Caterina, Lettere 260

260

A' pregioni, el giovedì santo, in Siena - anno Mccclxxvij.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi bagnati per santo desiderio nel sangue di Cristo crocifisso.

Ponetevelo per obbietto dinanzi all'occhio de lo 'ntelletto vostro, e facendo così acquistarete una pazienzia vera, però che 'l sangue di Cristo ci rapresenta le nostre iniquità, e rapresentaci la infinita misericordia e carità di Dio: la quale ripresentazione ci fa venire in odio e in dispiacimento e' difetti e peccati nostri, e facci venire in amore le virtù.

E se voi mi domandaste, carissimi figliuoli, perché nel sangue si vegono più e' nostri difetti, e la misericordia sua, rispondovi: perché la morte del Figliuolo di Dio fu data a lui per li peccati nostri. El peccato fu cagione della morte di Cristo, ché 'l Figliuolo di Dio non avea bisogno per via di croce intrare nella gloria sua, ché in lui non era veleno di peccato, e vita eterna era sua. Ma noi miserabili avendola perduta per li peccati nostri, era caduta grandissima guerra fra noi e Dio. L'uomo era infermo ed era indebilito, ribellando al suo Creatore, e non potea pigliare l'amara medicina che seguitava la colpa comessa; fu di bisogno dunque che Dio ci donasse el Verbo de l'unigenito suo Figliuolo. E così per la sua inestimabile carità fece unire la natura divina con la natura umana; lo infinito si unì colla nostra miserabile carne finita.

Egli viene come medico infermo, e cavaliere nostro. Medico, dico, ché col sangue suo à sanato le nostre iniquità, e àcci dato la carne in cibo, e 'l sangue in beveragio (Jn 6,55). Questo sangue è di tanta dolcezza e soavità, e di sì grande fortezza, che ogni infermità sana - e dalla morte viene a la vita -; egli tolle la tenebre, e dona la luce. Perché 'l peccato mortale fa cadere l'anima in tutti questi inconvenienti: el peccato ci tolle la grazia, tolleci la vita e dacci la morte; egli offusca el lume de lo 'ntelletto, e fallo servo e schiavo del dimonio; tollegli la vera sicurtà, e dagli el disordinato timore, perché 'l peccato sempre teme. Egli à perduta la signoria, colui che si lassa signoregiare al peccato.

Oimé, oimé, quanti sonno e' mali che ne seguitano! Quante sonno le tribulazioni, l'angosce e le fadighe che ci son permesse da Dio solo per lo peccato! Tutti questi difetti e questi mali sonno spenti nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si lava l'anima delle immondizie sue, riducendosi alla santa confessione. Nel sangue s'acquista la pazienzia, ché, considerando l'offese che abiamo fatte a Dio, e il rimedio ch'egli à posto per darci la vita de la grazia, veniamo a vera pazienzia. Sì che bene è vero ch'egli è medico, ché ci à donato el sangue per medicina.

Dico ch'egli è infermo, cioè ch'egli à presa la nostra infermità, prendendo la nostra mortalità e carne mortale; e sopra essa carne del dolcissimo corpo suo à puniti e' difetti nostri. Egli à fatto come fa la balia che notrica el fanciullo, che, quando egli è infermo, piglia la medicina per lui; perché 'l fanciullo è piccolo e debile, non potrebbe pigliare l'amaritudine, perché non si notrica altro che di latte. O dolcissimo amore Gesù, tu se' balia che ài presa l'amara medicina, sostenendo pene, obrobi, strazii, villanie; legato (Mt 27,2 Mc 15,1 Jn 18,12), battuto (Mt 26,67 Mc 14,65 Lc 22,63) e fragellato (Mt 27,26 Mc 15,15 Jn 19,1) alla colonna, confitto e chiavellato in croce (Mt 27,35 Mc 15,24 Lc 23,33 Jn 19,18); satollato di scherni e d'obrobi (Mt 27,39-41 Mc 15,29-31 Lc 23,35-36); afflitto e consumato di sete (Jn 19,28) senza veruno refrigerio - e gli è dato aceto (Mt 27,48 Mc 15,36 Lc 23,36 Jn 19,29) mescolato con fèle, con grandissimo rimproverio -: ed egli con pazienzia porta, pregando per coloro che 'l crocifigono.

O amore inestimabile, non tanto che tu preghi per quelli che ti crocifigono, ma tu gli scusi dicendo: «Padre, perdona a costoro che non sanno che si fanno» (Lc 23,34). O pazienzia che eccedi ogni pazienzia! Or chi fu mai colui che, essendo percosso, battuto, e schernito e morto, egli perdoni e prieghi per coloro che l'offendono? Tu solo se' colui, Signore mio. Bene è vero dunque che tu ài presa l'amara medicina per noi fanciulli debili e infermi; e con la tua morte ci dai la vita, e con l'amaritudine ci dai la dolcezza. Tu ci tieni al petto come balia, e ài dato a noi el latte della divina grazia, e per te ài tolto l'amaritudine; e così riceviamo perfetta sanità. Sì che vedete ch'egli è infermato per noi.

