Caterina, Lettere 336

336

Alla priora e monache del monasterio di santa Agnesa di Montepulciano


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e figliuole in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grate e cognoscenti verso il vostro Creatore, acciò che non si disecchi la fonte de la pietà nell'anime vostre, ma nutrichisi con gratitudine.

Ma attendete che solamente gratitudine di parole non è quella che risponde, ma richiedesi le buone e sante operazioni. In che la mostrarete? In osservare i dolci comandamenti di Dio, e, oltre a' comandamenti, osserverete i consigli attualmente e mentalmente. Voi avete eletta questa via de' consigli: adunque ve gli conviene osservare infino alla morte, altrimenti offendereste; ma l'anima che è grata sempre gli osserva.

Che prometteste voi nella vostra professione? Prometteste d'osservare obedienzia, continenzia e povertà voluntaria; e se voi non gli osservate, diseccate la fonte della pietà.

Grande vergogna è alla religiosa che ella possegga tanto che ella abbi che dare: non debbe possedere, ma con una carità fraterna vivere caritativamente con le sue suore. Non debbe sostenere che l'altre periscano di fame, e ella abbondi: chi è grata non el sostiene; anco sovviene e fa utilità al prossimo suo, vedendo che a Dio non la può fare, però che egli è lo Dio nostro che non à bisogno di noi. E volendo mostrargli che in verità ricognosce le grazie ricevute da lui, il mostra verso la creatura che à in sé ragione. E in tutte quante le cose s'ingegna di mostrare nel prossimo suo gratitudine a Dio, unde tutte le virtù sono essercitate per gratitudine: cioè che per amore che l'anima à diventa grata, perché con lume ricognosce le grazie del suo Creatore in sé.

Chi la fa paziente, che con pazienzia porti le ingiurie, rimproverii e villanie da le creature, battaglie e molestie dal dimonio? La gratitudine. Chi le fa abnegare la propria voluntà e soggiogarla al giogo dell'obedienzia? Essa gratitudine. Chi le fa osservare il terzo voto della continenzia? Essa gratitudine: ché per osservarla mortifica il corpo col digiuno, vigilia, e umile e continua orazione. E con l'obedienzia à uccisa la propria voluntà, acciò che - mortificato il corpo e morta la voluntà - la potesse osservare, e in essa osservanzia mostrasse la gratitudine. Sì che le virtù sono uno segno dimostrativo che dimostrano che l'anima non sia iscognoscente d'essere creata alla imagine e similitudine di Dio, e della recreazione che à ricevuta nel sangue de l'umile Agnello, ricreandola a grazia, e così di tutti gli altri doni e grazie che à ricevute, spirituali e temporali: ma tutte con grandissima gratitudine le ricognosce dal suo Creatore.

Allora cresce uno fuoco nell'anima d'uno desiderio santo, che sempre si nutrica di cercare l'onore di Dio, e del cibo dell'anime, con pena sostenendo infino alla morte. Se fosse ingrata, non tanto che si dilettasse del sostenere per onore di Dio, o per mangiare questo dolce cibo, ma se la paglia se le vollesse tra' piedi, sarebbe incomportabile a sé medesima: l'onore darebbe a sé, nutricandosi del cibo de l'amore proprio di sé medesima, il quale le germina la ingratitudine, privandola della vita della grazia.

Unde, considerando me quanto è pericoloso questo cibo che ci dà morte, dissi che io desiderava di vedervi grate e cognoscenti di tante ismisurate grazie quante avete ricevute dal vostro Creatore; e singularmente di quella che al presente avete ricevuta, d'avere degnato la santità e benignità di Cristo in terra d'avervi dato a tutte la indulgenzia - e anco alla famiglia di fuore -, la quale è la maggiore grazia che in questa vita potiate ricevere. Convienvi adunque essere grate inverso Dio, amandolo con uno amore ispasimato, senza mezzo - ché altrimenti non sarebbe buono -, e inverso il santo padre, rendendogli orazioni: ché 'l dovete fare per debito, sì in quanto egli ci è padre, e sì per la grazia ricevuta, e per lo grande bisogno che ora gli vediamo.

Unde io vi scrivo di voluntà sua che ciascuna di voi dica i salmi penitenziali con le letanie, infino che basta questa tribolazione, ogni dì una volta, pregando strettamente per la santa Chiesa e per lui che Dio gli dia vero lume e cognoscimento e fortezza contro a' suoi nimici. Ora dico io a voi, che voi non diciate solamente con la lingua, ma col cuore e con grandissimo desiderio, congregate insieme dinanzi a quella gloriosa vergine Agnesa, madre di molte ignoranti figliuole, intanto che Dio e ella ponga remedio alla ignoranzia e freddezza vostra, acciò che io vi possa vedere spose tutte fiorite di vere e reali virtù, seguitando la dottrina del sommo eterno fiore, dolce e amoroso Verbo. Annegatevi nel prezioso sangue suo. Prego lui che a tutte vi dia la sua dolce eterna benedizione.Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



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A' signori Priori de l'arti e Gonfaloniere di giustizia del Popolo e del Comune di Fiorenza ().

