Caterina, Lettere 265

265

A Francesco e a monna Agnesa predetti.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliati di voi medesimi e vestiti di Cristo crucifisso (Ep 4,22-24), morti ad ogni propria voluntà, e a ogni parere e piacere umano; e solo viva in voi la dolce sua volontà, però che in altro modo non veggo che poteste perseverare ne la virtù, e, non perseverando, non ricevareste la corona de la beatitudine, e così avreste perduto el frutto de le vostre fadighe.

Voglio adunque, figliuoli miei dolci, che in tutto vi studiate d'uccidere questa perversa volontà sensitiva, la quale sempre vuole ribellare a Dio. El modo da uccidarla è questo: di salire sopra la sedia de la conscienzia vostra, e tenersi ragione, e non lassare passare uno minimo pensiero fuore di Dio che non sia corretto con grande rimproverio.

Faccia l'uomo due parti di sé, cioè la sensualità e la ragione: questa ragione tragga fuore el coltello de' due tagli, cioè odio del vizio e amore de la virtù, e con esso tenga la sensualità per serva, dibarbicando e divellendo ogni vizio e movimento di vizio de l'anima sua. E mai non dia a questa serva cosa che ella gli adimandi: ma con l'amore de le virtù conculcarla sotto i piei dell'affetto. Se ella vuole dormire, e tu con la vigilia e con l'umile orazione; se vuole mangiare, e tu digiuna; se si leva con concupiscenzia, e tu con la disciplina; se vuole starsi in negligenzia, e tu con l'essercizio santo; se s'aviluppa - per sua fragilità o per illusione del demonio - in vani e disonesti pensieri, e tu ti leva col rimproverio, vituperandola, e con la memoria de la morte la 'mpaurisce, e con santi pensieri cacciare i disonesti: e così in ogni cosa fare forza a voi medesimi. Ma ogni cosa con discrezione, cioè, de la vita corporale, pigliando la necessità de la natura, a ciò che il corpo, come strumento, possi aitare all'anima, ed essercitarsi per Dio.

Per questo modo, con molta forza e violenzia che farete a questa perversa legge de la carne nostra e de la voluntà propria, avrete vittoria di tutti e' vizii, e acquistarete in voi tutte le virtù. Ma questo non veggo che poteste fare mentre che fuste vestiti di voi, e però vi dissi che io desideravo di vedervene spogliati, e vestiti di Cristo crucifisso, e così vi prego strettissimamente che v'ingegniate di fare, a ciò che voi siate la gloria mia. Fate che io vi vegga due specchi di virtù nel conspetto di Dio, e levatevi oggimai da tanta negligenzia e ignoranzia quanta io sento in voi; non mi date materia di pianto, ma d'allegrezza. Non dico più qui.

Spero ne la bontà di Dio che ancora mi darà consolazione di voi.

Per molte occupazioni e per la poca mia carità, non v'ò scritto già è buono pezzo. Non voglio però che ne pigliate pena, ma con fede viva tenete che più che mai desidero di vedervi scritti nel libro de la vita, e dinanzi a Dio vi tengo con quello desiderio che è piaciuto e piace a la sua bontà di infondere nell'anima di me miserabile, e così intendo di fare per lo inanzi, mediante la divina grazia. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio.

Confortate e benedicete Bartalo e monna Orsa con tutta la loro fameglia, e beneditemi Bastiano. Diteli che impari di forza e che si guardi da l'usanze de' gattivi fanciulli, ché se nol farà io gli sarò più presso che elli non crede. Tutti stiamo bene per la grazia di Dio. Lisa, Alessa e le Giovanne molto vi confortano in Cristo Gesù, e questo negligente di Barduccio vi si racomanda. Se con questa vi sono date due altre lettere, fate che tosto siano date a cui elle vanno. Gesù dolce, Gesù amore.




266

A messere Ristoro Canigiani da Fiorenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi privato d'ogni amore proprio di voi medesimo, acciò che non perdiate el lume e 'l cognoscimento di vedere l'amore ineffabile che Dio v'à.