Dico ch'egl'è cavaliere: venuto in questo campo della bataglia à combatuto e vénto le dimonia. Dice santo Agustino: «Con la mano disarmata questo nostro cavaliere à sconfitti e' nimici nostri, salendo a cavallo in sul legno della santissima croce». La corona delle spine gli fu l'elmo; la carne fragellata l'osbergo; le mani chiavellate e' guanti della piastra; la lancia per lo costato fu quello coltello che tagliò e ricise la morte da l'uomo; e' piei confitti sonno li speroni. Vedete come dolcemente è armato questo nostro cavaliere! Bene el dobiamo seguitare, e confortarci in ogni nostra aversità e tribulazione. E però vi dissi io che 'l sangue di Cristo ci manifesta e' peccati nostri, e mostraci el rimedio e l'abondanzia della divina misericordia, la quale abiamo ricevuta nel sangue suo.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, ché in altro modo non potremo participare la grazia sua, né avere il fine per lo quale fumo creati; né portareste pazientemente le vostre tribulazioni, però che nella memoria del sangue ogni amara cosa diventa dolce, e ogni gran peso legiero. Altro non vi dico, per lo poco tempo che ò.

Permanete etc.

E ricordovi che dovete morire, e non sapete quando. Fate che vi disponiate alla confessione e alla comunione santa, chi può, acciò che siate risuscitati in grazia con Cristo. Gesù dolce etc.



261

A ser Mariano prete nella Misericordia di Siena essendo a Montechiello.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Dilettissimo e carissimo figliuolo mio in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile combattare virilmente in su questo campo della battaglia e non vòllarvi adietro a schifare neuno colpo che venisse, però che sareste cavaliere senza gloria; ma virilmente pigliate l'arme sì che 'l colpo non passi dentro, cioè l'arme della santissima croce, però che ella è quella arme che ci difende da ogni colpo e tentazione di dimonio visibile e invisibile. Nella memoria del sangue arete la vittoria.

O figliuolo mio carissimo, quanto sarà beata l'anima vostra e la mia quando starete in questo campo della battaglia, mare tempestoso, armato dell'arme della carità, la quale acquistarete nella memoria della croce, prendendo el coltello con che vi potiate difendare da' nemici che v'ànno assediato - cioè il coltello del timore e de l'amore -, quando vedete ch'e' nemici delle molte cogitazioni v'assalissero o le creature che vi dessero esemplo invitandovi a peccato. Alora tenete salda la memoria nel prezzo del sangue del quale tanto dolcemente sete ricomprato, e il coltello detto, percotendoli col santo timore di Dio, vedendo quanto gli è spiacevole el peccato - ché per lo peccato è morto -, e quanto gli è piacevole la virtù; e con questo tutti gli sconfiggiarete.

Ricordivi di quel santo padre che si misse alla prova col fuoco dicendo: «Pensa anima mia che di questo ne va el fuoco etternale: pruova questo fuoco e se puoi sostenerlo commette el peccato». Così riprendete voi medesimo, guardando sempre che l'occhio di Dio è sopra di voi e non è cosa sì segreta che egli non vega; ed è rimuneratore del bene e del male, e neuno è che da questo giudicio si possa difendare. Adunque levatevi con sollicitudine e ricordivi che dovete morire e non sapete quando. El bene che egli rimunera si è amore, sì che per amore ogni cosa per lui vorrete sostenere; e il male vi darà timore col quale tagliarete e porrete freno alle perverse cogitazioni, sì che essendo armato, come detto è, e' colpi delle tentazioni non vi faranno male, e adoparando il coltello con perseveranza rimarrete vincitore e sconfiggiarete e' nemici vostri. Poi potrete dire quella dolce parola, quando verrà el tempo de la morte, che dice Pavolo: «Io ò corso e òllo consumato, sempre osservando fede a te, Signore: ora ti dimando la corona della giustizia».

Bene è adunque da perseverare: ponetevi al costato del Figliuolo di Dio e bagnatevi nell'abondanzia del sangue suo; e fate con umilità ciò che avete a fare, però che 'l dimonio non si caccia col dimonio ma con la virtù della pazienzia e con l' umilità. Siate buono dispensatore a' povaregli che n'ànno bisogno, e il conversare con cotesta gente sia sempre col timore di Dio. Se potete difendare quello de' povari con umilità, fatelo; quanto che no, sapiate andare nel tempo che voi sete.

Del comandamento del capitano fate dalla parte vostra ciò che potete. Confortate etc.

Permanete etc. Gesù dolce Gesù amore.




262

A monna Tora, figliuola di missere Piero Gambacorti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera serva e sposa di Cristo crucifisso sì, e per sì-fatto modo, che per lo suo amore el mondo ti venga a tedio con tutte le sue delizie, però che non ànno in loro fermezza né stabilità veruna.