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e cognoscenti delle grazie che ricevete dal vostro Creatore, la quale gratitudine notrica la fonte della pietà ne l'anima, sì come la ingratitudine la disecca.

Adunque ci conviene, per onore di Dio e nostra utilità, essere grati e cognoscenti, ma non posso vedere che noi la potiamo avere mentre che noi siamo vestiti del vestimento vecchio del sensitivo amore. Però che l'uomo che s'ama di proprio amore sensitivo - el quale è quello vecchio uomo del quale si vestì el primo nostro padre Adam, ed Eva, in tanto che non solo che la fonte della pietà si secasse in loro, ma tutta l'umana generazione ne sentì: serrata fu la vita etterna, che con tutte le nostre giustizie neuno vi poteva intrare. Chi fu cagione di tanto male? L'amore proprio, el quale amore fa l'uomo ingrato e parturisce la superbia; e perché Adam fu ingrato della innocenzia e signoria che Dio gli aveva dato, avendolo fatto signore sopra tutte le creature che non ànno in loro ragione (unde qualunque animale egli avesse chiamato, sarebbe andato a lui, come sudditi suoi): ma poi doppo la ingratitudine sua, con la quale passò el comandamento di Dio, trovò ribellione in tutti gli animali. E sì come fu ribello a Dio, così fu ribello a sé medesimo, trovando ribellione nella legge perversa della fragile carne sua, la quale continuamente impugna contra lo spirito. Sì che, mentre che altri è vestito del vecchio uomo, mai non può essere grato né a Dio né alle creature.

La ingratitudine per che procede? Da l'amore propio: tolle la dilezione della carità; fa l'uomo superbo, ricognoscendo quello che egli à di bene da sé, e non da Dio; non vede sé non essere, perché 'l proprio amore l'à accecato - ché se egli vedesse cognoscerebbe che l'essere e ogni grazia che è posta sopra l'essere, spirituale e temporale, tutto l'à da Dio, perché solo Dio è colui che è -. Lo ingrato non è paziente, perché è separato dalla carità e dilezione del prossimo; la sua speranza è vana, perché si confida in sé: spera ne l'adiutorio umano, e non ne l'adiutorio divino; la fede sua è morta, perché è senza buona operazione: però che fede senza opera, morta è.

Se egli è suddito, egli è disobediente; se egli è signore che tenga stato di signoria, egli commette ingiustizia, e non fa giustizia se non ad animo - la quale non è giustizia, anco è ingiustizia -, perché o egli la fa per odio o dispiacere che egli à verso quello cotale, o per piacere e non dispiacere alle creature, o per propria utilità che egli ne trasse: unde vediamo in ogni cosa mancare la santa giustizia. E' signori naturali sonno fatti tiranni; al petto del Comune non si notricano e' sudditi con giustizia né carità fraterna, ma ciascuno con falsità e bugie attende al bene proprio particulare, e non al bene universale; ognuno cerca la signoria per sé, e non il buon stato e reggimento della città. Ma, come ciechi, non s'aveggono de' loro guai, ché, credendo acquistare, perdono; credendo possedere, lassano a tale ora che essi non se 'l pensano.

Questo aviamo veduto e provato; tutto el permette Dio per divina giustizia, per purgare la nostra ingratitudine, e per farci tornare a cognoscimento, e con la verga umiliarci sotto la potente sua mano. Non sia veruno così matto che, mentre che egli sta in questa cechità d'ignoranzia e d'ingratitudine, creda potere acquistare né conservare la grazia, né possedere la signoria temporale, però che egli à perduta la signoria di sé medesimo, e con ingratitudine sottoposta la ragione alla propria fragilità.

Non è veruno male, carissimi fratelli, che di questo vizio non esca; adunque v'è necessario di spogliarvi de l'uomo vecchio, cioè del proprio amore unde esce la ingratitudine, e vestirvi de l'uomo nuovo, Cristo dolce Gesù, cioè della dottrina sua, seguitando le sue vestigie. Egli, per l'obbedienzia del Padre e salute nostra, per satisfare alla colpa d'Adam fece il contrario di ciò che esso Adam aveva fatto: Adam con la disobedienzia corse al diletto, con superbia e ingratitudine del beneficio ricevuto; e il dolce e amoroso Verbo corse, come innamorato, con obbedienzia all'obrobriosa morte della croce. Umiliossi Dio a l'uomo pigliando la nostra umanità, e Dio e Uomo si umiliò infino all'obrobriosa morte della croce; e così satisfece alla colpa della nostra ingratitudine, sì come nostro tramezzatore.

