Caterina, Lettere 349

349

A' signori Bandaresi e quattro Buoni uomini mantenitori della republica di Roma, a dì vi di magio Mccclxxviiij (in abstractione facta).

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori in terra in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti di tanti benefizii quanti avete ricevuti da Dio, acciò ch'eglino crescano in voi e notrichisi la fonte della pietà di Dio ne l'anime vostre. Però che, come la gratitudine gli è molto piacevole, e utile a noi, così la 'ngratitudine molto gli dispiace, e a noi fa danno: disecca in noi la fonte della pietà, e invitiamo Dio non a cresciare le grazie, ma a privarci di quelle che ci à date. Bene dunque è da studiarsi con grande solecitudine di riguardare e' benefizii di Dio, però che vedendoli gli conosciarete, e conoscendoli rendarete gloria e lode al nome suo.

E in che mostraremo a Dio la nostra gratitudine e la nostra ingratitudine? Dicovelo: la ingratitudine si mostra in offendare la sua bontà e il prossimo nostro, offendendolo in molti e diversi modi con molta ingiustizia; non rendendoli quello debito che noi siamo obligati di rendarli, cioè d'amare lui sopra ogni cosa e 'l prossimo come noi medesimi (). E noi facciamo tutto 'l contrario, ché quello amore che noi doviamo dare a lui el diamo alla propria sensualità, offendendolo col cuore e con la mente, e con tutte le potenzie dell'anima, e con le membra del corpo nostro, le quali debano essere strumento di virtù, ed esse sonno strumento di vizio; da' quali vizii riceviamo morte eternale se la vita nostra termina in colpa di peccato mortale.

Da qualunque lato noi ci volliamo, non ci troviamo altro che miseria: e tutto procede dalla ingratitudine.

Ella germina superbia, vanità e legerezza di cuore, con molta immondizia, in tanto che non pare che l'uomo curi d'invòllarsi nel loto de l'immondizia, se non come l'animale. Ella priva l'anima della carità fraterna inverso del prossimo suo; e concepe odio e dispiacimento, e s'egli pure l'ama, amalo per propria utilità, e non per Dio. Atti sonno questi cotali a ricevare ogni miserabile informazione, giudicando male inverso di lui, non riguardando con prudenzia chi è colui che dice el male e di cui egli è detto, o s'egli el dice per proprio dispiacere, o per invidia, o per semplicità che avesse. Ché spesse volte l'uomo ignorante dice ciò che li viene a bocca, e non mira quello che parla; ma colui che ode el debba mirare egli. Lo invidioso non mira che dica più verità che bugia; atende pure di fare danno e tòllare la fama del prossimo suo: tutto dì vedete ch'egli è così.

E se l'uomo è in stato di signoria non si cura di tenere al prossimo giustizia se non sicondo el suo proprio piacere, o a piacere delle creature - contaminando la giustizia e rivendendo le carni del prossimo suo -, perché 'l cuore suo è privato della carità: àllo sì stretto el proprio amore, che non vi cape né Dio né 'l prossimo per giustizia santa, né di sovenirlo nella sua necessità. E non tanto che egli el sovenga, ma egli li tolle el suo in molti modi, secondo che gli ocorrono e' casi, con molti guadagni illiciti de' quali li converrà rendare ragione nell'ultima estremità della morte. La lingua sua, ch'è fatta per rendare gloria e lode al nome di Dio, e per confessare e' peccati, e in salute del prossimo, egli l'essercita in bastemiare, in giurare e spergiurare, e in giudicare; e non tanto che bastemi e dica male delle creature, ma egli pone bocca a Dio e a' santi suoi, né più né meno che se l'avesse fatto co' piei. E voi vedete bene ch'egli è la verità, e non ci è quasi picolo né grande che di questo vizio non s'abi fatto consuetudine, per lo difetto di chi à a tenere la giustizia, che none la fa secondo che vuole la ragione. Ma Dio dimostra che questo e gli altri difetti li dispiaciono, facendone un poca di giustizia co' fragelli e discipline sue che noi tutto dì abiamo. E giustamente el fa; ben ch'egli ce le dà con grande misericordia. Sicché questi sonno e' frutti che produce l'uomo ingrato; questi sonno e' segni suoi, che manifestano la sua sconoscenza.