E perché il lume è quello che cel fa cognoscere, e l'amore proprio è quella cosa che ci tolle il lume, però ò grandissimo desiderio di vederlo spento in voi. Oh quanto è pericoloso alla nostra salute questo amore proprio! Egli priva l'anima della grazia, perché le tolle la carità di Dio e del prossimo - la quale carità ci fa vivere in grazia -; egli ci tolle il lume, come dicemmo, perché offusca l'occhio dell'intelletto: tolto el lume, andiamo in tenebre e non cognosciamo quello che c'è necessario. Che c'è di bisogno cognoscere? La grande bontà di Dio e la ineffabile carità sua inverso di noi; la nostra miseria e la legge perversa che sempre impugna contro lo spirito. In questo cognoscimento l'anima comincia a rendare il debito suo a Dio - cioè gloria e loda al nome suo, amando lui sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27), con fame e desiderio delle virtù -; a sé rende odio e dispiacere, odiando in sé el vizio e la propria sensualità che è cagione d'ogni vizio. Ogni virtù e grazia acquista l'anima nel cognoscimento di sé, standovi dentro col lume, come detto è. Dove trovarrà l'anima la ricchezza della contrizione delle colpe sue, e l'abbondanzia della misericordia di Dio? In questa casa del cognoscimento di sé. Or vediamo se noi ce la troviamo o no.

Parlianne alcuna cosa perché, secondo che mi scriveste, voi avete desiderio d'avere contrizione de' vostri peccati; e non parendovela avere, per questo lassavate la santa comunione. E anco vedremo se per questo si debba lassare. Voi sapete che Dio è sommamente buono, e amocci prima che noi fussimo; ed è etterna sapienzia; e la sua potenzia e virtù è inestimabile: unde per questo siamo certi che egli ci sa dare quello che ci bisogna, e che egli può e vuole. E bene vediamo per pruova che egli ci dà più che non sappiamo adimandare, e quello che non è adimandato per noi. Pregammolo noi mai che egli ci creasse più creature ragionevoli, alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26), che animali bruti? No, né che egli ci recreasse a grazia nel sangue del Verbo unigenito suo Figliuolo, né che egli ci lassasse in cibo tutto sé Dio e Uomo, la carne e 'l sangue, el corpo e l'anima unita nella deità. Oltre a questi altissimi doni, e' quali sonno sì grandi - e tanto fuoco d'amore ci mostrano che non è cuore sì duro o di pietra che, a considerarli punto, non si dissolvesse la durizia e fredezza sua -, infinite sonno le grazie e doni che riceviamo da lui senza nostro adimandare. Adunque, poiché egli dà tanto senza nostro chiedere, quanto maggiormente compirà e' desiderii nostri quando desiderremo cosa giusta? Anco, chi ce le fa desiderare e adimandare? Solamente egli. Dunque se egli le fa adimandare, segno è che elli le vuole compire, e dare quello che adimandiamo.

Ma voi mi direte: «Io confesso che egli è ciò che tu dici; ma unde viene che molte volte io adimando e la contrizione e dell'altre cose, e non pare che mi siano date?». Io vi rispondo: o egli è per difetto di colui che adimanda, dimandando imprudentemente, solo con la parola e non con altro affetto (di questi cotali disse il nostro Salvatore che 'l chiamano «Signore, signore!», dicendo che non saranno cognosciuti da lui (Mt 7,22-23 Lc 13,25): non che egli non gli cognosca; ma per li loro difetti non saranno cognosciuti dalla misericordia sua). O egli dimanda cosa che, avendola, sarebbe nociva alla salute sua, unde, non avendo quello che dimanda, sì l'à, però che egli el dimanda credendo che sia suo bene: avendolo gli farebbe male, e non avendolo gli fa bene; e così Dio à compita la sua intenzione con la quale adomandava.