Convienci vestire dunque della dottrina di questo uomo nuovo, con vera e santa sollicitudine, e vestirci dell'affetto della sua carità che tanto amore ci à mostrato che - se l'uomo non è già più duro che la pietra, villano e mercenaio, senza lume o intendimento - non può fare che non ami: però che condizione è de l'amore d'amare quando si vede amare. Ma la nuvila de l'amore proprio ci à tolto el lume, che non il vediamo; e chi non vede non cognosce, e chi non cognosce non ama; non amando, non è grato. Adunque ci è bisogno el lume per cognoscere quanto siamo amati da Dio, e i difetti nostri, e a cui Dio vuole che si dimostri l'amore che noi aviamo a lui.

Noi sì vediamo che 'l prossimo ci è posto per mezzo a mostrare in lui l'amore che aviamo a Dio: perché, non potendo fare utilità al sommo bene, àci posto che 'l facciamo al prossimo nostro, e in lui dimostriamo l'amore, sovenendolo, aitandolo, e consigliandolo in ciò che si può, a ognuno secondo lo stato suo. Questo è uno debito che ciascuno è tenuto di pagarlo; sì come ci è debbito d'essere sudditi e obbedienti alla santa Chiesa, e sovenirla in ciò che si può. Ché se noi siamo tenuti di sovenire nella necessità el fratello nostro, molto maggiormente la nostra madre santa Chiesa, e il padre nostro Cristo in terra: sopra questi mostraremo la gratitudine d'essere grati e cognoscenti de' beneficii ricevuti, e notricaremo in noi la fonte della pietà.

A questa gratitudine v'invito che voi ci veniate, perché mi pare che per infino a qui poco l'aviate avuta.

Non fate così, carissimi fratelli, ché non è venuta meno la virga della divina giustizia, con la quale siamo stati e saremo battuti. Recatevi, recatevi oggimai le colpe vostre commesse, e le grazie ricevute, a memoria, a ciò che siate grati e cognoscenti, e notrichiate in voi la fonte della pietà. Non c'inganniamo, fratelli miei dolci: molte sonno l'offese e le iniquità vostre, contra Dio commesse e contra 'l prossimo, contra 'l vicario di Cristo e contra la santa Chiesa; le quali iniquità non potete mantellare co' difetti de' pastori e ministri della santa Chiesa, però che non tocca a voi di punirli, ma al sommo giudice e al vicario suo.

Ora, non obstanti questi difetti, e' quali ànno meritato grande punizione, avete ricevuta tanta misericordia: riposti sete con grande benignità al petto della santa Chiesa, potendo ricevere el frutto del sangue, se voi el volete, da papa Urbano VI, vero sommo pontefice e vicario di Cristo in terra, el quale v'à perdonato e absolutovi con tanta carità, dandovi ciò che avete chiesto, trattativi non come figliuoli che avessero offeso e ribellatisi al padre loro, ma come se mai non l'aveste offeso. Ora il vedete in tanto bisogno; e non tanto che voi el soveniate, ma quello che avete promesso non attenete, unde mostrate segno di grande ingratitudine, della quale temo che, se voi non sarete grati e cognoscenti, che Dio non permetta che la punizione ve la diate tra voi medesimi, sì come già avete fatto per l'adietro.

Adunque io vi prego per l'amore di Cristo crocifisso, e per vostra utilità, che 'l cuore vostro sia fermato e stabilito, e non vada vacillando; ma affermativamente tenere questa verità ferma, che papa Urbano VI è veramente sommo pontefice. E mostrate d'essere, e siate, grati e cognoscenti e veritieri, cioè d'attenere quello che avete promesso e sovenire la santa Chiesa e il padre vostro. Voi vedete bene se fa per voi, o sì o no, essendo voi fatti debili per divisione; e i travagli sonno grandi nel mondo. A questo modo conservarete lo stato vostro, e non con la ingratitudine; e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi grati e cognoscenti, considerando io che ella è quella virtù che notrica la fonte della pietà, e con essa invitiamo Dio a crescere e multiplicare le grazie. Adunque voglio che siate solliciti a mostrarla, come veri figliuoli che dovete essere nella santa Chiesa, combattitori per la verità e per la santa fede a dissolvere e disfare quelli che ne sonno contaminatori. A questo modo sarete grati delle grazie ricevute, e purgarete le colpe vostre. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Amatevi, amatevi insieme, ché se tra voi vi farete male, neuno sarà che vi faccia bene. Non dormite più nel letto della ingratitudine, ma siate grati e cognoscenti a Dio e a la santa Chiesa, e al padre nostro papa Urbano, unde vi verrà ogni bene; e conservarete i beni delle grazie spirituali e temporali. Perdete l'amore proprio, e state in carità insieme, nella dilezione sua; rendete il debito vostro a cui voi sete tenuti di renderlo.

