Caterina, Lettere 332

332

A Pietro di Giovanni e Stefano di Corrado in Siena, essendo ella a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi cavalieri virili, sì e per sì-fatto modo che siate vencitori de' principali tre vostri nemici.

O figliuoli dolcissimi, questi tre nemici sono el dimonio, el mondo, e la carne: e' due primi, agevole cosa è a noi a vinciarli, però che al dimonio fu tolta la potenzia che aveva sopra di noi, col mezzo del sangue del Figliuolo di Dio, in tanto che non può sopra di noi, se non quanto noi vogliamo, quanto a colpa; può ben darci le molte molestie con varie e diverse cogitazioni, ma costringiar non ci può a una minima colpa, perché nel detto sangue dell'umile e immaculato Agnello siamo fortificati, e usciti della servitudine sua.

El mondo, che ci può fare? Non cavelle. Può ben percuotare la corteccia di fuore del corpo nostro, co' le molte persequizioni, strazii, scherni, infamie e villanie; ma che sente il servo di Dio di tutte queste cose nel mirollo dell'anima? Non cavelle. El mondo s'afadiga in dargli le molte tribulazioni, e egli si gode, perché à posto l'affetto suo in Dio, unde viene ogni gauldio. Egli à eletto di portare per Cristo crocifisso, unde tanto à bene, quanto si vede sostenere senza colpa, perché allora più si conforma con lui, sì che bene è vero che questi due nemici sonno agevoli a venciare.

Ma el terzo, de la carne nostra, cioè de la propria sensualità, è una legge perversa che sempre impugna contra lo spirito, e mai non passa quasi punto di tempo ch'ella non voglia per qualche modo ricalcitrare alla volontà di Dio. Ella è quella parte in noi che ci fa alapidare e' messi di Dio: cioè che tutte le buone 'spirazioni, che la divina clemenzia manda nel cuore nostro, ci fa porre doppo le spalle, in tanto che neuna ce ne lassa mettare in asequizione, mentre che le crediamo. E per lo contrario tutte le inique cogitazioni che 'l dimonio ci dà - le quali li sonno permesse da Dio che ce le dia, per acrescimento di perfezione e di grazia in noi, e non perché ci lassiamo vinciare - questa perversa passione sensitiva tutte ce le fa mettare in operazione. Ella è, brevemente, quella cosa che ci priva di Dio, e in questa vita ci tiene in continova amaritudine. Bene dobiamo dunque armarci contra questo nemico.

Voglio dunque che ciascuno di voi faccia di sé due parti, cioè la sensualità e la ragione, e che esse sieno nemici mortali. La ragione s'armi, pigliando il coltello dell'odio e de l'amore; e non vole essere presa questa guerra lentamente, ma con efficacia, e al tutto ingegnarsi d'ucidarla: perché bene si debba ucidare quella cosa che ci tolle la vita della grazia, facendoci ricalcitrare a Dio. E usa alcuna volta questa maladetta legge uno grande inganno per farci cadere magior botto: ch'ella s'adormentarà, e parrà che sia morta in noi, non trovandoci alcuna impugnazione, ma con aceso fervore tutti e' nostri atti e pensieri saranno drizzati in Dio, con una dolcezza, che ci parrà gustare vita eterna. Ma se noi alentiamo la guerra e poniamo giù el coltello e non ci essercitiamo con solecitudine, ella si desta più forte che mai, e facci cadere alcuna volta miserabilmente.

Adunque voglio, figliuoli miei, che pigliate questa guerra con intenzione di non fare mai pace, ma continovamente crescerla, dandole sempre quello che le dispiace; e mai non concederle cosa che le piaccia. El cane della coscienzia abbai a destare questa ragione; e non passi uno minimo pensiero nel cuore, che la ragione non lo essamini; e neuno movimento reo passi, che non sia punito con rimproverio.

Questa miserabile sensualità sia la serva, e la ragione sia la donna, come debbano essere; ma se fuste negligenti o tiepidi mai non vinciareste questo nemico, né gl'altri due, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi cavalieri virili, acciò che ne foste vincitori. Orsù, figliuoli, pigliate questo coltello, e non esca mai de la mano del libero albitrio infino alla morte: però che infino allora bastarà il vostro nemico, el quale ci è stato lassato da Dio per nostra utilità, acciò che le virtù sieno acquistate con sudore, mediante la grazia sua. Non dico più qui.