Sì che dalla parte di Dio sempre l'aviamo; ma è bene questo, che Dio sa l'occulto e il palese, e cognosce le nostre imperfezioni: unde vede che, se subbito egli ci desse la grazia che noi adimandiamo, noi faremmo come la mosca che è animale immondo, la quale, levata dal mèle che è dolcissimo, non si cura di ponersi in su la cosa fetida. Così vede Dio che spesse volte facciamo noi che, ricevendo delle grazie e de' benefizii suoi, participando la dolcezza della sua carità, non ci curiamo di ponarci in su le miserie, tornando al vomito del fracidume del mondo (2P 2,22 Pr 26,11). E però Dio alcuna volta non ci dà, così tosto come vorremmo, quello che adimandiamo, per farci crescere in fame e in desiderio; e perché si diletta, cioè piaceli, di vedere innanzi a sé la fame della sua creatura.

Alcuna volta farà la grazia dandola in effetto, ma non per sentimento: questo modo usa con providenzia perché cognosce che, se l'anima se la sentisse avere, o allentarebbe la fune del desiderio, o verrebbe a presunzione: e però sottraie el sentimento, ma non la grazia. Altri sonno che ricevono e sentono, secondo che piace alla dolce bontà sua, come nostro medico, di dare a noi infermi: a ognuno dà per quello modo che bisogna alle nostre infermità. Adunque vedete che, in ogni modo, l'affetto della creatura col quale dimanda a Dio sempre è adempito.

Ora vediamo quello che doviamo adimandare, e con che prudenzia. Parmi che la prima dolce Verità c'insegni quello che doviamo adimandare, quando disse nel santo Evangelio, riprendendo l'uomo della disordinata sollicitudine sua, la quale mette in acquistare e tenere gli stati e le ricchezze del mondo, dicendo: «Non voliate pensare del dì di domane, basta il dì la sollicitudine sua» (Mt 6,34). Qui ci mostra che con prudenzia raguardiamo la brevità del tempo. Poi soggiogne: «Domandate prima el reame del cielo; ché queste cose minime, ben sa el Padre celestiale che voi n'avete bisogno» (Mt 6,33-32 Lc 12,31).

Quale è questo reame? E con che s'adimanda? E' il reame di vita etterna, ed è il reame de l'anima nostra, el quale reame de l'anima, se non è posseduto dalla ragione, giamai non entra nel reame di Dio. Con che si dimanda? Non solamente con la parola - ché già aviamo detto che questi cotali non sonno cognosciuti da Dio -, ma con l'affetto delle vere e reali virtù.

La virtù è quella che dimanda e possiede il reame del cielo, la quale virtù fa l'uomo prudente, che con prudenzia e maturità adopera in onore di Dio, in salute sua e del prossimo, portando e sopportando e' difetti suoi: con prudenzia ordina l'affetto della carità, amando Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesima. L'ordine è questo: che egli dispone di dare la vita del corpo suo per salute de l'anime, e la substanzia temporale per campare el corpo del prossimo suo. Questo ordine pone la carità prudente; se fusse imprudente farebbe tutto el contrario, come fanno molti che usano una stolta e matta carità, che molte volte, per campare il prossimo loro - non che l'anima, ma la vita corporale - ne pongono l'anima loro, con giuri e menzogne, dando false testimonanze. Costoro perdono la carità, perché non è condita con la prudenzia.

Veduto aviamo che ci conviene adimandare il reame del cielo prudentemente. Ora vi rispondo al modo che doviamo tenere della santa comunione, e come ce la conviene prendere; e non doviamo usare una stolta umilità, come fanno molti secolari mondani. Dico che ci conviene prendere questo dolce sacramento, perché ci è comandato e perché egli è cibo de l'anima, senza el quale cibo non potiamo vivere in grazia. Però che neuno legame è tanto grande nell'anima che non si debba e possa tagliare per potere venire a questo dolce sacramento, debbe fare l'uomo dalla parte sua ciò che può: e bastali.

Come il doviamo prendere? Con la bocca del santo desiderio; e col lume della santissima fede raguardare tutto Dio e tutto Uomo in quella ostia. Allora l'affetto che va dietro a lo 'ntelletto prende con uno affettuoso amore, con una santa considerazione de' difetti e peccati suoi, unde viene a contrizione; e considera la larghezza della inestimabile carità di Dio che con tanto amore se gli è dato in cibo. E perché non gli paia avere quella perfetta contrizione e disposizione che esso medesimo vorrebbe, non debba lassare però; perché egli è sufficiente solo la buona voluntà e disposizione che dalla sua parte à fatta.