E tu vedi bene, figliuola mia, che egli è così la verità: el mondo ti si mostrò di grande bellezza e piacere; e ora à mostrato che tutte le sue allegrezze e piaceri sono vani, caduchi, e germinano tristizia con grande amaritudine all'anima che disordenatamente le possede: elle tolgono la vita de la grazia e danno morte; e càdene l'anima in somma miseria e povertà. Bene è dunque da fuggirlo, e odiare la propria sensualità e ogni diletto del mondo, e dispregiarli con tutto el cuore e con tutto l'affetto, e servire solo al nostro dolcissimo Creatore. El quale servire non è essere servo, ma fa regnare, perciò che tutti ci fa signori ne la vita durabile; e in questa vita diventa libero perché s'è sciolto dal legame del peccato mortale e de la morte del mondo e de la propria sensualità, e la ragione n'è fatta signore; e, signoreggiandola, è signore di tutto quanto el mondo, però che se ne fa beffe: e neuno è che pienamente el possa possedere se non colui che perfettamente lo spregia.

E non sarebbe bene matta e stolta quella anima che può essere libera e sposa, ed ella si facesse serva e schiava - rivendendosi al demonio - e adultera? Certo sì. E questo fa l'anima che, essendo liberata da la servitudine del demonio, ricomprata del sangue di Cristo crucifisso, non d'oro né d'argento, ma di sangue, ella tiene a vile sé, e non ricognosce la dignità sua, e spregia e avilisce el sangue del quale è ricomprata con tanto fuoco d'amore. E avendola Dio fatta sposa del Verbo del suo Figliuolo, el quale dolce Gesù la sposò con la carne sua (però che, quando elli fu circunciso, tanta carne si levò ne la circuncisione quanto una estremità d'uno anello, in segno che come sposo voleva sposare l'umana generazione), ed ella amando alcuna altra cosa fuore di lui - o padre o madre o suore o fratelli, ricchezze o stati del mondo -, diventa adultera, e non è sposa leale né fedele a lo sposo suo. Ché la vera sposa non ama altro che lo sposo suo: cioè cosa che fusse contra a la sua volontà.

E così debba fare la vera sposa di Cristo, cioè amare solamente lui con tutto el cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze sue; e odiare quello che elli odia, cioè el vizio e il peccato - che tanto l'odiò e gli dispiacque, che volse punirlo sopra el corpo suo, in salute nostra -; e amare quello che elli ama, ciò sono le virtù, le quali si pruovano ne la carità del prossimo, servendolo con carità fraterna ne le sue necessità, secondo che c'è possibile. E però io voglio che tu sia sposa e serva fedele; e senza sposo non voglio che tu stia.

Secondo che io òe inteso, pare che Dio s'abbi chiamato a sé lo sposo tuo: de la quale cosa, se elli si dispose bene dell'anima sua, so' contenta che elli abbi quello vero fine per lo quale egli fu creato. Unde, poiché Dio t'à sciolta dal mondo, voglio che ti leghi con lui; e sposati a Cristo crucifisso con l'anello della santissima fede. E vesteti non di bruno, cioè de la nerezza dell'amore proprio e del piacere del mondo, ma de la bianchezza de la purità, conservando la mente e il corpo tuo ne lo stato de la continenzia. E sopra questa purità ci pone el mantello vermiglio de la carità di Dio e del prossimo tuo, affibbiato di perfetta umilità, con la fregiatura de le vere e reali virtù, con l'umile e continua orazione, però che senza questo mezzo a veruna virtù potresti venire.

E fa' che tu lavi la faccia dell'anima tua con la confessione spesso, e con la contrizione del cuore: el quale sarà uno unguento odorifero che ti farà piacere a lo Sposo tuo Cristo benedetto. E così adornata, va' a la mensa dell'altare a ricevere el pane vivo che dà vita, cibo degli angeli, allora e al tempo suo, come è per le pasque e per le feste di Maria, e secondo che Dio ti dispone per cotali altre feste solenni. E dilettati di stare alla mensa continuamente de la santissima croce, e ine ti nasconde e serrati ne la camera sua, cioè nel costato di Cristo crucifisso, dove tu trovarai el bagno del sangue che elli t'à fatto per levare la lebbra dell'anima tua. Ine trovarai el segreto del cuore suo, mostrandoti nell'apritura del lato che t'à amata e ama inestimabilemente.

E pensa che questo dolce Sposo è molto geloso, però che non vede la sposa sua sì poco partire da sé che egli si sdegna, e ritrae dall'anima la grazia e la dolcezza sua. Voglio dunque che tu fugga la conversazione de' secolari e secolare, el più che tu puoi, acciò che tu non cadessi in cosa che lo Sposo tuo si partisse da te. E però sia abitatrice de la cella; e guarda che tu non perda el tempo tuo, perciò che molto più ti sarebbe richiesto ora che prima, ma sempre essercita el tempo o con l'orazione o con la lezione o con fare alcuna cosa manuale, acciò che tu non caggi nell'ozio, però che sarebbe pericolosa cosa. E resistendo virilmente senza veruno timore, ripara a' colpi con lo scudo de la santissima fede (Ep 6,16), confidandoti nel tu' Sposo Cristo, che sarà elli colui che combattarà per te. Io so che tu entrarai ora - o tu se' intrata, che dirò meglio vero - nel campo de le molte battaglie de le demonia - gittandoti molte cogitazioni e pensieri ne la mente tua - e de le creature, che non sarà meno forte battaglia, ma forse più. So che ti porranno innanzi che tu sia fanciulla, e però non stia bene in cotesto stato: quasi reputandoselo a vergogna e' semplici ignoranti, e con poco lume, se non ti rallogassero al mondo. Ma tu sia forte e constante, fondata in su la viva pietra, e pensa che, se Dio sarà per te, veruno sarà contra te. Non credere né a demonio né a creature quando ti consigliassero di cosa che fusse fuore de la volontà di Dio, o contra lo stato de la continenzia.