Rispondo a la lettera che tu, Petro, mi mandasti. Io m'avedrò bene se tu ài desiderio d'uscire di casa, e venire qua: che, se n'arai voglia, con ogni solecitudine brigarai di spaciarti di tutte le faccende che ti restano a fare, a ciò che, sciolto, in tutto possi seguitare Cristo crocifisso. Ma tu negligente, e non ài preso quello coltello che di sopra è detto, unde el desiderio santo che Dio t'à dato nol metti in aseguizione. So bene che tu non credi ch'io ti voglia abandonare: che così ti venga la morte a te e gl'altri, come ogni dì di nuovo vi parturisco nel cospetto di Dio per continova orazione, e più in cui si vede el bisogno. Or briga di rinovarti, e il simile dico a te, Stefano: che con solecitudine vi studiate di levarvi dal mondo, e corrire a Dio, che v'aspetta co' le braccia aperte. Venitene tosto.

La santa Chiesa e papa Urbano VI per la dolce bontà di Dio à a questi dì avuto le più rilevate novelle che avesse già buon tempo. Mandovi con questa una lettera che va al baceliere, nella quale potrete vedere come Dio comincia a versare le grazie sopra la dolce Sposa sua; e così, spero per la sua misericordia che seguitarà, montiplicando di dì in dì i doni suoi. So che la verità sua non può mentire, e egli à promesso di riformarla con molto sostenere de' servi suoi, e col mezzo de l'umili e continove orazioni fatte con lagrime e sudori. Unde io v'invito di nuovo a bussare a la porta della misericordia sua con perseveranzia: ché io vi prometto che, se persevereremo in bussare ci sarà aperto, e così dite a cotesti altri figliuoli, e benediteli per nostra parte. La nonna e Lisa e tutta l'altra povarella famiglia vi confortano in Cristo.

Permanete etc.

Quando tu, Stefano, ne vieni etc. Gesù dolce, Gesù amore.

Data Rome, die primo ianuari Mccclxxviiij.



333

A frate Ramondo da Capova de l'ordine de' Predicatori, padre dell'anima sua.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi levato oggimai dalla fanciullezza vostra, ed essere uomo virile; levarvi da gustare el latte, ed essere fatto mangiatore del pane.

Però che 'l fanciullo che si nutrica di latte non è atto a stare in battaglia, né si diletta di stare altro che in giuochi co' suoi simili: così l'uomo che sta nell'amore proprio di sé non si diletta di gustare altro che il latte delle proprie consolazioni spirituali e temporali, dilettandosi come fanciullo con quelli che li sonno simili. Ma quando egli è fatto uomo, levatosi dalla tenerezza e amore proprio di sé, egli mangia el pane con la bocca del santo desiderio, ischiacciandolo co' denti de l'odio e dell'amore, in tanto che, quanto più è muffato, più se ne diletta.

Quanto si riputa beata quella anima quando si vede le gengie gittare sangue! Egli è fatto forte, e però piglia la conversazione de' forti; tutto maturo pesato e non leggiero corre con loro insieme a la battaglia, e già non si diletta d'altro. El suo riposo è il sostenere: con quello dolce innamorato Paulo si vuole gloriare nelle molte tribulazioni (2Co 12,10), sostenendole per la verità. Questi cotali ànno rifiutato el latte; rilucono in loro le stimate di Cristo crocifisso, seguitando la dolce dottrina sua. Questa anima, stando nel mare tempestoso, à bonaccia; ne l'amaritudine gusta la grande dolcezza; con vile e piccola mercanzia acquista le grandi ricchezze; essendo stracciata e dilaniata dal mondo, più perfettamente si ricoglie e s'unisce in Dio. Quanto più è perseguitato dalla bugia, più essulta nella verità; patendo fame, nudità, ingiurie, strazii e villanie, più perfettamente si sazia del cibo immortale; è rivestito, levata via la nudità del proprio amore, el quale dinuda l'anima d'ogni virtù; e nelle vergogne e strazii truova la gloria sua.