Perdonate alla mia ignoranzia, ché per amore della salute vostra mi so' mossa a scrivere a voi, constretta dalla divina dolce bontà. Gesù dolce, Gesù amore.



338

A missere Andreasso de' Cavalcabuoi, alora Senatore di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi signore giusto: cioè che nello stato vostro della signoria, dove voi sete, voi siate giusto e mantenitore della santa giustizia, facendola sempre con ragione; e non siate ingiusto, commettendo ingiustizia volendo più tosto piacere agli uomini che a Dio.

Ma non vego che già mai l'uomo possa avere questa virtù della santa giustizia se in prima egli non vive giustamente, privandosi de l'amore propio di sé e d'ogni piacere umano, però che tutti e' vizii procedono da questi: ché solo offendiamo Dio quando noi cerchiamo di compire e' nostri disordenati desiderii, desiderando con propio amore quelle cose che sono fuore della volontà di Dio, con uno piacimento disordinato che l'uomo à in sé. E perché esso piace a sé medesimo, però si studia di piacere agli uomini del mondo; e di piacere a Dio non cura.

Non può essere giustizia in costui, perché non è giusto egli, come detto è; anco è crudele che ingiustamente, o per avarizia e desiderio di pecunia o per preghiere d'uomini, sarà devoratore delle carni del prossimo suo. Unde spesse volte vediamo che questi cotali mantengono la giustizia solo ne' povarelli - la quale spesse volte è ingiustizia -, ma ne' grandi no, cioè di quegli che possono alcuna cosa. Tutto questo procede dall'amore propio e dal piacimento di sé: non è giusto, e però non tiene la santa e vera giustizia; non à l'occhio suo verso la città de l'anima sua ma solo al miserabile corpo, cercando pure in che modo el possa dilettare, spendendo tutto el tempo suo lascivamente, pieno di superbia e di pompa e di vanità: le quali tutte gli danno la morte. Ma la tapinella anima che debba essere tempio di Dio - dove Dio abiti per grazia -, egli l'à fatta tempio del dimonio: data à questa città nelle mani e signoria sua, sottopostala al peccato che non è cavelle. E, come cieco, senza veruna ragione, non raguarda in quanto male egli è venuto, né la pena che seguita doppo la colpa, ché se egli la vedesse eleggerebbe inanzi la morte che offendere il suo Creatore per veruna cosa del mondo; anco s'ingegnarebbe di fare buona guardia acciò che l'anima - che debba essere donna - non fusse serva, e la sensualità - che debba essere serva - non fusse donna. Ma egli fa el contrario, perché non attende ad avere cura della città sua; e non avendo l'occhio a sé, non l'avrà mai sopra la città attuale della quale fusse fatto signore. E però non guarda al bene universale e comune di tutta la città, ma solo a sé medesimo o a bene particulare, el quale è per proprio suo piacere, o utilità che ne torni a lui medesimo.

Adunque ci è bisogno d'essere giusti, e giustamente guardare la città dell'anima nostra, vivendo col vero e santo timore di Dio: essere amatori delle virtù e odiatori de' vizii. Per questo modo gustaremo el sangue di Cristo crocifisso; rilucerà in noi la vera e santa giustizia, perché sarete signore giusto e pietoso a l'anima vostra e al prossimo: in altro modo, no. E però vi dissi ch'io disideravo di vedervi signore giusto, cioè vivendo giustamente, acciò che voi manteniate ragione e giustizia nello stato che voi sete.

Carissimo fratello, non dormite più, ma con sollicitudine vi svegliate dal sonno. Torniamo a noi medesimi, non aspettando el tempo però che 'l tempo non aspetta noi. Considerando io che 'l tempo è tanto breve che mai non potremo imaginarlo, vorrei che noi escissimo d'obligo, rompessimo el legame nel quale siamo legati, però che colui che è legato non può andare: ed egli è a noi pur bisogno d'andare per la via delle virtù seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, el quale è via, verità e vita; e chi va per lui non va in tenebre, ma per la luce: adunque ci bisogna andare per questa dolce e dritta via. Con che tagliaremo questo legame? Col coltello dell'odio del vizio e amore delle virtù, gittando la fune con la santa confessione. E per giognere a questo neuna fadiga ci debba parere malagevole né dura, ché più malagevole e duro ci debba parere di vedersi legata l'anima, che veruna fadiga che portasse il corpo. Unde io vi prego per amore di Cristo crocifisso, che per fadiga voi non lassiate di venire al luogo dove potete essere sciolto.