Tutto 'l contrario dimostra l'uomo che è grato e conoscente al suo Creatore. Egli li dà giustizia, rendendoli quello ch'è suo: cioè la gloria e lode che deba essere di Dio egli lili dà amandolo sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. Riguardando l'umilità di Dio à mozze le corna della superbia, e con la sua giustizia s'è levato dalla ingiustizia; e con la carità del prossimo suo à conculcata la invidia, dilargando el cuore nell'affetto della carità. Nella purità di Cristo e ne l'abondanzia del sangue suo si leva da ogni immondizia; vive onestamente, sovenendo el prossimo suo, o suddito o signore che sia, in ogni necessità sua, quanto gli è possibile; dà del suo e non tolle l'altrui; fa ragione al picolo come al grande e al povaro come al ricco, secondo che vuole la vera giustizia. Egli non è leggiere a credare uno diffetto del suo prossimo, ma con prudenzia e maturità di cuore riguarda molto bene colui che dice, e di cui egli dice. Egli è grato e conoscente a chi el serve, perché egli è grato a Dio: però è grato a lui; e non tanto ch'egli serva chi el serve, ma egli ama e fa misericordia a chi l'à diservito.

La vita sua è ordinata, perché à ordinate tutte le tre potenzie dell'anima: la memoria a ritenere e' benifici di Dio per ricordamento; lo 'ntelletto ad intendare la sua volontà; e la volontà ad amarlo, e così gli strumenti del corpo tutti si dispongono in essercitare la virtù. Egli è paziente e benivolo; ama la concordia e odia la discordia; è fedele a Dio e a la santa Chiesa, e al vicario suo; come figliuolo vero si nutrica al petto della sua obedienzia. Ora a questo modo dimostriamo d'essere grati e conoscenti a Dio; alora le grazie crescono, e temporali e spirituali.

Adunque voglio, fratelli carissimi, che voi siate grati - acciò che crescano le grazie - delle grazie che v'à fatte e fa el vostro Creatore. E perché di nuovo n'avete ricevute miracolosamente, di nuovo voglio che gli rendiate grazia e lode al nome suo; con vera umilità riconoscendole da Dio, e non dal vostro proprio potere né sapere. Ché con tutto el vostro studio umano non l'areste potuto fare, se non che Dio el fece egli, vollendo l'occhio della sua misericordia sopra di noi che troppo stavamo a grande pericolo; e però a Dio lo dobiamo atribuire. L'essemplo ce ne dà el padre nostro, papa Urbano VI, che - in segno ch'egli la riconosce da Dio - s'aumilia facendo quello atto, che già è grandissimi tempi non fu più, d'andare a processione a piei scalzi. Adunque noi, figliuoli, seguitiamo le vestigie del padre, cioè di conosciare le grazie da Dio, e non da noi.

Anco voglio che siate grati a questa compagnia, e' quali sonno stati strumento di Cristo, suvenendoli in quello che bisogna, massimamente in questi povarelli feriti. Portatevi caritativamente con esso loro, acciò che gli conserviate nell'aiutorio vostro, e tolliate lo' la materia che essi non abino cagione di fare contra di voi: così vi conviene fare, dolcissimi fratelli, sì per lo debito, e sì per la grande necessità. So' certa che se in voi sarà la virtù della gratitudine, voi vi studiarete di fare questo e l'altre cose sopra dette, altrimenti no; e però vi dissi ch'io desiderava di vedervi grati e conoscenti de' benefizii ricevuti da Dio, acciò che compiate di fare quello ch'è di necessità alla salute dell'anima e del corpo.

Parmi che s'usi un poco d'ingratitudine verso Giovanni di Cencio, el quale s'è affatigato con tanta solecitudine e fedeltà, con ischietto cuore, solo per piacere a Dio e per vostra utilità - e questo so ch'è la verità -, ogni altra cosa abandonando per questo, per trarvi del fragello, che v'era posto, di Castello Santo Angelo: in ciò s'è adoparato con tanta prudenzia. Ora non tanto che mostrino segno di gratitudine solo di ringraziamento, ma el vizio della invidia e della ingratitudine gitta el veleno delle infamie e molta mormorazione. Non vorrei che si facesse così, né di lui né di neuno altro che vi servisse - perché sarebbe offesa di Dio e danno a voi -, ché tutta la comunità à bisogno d'uomini savi, maturi e discreti e di buona coscienzia. Non si faccia più così, per l'amore di Cristo crocifisso! Poneteci quello rimedio che pare alla Signoria vostra, acciò che la simplicità delli ignoranti non empedisca el bene.

Questo dico per vostra utilità, e non per neuna affezione, ché voi sapete ch'io so' peregrina, parlandovi per lo buono stato vostro perché tutti insiememente con lui tengo che siate l'anima mia. So che, come uomini savi e discreti, riguardarete a l'affetto e alla purità del cuore mio con che io scrivo a voi, e così perdonarete alla mia presunzione che presummo di scrivare. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Siate, siate grati e conoscenti a Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



350

Al Re di Francia.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, acciò che cognosciate la verità di quello che v'è necessario per la vostra salute.