Questi tali sono mangiatori di pane muffato, ma non asciutto, però che asciutto ben bene e' denti nol potrebbono schiacciare, se non con grande loro fatiga e poco frutto; ma essi lo 'ntengono nel sangue di Cristo crocifisso, nella fonte del costato suo: e però, come ebbri d'amore, corrono mettendo el pane muffato delle molte tribolazioni in questo prezioso sangue. In loro non cercano altro se non in che modo possino rendare gloria e loda al nome di Dio; e perché nel tempo delle molte fatighe veggono che meglio si pruova la virtù - e della buona provazione che fa l'anima torna più onore a Dio -, però s'abracciano con esse, e anco perché meglio si conformano con Cristo crocifisso co' la pena che col diletto.

Adunque, carissimo e dolcissimo padre, con pianto ci leviamo dal sonno della negligenzia e ingratitudine, riconoscendo le grazie e i benefizii che vecchie e nuovamente avete ricevute da Dio e da quella dolce madre Maria, per la quale confesso che per nuova grazia l'avete ricevute. In questa grazia vuole Dio che conosciate el fuoco della sua carità; nella quale carità, col lume della santissima fede, più largamente e liberamente abandoniate voi medesimo per lo suo onore, ed essaltazione della santa Chiesa e del vicario di Cristo, papa Urbano VI, sommo pontefice; e vuole che vi dilatiate in speranza, sperando nella providenzia e adiutorio divino - senza neuno timore servile -, e non in uomo né in nostra industria umana. Anco à voluto che conosciate la vostra imperfezione, mostrandovi che voi siete ancora fanciullo e non uomo che vi notrichiate di pane, ché se egli avesse veduto che voi aveste avuti denti da ciò, ve n'arebbe dato, sì come agli altri vostri compagni. Non foste anco degno di stare un poco in sul campo della battaglia, ma, come fanciullo, ne foste cacciato adietro; e voi volentieri ne fugiste e aveste grande allegrezza che Dio conscese a la vostra infermità.

Gattivello padre mio, quanto sarebbe stata beata l'anima vostra e mia se aveste murata una pietra nella santa Chiesa col sangue vostro, per amore del sangue! Veramente noi aviamo materia di pianto, di vedere che la nostra poca virtù non à meritato tanto bene. Or gittiamo e' denti lattaiuoli e studianci di mettare e' denti granati de l'odio e dell'amore. Mettianci la panziera della carità con lo scudo della santissima fede (Ep 6,16) e, come uomini cresciuti, corriamo al campo della battaglia e stiamo fermi, con una croce di dietro e una dinanzi, acciò che non potiamo fugire: ché andando al campo grandi e armati, non ne saremo cacciati del campo. Acciò che Dio infonda in voi e in me questa grazia, e negli altri, oggi cominciarò ad offerire lagrime e ansietato desiderio, il quale è dolce e amaro. Dolce è per lo ringraziamento de' benefizii ricevuti da lui nuovamente, e amaro per la mia e vostra imperfezione la quale ci à privati di tanto bene.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso Bagnatevi nel sangue Saziatevi nel sangue Inebriatevi del sangue Vestitevi di sangue Doletevi di voi nel sangue Rallegratevi nel sangue Crescete e fortificatevi nel sangue Perdete la debilezza e cechità nel sangue E con lume corrite come virile cavaliere a cercare l'onore di Dio, il bene della santa Chiesa e la salute dell'anime nel sangue. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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334

A misser Buonaventura da Padova cardinale de l'ordine de' frati eremitani, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una colonna ferma e stabile nel giardino della santa Chiesa, acciò che con la fermezza e stabilità vostra e degli altri sia fortificata la fede nostra, essaltiate la verità e confondiate la bugia, e dirizziate la navicella della santa Chiesa, la qual è percossa da l'onde del mare tempestoso della bugia e scisma, levata dalli iniqui uomini amatori di loro medesimi, e' quali sonno stati non colonne ferme mantenitori della fede, ma seminatori di veleno.

Voglio dunque, carissimo padre, che siate fermo, constante e perseverante in ogni virtù; le quali virtù fortificano l'anima, traendone la debilezza de' vizii, i quali la fanno debile sottoponendola alla servitudine loro. A questa fortezza delle vere e reali virtù non ci fanno venire stato, ricchezza, né gli onori del mondo, non le grandi prelazioni, né il presumare di sé medesimo, no, ma solo el conoscimento che l'anima à di sé medesima.