Anco dico che cel conviene prendere sì come fu comandato nel Testamento Vecchio, quando fu comandato che si mangiasse l'agnello arrostito e non lesso; tutto e non parte; cinti e ritti, col bastone in mano; e il sangue dell'agnello ponessimo sopra 'l limitare dell'uscio (Ex 12,3-11). Per questo modo ci conviene prendere questo sacramento: mangiarlo arrostito, e non lesso, però ché, lesso, v'è in mezzo - tra l'agnello e 'l fuoco - l'acqua e la terra, cioè l'affetto terreno e l'acqua del proprio amore. E però vuole essere arrostito, che non v'è in mezzo cavelle: alora si prende arrostito quando el riceviamo col fuoco della divina dolce carità. E doviamo essere cinti col cingolo della continenzia, ché troppo sarebbe sconvenevole cosa che a tanta mundizia e purità s'andasse con la mente e con lo corpo immondi. Doviamo stare ritti, cioè che 'l cuore e la mente nostra sia tutto fedele e drizzato in Dio; col bastone in mano, cioè il bastone della santissima croce, unde traiamo la dottrina di Cristo crocifisso, che è quello bastone al quale noi ci appogiamo, e che ci difende da' nemici nostri, cioè dal mondo, dal dimonio e dalla carne. E conviensi mangiare tutto, e non parte: cioè che col lume della fede doviamo raguardare non solamente l'umanità in questo sacramento, ma el corpo e l'anima di Cristo crocifisso unita e impastata con la deità, tutto Dio e tutto Uomo. Convienci tòllere il sangue di questo Agnello, e ponercelo in fronte, cioè confessarlo ad ogni creatura che à in sé ragione, e mai non dinegarlo né per pena né per morte. Or così dolcemente ci conviene prendere questo Agnello arrostito al fuoco della carità in sul legno della croce: così saremo trovati segnati del segno di tau (Ez 9,4), e non sarremo percossi da l'Angelo percussore (Ex 12,23).

Dissi che non ci conviene fare come gl'imprudenti secolari, e' quali trapassano il comandamento della santa Chiesa, dicendo: «Io non ne so' degno»; e così passano luongo tempo col peccato mortale e senza el cibo de l'anima loro. O umilità stolta! E chi non vede che tu non ne se' degno? Quale tempo aspetti d'esserne degno? Non l'aspettare, ché tanto ne sarai degno nell'ultimo, quanto nel principio, ché con tutte le nostre giustizie non ne saremo mai degni. Ma Dio è colui che è degno, e della sua dignità fa degni noi.

La sua dignità non diminuisce mai. Che doviamo fare? Disponerci dalla parte nostra, e osservare il dolce comandamento. Che se noi lassassimo la comunione, per lo modo detto, credendo fuggire la colpa cadremmo nella colpa.

E però io conchiudo e voglio che così-fatta stoltizia non sia in voi; ma che vi disponiate, come fedele cristiano, a ricevere questa santa comunione per lo modo che detto è. Tanto perfettamente il farete, quanto starete nel cognoscimento di voi, altrimenti no; però che, standoci, ogni cosa vedrete schiettamente. Non allentarete il desiderio vostro per pena o per danno, né per ingiuria che riceviate, né per ingratitudine di coloro a' quali voi avete servito; ma virilmente con longa e vera perseveranzia perseverrete infino alla morte, e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



267

A frate Ramondo da Capova dell'ordine de' Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore contra le molestie e insidie del dimonio, e contra le malizie e persecuzioni delli uomini, e contra el vostro proprio amore sensitivo, el quale è quello nemico che se la persona non el parte da sé con la virtù, e con odio santo, già mai non può essere forte contra all'altre battaglie che tutto dì riceviamo.