Ingegnavomi bene di fare che voi non aveste questa fadiga, ma el sommo nostro pontefice, papa Urbano VI, disse - ponendogli io el caso vostro innanzi - che a lui pareva e piaceva che, potendo voi venire, e non essendo molto di lunga, voleva che veniste; non tanto per voi, ma perché gli altri, vedendo riescitone voi senza fadiga, di leggiero non s'avezzassero a cadere in simile caso. «Ma venga egli, e io gli farò - disse - ogni grazia». Ora dico io a voi: forse che la divina bontà el permette - che alla Santità sua non sia piaciuto -, acciò che voi veniate a ricevere utilità in più modi: ché, venendo, voi sarete sciolto l'anima; e il corpo poterebbe essere che si legarebbe al servizio della santa Chiesa. El quale servizio è molto piacevole a Dio, e spezialmente nel tempo d'oggi, che ella è in tanta necessità. Pregovi che non vi sia grave, ma pigliate el partito el più tosto che si può; e io in questo mezzo non lassarò, però, ch'io non bussi alla porta della Santità sua a pregarnelo strettamente. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Abiate memoria del sangue sparto per voi con tanto fuoco d'amore. Guardatevi dell'offizio e della messa, acciò che non s'agionga colpa sopra colpa. Gesù dolce, Gesù amore.



339

A' signori Priori del Popolo e Comune di Perogia.

Al nome di Gesù crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sovenitori a la necessità del padre vostro e alla vostra medesima: però che 'l sovenire a lui è sovenire a la salute vostra spiritualmente e temporalmente.

Spiritualmente in quanto, sovenendo a questa dolce sposa della santa Chiesa e a papa Urbano VI, voi rendete il debito vostro - el quale tutti siamo obligati di rendere -; rendendolo noi mostriamo d'essere grati e cognoscenti a Dio e a lui delle grazie che egli ci à fatte e fa continuamente: grazie, ché comparazione non potremmo ponere a quello che noi rendessimo a lui, a rispetto di quello che dà a noi. Però che quello che egli ci dona è uno bene che ci dà vita etterna: ciò sonno e' sacramenti della santa Chiesa e altri doni spirituali, che tutti ànno vita e vagliono a noi in virtù del sangue - dove noi gli riceviamo con vera e santa disposizione e col lume della santa fede -, e in altro modo ci darebbero morte, non per difetto d'i doni, né di lui che dona, ma per la mala disposizione nostra con che noi ricevessimo.

E tutti sonno ministrati da lui; e senza lui non gli potiamo ricevere, però che tiene le chiavi del sangue de l'umile Agnello, sparto per noi con tanto fuoco d'amore: sì che egli dà a noi bene infinito, dove noi ci disponiamo, come detto è. E noi doviamo dare, se voliamo rendere il debito nostro, cosa finita, cioè di queste cose transitorie, suvenendolo nel suo bisogno; e doviangli dare il desiderio con umile orazione; e con cordiale amore dare questa substanzia temporale, sì come debba fare el figliuolo al padre suo. Vedete dunque che comparazione non si può ponere da l'uno a l'altro, se non quanto dalla cosa infinita a la finita.

Anco ci soviene temporalmente. Come? Che, essendo noi figliuoli ribelli a l'obedienzia di lui padre, giustamente eravamo privati della eredità; ed egli v'à concessa la eredità, e perdonatavi la ingiuria fatta a Dio e a lui: distese à le ale della sua misericordia, sovenendo al bisogno della salute de l'anima e del corpo. Doviamo dunque essere grati, a ciò che se nutrichi la fonte della pietà in noi, e non si desecchi.

Ora è il tempo da mostrare questa gratitudine, nel tempo che vediamo contaminare la fede nostra: faccendolo, facciamo bene, perché rendiamo il debito; rendendo il debito siamo obbedienti, della quale obbedienzia ci seguita la grazia che ci dà vita. Ecco dunque che a noi medesimi facciamo bene, e soveniamo spiritualmente al bisogno della nostra salute: perché ne l'obedienzia della santa Chiesa e del sommo Pontefice ci vagliono tutte le grazie le quali ci sono ministrate per lui. E non facendolo, ce ne priviamo; e così ci facciamo danno di colpa.

Bene è dunque vero che, sovenendo el padre nostro, noi medesimi soveniamo delle grazie: spirituali, dico, e temporali. Come? Dicovelo: che vedendo noi questi tempi apparechiati a tante fadighe, e disponere i vostri paesi ad avenimento di signori, e noi siamo teneri come il vetro, per li molti defetti nostri e grandi divisioni. Unde discostandovi, e non sovenendo el padre nostro, saremmo a pericolo, perché, essendo separati dalla nostra fortezza, troppo saremmo debili. Ché, non mostrando ora in questi bisogni d'essere per lui, mostriamo d'essere contra lui, sì come disse la dolce Verità: «Chi non è per me, è contra me» (Mt 12,30 Lc 11,23); e diamo materia che, ne' grandi bisogni che ci occorrono, egli ci renda di quello che noi diamo a lui.