Nel quale conoscimento vede sé non essere per sé, ma solo per Dio; conosce la miseria e fragilità sua, e il tempo che si vede avere perduto, nel quale molto poteva guadagnare; e conosce col lume la sua indegnità e la sua degnità. La sua indegnità conosce nel corpo suo, el quale è cibo di morte e cibo di vermini: dirittamente uno sacco pieno di sterco; e nondimeno ci dilettiamo più di contentare, amare e conscendere a questo sacco putrido, con amore sensitivo, che alla ricchezza dell'anima, la quale è di tanta degnità che a magiore non può venire. Unde noi vediamo che Dio, costretto dal fuoco della sua carità, non ci volse creare animali bruti, né darci la similitudine degli angeli, ma creò noi alla immagine e similitudine sua (Gn 1,26), a fine che noi godessimo di lui nell'eterna sua visione; e per compire la sua verità in noi - cioè di darci quello fine per lo quale egli ci creò -, e per compire la degnità nostra, egli prese la nostra immagine, quando vestì la deità dell'umanità, ricreandoci a grazia nel sangue del dolce e amoroso Verbo unigenito suo Figliuolo, el quale ci ricomperò non d'argento, ma del proprio sangue (1P 18-19). Unde el prezzo del sangue che è pagato per noi, e l'unione che Dio à fatta ne l'uomo, ci manifestano l'amore ineffabile che Dio ci à e la degnità nostra, la quale ricevemmo nella creazione, come detto è.

Bene è mercenaia quella creatura che si tiene cotanto vile che si sottomette a colpa di peccato, el quale è la più vile cosa che sia, anco è non cavelle; e come cieco, non vede che tale diventa quale è la cosa di cui esso si fa servo. Detto aviamo che il peccato non è cavelle, perché ci priva di Dio per grazia, el quale è colui che è (Ex 3,14). Questo non è stato nella casa del conoscimento di sé, ma è stato fuori di sé; come matto e farnetico s'è attaccato alla morte e tenebre del proprio amore sensitivo di sé medesimo, unde nasce ogni male; e à lassata la luce d'uno conoscimento della 'nfinita bontà di Dio, che gli à data tanta dignità: per debito, no - ma per grazia. Che se egli con lume avesse conosciuto sé, vedendo el difetto suo, egli avrebbe acquistata la vera e perfetta umilità, però che l'anima che sta in questa dolce casa del conoscimento di sé e della bontà di Dio in sé, ella s'aumilia, perché la cosa che non è non può insuperbire: ed egli vede, come detto è, sé non essere per sé, ma per Dio. E però cresce in lei el fuoco della carità, riconoscendo da Dio l'essere, e ogni grazia posta sopra l'essere. E perché vede che la indegna legge perversa, la quale sempre impugna contra lo spirito (Rm 7,23), l'è cagione, se volontà consente, di farle perdare Dio per grazia e il frutto del sangue, però subito concepe uno odio santo verso la propria sensualità: e quanto più odia, più ama la ragione; e con questo amore e lume si leva da quello che 'l faceva indebilire, e uniscesi per affetto d'amore in Dio, che è somma fortezza, col mezzo delle vere e reali virtù.

Adunque, bene è vero che nel conoscimento che l'uomo à di sé medesimo, per lo modo detto, acquista la fortezza. E quanto è forte, carissimo padre? Tanto che né dimonio né creatura il può indebilire, mentre ch'egli sta unito con la sua fortezza; e da questa fortezza nullo el può separare, se egli non vuole. Fanno le battaglie e molestie del dimonio indebilire l'anima? Certo no; ma molto magiormente si fortifica, perché elle sonno cagione di farla fugire con più sollecitudine alla fortezza sua; e anco pruova l'amore ch'ella à a Dio, se egli è fondato in proprio diletto o no: cioè che ella l'ami d'amore mercenaio. Né le creature con le molte perseguizioni, ingiurie, strazii e villanie, rimprovari e scherni la indebiliscono, anco la fanno levare molto magiormente da ogni amore delle creature, fuori del Creatore, e fannola provare nella virtù della pazienzia. Adunque neuno è che la possa indebilire, se non quando ella vuole, separandosi dalla sua fortezza, in qualunque stato l'uomo si sia: però che lo stato né il tempo non ci tòllono Dio, però che egli non è accettatore degli stati né de' luoghi né de' tempi, ma de' santi e veri desiderii.