Confidati in Cristo crucifisso, ed elli ti farà passare questo mare tempestoso, e giugnarai al mare pacifico, dove è pace senza veruna guerra. Unde, a conducerti bene sicura al porto di vita etterna, ti consigliarei per tua utilità che tu entrassi ne la navicella de la santa obedienzia, però che questa è più sicura e perfetta via, e fa navicare l'anima per questo mare non con le braccia sue, ma con le braccia dell'Ordine. E però io ti prego che tu ci dia pensiero, acciò che tu sia più espedita a essere serva e sposa di Cristo crucifisso; el quale servire è regnare, come detto è. E per vederti regnare e vivere in grazia, dissi che io desideravo di vederti vera serva e sposa di Cristo crucifisso. Abbi buona e santa pazienzia in questo e in ogni altra cosa che ti potesse avenire. Altro non ti dico.

Permane ne la santa e dolce dilezione di Dio.

Molto mi racomanda a missere Piero e a madonna Benedetta e a Lisabetta e a tutti gli altri. Gesù dolce, Gesù amore. Fatta a dì xxvi d'ottobre 1378.

Poi che ebbi scritta questa lettera ne ricevetti una da te. So' molto allegra del tuo santo desiderio, e così ti prego che 'l conservi.



263

A madonna Montagna serva di Dio, in Capitone nel contado di Narni.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Carissima e dilettissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arsa e consumata nel fuoco della divina carità, la quale carità non cerca le cose sue (1Co 13,5), cioè che non cerca sé né il prossimo per sé, né Dio per sé: ma sé e 'l prossimo per Dio, e Dio per lui medesimo, in quanto egli è degno d'essere amato come somma eterna bontà.

Questo fuoco arde, e non consuma (Ex 3,2): non consuma dico affligitivamente, che affligga o disecchi l'anima (ma ingrassala, ugnendola di vera e perfetta umilità, la quale è baglia e nutrice d'essa carità), ma consuma ogni amore propio spirituale e temporale e ogni altra cosa che trovasse ne l'anima fuore della dolce volontà di Dio. Dico che consuma l'amore propio temporale: però che col lume à cognosciuta sé, e le cose temporali e transitorie essere tutte strumento di morte che uccidono l'anima che disordinatamente le possiede; e però le comincia ad odiare, e gittarle fuore del cuore e della mente sua. E perché l'anima non può vivere senza amore, subbito comincia a drizzare l'affetto e l'amore verso la ricchezza delle virtù, unde questo fuoco d'amore per forza del calore suo consuma l'altro amore. Poi che l'anima l'à così consumato in sé, anco non è però perfetta, ma infino che non giogne a la sua perfezione le rimane uno amore proprio spirituale o verso le creature o verso il Creatore, benché l'uno non è senza l'altro: però che, con quella imperfezione che noi amiamo Dio, con quella amiamo la creatura che à in sé ragione.

A che si vede che questo amore propio spirituale sia ne l'anima? Quando ama in sé la propia consolazione, per la quale lassarà di non adoperare la salute del prossimo suo - quando in quella operazione si vedesse diminuire la pace e quiete della mente, o altri essercizii che per sua consolazione volesse fare -; o quando alcuna volta amasse la creatura di spirituale amore, e a lei non paresse che quella creatura rispondesse a l'amore suo, o che avesse più stretta conversazione e mostrasse più amore a un'altra che a lei, ella ne sostiene pena gravissima, sdegno e dispiacere, e spesse volte giudicio nella mente sua, e dilungasi da quella creatura, sotto colore di umilità e di più avere la sua pace: ed egli è il proprio amore che ella à a sé medesima.

Questi sonno e' segni verso la creatura, che l'amore sensitivo spirituale non è anco consumato in quella anima; verso el Creatore è quando la mente ricevesse alcuna tenebre, battaglie, o privazione delle consolazioni usate: se ella per questo viene a tedio o a confusione di mente, per la quale confusione e tedio spesse volte lassarà il dolce essercizio de l'orazione - la qual cosa non debba fare, ma per ogni modo debba pigliare la madre de l'orazione, e non partirla da sé -: che se ella lassa questo, o veruno atto virtuoso, segno è che l'amore è mercennaio, cioè che ella ama per propia consolazione, e che l'amore propio del diletto spirituale è anco radicato ne l'anima sua.