Perché l'amore proprio indebilisce, e però c'è necessario di privarcene con la forza della virtù, la quale acquistaremo nell'amore ineffabile che Dio ci à manifestato col mezzo del sangue dell'unigenito suo Figliuolo. El quale amore, tratto dell'amore divino, ci dà lume e vita; lume in cognoscere la verità: quanto elli è di bisogno, alla nostra salute e ad acquistare la grande perfezione, el sostenere con vera pazienzia e fortezza e constanzia infine alla morte; da la quale fortezza, acquistata dal lume che ci fece cognoscere la verità, acquistiamo la vita della divina grazia.

Inebriatevi dunque nel sangue dello immaculato Agnello; e siate servo fedele, e non infedele, al vostro Creatore; e non dubbitate, né vollete el capo indietro per alcuna battaglia o tenebre che vi venisse, ma con fede perseverate infino alla morte, però che voi sapete bene che la perseveranzia vi darà el frutto de la vostra fadiga.

Ò inteso da alcuna serva di Dio, la quale vi tiene per continua orazione dinanzi da lui, che avete sentite grandissime battaglie; e tenebre sono cadute nella mente vostra per illusione e inganno del dimonio, volendovi fare vedere el torto per ritto, e 'l ritto per torto: e questo fa perché veniate meno nell'andare, a ciò che non giogniate al termine. Ma confortatevi, ché Dio à proveduto e provedarà, e non vi mancarà la providenzia sua. Fate che in tutto ricorriate a Maria, abracciando la santissima croce, e non vi lassate venire mai a confusione di mente, ma nel mare tempestoso navicate con la navicella de la divina misericordia.

So che dagli uomini religiosi o secolari, e anco nel corpo mistico de la santa Chiesa, se riceveste o aveste ricevuto alcuna persecuzione o dispiacimento e indegnazione dal vicario di Cristo - o per voi, o aveste sostenuto o sosteneste per me con tutte queste creature -, non state a contastare ma con pazienzia sostenete: partendovi di subbito, e andandovene in cella a cognoscere voi medesimo con una santa considerazione; pensando che Dio vi facci degno di sostenere per amore della verità e d'essere perseguitato per lo nome suo (Ac 5,41 1P 4,14); con vera umilità reputandovi degno della pena, e indegno del frutto. E tutte le cose che avete a fare, fate con prudenzia, ponendovi Dio dinanzi all'occhio vostro; e ciò che avete a dire o a fare, ditelo e fatelo inanzi tra Dio e a voi, col mezzo della santissima orazione. Ine trovarete el dottore de la clemenzia dello Spirito santo, el quale infonderà uno lume di sapienzia in voi che vi farà discernere ed eleggere quello che sarà suo onore. Questa è la dottrina che v'è data da la prima dolce Verità, procurando al vostro bisogno con smisurato amore.

Se venisse el caso, carissimo padre, che vi trovaste dinanzi alla Santità del vicario di Cristo, dolcissimo e santissimo padre nostro, umilmente me li racomandate; rendendomi io in colpa alla Santità sua di molta ignoranzia e negligenzia che io ò commessa contra Dio, e disobedienzia contra el mio Creatore, el quale m'invitava a gridare con ansietato desiderio: con l'orazione, che io gridasse dinanzi da lui; o con la parola e presenzia fussi presso al vicario suo. Per tutti quanti e' modi ò commessi smisurati difetti, per li quali io credo che elli abbi ricevute molte persecuzioni, e la Chiesa santa, per le molte iniquità mie. Per la quale cosa, se elli si lagna di me elli à ragione, e di punirmi de' difetti miei; ma diteli che io m'ingegnarò, giusta al mio potere, di correggiarmi ne le colpe mie, e di fare più a pieno l'obedienzia sua.

