinanzi a lui e a voi. Ò voglia di piangere sopra la cechità nostra, però che privati pare che siamo del lume: Dio per la sua infinita bontà e misericordia vi tolla ogni tenebre d'ignoranzia, e allumini l'occhio dell'intelletto vostro a cognoscere e discernere la verità; e così non potrete errare. Altro non dico qui, bene che molto averei da dire.

Rispondovi, carissimi fratelli e signori, a la lettera che ò ricevuta da Tommaso di Guelfuccio per vostra parte. Ringraziovi de la carità che io veggio che avete a' vostri cittadini, cercando la pace e la quiete loro, e verso di me miserabile, non degna che voi desideriate la venuta mia, né che voi richiediate me che io sia mezzo a questa pace, perché so' insufficiente a questo e a ogni altra minima cosa. Non di meno la sufficienzia lassarò adoperare a Dio, e io chinarò el capo - secondo che lo Spirito santo mi concederà - all'obedienzia vostra, d'andare e stare come sarà di vostro piacere, ponendo sempre la volontà di Dio inanzi a quella degli uomini (Ac 5,29), però che so' certa che voi non vorreste - avendo punto di cognoscimento - che io trapassasse la volontà di Dio per fare quella degli uomini. Unde io non veggo che testé a questi dì io possa venire, per alcuna cosa di bisogno che io ò a fare per lo monasterio di santa Agnesa; e per essere co' nipoti di missere Spinello per la pace de' figliuoli di Lorenzo, la quale sapete che, già è buono tempo, voi la cominciaste a trattare e non si trasse mai a fine. Unde io non vorrei che per mia negligenzia e per lo subbito partire ella rimanesse, però che temerei d'esserne ripresa da Dio; ma spacciarommi el più tosto che io potrò, secondo che Dio mi darà la grazia.

E voi e gli altri abbiate pazienzia; e non vi lassate empire la mente e il cuore di molti pensieri e cogitazioni, le quali tutte procedono dal demonio, che 'l fa per impedire l'onore di Dio e la salute dell'anime, e la pace e quiete vostra. Increscemi dell'affanno e de la fadiga che i miei cittadini ànno nel pensare e menare la lingua verso di me, ché non pare che eglino abbino a fare altro che tagliarmi le legna in capo, a me e a la compagnia che io ò con meco. Di me ànno ragione, però che so' defettuosa; ma non di loro. Ma noi col sostenere vinciaremo, però che la pazienzia non è mai vinta, ma sempre vence e rimane donna. Increscemi che i colpi caggiono in capo di colui che gli gitta, però che spesse volte gli rimane la colpa e la pena. Altro non dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 119