Dico che 'l fuoco della divina carità el consuma, e leva la imperfezione; fa l'anima perfetta ne l'amore di Dio e dilezione del prossimo: non cura, per onore di Dio e salute de l'anime, di perdere le proprie consolazioni; non rifiuta labore, anco si diletta di stare in su la mensa del crociato desiderio, accompagnando l'umile e immaculato Agnello. Ella piagne con quelli che piangono (Rm 12,15), e fassi inferma con quegli che sonno infermi: però che le colpe altrui reputa sue. Ella gode con quelli che godono (Rm 12,15), dilargando el cuore nella carità del prossimo, che più è contenta del bene, pace e consolazione altrui, che di sé medesima. Dico che piagne e fassi inferma con quelli che piangono e che sono infermi. Quello che ama, ogni gente vorrebbe che l'amasse e non si scandelizza perché vedesse un altro essere più amato di lei; ma con vera umilità - perché reputa sé defettosa, e l'altre virtuose - le pare giusta cosa e convenevole che quella in cui si truova la virtù, sia più amata di lei. Per questo modo fugge ogni sdegno pena e fatiga, e rimane in pace e in quiete la mente sua.

Questa carità unisce l'anima con Dio, annegando la volontà sua, e vestela e uniscela con la etterna volontà di Dio, in tanto che di neuna cosa si può scandelizzare né turbare la mente sua, se non dell'offese fatte al suo Creatore, e della dannazione de l'anime. Questo è uno fuoco che converte ogni cosa in sé, e fa levare l'affetto de l'anima sopra sé medesima, ricevendo tanta unione per elevazione di mente, che à fatta nella divina carità, che 'l vasello del corpo suo perde ogni sentimento, in tanto che vedendo non vede, udendo non ode, parlando non parla, andando non va, toccando non tocca: tutti e' sentimenti paiono legati, e pare perduta la virtù loro, perché l'affetto si perdé a sé, e unissi in Dio.

Unde Dio con la virtù e carità sua trasse a sé quello affetto: e però mancano e' sentimenti del corpo, perché più perfetta è l'unione che l'anima à fatta in lui, che quella che è dell'anima nel corpo. Egli trae a sé le potenzie dell'anima con tutte le sue operazioni, perché la memoria s'è impita del ricordamento de' beneficii, e della grande bontà sua; l'intelletto à posto dinanzi a sé la dottrina di Cristo crocifisso, data a noi per amore; e però la volontà corre con grandissimo affetto ad amarla. Allora tutte le operazioni sono ordinate e congregate nel nome suo. Ella gusta il latte della divina dolcezza, ella s'inebria del sangue di Cristo, e, come ebra, non si vuole satollare altro che d'obrobrii, abracciando rimproverii scherni e villanie, freddo e caldo, fame e sete, persecuzione dagli uomini e molestie dalle dimonia: in tutte si gloria col glorioso Pavolo in Cristo dolce Gesù.

Dissi che la carità non cercava sé, perché non elegge tempo né luogo a modo suo, ma secondo che l'è conceduto dalla divina bontà; e però ogni luogo l'è luogo, ogni tempo l'è tempo. Tanto le pesa la tribolazione quanto la consolazione, perché ella cerca l'onore di Dio nella salute dell'anime, con affetto d'acquistare le vere e reali virtù e di crescere in esse. Qui à fatto el suo principio: non nelle proprie consolazioni mentali, né in revelazioni; non in uccidere il corpo, ma la propria volontà, avendo veduto col lume che in quello non sta la perfezione de l'anima, ma sì in uccidere la propria volontà spirituale e temporale: e però liberamente la gitta nel fuoco della fornace della divina carità. Poi che ella v'è dentro, di bisogno è che ella sia arsa e consumata per lo modo che detto è.

Poi che aviamo veduto non cavelle a rispetto di quello che è quello che dà questa dolce madre della carità nell'anima, vediamo in che luogo s'acquista e con che. Dicovelo in poche parole: acquistasi col lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla dell'occhio de l'intelletto. Con questo vede l'anima quello che debba amare, e quello che debba odiare; vedendo cognosce, e cognoscendo ama e odia quello che cognobbe della divina bontà, e della sua malizia e miseria, la quale era nociva a la salute sua. Chi ne fu cagione? el lume onde procedette el cognoscimento, e dal cognoscimento l'amore, però che la cosa che non si cognosce, non si può amare. Adunque el lume ci conduce a questo fuoco, ed è unito l'uno coll'altro, ché fuoco non è senza lume, né lume senza fuoco.