Sì che io spero, per la divina bontà, che vollarà l'occhio della sua misericordia verso della Sposa di Cristo e del vicario suo, e verso di me, tollendomi e' difetti e la mia ignoranzia; e verso della sposa in darle refrigerio di pace e di renovazione, con molto sostenere - però che in altro modo che senza fadiga non si possono trare le spine de' molti difetti, che affogano el giardino della santa Chiesa -; e a lui farà grazia colà dove elli voglia essere uomo virile, e non vòllere el capo indietro per alcuna fadiga o persecuzione che elli riceva dagl'iniqui figliuoli; ma, costante e perseverante, none schifi labore ma, come uno agnello, si gitti nel mezzo de' lupi (Mt 9,16), con fame e desiderio de l'onore di Dio e della salute dell'anime, lassando e alienando la cura delle cose temporali - e attendere a le spirituali -. Facendo così - che gli è richiesto da la divina bontà -, l'agnello signoreggiarà e' lupi, e i lupi tornaranno agnelli; e così vedaremo la gloria e la loda del nome di Dio, bene pace e utilità della santa Chiesa. Per altra via non si può fare; non con guerra, ma con pace e benignità, con quella santa punizione spirituale che debba dare el padre al suo figliuolo quando commette la colpa.

Oimé, oimé, oimé, santissimo padre, el primo dì che veniste nel luogo vostro l'aveste fatto! Spero nella bontà di Dio e nella santità vostra che quello che non è fatto farete; e per questo modo si racquistano le temporali e le spirituali. Questo vi richiese - come voi sapete che vi fu detto - Dio che faceste: di procurare alla reformazione della santa Chiesa - procurando in punire e' difetti e in piantare e' virtuosi pastori -; e pigliaste la pace santa con gl'iniqui figliuoli per lo migliore modo e più piacevole secondo Dio che fare si potesse, sì che poteste attendere a riparare con l'arme vostra del gonfalone della santissima croce sopra gl'infedeli. Credo che le nostre negligenzie ed el non fare ciò che si può, non con crudeltà, né pur con guerra, ma con pace e benignità - sempre dando la punizione a chi à commesso el difetto: non quanto egli merita, però che non potrebbe tanto portare quanto elli merita più, ma secondo che lo infermo è atto a potere portare - sieno cagione che è gionta tanta ruina e danno e inreverenzia della santa Chiesa e de' ministri suoi, quanto elli è. E temo che se non si remedisse di fare quello che non è fatto, che i nostri peccati non meritassero tanto che noi vedessimo venire maggiori inconvenienti, che ci cociarebbero più che non fa el perdere le cose temporali.

Di tutti questi mali e pene vostre io miserabile ne so' cagione per la poca mia virtù, e per molta mia disobedienzia. santissimo padre, miticate col lume della ragione, e con la verità, el dispiacere verso di me, non per punizione, ma per dispiacere. E a cui ricorro, se voi m'abandonaste? chi mi soverrebbe? a cui refuggo, se voi mi cacciaste? E' persecutori mi perseguitano, e io refuggo a voi e agli altri figliuoli e servi di Dio. E se voi m'abandonaste pigliando dispiacere e indignazione, e io mi nasconderò nelle piaghe di Cristo crucifisso, di cui voi sete vicario: so che mi ricevarà, perché non vuole la morte del peccatore.

Essendo ricevuta da lui, voi non mi cacciarete; anco staremo nel luogo vostro a combattere virilmente con l'arme de la virtù per la dolce Sposa di Cristo. In lui voglio terminare la vita mia, con lagrime, con sudori, e con sospiri, e dare el sangue e le mirolla dell'ossa. E se tutto el mondo mi cacciasse, io non me ne curarò, riposandomi, con pianto e con molto sostenere, al petto de la dolce sposa. Perdonatemi, santissimo padre, ogni mia ignoranzia e offesa che io ò fatta a Dio e a la vostra Santità. La verità sia quella che mi scusi e mi deliberi: Verità etterna. Umilemente dimando la vostra benedizione.

A voi dico, padre carissimo, che, quanto è possibile a voi, siate dinanzi alla Santità sua con virile cuore, e senza alcuna pena o timore servile; e prima siate in cella dinanzi a Maria e alla santissima croce, con santissima orazione e umile, e con vero cognoscimento di voi, e con viva fede e volontà di sostenere. E poi andate sicuramente, e adoperate ciò che si può per onore di Dio e salute dell'anime, infine alla morte; e anunziateli quello che io vi scrivo in questa lettera, secondo che lo Spirito santo vi ministrarà. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



268

Alli Anziani, Consoli e Gonfaloniere di giustizia della città di Bologna.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliati de l'uomo vecchio e vestiti de l'uomo nuovo: cioè spogliati del mondo e del proprio amore sensitivo, che è el vecchio peccato di Adam, e vestiti del nuovo Cristo dolce Gesù, cioè dell'affettuosa sua carità.