Senza questo lume andaremmo in tenebre, la quale tenebre non lassa discernere quello che c'è nocivo all'anima e al corpo, né quello che c'è utile. E per questo si guasta el gusto dell'anima, che le cose buone le sanno gattive, e le gattive buone: cioè, che el vizio e quelle cose che c'inducono a peccato, ci paiono buone e dilettevoli; e le virtù e quello che c'induce a virtù, ci paiono amare e di grande malagevolezza. Ma chi à lume, cognosce bene la verità, e però ama la virtù, e Dio che è cagione d'ogni virtù; e odia el vizio, e la propria sensualità che è cagione d'ogni vizio.

Chi ci tolle questo vero e dolce lume? L'amore proprio che l'uomo à a sé medesimo, el quale è una nuvila che offusca l'occhio dell'intelletto, e ricuopre la pupilla del lume de la santissima fede. E però va come cieco e ignorante, seguitando la fragilità sua, tutto passionato e senza lume di ragione, sì come animale che, perché non à ragione, si lassa guidare al proprio sentimento. Grande miseria è de l'uomo - el quale Dio à creato a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26) - che egli voluntariamente e per suo defetto si facci peggio che animale bruto: come ingrato e ignorante, non cognosce né ricognosce i benefizii di Dio, ma retribuisceli a sé medesimo. Da l'amore proprio procede ogni male: unde vengono le ingiustizie e tutti gli altri defetti? da l'amore proprio.

Egli commette ingiustizia contra Dio, contra sé, e contra el prossimo suo, e contra a la santa Chiesa.

Contra a Dio la commette, ché non rende gloria e loda al nome suo come egli è obligato; a sé non rende odio e dispiacimento del vizio e amore de la virtù; al prossimo non rende la benivolenzia. E se egli è signore, non gli tiene giustizia, però che non la fa se non secondo el piacere de le creature o per proprio suo piacere umano. A la Chiesa non rende obedienzia, e non la soviene ne la sua necessità con debita reverenzia, e non che la sovenga, ma continuamente la perseguita. Di tutto questo è cagione l'amore proprio, che non gli lassa cognoscere la verità, perché è privato del lume: questo c'è molto manifesto, e tutto dì el proviamo e vediamo in noi medesimi che egli è così. Non vorrei, carissimo padre, che questa nuvola vi tollesse el lume; ma voglio che in voi sia quello lume che vi faccia cognoscere e discernere la verità.

Parmi, secondo che io intendo, che cominciate a lassarvi guidare al consiglio de' tenebrosi; e voi sapete che se l'uno cieco guida l'altro, ambedue caggiono ne la fossa (Mt 15,10 Lc 6,39). Così diverrà a voi, se voi non ci ponete altro remedio che quello che io sento. Ònne grande ammirazione di vedere che uomo catolico, che voglia temere Dio e essere virile, si lassi guidare come fanciullo, e che non vegga come metta sé e altrui in tanta ruina quanta è di contaminare el lume de la santissima fede, per consiglio e detto di coloro che noi vediamo essere membri del demonio e arbori corrotti, de' quali ci sono manifesti i defetti loro per l'ultimo veleno che ànno seminato, de la eresia, dicendo che papa Urbano VI non sia veramente papa.

Aprite qui l'occhio dell'intelletto, e raguardate che essi mentono sopra el capo loro. Per loro medesimi si possono confondere e veggonsi degni di grande suplicio, da qualunque lato noi ci volliamo. Se noi ci volliamo a quello che essi dicono, che lo elessero per paura de la furia del popolo, essi non dicono la verità, però che prima l'avevano eletto con canonica elezione e ordinata, sì come fusse eletto mai verun altro sommo pontefice. Essi si spacciarono bene di fare la elezione per timore che il popolo non si levasse; ma non che per timore essi eleggessero missere Bartolomeo arcivescovo di Bari, el quale è oggi papa Urbano VI: e così confesso in verità, e non lo niego. Quello che essi elessero per paura, ciò fu missere di Santo Pietro, apparbe evidente a ciascuno; ma la elezione di papa Urbano era fatta ordinatamente, come detto è. E questo anunziarono a noi e a voi e agli altri signori del mondo, manifestando per opera quello che ci dicevano per parole, cioè facendoli reverenzia, adorandolo come Cristo in terra, e coronandolo con tanta solemnitade e rifacendo di nuovo la elezione con grande concordia; e a lui, come a sommo pontefice, chiesero le grazie, e usaronle.