Dove il troviamo? nella casa del cognoscimento di noi. In noi troviamo questo dolce e amoroso fuoco, perché per amore ci à dato l'essere: creati siamo a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26) e ricreati a grazia nel sangue di Cristo crocifisso, però che l'amore di noi il tenne confitto e chiavellato in croce. Noi siamo quelli vaselli che aviamo ricevuta l'abbondanzia del sangue; e tutte le grazie spirituali e temporali date a noi sopra l'essere, aviamo ricevute per amore. Sì che in sé truova l'anima, e cognosce, questo fuoco dolce. Adunque con lume intriamo nella casa del cognoscimento di noi; e ine ci notricaremo della divina carità, vedendo noi essere amati da Dio inestimabilmente, la quale carità notrica al petto suo e' figliuoli delle virtù, e fa vivere l'anima in grazia: e senza essa saremmo sterili e private della vita. Considerando me questo, dissi ch'io desideravo - e così desidero in me con voi insieme - di vederci arse e consumate nella fornace della divina carità. Prego la clemenzia dello Spirito santo che questo ci facci per grazia, acciò che la divina bontà sia gloriata in noi, consumando la vita nostra in dolore e amaritudine dell'offese fatte a lui, con umile continua e fedele orazione per la santa Chiesa, e per ogni creatura. Anneghianci nel sangue de l'Agnello. Altro non vi dico. Umilemente mi vi raccomando.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



264

A madonna Jacoma, donna che fu di missere Trincia de' Trinci da Fulegno.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta pazienzia, considerando me che l'anima non può piacere a Dio né stare nella sua grazia senza la virtù della pazienzia - però che, essofatto che ella è impaziente, è privata di Dio per grazia -: però che la impazienzia procede da l'amore proprio di sé medesima, vestita della propria volontà sensitiva, e l'amore proprio e la propria sensualità non è in Dio.

Adunque vedete che l'anima che è impaziente è privata di Dio.

Impossibile è, dice Cristo, che l'uomo possa servire a due signori, però che se elli serve all'uno, elli sarà in contempto all'altro, perché sono contrarii (Mt 6,24 Lc 16,13). El mondo e Dio non ànno conformità insieme, e però sono tanto contrarii e' servi del mondo a' servi di Dio: colui che serve al mondo non si diletta d'altro se non d'amare - con la propria sensualità e di disordenato amore - delizie, ricchezze, stati, onore e signoria; le quali cose tutte passano come el vento, però che non ànno in loro alcuna fermezza né stabilità. Appetisce la creatura con amore disordenato la longa vita, ed ella è breve; la sanità, e spesse volte ci conviene essere infermi. E tanto è la poca fermezza loro in ogni diletto e consolazione del mondo, che di bisogno è che o elle sieno tolte a noi, o che noi siamo tolti a loro. Alcuna volta permette Dio che elle sieno tolte a noi: e questo è quando noi perdiamo la sustanzia temporale, o eziandio la vita corporale di coloro che noi amiamo; o elli viene caso che noi lassiamo loro: e questo è quando Dio ci chiama di questa vita, morendo corporalmente.

Dico che per lo disordenato amore che e' servi del mondo ànno posto a loro medesimi, col quale amore disordenato amano ogni creatura - e figliuoli e marito e fratelli e padre e madre; e tutti e' diletti del mondo ànno -, perdendoli, e sostengono intollerabile pena, e sono impazienti e incomportabili a loro medesimi. E non è da maravigliarsene, però che tanto si perdono con dolore, quanto l'affetto dell'anima le possede con amore. In questa vita gustano l'arra dello 'nferno, in tanto che se essi non si proveggono in ricognoscere le colpe loro, e con vera pazienzia portare - considerando che Dio l'à permesso per nostro bene -, giongono all'etterna dannazione.

O quanto è stolto, carissime suore e figliuole, colui che si dà ad amare questo miserabile signore del mondo, el quale non à in sé alcuna fede, anco è pieno d'inganno; e ingannato rimane colui che se ne fida! Elli si mostra bello, ed elli è sozzo; elli ci vuole mostrare che elli sia fermo e stabile, ed elli si muta. Bene lo vediamo manifestamente: ché oggi siamo ricchi, e domane povari; oggi signori, e domane vassalli; oggi vivo, e domane morto: sì che vediamo dunque che non è fermo. Questo parbe che volesse dire quello glorioso di Paulo dicendo: «Abbiti cura a coloro che presummono di fidarsi di loro e del mondo, ché quando tu credi bene stare, e tu vieni meno» (1Co 10,12). E così è la verità; doviamo dunque levarci da l'amore e fidenzia che aviamo al mondo, poiché ci dà tanto male di colpa e di pena da qualunque lato noi ci volliamo. Elle danno molestia e scandalo a chi le possede fuore di Dio; in Dio dunque doviamo amare ciò che noi amiamo, e a gloria e a loda del nome suo.

E non vorrei che voi credeste che Dio non volesse che noi amassimo, però che elli vuole che noi amiamo, però che tutte le cose che sono fatte da lui sono degne d'essere amate - perché Dio, che è somma bontà, à fatte tutte le cose buone, e non può fare altro che bene -, ma solo el none amarle con ordine secondo Dio e con vera umilità, ricognoscendole da lui, è quello che le fa gattive: ed è male di colpa. Questa colpa dunque, che è una disordenata nostra volontà con la quale amiamo, non è degna d'essere amata; anco è degna d'odio e di pena, perché non è in Dio. Molto è discordante veramente, questo misero signore del mondo, da Dio: Dio vuole virtù, e 'l mondo vizio; in Dio tutta pazienzia, e 'l mondo impaziente.