La quale carità, quando è nell'anima, non cerca le cose sue proprie (1Co 13,5): ma è liberale e largo a rendere el debito a Dio - cioè d'amarlo sopra ogni cosa, e a sé rendere odio e dispiacere della propria sensualità -; e ama sé per Dio, cioè per rendere gloria e loda al nome suo. Al prossimo rende la benivolenzia con una carità fraterna e con ordinato amore, però che la carità vuole essere ordinata: cioè che l'uomo non faccia a sé male di colpa per campare non tanto che una anima, ma se possibile fusse di salvare tutto quanto el mondo, nol debba fare, però che non è licito di commettere una piccola colpa per adoperare una grande virtù. E non si debba ponere el corpo nostro per campare el corpo del prossimo; ma doviamo bene ponere la vita corporale per salute dell'anime, e la sustanzia temporale per bene e vita del corpo del prossimo: sì che vedete che vuole essere ordenata, ed è ordenata, questa carità ne l'anima.

Ma quelli che sono privati della carità, e pieni dell'amore proprio di loro, fanno tutto el contrario - e come essi sono disordenati nel cuore e nell'affetto loro, così sono disordenati in tutte le loro operazioni -: unde noi vediamo che li uomini del mondo senza virtù servono e amano el prossimo loro, e con colpa; e per piacere e servire a loro, non si curano di diservire a Dio, e di dispiacerli, e fare danno all'anime loro.

Questo è quello amore perverso el quale spesse volte uccide l'anima e 'l corpo; e tolleci el lume e dacci la tenebra; tolleci la vita e dacci la morte; privaci della conversazione de' beati, e dacci quella dello inferno.

E se l'uomo non si corregge mentre che elli à el tempo, spegne la margarita lucida della santa giustizia, e perde el caldo della carità e della vera obedienzia. Unde, da qualunque lato noi ci volliamo, in ogni maniera di creature che ànno in loro ragione, si vede mancare in ogni virtù per questo malvagio vestimento del proprio amore sensitivo.

Se noi ci volliamo a' prelati, essi attendono tanto a loro, e a stare in delizie che, vedendo e' sudditi nelle mani delle dimonia, non pare che se ne curino. E' sudditi, né più né meno, non si curano d'obbedire né nella legge civile né nella legge divina, né si curano di servire l'uno l'altro se non per propria utilità. E però non basta questo amore, né l'unione di quelli che sono uniti d'amore sensitivo e non di vera carità; ma tanto basta e dura l'amicizia loro, quanto dura el piacere ed el diletto, e la propria utilità che ne traggono.

Unde, se elli è signore, elli manca nella santa giustizia, e questa è la cagione: però che teme di non perdere lo stato suo; e per non fare dispiacere, sì va mantellando e occultando i loro difetti, ponendo l'unguento in su la piaga nel tempo che ella vorrebbe essere incotta e incesa col fuoco. Oimé, misera l'anima mia!, quando elli debba ponere el fuoco della divina carità, e incendere el defetto con la santa punizione e correzione per santa giustizia fatta, e elli lusinga, e infingesi di non vederlo. Questo fa verso coloro che elli vede che possino impedire lo stato suo; ma ne' povarelli, che sono da poco e di cui elli non teme, mostra zelo di grandissima giustizia: e senza alcuna pietà o misericordia pongono grandissimi pesi per piccola colpa. Chi n'è cagione di tanta ingiustizia? l'amore proprio di sé.