Adunque voglio che voi siate una colonna forte ferma e stabile, fortificandovi nelle vere virtù, nel conoscimento santo di voi, acciò che pienamente potiate fare nella santa Chiesa quello per che voi sete posto; che se nol faceste, vi sarebbe molto richiesto da Dio. E quanta confusione sarebbe ne l'ultima estremità della morte dinanzi al sommo giudice, dove noi non ci possiamo nascondare, ma il minimo pensiero del cuore è manifesto dinanzi a lui! O carissimo padre, non dormiamo più, ché siamo nel tempo della vigilia, ma con affocato desiderio conosciamo noi, e la grande bontà di Dio in noi, acciò che come veri lavoratori lavoriamo nel giardino della santa Chiesa. Ognuno lavori secondo che gli è dato a lavorare, per onore di Dio, salute de l'anime e riformazione della santa Chiesa, e per acrescimento della verità di papa Urbano VI, sommo pontefice, con una vera umilità e pazienzia, riputandoci degni delle pene e fatighe, e indegni del frutto che seguita doppo la pena. Anneghiamo la propria perversa volontà nel sangue di Cristo crocifisso; seguitiamo la dolce dottrina sua. Altro non vi dico.

Pregovi che costà, nel luogo dove voi sete, voi attendiate alla salute dell'anime: dicolo perché molti vi sono che stanno in grandissima eresia. Per l'amore di Dio, vi prego che abiate l'occhio sopra coteste pecorelle, senza timore servile, acciò che il dimonio infernale non le divori. Perdonatemi la negligenzia, isconoscenzia e presunzione mia, che tanto v'ò gravato di parole. Umilemente mi vi raccomando.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



335

A don Cristofano monaco di Certosa del monasterio di santo Martino di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi el lume e 'l fuoco dello Spirito santo, el quale lume caccia ogni tenebre, e 'l fuoco consuma ogni impazienzia e amore proprio che fusse nell'anima, o corporalmente o spiritualmente che fusse. Però ò grande desiderio di vedere in voi questo lume e fuoco perché, secondo che mi scriveste, avete passioni e tribolazioni spirituali e corporali, per le quali elli vi bisogna questo lume.

E perché ci bisogna, padre carissimo, questo lume? Perché è uno vedere che à l'occhio dell'intelletto, però che, come nella visione di Dio sta la nostra beatitudine, così nel vedere e nel cognoscimento di noi medesimi e de la bontà di Dio, che è in noi, riceviamo el lume della grazia de lo Spirito santo, el quale lume e grazia fortifica e accende l'anima a portare, con grande desiderio e pazienzia, ogni infermità e tribolazione e tentazione che ricevessimo o dagli uomini, o dal dimonio, o dalla carne propria. E non vuole eleggiare neuno tempo a modo suo, anco ogni tempo e stato che à, à in reverenzia, sì come persona che è vestita de la dolce e etterna volontà di Dio. Ché, subbito che l'uomo vòlle l'occhio dell'intelletto a cognosciare sé, e vedere la volontà di Dio in sé, e quello che la volontà di Dio richiede, truova che non cerca né vuole altro da lui che la sua santificazione: ché se elli avesse voluto altro, Dio non ci averebbe dato el Verbo del Figliuolo suo, e 'l Figliuolo non avarebbe data la vita con tanto fuoco d'amore. Vede dunque l'anima che ciò che Dio li permette in questa vita, o d'infermità corporale o spirituale per diverse tentazioni, elli le giudica nella volontà di Dio: la quale permettendole solo per nostro bene, vede l'uomo che una foglia d'arbolo non cade senza la providenzia sua.

Dio ci lassa tentare per prova delle virtù, e per acrescimento di grazia; non perché noi siamo vinti, ma perché noi siamo vincitori: non confidandoci nella nostra fortezza, ma nell'aiutorio divino, dicendo con l'appostolo dolce Pavolo: «Per Cristo crucifisso ogni cosa potrò, che è in me che mi conforta». (Ph 4,13) Facendo così, el dimonio rimane sconfitto, e questa è l'arme con che rimane sconfitto: spogliarsi de la sua volontà e vestirsi di quella di Dio, giudicando che ciò che elli permette è per nostra santificazione, ché neuna cosa è che dia pena nell'anima, se non la propria volontà.