E se non fusse stato vero che papa Urbano fusse papa, ma che l'avessero eletto per paura, e non sarebbero essi degni eternalmente di confusione, che le colonne de la santa Chiesa poste per dilatare la fede, per timore de la morte corporale volessero dare a loro e a noi morte eternale, mostrandoci per padre quello che non fusse? E non sarebbero essi idolatri, adorando per Cristo in terra quello che non fusse? E non sarebbero essi ladri, tollendo e usando quello che non potessero usare? Sì bene, se vero fusse quello che ora dicono - che non è: anco, è veramente papa, papa Urbano VI -. Ma, come stolti e matti, accecati dal proprio amore, ànno mostrata e data a noi questa verità, e per loro tengono la bugia. Tanto la confessarono questa verità, quanto la Santità sua indugiò a volere correggere e' vizii loro; ma come egli cominciò a mordergli, e a mostrare che lo scelerato vivere loro gli era in dispiacere, e che egli voleva ponervi remedio, subito levarono el capo. E contra cui l'ànno levato? contra a la santa fede, peggio ànno fatto che cristiani rinnegati.

O miseri uomini! essi non cognoscono la loro ruina, né chi gli seguita, che, se la cognoscessero, essi chiederebbero l'aiutorio divino e ricognoscerebbero le colpe loro, e non sarebbero ostinati come demoni: ché drittamente paiono demoni, e preso ànno l'officio loro. L'officio de le demonia è di pervertire l'anime da Cristo crucifisso e sottrarle da la via de la verità, e inducerle a la bugia; e recarle a sé che è padre de le bugie (Jn 8,44), per pena e per suplicio dando a loro quello che egli à per sé. Così questi vanno sovertendo da la verità, la quale verità essi medesimi ci ànno data, e reducendo a la bugia, tutto el mondo ànno messo in divisione; e di quello male che essi ànno in loro, di quello porgono a noi. Vogliamo noi bene cognoscere questa verità? Or raguardiamo e consideriamo la vita e i costumi loro; e che seguito essi ànno pur de' loro medesimi, che seguitano le vestigie de le iniquitadi: però che l'uno demonio non è contrario all'altro, anco s'accordano insieme. E perdonatemi, carissimo padre - padre vi terrò, in quanto io vi vegga amatore de la verità e confonditore de la bugia - perché io dica così, però che il dolore de la dannazione loro e d'altrui me n'è cagione, e l'amore che io porto a la salute loro.

Questo non dico in dispregio loro in quanto creature, ma in dispregio del vizio e de la eresia che essi ànno seminata per tutto el mondo, e de la crudeltà che essi usano a loro e all'anime tapinelle che per loro periscono; de le quali lo' converrà rendere ragione dinanzi al sommo giudice. Che se fussero stati uomini che avessero temuto Dio - o la vergogna del mondo, se Dio non volevano temere -, se papa Urbano l'avesse fatto el peggio che egli l'avesse potuto fare, e il maggiore vituperio, averebbero pazientemente portato, e eletto inanzi mille morti che fare quello che ànno fatto. Ché a maggiore vergogna e danno non possono venire, che apparire agli occhi de le creature scismatici e eretici e contaminatori de la santa fede.

Se io veggo el danno dell'anima e del corpo, si mostrano per la eresia privati di Dio per grazia, e corporalmente privati de la dignità loro, di ragione: e essi medesimi l'ànno fatto. Se io raguardo el divino giudicio, egli si vede presso a loro, se non si levano da questa tenebre; però che ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato. Duro lo' sarà a ricalcitrare a Dio (Ac 26,14), se tutto lo sforzo umano avessero. Dio è somma fortezza, che fortifica i debili che si confidano e sperano in lui, ed è verità; e la verità è quella cosa che ci libererà (Jn 8,32).

Noi vediamo che solo la verità de' servi di Dio seguitano e tengono questa verità di papa Urbano VI, confessandolo veramente papa, come egli è. Non trovarete uno servo di Dio che tenga el contrario, che sia servo di Dio: non dico di quelli che portano di fuore el vestimento de la pecora, e dentro sono lupi rapaci.

E credete voi che se questa non fusse verità, che Dio sostenesse che i servi suoi andassero in tanta tenebre? nol sosterrebbe. Se egli el sostiene agli iniqui uomini del mondo, nol sostiene a loro, e però egli l'à dato lume di questa verità: perché non è spregiatore de' santi desiderii, anco, n'è accettatore, come padre benigno e pietoso che egli è. Questi vorrei che voi chiamaste a voi, a farvi dichiarare di questa verità, e non vogliate andare sì ignorantemente.

Non vi muova la passione propria, ché ella farà peggio a voi che a persona. Abbiate compassione a tante anime, quante mettete ne le mani de le demonia. Se non volete fare il bene, almeno non fate el male, ché 'l male spesse volte torna più sopra colui che 'l fa, che sopra a colui a cui vuole essere fatto. Tanto male n'esce, che ne perdiamo Dio per grazia, consumansi i beni temporali, e seguitane la morte degli uomini.