E voi sete pure certi di questo - se già voi non sete più ignoranti che l'altre persone -: che il braccio della santa Chiesa, se pure indebilisce, mai non è rotto; e de la debilezza esce sempre fortificato el braccio e chi ad esso s'accosta. Poi invitiamo il divino sopplicio a venire sopra di noi, dimostrando tanta ingratitudine: ché giustamente Dio s'indegnarebbe contra noi - disciplinandoci con la verga sua - non sovenendo al padre nostro papa Urbano VI e alla fede nostra; la quale vediamo che gl'iniqui uomini ci ànno dentro seminata la tenebre, come crudeli e malvagi uomini. Ma la luce confonderà la tenebre loro, e la verità la loro bugia.

Non tardate più, né dormite nel sonno della negligenzia, ma con sollicitudine fate ciò che si può fare in bene della santa Chiesa, però che questo è nostro; e ciascuno per sé medesimo el debba fare, perché l'utilità torna a noi come al padre nostro, sì come detto è, in ogni modo. Siatemi tutti virili, e non voliate ritrare adietro per veruno timore servile, però che qui non è bisogno timore se non el timore santo di Dio.

E se noi saremo veri figliuoli e vorremo la eredità, saremo sovenitori al padre e a noi medesimi; e non tanto la substanzia, ma la vita ci metteremo, se bisognasse. Ma io m'aveggo che la fredezza à ricoperti e' cuori nostri, e la cechità à offuscato l'occhio dell'intelletto che non ci lassa sentire né cognoscere el nostro danno el quale noi vediamo; ma, come idioti, senza cognoscimento del danno e delle grazie che aviamo ricevute infino ad ora, secondo che si mostra ne l'atto di fuore, non aviamo dato neuno aiutorio se non parole. Conviensi che l'affetto germini el frutto; e nel frutto m'avedrò che voi amiate e reveriate con vera e pronta obedienzia alla fede nostra, sovenendo alla necessità della santa Chiesa.

Strignetevi insieme, per Cristo crocifisso; poi non temete veruno tiranno, però che l'aiutorio divino, per lo cui amore soverrete alla Sposa sua, vi dilibererà. Aprite gli occhi, carissimi frategli, senza passione d'amore sensitivo, a vedere il bene che ve ne può seguitare e che ve ne seguita - rendendo il debito, come detto è -, e il male che per lo contrario ne viene da Dio e dagli uomini, aspettando la verga della divina giustizia. Spero, per la bontà di Dio, che vi farà cognoscere quello che è da fare; e cognoscendolo el farete; facendolo, abracciarete el bene e schifarete el male, e io ne pregarò Dio con tutto el cuore e con tutto l'affetto mio. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Perdonatemi se troppo v'ò gravati di parole: la necessità della santa Chiesa e della nostra salute m'à constretta. Umilemente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.



340

A madonna Agnesa da Toscanella, serva di Dio di grandissima penitenzia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fare uno vero e reale fondamento, acciò che vi si possa ponere su ogni grande e buono edificio, che niuno vento contrario il possa dare a terra.

Non vi maravigliate perché io dico che io desideri di vedervi fare uno vero fondamento: che pare uno cotale parlare come se ora cominciassimo a edificare la città dell'anima nostra, ed egli è tanto tempo che parbe che noi volessimo cominciare a fare questo fondamento; benché io confesso che io nol feci mai. Ma la cagione perché io dico che ora el cominciamo a fare è perché ogni dì di nuovo l'anima debba cominciare a fare questo principio.

Poiché aviamo veduto che ci conviene fare questo fondamento, ora vediamo dove, come, e in che.

Dicovelo: el luogo è il vero cognoscimento di noi, el quale cognoscimento si cava nella valle della vera umilità. E in che modo? col lume della santissima fede, cavando colle mani dell'odio l'affetto del disordinato amore, el quale è quella terra che ingombra l'anima; e vuolsi riempire colle pietre delle vere e reali virtù, colla mano dell'amore con affocato e santo desiderio. E che ci porremo su? la fame dell'onore di Dio, e della salute dell'anime, imparando dell'umile immaculato Agnello, seguitando la dottrina sua; la quale dottrina non c'insegna altro se non d'amare lui sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi. E però l'anima prudente, che à fatto el suo principio nel cognoscimento santo di sé per lo modo detto - dove à cognosciuta la grande bontà di Dio e l'amore ineffabile che egli ci à -, ella s'inamora di lui e di quello che egli più ama - cioè la creatura che à in sé ragione -; e però subito si pone alla mensa del santo desiderio di prendere il cibo dell'anime e d'uccidere in sé la propria volontà, e vestirsi delle virtù per onore di Dio.