E perché di questo el dimonio se n'avede, non potendo ingannare i servi di Dio ne le cose che paiono male, o in troppo larga conscienzia, elli si pone a ingannarli sotto colore di virtù, con disordenata confusione e 'strema conscienzia, dicendo allo infermo: «Se tu fussi sano, molto bene potresti fare». E a colui che è tentato e molestato da esso dimonio, di qualunque tentazione o molestia si vuole essere, per cogitazioni e pensieri, dice ne la mente sua, volendo che elli le rifiuti: «Se tu non l'avessi, ne piaciaresti più a Dio: avaresti la mente pacifica; l'offizio e l'altre operazioni tue sarebbero grate e piacevoli a Dio», volendoli fare vedere che, per quelli pensieri e forti battaglie, neuno suo detto o fatto piaccia alla bontà di Dio. E però che 'l dimonio guadagna più ne' servi di Dio de la confusione che d'altro, poiché elli non li può fare cadere con colore di vizio, elli gli vuole fare cadere sotto colore di virtù.

Sappiate, carissimo padre, che Dio ci permette le fadighe solo perché noi proviamo in noi la virtù de la pazienzia, de la fortezza e perseveranzia; le quali virtù escono dal cognoscimento di sé, però che ne la battaglia io cognosco me none essere: ché, se io fussi alcuna cosa, io me la levarei, ma io non posso levarmi le battaglie dell'anima né l'infermità del corpo. Potiamo bene levare la volontà, che non consenta; e in questa volontà troviamo la bontà di Dio che per amore ineffabile ci donò questa volontà libera, ne la quale sta el peccato e la virtù ché, sì come donna che ella è, né dimonio né creatura la può constringere, più che ella si voglia, a neuno peccato. Vedendo questo, l'anima prudente nel tempo de le battaglie gode, vedendo che Dio gli 'l permette per farla cresciare in maggiore e più provata virtù, perché la virtù non è mai provata se non per lo suo contrario, e non si vede se ella è virtù: sì come la donna che à conceputo in sé el figliuolo, che infino che nol parturisce, nol può vedere di verità quello che è, se non per oppinione.

Così l'anima, se ella non parturisce le virtù con la pruova delle molte pene - da qualunque lato elle vengano, o da la carne o dal dimonio o dagli uomini -, non può mai vedere se ella l'à, o sì o no, ché molte volte l'anima che anco non è provata in virtù si dispone a volere portare ogni cosa per lo Dio suo.

E quando Dio vede conceputo el desiderio nell'anima, subbito la mette alla prova, e vuole provare l'amore suo, se elli è fedele o mercennaio: però che allora el pruova l'anima in sé quando il truova fedele, che tanto si muova per la tribolazione, quanto per la consolazione. Perché vede che ogni cosa è permessa da Dio, gode ed è lieta di ciò che ella à, perché è fatta una volontà con quella di Dio. E se elli si truova servo, che nel tempo della prova elli voglia fuggire la pena, questi sarebbe mercennaio, e non fedele: à materia allora di correggiarsi. Adunque bene è la verità che Dio ogni cosa permette a noi per acrescimento di grazia e provazione de la virtù come detto è: l'anima per questo ne cognosce meglio sé, nel quale cognoscimento s'aumilia, e non si leva in superbia, e cognosce la bontà di Dio in sé, trovando che gli conserva la volontà che non consente a tante molestie e illusioni di dimonio. Or questo è la volontà di Dio: cioè che per questo fine ce le concede.