Doimé! e non pare che noi vediamo lume, ché la nuvila dell'amore proprio ci à tolto el lume, e non ci lassa vedere. Per questo siamo atti a ricevere ogni mala informazione che ci fusse data, contra a la verità, dagli amatori di loro medesimi. Ma se averemo el lume, non sarà così; ma con grande prudenzia e timore santo di Dio vorrete cognoscere e investigare questa verità, per uomini di conscienzia e di scienzia. Se voi vorrete, in voi non caderà ignoranzia però che avete costà la fontana de la scienzia, la quale temo che non perdiate se voi terrete questi modi, e sapete bene come ne starà el reame vostro. Se saranno uomini di buona conscienzia e che non vogliano seguitare el piacere umano con timore servile, ma la verità, essi vi dichiareranno, e porranno in pace la mente e l'anima vostra.

Or non più così, carissimo padre: recatevi la mente al petto e pensate che voi dovete morire, e non sapete quando. Ponetevi dinanzi all'occhio dell'intelletto Dio e la verità sua, e non la passione né l'amore de la patria: ché, quanto a Dio, non doviamo fare differenzia più d'uno che d'un altro, però che tutti siamo usciti de la sua santa mente, creati a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricomprati del prezioso sangue de l'unigenito suo Figliuolo. So' certa che, se averete el lume, voi el farete, e non aspettarete el tempo, però che il tempo non aspetta voi, e invitarete loro a tornare a la santa e vera obedienzia, ma altrimenti no. E però dissi che io desideravo di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, acciò che col lume cognosciate, amiate e teniate la verità. Sarà allora beata l'anima mia per la salute vostra, di vedervi uscire di tanto errore. Altro non dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio.

Perdonatemi se troppo v'ò gravato di parole, ma l'amore de la vostra salute mi costrigne a più tosto dirvele a bocca e con la presenzia che per scritto. Dio vi riempia de la sua dolcissima grazia. Gesù dolce, Gesù amore.



351

A papa Urbano VI a dì xxx di magio Mccclxxviiij, in Roma, tornato a Santo Piero.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Padre santissimo, lo Spirito santo obumbri l'anima e 'l cuore e l'affetto vostro del fuoco della divina carità, e infonda uno lume sopra naturale nello intelletto vostro per sì-fatto modo che nel lume vostro noi pecorelle vediamo lume, e che neuno inganno che 'l dimonio vi volesse fare con le malizie sue possa essere occulto a la Santità vostra.

Desidero, padre santissimo, di vedere compire in voi tutte l'altre cose che la dolce volontà di Dio vi richiede, delle quali so che avete grandissimo desiderio. Spero che questo dolce fuoco dello Spirito santo adoperarà nel cuore e nell'anima vostra, sì come fece in quegli discepoli santi - che lo' dié fortezza e potenzia contra e' dimonii visibili e contra gl'invisibili: nella virtù sua atterravano e' tiranni del mondo, e nel sostenere dilatavano la fede -: dié loro uno lume con una sapienzia in cognoscere la verità e la dottrina che essa Verità avea lassata. Unde l'affetto, che va dietro a l'intelletto, gli vestì del fuoco della sua carità, intanto che perderono ogni timore servile e piacere umano, e solo attendevano a l'onore di Dio, e a trare l'anime delle mani delle dimonia: e di quella verità che si trovavano illuminati, volevano porgere a ogni creatura. Ma doppo la molta vigilia, umile e continua orazione, e molta fadiga mentale che essi ebbono questi dieci dì, furono ripieni di questa fortezza dello Spirito santo, sì che innanzi andò la fadiga e l'essercizio santo.

O padre santissimo, pare che c'insegnino, e ogi confortino la Santità vostra; e pare che ci diano la dottrina in che modo potiamo ricevere lo Spirito santo. Per che modo? Che noi stiamo nella casa del cognoscimento di noi, nel quale cognoscimento l'anima sta sempre umile, che nella allegrezza non disordina, né nella tristizia viene a impazienzia: ma tutto è matura e paziente in questo cognoscimento, perché à conceputo odio alla propria sensualità. In questa casa sta in vigilia e continua orazione, perché lo 'ntelletto nostro debba veghiare in cognoscere la verità della dolce volontà di Dio; e non dorme nel sonno de l'amore proprio. Alora riceve la continua orazione, cioè il santo e vero desiderio, col quale desiderio essercitiamo la virtù, che è uno continuo orare; unde non cessa d'orare chi non cessa di ben adoperare. Per questo modo riceviamo questa dolce fortezza; adunque seguitiamo questo dolce modo con vera e santa sollicitudine, giusta 'l nostro potere. Dico che essi confortano voi vero e sommo pontefice, mostrandovi la virtù divina con adiutorio suo, ché non con forza umana conquistarono tutto el mondo e tolsero la tenebre della infedelità, ma nella fortezza, sapienzia e carità di Dio, la quale non è infermata per voi né per veruna creatura che si confidi in lui.