In Cristo crucifisso è tutta clemenzia ed è fermo e stabile che mai non si muove, e le sue promesse non fallano mai, però che elli è vita (Jn 1,4 Jn 14,6) e inde aviamo la vita; elli è verità (Jn 14,6) che attiene la promessa, ogni bene remunera e ogni colpa punisce; elli è luce che ci dà lume (Jn 8,12); elli è nostra speranza, nostro proveditore e nostra fortezza; e a chi si confida in lui, elli non manca mai, però che tanto quanto l'anima si confida nel suo Creatore, tanto è proveduta. Elli tolle la debilezza, e fortifica el cuore del tribulato che con vera umilità e confidenzia chiede l'aiutorio suo, pur che noi volliamo l'occhio de l'intelletto - con vero lume - a la sua inestimabile carità. El quale lume acquistaremo ne l'obiecto del sangue di Cristo crucifisso; però che senza el lume non potremmo vedere quanto è miserabile cosa amare el mondo, né quanto è bene e utilità amare e temere Dio: ché, non vedendo, non si potrebbe amare chi è degno d'amore, né dispregiare el vizio e 'l peccato, che è degno d'odio.

Or a questo dolce Signore voglio che con vera pazienzia voi serviate. Voi avete provato quanto è penosa la servitudine del mondo, e con quanta pena viene tosto meno; dunque acostatevi a Cristo crucifisso, e lui cominciate a servire con tutto el cuore e con tutta l'anima, e con vera pazienzia portare la santa disciplina che elli v'à posta non per odio, ma per amore che elli ebbe alla salute dell'anima sua, a la quale ebbe tanta misericordia, permettendo che morisse nel servizio della santa Chiesa: ché, essendo morto in altro modo - per li molti viluppi e tenerezze del mondo e affanno degli amici e de' parenti, e' quali spesse volte sono impedimento della nostra salute -, avarebbe avuto molto che fare. Volendo dunque Dio, che l'amava di singulare amore, provedere alla sua salute, permisse di conducerlo a quello punto, el quale fu dolce all'anima sua. E voi dovete essere amatrice più dell'anima che del corpo, però che el corpo è mortale, ed è cosa finita, e l'anima è immortale e infinita.

Sì che vedete che la somma providenzia à proveduto a la sua salute; e a voi à proveduto di farvi portare delle fadighe per avere di che remunerarvi in vita etterna. Già aviamo detto che ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita: cioè ogni pena e tribulazione che con pazienzia si porta, e ogni impazienzia e mormorazione che aviamo, e odio contra Dio e 'l prossimo nostro e noi medesimi. E anco à voluto el dolce e buono Gesù che cognosciate che cosa è el mondo, e quanto è miserabile cosa a farsi Dio de' figliuoli, o marito, o stato, o d'alcuna altra cosa.

E se voi mi diceste: «La fadiga è sì grande che io non la posso portare», io vi rispondo, carissima suoro, che la fadiga è piccola, e puossi portare. Dico che è piccola per la piccolezza e brevità del tempo, però che tanto è grande la fadiga quanto el tempo, ché, passati che noi siamo di questa vita, sono finite le nostre fadighe. El tempo nostro quanto è? Dicono e' santi che elli è quanto una punta d'aco, che per altezza né per lunghezza non è cavelle: così è la vita del corpo nostro, però che subbito viene meno quando piace alla divina bontà di trarci di questa vita. Dico che si può portare, però che nullo è che le possa tòllere da sé per alcuna impazienzia. Assai dica: «Io non posso né voglio portare», che gli conviene pur portare; e il suo non volere agiogne fadiga sopra fadiga con la propria sua volontà, nella quale volontà sta ogni pena, però che tanto è grande la fadiga, quanto la volontà la fa grande: tollemi la volontà, ed è tolta la fadiga.

E con che si tolle questa volontà? Con la memoria del sangue di Cristo crucifisso. Questo sangue è di tanto diletto che ogni amaritudine, nella memoria di questo sangue, diventa dolce, e ogni grande peso diventa leggiero: - però che nel sangue di Cristo troviamo l'amore ineffabile con che siamo amati da lui però che per amore ci à data la vita e rendutaci la grazia, la quale per lo peccato perdemmo -; nel sangue troviamo la larghezza della sua misericordia; e ine si vede che Dio non vuole altro che el nostro bene. O sangue dolce, che inebbrii l'anima! Elli è quello sangue che dà pazienzia; elli ci veste el vestimento nuziale col quale ci conviene entrare a vita etterna: questo è el vestimento della carità, senza el quale saremmo cacciati del convito di vita etterna (Mt 22,11-13). Veramente, carissima suoro, che nella memoria di questo sangue acquistiamo ogni diletto e ogni refrigerio in ogni nostra fadiga e avversità. E però vi dissi che con la memoria del sangue di Cristo si tolleva la volontà sensitiva, la quale ci dà impazienzia; e vesteci, la detta memoria del sangue, de la volontà di Dio, dove l'anima porta con tanta pazienzia che di neuna cosa che l'avenga si può turbare, ma duolsi più quando si sentisse dolore de le fadighe, e ribellare alla volontà di Dio, che non fa delle proprie fadighe. E così dovete fare voi, e dolervi del sentimento vostro che si duole; e per questo modo mortificarete el vizio dell'ira e della impazienzia, e verrete a perfetta virtù.