Ma e' miserabili uomini del mondo, perché sono privati della verità, non cognoscono la verità, né secondo Dio, per la salute loro, né per loro medesimi, per conservare lo stato della signoria. Però che se essi cognoscessero la verità, vederebbero che solo el vivere col timore di Dio conserva lo stato e la città in pace, e per conservare la santa giustizia, rendendo a ciascuno de' sudditi el debito suo: e a chi debba ricevere misericordia, fare misericordia non per propria passione ma per verità; e a chi debba ricevere giustizia, farla condita con misericordia, non passionata d'ira, né per detto di creatura, ma per santa e vera giustizia; e attendere al bene comune e non al bene particulare; e ponere gli offiziali, e quelli che ànno a reggere la città, non a sette, né per animo, né per lusinghe, né rivendarie, ma solo con virtù e con modo di ragione; e scegliere uomini maturi e buoni, e non fanciulli; e che temino Dio, amatori del bene comune, e non del bene particulare suo. Or per questo modo si conserva lo stato loro e la città in pace e in unione.

Ma le ingiustizie, e 'l vivere a sette, e 'l ponere a reggere e a governare uomini che non sanno governare loro medesimi né le famiglie loro, ingiusti e iracundi, passionati d'ira e amatori solo di loro medesimi, questi sono quelli modi che fanno perdere lo stato spirituale della grazia, e lo stato temporale. Unde a questi cotali si può dire: «Invano t'affadighi a guardare la città tua, se Dio non la guarda» (Ps 126,1), cioè se tu non temi Dio, e nelle tue operazioni non tel poni dinanzi a te. Sì che vedete, carissimi fratelli e signori, che l'amore proprio è guastamento della città dell'anima, e guastamento e rivolgimento delle città terrene. Unde io voglio che voi sappiate, che neuna cosa à posto in divisione el mondo in ogni maniera di gente, se non l'amore proprio, dal quale sono nate e nascono le ingiustizie.

Parmi, carissimi fratelli, che abbiate desiderio di crescere e conservare el buono stato della vostra città, e per questo desiderio vi moveste a scrivere a me indegna, miserabile e piena di difetto, la quale lettera intesi e viddi con affettuoso amore, e con volontà di satisfare a' desiderii vostri, e di ingegnarmi, con quella grazia che Dio mi darà, d'offerire voi e la città vostra dinanzi a Dio con continua orazione. Se voi sarete uomini giusti, e che el reggimento vostro sia fatto come detto è di sopra - non passionati, né per amore proprio e bene particulare, ma con bene universale fondato in su la pietra viva Cristo dolce Gesù -, e che col timore suo facciate tutte le vostre operazioni, e col mezzo dell'orazione, conservarete lo stato, la pace, e l'unità della città vostra. E però vi prego per amore di Cristo crucifisso - poiché altro modo non c'è - che, avendo voi l'aiuto de' servi di Dio, voi non manchiate dalla parte vostra in quello che bisogna, però che, se voi mancaste, voi sareste bene un poco sostentati da l'orazione, ma non tanto che tosto non venisse meno: però che voi dovete aitare a portare questo peso dalla parte vostra. Unde, considerando me che col vestimento dell'amore sensitivo e particulare non potreste subvenire a' servi di Dio; e che colui che non soviene sé del sovenimento della virtù, non può sovenire la città sua con la carità fraterna, e col zelo della santa giustizia, è bisogno che siate vestiti de l'uomo nuovo, Cristo dolce Gesù, cioè della inestimabile sua carità. Ma non ci potiamo vestire che prima non ci spogliamo; né spogliare non mi potrei se io non veggo quanto m'è nocivo a tenere el vecchio peccato, e quanto m'è utile el vestimento nuovo della divina carità: però che, veduto che l'uomo l'à, l'odia, e per odio se ne spoglia; e ama, e per amore si veste del vestimento delle virtù fondate ne l'amore de l'uomo nuovo. Or questa è la via, e però vi dissi che io desideravo di vedervi spogliati de l'uomo vecchio, e vestiti de l'uomo nuovo, Cristo crucifisso; e a questo modo acquistarete e conservarete lo stato della grazia, e lo stato della città vostra; e non mancarete mai alla debita reverenzia della santa Chiesa, ma con modo piacevole rendarete el debito, e conservarete el vostro stato. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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Caterina, Lettere 265