Adunque, bene è vero che in questa fortezza vi confortano in questa necessità della Sposa vostra; e non tanto per fede ci sete confortato, ma per opera: perché già quattro semane singularmente aviamo veduto che la virtù di Dio à operate mirabili cose fatte per mezzo di vili creature, acciò che vediamo manifestamente che egli è colui che adopera, e non la potenzia umana. Adunque a lui ne rendiamo la gloria, e siamoli grati e cognoscenti. Godo, padre santissimo, d'allegrezza cordiale ché gli occhi miei ànno veduto compire la volontà di Dio in voi, cioè in quello atto umile, non usato già grandissimi tempi, della santa processione. Oh quanto è stato piacevole a Dio, e spiacevole alle dimonia, in tanto che si sforzarono di darvi scandalo dentro e di fuore, ma la natura angelica raffrenava la furia delle dimonia.

Ora dissi ch'io desideravo di vedere compita in voi questa volontà dolce di Dio in ogni altra cosa; e però vi ramento che la verità vuole che diate pensiero e sollicitudine in dirizare e ordinare la Chiesa di Dio l'uno dì doppo l'altro, secondo che v'è possibile, nel tempo che voi avete. Ed egli sarà colui che adoperarà per voi: daravi fortezza a poterlo fare; e lume a cognoscere quello che è necessario, con sapienzia e prudenzia, a dirizzare la navicella sua; e la volontà a volerlo fare, la quale già v'à data, ma cresciaralla per la sua infinita misericordia. In questa virtù sconfiggiarete e' tiranni, levarete la tenebre de l'eresia, perché esso medesimo dichiara e dichiararà questa verità.

Godo che questa dolce madre Maria, e Pietro dolce, principe degli apostoli, v'à rimesso nel luogo vostro.

Ora vuole la etterna verità che nel giardino vostro facciate uno giardino di servi di Dio; e ine ve gli nutrichiate della substanzia temporale, ed essi voi delle spirituali, che non abbino a fare altro che gridare nel conspetto di Dio per lo buono stato della santa Chiesa, e per la Santità vostra. Questi saranno quelli soldati che vi daranno perfetta vittoria; e non tanto sopra e' malvagi cristiani, e' quali sonno membri tagliati dalla santa obedienzia, ma sopra gl'infedeli, de' quali ò grandissimo desiderio di vedere rizzato il gonfalone della croce santa sopra di loro, e già pare che ci vengano ad invitare. Quello sarà alora doppio diletto. Or cresciamo, e notrichianci nelle vere e reali virtù; entriamo nella casa del cognoscimento di noi, a ciò che per lo modo detto riceviamo la plenitudine dello Spirito santo.

Confortatevi, padre mio santissimo, ché Dio vi darà rifregerio: doppo la grande fadiga segue la grande consolazione, perché egli è accettatore de' santi e veri desiderii. E ora si cominci gli affetti e gli atti umili, imparando da l'umile Agnello del quale sete vicario, con vera constanzia infino a la morte e con ferma speranza nella providenzia sua, dilettandovi sempre nel nostro Creatore e negli umili servi suoi, sì com'io so che la Santità vostra si diletta; ma io vi ricordo perché la lingua non può fare che non satisfaccia a l'abondanzia del cuore, ma principalmente perché mi sento stimolare la conscienzia dalla dolce bontà di Dio.

Abbiate pazienzia in me, che tanto vi gravo, o per uno modo o per un altro; e perdonate alla mia presunzione. So' certa che Dio vi fa vedere più l'affetto che le parole. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. La dolce etterna bontà di Dio, Ternità etterna, vi doni la grazia sua, con plenitudine del fuoco della sua carità; in tanto che nelle vostre mani si riformi la santa Chiesa, e che facciate sacrificio di voi a Dio. Altro non dico.

Permanete etc.

Godete ed essultate ne' dolci misterii di Dio. E se in veruna cosa ò offeso Dio o la Santità vostra, me ne rendo in colpa, e pregovi che mi perdoniate, apparechiata ad ogni penitenzia. Gesù dolce, Gesù amore.




352
A madonna Lariella, donna di messere Ceccolo Caracciolo da Napoli, la quale era tribolata e aveva pena per lo stare il marito in Roma col santo padre Urbano VI, che è suo consubrino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in Dio, in lui confidarvi e non nelle creature: però che maladetto si può chiamare colui che si confida ne l'uomo.