E se voi considerate in voi medesima quante sono le pene che Cristo à portate per voi; e con quanto amore ve l'à concedute, solo perché siate santificata in lui; e quanto la fadiga è piccola per la brevità del tempo, come detto è; e come ogni nostra fadiga sarà remunerata; e quanto Dio è buono, e che la sua bontà non può volere se non tutto nostro bene, dico che ogni cosa - avendo questa santa considerazione - vi farà portare leggiermente, e ogni tribulazione, con vero cognoscimento de' nostri difetti - ché meritiamo ogni fadiga - e della bontà di Dio in noi, dove noi troviamo tanta misericordia: ché per le nostre colpe meritaremmo pena infinita ed elli ci punisce con queste pene finite; e insiememente si scontia el peccato e meritiamo vita etterna per la grazia sua - chi serve lui portando con vera pazienzia -. El quale è di tanta benignità, che el servire a lui non è essere servo, ma è regnare; e tutti gli fa re e signori liberi, perché gli à tratti della servitudine del dimonio, e del perverso tiranno del mondo, e della oscura sua servitudine.

Or su dunque, carissime figliuole, poi che tanto è amaro el servire e amare di disordenato amore el mondo le creature e noi medesimi; ed è tanto dolce a servire e a temere el nostro dolce Salvatore, signore nostro naturale - che ci à amati prima che noi fussimo, per la sua infinita carità! - Non è dunque da perdere più el tempo, ma con vero lume e viva fede, confidandoci che elli ci soverrà a ogni nostro bisogno, el serviamo con tutto el cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze nostre, e con reale pazienzia, la quale è piena di dolcezza.

Questa virtù è sempre donna, sempre vince, e non è mai vinta, però che non si lassa signoreggiare né possedere dall'ira; chi l'à, non vede morte etternale, ma in questa vita gusta l'arra di vita etterna. E senza essa stiamo nella morte, privati del bene della terra e del bene del cielo. E però dissi, vedendo tanto pericolo, e sentendo che - per lo caso occorso a voi - voi n'avavate bisogno a ciò che non perdeste el frutto delle vostre fadighe, dissi che io desideravo di vedervi fondate in vera e perfetta pazienzia. E così dovete fare, a ciò che, quando sarete richieste dalla prima dolce Verità nell'ultimo punto de la morte, potiate dire: «Signore mio, io ò corso () e consumata questa vita con fede e con speranza che io ebbi in te, portando con pazienzia le fadighe che per mio bene mi concedesti. Ora t'adimando per grazia, per li meriti del sangue tuo, che tu mi doni te, el quale se' vita senza morte, luce senza tenebre, sazietà senza alcuno fastidio, e fame dilettevole senza alcuna pena: pieno d'ogni bene in tanto che la lingua nol può dire, né el cuore pensare, né l'occhio vedere quanto è quello bene che tu ài apparecchiato a me e agli altri che sostengono volontariamente ogni fadiga per lo tuo amore».

Io vi prometto, carissima suoro, che facendo così, Dio vi rimettarà ancora nella casa vostra temporale, e nell'ultimo tornarete alla patria vostra di Yerusalem, visione di pace; sì come fece a Job, ché, provato che elli ebbe la sua pazienzia (avendo perduto ciò che elli aveva (Jb 1,14-17), morti e' figliuoli (Jb 1,18-19), e perduto l'avere e toltogli la sanità (Jb 2,7) - in tanto che le sue carni menavano vermini -, la moglie gli era rimasa per suo stimolo, che sempre el tribolava (Jb 2,9); e in tutte queste cose Job non si lagna, anco dice: «Dio me le dié, e Dio me l'à tolte; in ogni cosa sia gloriato el nome suo » (Jb 1,21)), vedendo Dio tanta pazienzia in Job, gli restituì d'ogni cosa el doppio più che non aveva (Jb 42,10), dandoli qui la sua grazia, e nel fine vita etterna.

Or così fate voi, e non vi lassate ingannare alla passione sensitiva, né al mondo, né al dimonio, né a detto d'alcuna creatura. E guardatevi da l'odio del cuore verso el prossimo vostro, però che elli è la peggiore lebra che sia. L'odio fa nell'anima come colui che vuole uccidere el nemico suo; il quale, vollendo la punta del coltello verso di lui, uccide prima sé medesimo, che elli uccida. Così l'odio: però che prima è morta l'anima dal coltello de l'odio, che elli uccida altrui. Spero nella bontà di Dio che 'l farete.

E a ciò che meglio el potiate fare, usate di confessarvi spesso, e di ritrovarvi volentieri co' servi di Dio, e di dilettarvi de l'orazione, dove l'anima cognosce meglio e sé e Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo crucifisso. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 260