Ma la volontà perversa del dimonio quale è? è questa: per fare venire l'anima a tedio, a confusione, a tristizia di mente, e a stimolo di conscienzia, non ci tenta l'antico nemico di peccato dissoluto, dandoci molte volte molestia e movimento nel corpo nostro, perché elli creda che noi vi cadiamo - però che elli vede bene che la volontà à deliberato inanzi di morire che consentire -, ma fallo per giognarlo nel secondo, facendolo reputare che quella sia offesa colà dove ella non è, dicendoli: «Le tue operazioni e orazioni debbono essere fatte con purità di mente e di cuore, e tu le fai con tanta immondizia!». Questo dice perché l'orazione gli venga in tedio, acciò che nel tedio e ne la tristizia elli l'abbandoni - e quello e ogni santa e buona operazione -, perché raguarda solo che modo possa tenere di farci gittare l'arme a terra con la quale noi ci difendiamo, perché gli è poi agevole averci nel primo e nel secondo. L'arme nostra è questa, la santa orazione e le cogitazioni sante, fondate nella dolce e etterna volontà di Dio, nella quale volontà l'anima non cerca sé per sé, ma sé per Dio, e 'l prossimo per Dio, e Dio per Dio, e non per propria utilità, in quanto Dio è somma et etterna bontà, e degno d'essere amato e servito da lui, sì che l'ama e serve in ogni stato e tempo che elli è. Allora sta in su la rocca sicura, con uno acceso e ardito desiderio, levando sé sopra di sé, tenendosi ragione con uno odio santo di sé medesimo, reputandosi degno de le pene e battaglie, e indegno del frutto che vede che seguita de la pena; per umilità elli si reputa indegno della pace e quiete della mente; dilettasi di stare in croce con Cristo crucifisso. Elli si vuole satollare d'obrobii, di pena, di scherni e di villania, pure che elli si possa conformare con Cristo, perché vede che l'anima non si può unire col suo Creatore se non per amore, e l'amore Cristo Gesù elesse questa via per la più perfetta e migliore che avere potesse: elli ce l'insegnò che ella era la via della verità e de la luce dicendo: «Io so' via, verità e vita: (Jn 14,6) chi va per questa via non erra, anco va per la luce» (Jn 8,12).

E però i servi di Dio, volendolo seguitare, se possibile fusse di fuggire l'inferno e avere paradiso e uscire del mondo senza pena, non vogliono. Anco, con pena vogliono escire del mondo, campare dell'inferno e avere vita etterna, per conformarsi col loro diletto Cristo. E se essi sono infermi godono, perché veggono vendetta del corpo loro e di quella legge perversa che impugna contro lo spirito; se essi sono in battaglie e in tenebre di mente, o in tentazione di bastemmia o di disperazione o d'infedelità, o d'altra molestia che 'l dimonio gli desse, elli gode per vera umilità, reputandosi indegno della pace, e non cura fadighe: attende pure a conservare la rocca forte della sua volontà che elli non s'inchini a neuno suo consentimento, sentendo che la rocca della volontà, per la grazia di Dio, sta forte: che non tanto che ella consenta, ma d'altro non à pena se non per timore che à di none offendare Dio.

In questa pena voglio che v'abbiate cura, perché mi pare che 'l dimonio vi ci dia molta molestia: anco, tutte le vostre pene sono redutte qui su. Sappiate che questa pena vuole essere ordenata, come detto è, e fondata in cognoscimento di sé per umilità, e nel cognoscimento della bontà di Dio, el quale vi conserva la volontà: a questo modo sarà pena ingrassativa, che ingrasserà l'anima nella virtù, e non consumativa per disperazione. Trarranne la virtù picciola dell'umilità per cognoscimento di sé, e la virtù de la carità per lo cognoscimento di Dio, che sono due ale che fanno volare l'anima a vita etterna, ché non sarebbe buono a pigliare solo el timore dell'offesa che non fusse mescolato con la speranza de la divina misericordia: ché altro non vorrebbe el dimonio che conduciarci in su la confusione e tristizia, la quale disecca l'anima. La quale tristizia e confusione di mente gitta a terra l'arme che lo Spirito santo à dato nell'anima, cioè della volontà sua, conformata con quella di Dio; e cominci a volere la sua propria, sotto colore di meglio servire a Dio, volendo levare la infermità e altre pene mentali che elli à avute e à, dicendo: «Meglio e più liberamente servirei al mio Creatore». Questo cotale s'inganna, e lo inganno gli viene dal disordenato timore che 'l demonio gli dà, che 'l fa per rivestirlo de la volontà sua propria. Unde nasce una impazienzia, che diventa incomportabile a sé medesimo, una occupazione di mente, uno parere proprio, uno volere eleggiare le vie e gli stati a suo modo, e non secondo che Dio le permette.

Dunque non ci voglio più confusione, né tristizia, né volontà vostra, ma con una letizia, e fuoco dolce d'amore, e lume di Spirito santo, con uno cuore virile e non timoroso, vestendovi de la dolce e etterna volontà di Dio, la quale v'à permessa e permette ogni pena, corporale e mentale: e questo à fatto e fa per vostra santificazione, e per singulare amore donato a voi, e non per odio. Orsù, con l'arme! Sconfiggiamo questo dimonio con l'etterna volontà sua; e col pensiero cacciamo el pensiero, co' pensieri di Dio cacciando i pensieri del dimonio. E se voi mi diceste: «Io non posso pensare di Dio, né dire l'offizio, né fare neuna altra buona operazione, sì per la infirmità e sì per li molti contrarii che ne la mente mi vengono», io vi rispondo: non lassate però, ma nella infermità adoperate la pazienzia, ché ine si prova.