Oh quanto male ne seguita, e danno dell'anima nostra, e quanto è vana questa speranza!. La lingua nostra nol potrebbe narrare. Ella è vana e transitoria, perché in vano s'affatiga colui che cerca le delizie, stati e ricchezze del mondo. Chi ci mostra che ella è vana? La poca fermezza che troviamo in loro: ché, quando noi le crediamo bene tenere, elle ci vengono meno, o per divina dispensazione che ce le tolle per nostro bene, o per lo mezzo della morte, partendoci di questa tenebrosa vita. E tale ora crediamo fare il grande guadagno, e venire in grandissimo stato, che noi perdiamo quello che aviamo; e se noi pure il teniamo, tenianlo con grande fatiga, e con disordinato timore e paura di non perderlo: diventane l'uomo incomportabile a sé medesimo. Bene è dunque vana; e matto è l'uomo che ci pone speranza.

Dico che fa danno, perché ci tolle la signoria e libertà, e facci servi, ché di quello che la persona ama, di quello si fa servo. Unde se disordinatamente amiamo le creature, o le cose create, fuore di Dio, noi offendiamo, e offendendo Dio ci facciamo servi e schiavi del peccato, che non è, e delle cose create, che tutte sono meno di noi. Anco, elle sono create perché servino a noi, e noi per servire a Dio. E noi facciamo il contrario servendo ad esse, e diserviamo il nostro Creatore. Elle ci privano del lume, che non ci lassano vedere né cognoscere la verità; sì come l'occhio che è infermo non può raguardare la luce, così l'occhio dell'anima, dove è venuta la infermità del disordinato amore, perde per sì-fatto modo la luce, che non può cognoscere né sé né Dio, cioè la propria miseria e la infinita bontà di Dio.

Egli perde la ricchezza delle virtù, perché è tagliato dall'affetto della carità, nella quale sono legate tutte le virtù. Ine non è dilezione di Dio né del prossimo; e nol serve se non per propria utilità. Non v'è umilità vera, perché v'è la propria reputazione, con la quale si diletta d'essere tenuto grande e avere il grande stato. Tutto il suo studio è di piacere alle creature perché piace a sé medesimo; e più studia di piacere ad esse che al Creatore. E se riceve ingiuria, la porta con grande impazienzia. O se serve il prossimo o i parenti suoi, e non ne riceva onore o propria utilità, non v'à pazienzia, e volentieri abandonerebbe il servizio suo.

Questo fa el proprio amore; e voi sapete bene che così è: perché forse alcuna cosa ne provate in voi medesima, per lo stare che fa qui messere Ceccolo, del quale stare v'incresce. Ma se vedeste che gli fosse risposto al servizio che fa, e ricevesse del fumo del mondo, cioè della gloria umana, non ve ne increscerebbe così. Ma bene credo che questa pena riceviate più per detto delle creature che vi molestano, e per un cotale onore mondano, che per propria utilità che voi ne voleste. Questo non è bene, anco è grande difetto, e non è sanza offesa di Dio; e statene voi in afflizione d'anima e di corpo, e a lui ne date pena. Non voglio che facciate così, però che segno sarebbe che la speranza e l'affetto vostro fosse posto più nelle creature e ne l'onore del mondo che nel Creatore, la qual cosa non si debbe fare. Ma dovete essere tutta virile, e farvi beffe del mondo, considerando un poco de' beni del cielo e de l'onore di Dio, e non de' beni della terra e del proprio onore vostro. Questo voglio che faciate.

E rispondete a chi vi dicesse il contrario, che con uno santo desiderio vogliate che messere Ceccolo serva fedelmente con tutto il cuore e con tutto l'affetto Cristo in terra, e la santa Chiesa, sanza rispetto di stato, di grandezza o di propria utilità, ma solo per onore di Dio, e per lo debito, sì come debbe fare il figliuolo al padre. Allora sarà servigio grato e piacevole a Dio, onore e utilità vostra. Utilità, dico, di grazia, la quale è quella utilità che Dio ci richiede che noi cerchiamo con grande sollicitudine. Questo farete se la vostra speranza sarà posta solamente in Dio, altrimenti no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in lui; e veramente il dovete fare, poi che vedete che tanto è nocivo a ponerla in sé, o nelle creature, o nelle cose create, fuore di Dio: e con grande danno tiene l'anima in molta amaritudine, sì come detto è.

Per lo contrario fa la speranza che l'uomo à in Dio, perché la speranza procede da l'amore, ché sempre la creatura spera in colui cui ella ama. Unde se l'uomo ama la creatura, spera nella creatura; e se egli ama il suo Creatore, spera solamente in lui; e l'amore, cioè l'affetto della carità, non dà altro che allegrezza nel cuore che la possiede: adunque nella speranza à grandissima allegrezza. Tutto il bene e utilità che si truova nella carità, si truova nella speranza, perché ella procede da lei. Ella è umile e benigna a chi le fa ingiuria; ella è paziente in sostenere le molte tribolazioni in qualunque modo Dio gliele concede; e anco più: ché ella desidera di portare per Cristo crocifisso, e di gloriarsi negli obrobrii suoi: ine si riposa, e in altro non si vuole gloriare perché non cerca la gloria propria, ma la gloria del nome di Dio. La speranza non cerca le cose sue, e però il suo servigio non è mercennaio: perché serve per carità, e non per guadagno che n'aspetti. Ella tolle ogni amaritudine, perché s'è spogliata della propria volontà sua, e vestita della dolce voluntà di Dio. Tanto è dolce e dilettevole che le cose amare le diventano dolci, e i grandi pesi diventano piccioli, e 'l dispiacere diventa piacere; tolle l'anima da la gravezza della terra, e falla leggiera; levala dalla conversazione de' mortali, e falla conversare con gl'immortali.