E questa volontà si debba uccidere non mezza, ma tutta. Sapete quando s'uccide pur mezza? quando l'anima taglia l'affetto suo da queste cose transitorie, tagliandone l'amore sensitivo, e piglia di fare la volontà di Dio, el quale vuole che ce ne spogliamo. Rimane mezza morta, essendo morta in questo; e mezza le rimane viva, cioè nelle cose spirituali, cercando le proprie consolazioni, elegendo tempi e luoghi e consolazioni a modo nostro, e non a modo di Dio: la quale cosa non si debba fare. Anco, doviamo liberamente e schiettamente servire il nostro Creatore, e a lui lassare discernere tempi e luoghi e consolazioni a modo suo, però che egli è il medico e noi siamo gl'infermi; onde a suo modo doviamo ricevere e pigliare la medicina. Bene è stolta e matta quella anima che vuole andare a suo modo: pare che si reputi sapere più che Dio, e non se n'avede. Egli è pur così, perché l'è velato con questo colore: che le pare esser più piacevole a Dio nel modo suo che in quello che l'è permesso da Dio. Per questo modo spesse volte riceve grandissimi inganni. E onde viene la cagione che la volontà sta viva in questo? dall'amore che à conceputo alle proprie consolazioni, avendo fatto in esse il suo fondamento. Alcuni el fanno nelle visioni e revelazioni, unde traggono grande diletto, quando ne ricevono; e non ricevendo, ànno pena. Questo non è buono principio, però che spesse volte crederanno che ella sia da Dio, e ella sarà dal dimonio, perché il dimonio ci piglia con quello amo che egli ci vede più atti a ricevere.

E anco alcuna volta ci permetterà le molte consolazioni mentali Dio, non a ciò che noi ci poniamo il principale affetto, ma perché raguardiamo all'affetto di lui donatore più che al dono. Poi in un altro tempo non ce le darà, ma darà altro sentimento, o di molte battaglie, o tenebre e sterilità di mente, unde l'anima ne viene a grandissima pena, e parle essere privata di Dio quando è privata di quello che ama. E Dio il permette per levarla dalla imperfezione, e farla venire a perfezione; e per levarla dall'apetito delle revelazioni, e farla notricare alla mensa del santo desiderio, nel quale ella debba fare ogni suo principio.

Alcuna volta sono molti che ricevono inganno nella penitenzia. Questo è quando la creatura si pone per principale affetto la penitenzia, e attende più a uccidere il corpo che la propria volontà - colà dove ella debba uccidere la propria volontà e mortificare il corpo -: e tanto amore vi pone, che non le pare potere avere Dio senza questa penitenzia. Questo fondamento non è sufficiente di ponervi su grandi edificii, anco, è molto pericoloso e nocivo all'anima. E però non si debba ponere per fondamento ma per parete; e il principio suo fare sopra l'affetto dolce della carità, e nelle virtù intrinseche dell'anima, le quali non si perdono mai per luogo né per tempo, se noi non vogliamo, e non ci possono essere tolte da veruna creatura. La penitenzia si debba pigliare per istrumento, e usarla per augumentare la virtù e per mortificare il corpo, ma non per principale affetto. Chi fa altrimenti, inganna molto sé medesimo. Ben debba la persona cognoscere che la penitenzia le conviene fare a tempo, però che in ogni tempo non l'è possibile seguirla come à cominciato, perché il vasello del corpo, quando è mortificato e macerato un tempo, non può così l'altro; non potendo, à pena, e parle essere riprovato da Dio. La mente ne rimane tenebrosa, perché è tolto via quello unde le pareva ricevere el lume e la consolazione: questo l'adiviene perché à fatto qui su il suo principio. Questi cotali sono atti ad avere pur assai fadiga, ma poco frutto.

Sono atti a mormorazione e a giudicio inverso coloro che non tenessero per la via della penitenzia, perché tutti gli vorrebbero vedere andare per quella via che vanno essi. Non se n'avegono: e quasi pare che vogliono ponere legge allo Spirito santo che ci chiama e guida per diversi modi: chi per penitenzia e chi per altro modo; chi con poca, e chi con molta, secondo la possibilità della natura; e chi se ne va solo con l'affocato desiderio, e questi sono quelli che fanno il grande guadagno: corrono tutti illuminati, liberi e senza pena; perché ànno morta la volontà loro, non danno giudicio ma godono di vedere tanta diversità di modi ne' servi di Dio, perché vegono che nella casa del Padre nostro sono molte mansioni, e che egli à che dare.

Questi non ricevono pena per privazione di consolazioni, anco ne godono per odio santo che ànno di loro, reputandosi degni della pena e indegni del frutto che seguita doppo la pena. Non attendono a cercare sé per sé, ma per Dio; e Dio non amano per proprio diletto, ma per la bontà sua, che è degno d'essere amato da noi; e il prossimo amano perché ci è comandato; e ànno veduto col lume della fede che Dio l'ama ineffabilmente, e però essi l'amano. In questa vita gustano l'arra di vita eterna, perché ànno morta la volontà in tutto, e non a mezzo, nelle cose spirituali e temporali.