Nelle cogitazioni del dimonio adoperate l'offizio e i pensieri santi di Dio, none occupandovi la mente di stare a contastare col dimonio, volendo per questo modo fare resistenzia a lui. Non fate così: però che ella se ne occuparebbe più, ma fate ragione che sia fuore di voi, però che la potete fare: perché tanto sono dentro da noi, quanto la volontà consente. Non consentendo, non sono intrati ne la casa, ma bussano alla porta. Debbasi levare l'anima, e non pigliare la saetta del dimonio, e con essa volerlo ferire - ché nol ferirebbe mai - cioè di volere stare a contastare con lui; ma è da pigliare la saetta della volontà di Dio e dell'odio e dispiacimento di sé, e con esso percuotarlo, rispondendo al dimonio: «Se tutto el tempo della vita mia el mio Creatore mi volesse tenere in questa pena e fadiga, io so' apparecchiato di volere per gloria e loda del nome suo». E dire alle tentazioni: «Voi siate le molto ben venute», e ricevarle come carissimo amico, perché sono cagione e strumento di levarmi del sonno della negligenzia e farmi venire a virtù.

Godete e essultate, e perseverate infine alla morte; e inanzi morire, che muovervi mai dal luogo che Dio v'à chiamato, ma con una pazienzia abbracciate la croce, nascondendovi tra Dio e le pene, aprendo l'occhio dell'intelletto all'Agnello esvenato e consumato per voi, essendo contento di permanere in quello che Dio vi pone, o vi ponesse per lo tempo a venire. Dovetelo fare, perché sete certo che Dio ci chiama e c'elegge in quello modo che più piacciamo a lui. Facendo così, acquistarete lume sopra lume; la pena per Cristo crocifisso vi sarà diletto, e 'l diletto e le consolazioni del mondo vi recarete a pena; e in questa vita cominciarete a gustare l'arra di vita etterna, ché questa è una delle beatitudini principali che à l'anima che è nella vita durabile: che è confermata e stabilita nella volontà del Padre etterno. Ine gusta la divina dolcezza, ma non la gusta mai di là sù, se elli non se ne veste di qua giù, mentre che siamo pellegrini e viandanti.(He 11,13 1P 2,11) Quando n'è vestito gusta Dio per grazia ne le pene, empiesi la memoria del sangue dell'Agnello immaculato; lo intelletto s'apre, e ponsi per oggetto l'amore ineffabile che Dio gli à manifestato nella sapienzia del Figliuolo: allora l'amore che truova ne la clemenzia de lo Spirito santo caccia l'amore proprio di sé e d'ogni cosa creata, fuore di Dio.

Non temete, padre carissimo, ma con letizia portate in conformarvi bene con la volontà sua, infermo e sano e in qualunque modo o stato vi vuole, ché ora non vi richiede altro essercizio che la pazienzia e la fortezza, con dolce perseveranzia, la quale perseveranzia averete, se deliberarete nel cuore vostro di non volere altro che fadighe e pene. Seguitaravene la corona, però che ella è data alla fortezza e perseveranzia: questa riceve l'anima che è alluminata e piena del fuoco dello Spirito santo; senza questa guida non potiamo andare, e questa guida s'acquista e si perde per lo modo detto di sopra. E però dissi io che io desiderava di vedervi el lume e l'ardore de lo Spirito santo, e così prego e pregarò la somma e etterna verità, che vi riempi sì perfettamente, che voi cognosciate el tesoro de le molte tribolazioni e tentazioni che v'è messo ne le mani solo per amore, e perché voi siate de' suoi eletti, per remunerarvi de le vostre fadighe nell'etterna sua visione. Altro non dico.

Se piacerà alla bontà di Dio che voi serviate al luogo di Gorgona so' certa che elli farà che sarà meglio per voi. State contento in ogni luogo, e guardate che non credeste a la tenerezza e compassione del corpo.

Siate contento alla vita degli altri vostri fratelli che sono stati e sono di quella carne che voi, e quello Dio è per voi ch'è per loro.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 332