Di tanta utilità è questa speranza fondata in carità, come detto è, che ella dà guadagno, per uno, cento.

Come? che dando l'uomo solo la voluntà sua libera, riceve el cento della carità; con la quale carità à vita eterna. E però disse Cristo al glorioso apostolo Pietro, quando egli el dimandò dicendo: «Maestro, noi aviamo lassato ogni cosa: che ci darai?» (
Mt 19,27 Mc 10,28 Lc 18,28). Cristo rispuose: «Bene facesti, Pietro», quasi dica la dolce Verità: «In altro modo non mi potevi seguitare», ché colui el quale non renunzia alla propria voluntà non può seguitare Cristo crocifisso. Poi subgiunse dicendo: «Io vi darò, per uno, cento; e vita eterna possederete» (Mc 10,30 Mt 19,29 Lc 18,30). Bene è dunque di grande utilità: di magiore non può essere. Ella fa l'uomo libero e signore, perché el trae della servitudine del peccato: e signoreggia la propria sensualità. Essendo signore di sé, è fatto signore del mondo, perché se ne fa beffe, rifiutando le pompe e le delizie sue, perché vede che non sono cosa ferma né stabile; e però n'à levata la speranza, e postala nel suo Creatore, il quale è fermo e stabile che mai non si muove, e non ci può essere tolto se noi non vogliamo.

Oh quanto è beata quella anima che unisce il cuore e l'affetto suo in Dio, che è sua beatitudine! Avendo Dio, non cura d'altro, e però non si sente aggravare dalla impazienzia, se si vedesse perdere marito, figliuoli, stato, ricchezze e onori del mondo, perché le tiene non come cosa sua, ma come cosa prestata.

Solo la divina grazia tiene come cosa sua. Non cura detto di creature che per parole, o per piacere alle creature, voglia offendere Dio in alcuno modo. Non fa come molte semplici che, per piacere alle creature, dispiaceranno al Creatore: entro le vanità, non che nell'altre cose, offenderanno solo per lo piacere umano; faranno resistenzia a una grazia che Dio avrà posta nell'anima, di non curarsi d'adornare el corpo suo con curiosi e dilicati vestimenti, e con lavamento di volto. Così si starà, mentre che è in casa, come persona che non curi di sé; poi per piacere sforza la natura, e ribella alla divina grazia, volendo apparere con l'altre in offesa di Dio e danno dell'anima sua. E chi la riprendesse, dicerebbe: «Io nol fo per me, ma per piacere allo sposo mio, e per non mostrarmi più trista che l'altre». Questa s'inganna, ché non cognosce la virtù colà dove ella è, per lo proprio piacere di sé medesima.

Ma quella che sta nell'affetto della carità, come detto è, il cognosce bene; e però si spoglia d'ogni vanità e abraccia l'onestà, in ogni tempo, in ogni stato e in ogni luogo che ella è. In ogni cosa si pone Dio dinanzi agli occhi suoi; e ciò che fa, fa col santo timore suo. Ella participa il sangue di Cristo crocifisso, perché à scaricata la conscienzia sua con la santa confessione, e contrizione e dispiacimento della colpa, e con piena satisfazione: e così riceve la vita della grazia. Or quanta differenzia è, carissima madre, tra quelli che in verità sperano in Dio e quelli che non vi sperano! Non vi si può ponere comparazione alcuna.

Adunque che diremo? Diremo che l'uno à sommo diletto, e l'altro à somma miseria.

Bene ci dobiamo levare con grande sollicitudine da ogni amore sensitivo, e passare il tempo nostro con una dolce memoria di Dio e del sangue sparto con tanto fuoco d'amore per noi; dimostrando nel prossimo nostro l'amore che abiamo a lui, con una carità fraterna, subvenendolo nelle sue neccessità. Dilettianci d'udire la parola di Dio, della vigilia, e della continua e umile orazione, amando ogni cosa per Dio, e non sanza lui: qui voglio che si ponga la sollicitudine vostra, acciò che riceviate il sommo e eterno bene che v'è apparecchiato. Altro non vi dico, etc.

Gesù dolce, Gesù amore.



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Caterina, Lettere 349