O carissima suoro, non credete, né caggia nella mente vostra, ch'io vi spregi la penitenzia corporale. No, anco la commendo in quanto ella sia posta per strumento, come è detto, ma non per principale affetto. Per altro modo, riceveremo moltissimi inganni. Doviamo adunque fare uno principio d'uno cognoscimento di noi, e di Dio in noi; tutte schiette e liberali corrire alla mensa della santissima croce - dove noi troviamo el fuoco della divina sua carità -, e, come affamate, a questa mensa pigliare el cibo de l'onore di Dio e salute dell'anime, satollandoci d'obrobrii, di scherni e villanie, sostenendo infino alla morte. Per questo modo seguitaremo la dottrina di Cristo crocifisso, el quale è via, verità e vita; e chi va per lui, non va in tenebre, ma giogne alla luce.

E veramente egli è verità, che chi seguita la sua dottrina riceve lume di grazia: tollegli la tenebre de l'amore proprio e della ignoranzia; e riceve una luce, cioè uno lume sopranaturale, col quale lume à veduto e cognosciuto dove gli conviene fare il suo principio: e però l'à fatto, e à edificato la città dell'anima sua. À veduto con grande prudenzia quella cagione che impedisce la sua perfezione, e però in tutto la tolle da sé; e strigne e abraccia quello che l'abbi a conservare e crescere nella perfezione.

Dilargando el cuore e l'affetto nell'ardore della divina carità, non pensa di sé, ma pensa pure in che modo possa più piacere a Dio in cercare l'onore suo e la salute dell'anime. E perché vede che questo non potrebbe fare con la volontà viva, però si studia d'uccidere e abnegare in tutto questa volontà, e di mortificare il corpo, in tanto che di neuna cosa pare che si cura, se non di vestirsi delle virtù. Unde se ella à consolazione da Dio, o da le creature per Dio, ella s'aumilia, ricevendo con ringraziamento, e reputandosene indegna; e se ella à tribolazione, tentazione o tenebre di mente, ella le riceve con pazienzia e amore, cognoscendo che ciò che Dio le permette, di qualunque cosa si sia, glili dà per amore, per farla venire allo stato perfetto del quale ella à desiderio.

Se ella è rimossa dalla sua penitenzia che ella faceva per mortificare el corpo - o per obedienzia o per non potere -, ella se ne pone in pace, e non à tempesta né amaritudine nella mente sua, perché non aveva fatto in essa el suo fondamento, ma nell'affetto delle virtù: e però non à pena. Tutto il contrario fanno coloro che ànno fatto el loro principio solo nella penitenzia, perché la volontà loro è viva e non morta, unde ànno pena intollerabile quando ne sono fatti levare, o quando per necessità la conviene loro lassare: cioè, quando per mancamento di natura non possono seguire quello che ànno cominciato, vengonne ad impazienzia in loro medesimi, e a dispiacere verso chi gli lo 'mpedisce. E volendo giognere a perfezione, vengono a imperfezione.

Adunque, carissima figliuola, facciamo el nostro principio e vero fondamento non in cosa imperfetta, ma in cosa perfetta, cioè nel vero cognoscimento di noi, come detto è, con desiderio delle virtù - le quali non ci possono essere tolte -, notricandoci alla mensa del santo e vero desiderio, satollandoci degli obrobrii de l'umile Agnello. Però che in altro modo non potremo piagnere con umili e continue orazioni sopra el figliuolo morto de l'umana generazione, né sopra el corpo mistico della santa Chiesa, la quale oggi vediamo in tanta tribolazione. Vedendo io che altro modo non c'è migliore per lavorare in noi e in altrui, che fare questo dolce principio, dissi ch'io desideravo di vederci fare uno vero e reale fondamento, acciò che ci potiamo edificare su virtù vere. E così vi prego per l'amore di Gesù Cristo crocifisso che facciate; e non vogliate usare indiscrezione, per poco lume, di darvi tanto a uccidere il corpo: ma in tutto uccidere la propria volontà, che non cerchi né voglia altro che Dio a modo suo, e non a vostro. Altro non vi dico.

Di quello che mi mandasti a dire, d'andare al Sepolcro, non mi pare che sia d'andarvi per questi tempi; ma credo che sia più la dolce volontà di Dio che vi stiate ferma, e gridiate continuamente con cordiale dolore nel cospetto suo, e con grande amaritudine di vederlo offendere tanto miserabilemente, e spezialmente della eresia che è levata dagli iniqui uomini per contaminare la fede nostra, dicendo che papa Urbano VI non è vero papa. El quale è vero sommo pontifice e vicario di Cristo, e così confesso nel cospetto di Dio e dinanzi alle creature.

Bagnatevi nel sangue sparto per noi con tanto fuoco d'amore, e a me perdonate se troppo presuntuosamente avessi parlato. Pregate Dio per Cristo in terra e per me, che mi dia grazia ch'io dia la vita per la sua verità dolce.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 336