Catechesi 79-2005 20684

Mercoledì, 20 giugno 1984

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1. La visita pastorale in Svizzera si è svolta nella settimana dopo la Pentecoste e si è conclusa nella solennità della Santissima Trinità. Oggi desidero ringraziare il Buon Pastore, mediante nostra Signora di Einsiedeln, per questa nuova visita, per questo nuovo pellegrinaggio nel cuore del popolo di Dio, che abita tra le più belle montagne d’Europa e al nord delle Alpi. La visita era preparata da lungo tempo. Si doveva svolgere già tre anni fa, ma l’avvenimento del 13 maggio 1981 l’aveva impedito. La Provvidenza divina ha permesso alle circostanze di evolversi in modo che questa visita potesse essere portata a termine adesso.

2. Chiamo questa visita un pellegrinaggio, e ho avuto già modo di spiegare questa definizione parecchie volte. Per quanto riguarda la Svizzera, il particolare punto di riferimento a questo pellegrinaggio è san Nicola da Flüe, “Bruder Klaus”, di cui ho potuto convincermi il 14 giugno. Infatti in questo giorno si è svolta la visita a Flüeli e la santa messa. Ci siamo insieme preparati ad essa nella casa di questo santo, conservata fino ad oggi; egli, in un modo particolare, simboleggia la Svizzera. Dio lo ha chiamato proprio in quel periodo, in cui si formava ciò che costituisce la Svizzera nell’odierno significato di questa parola. L’unione dei tre cantoni Uri, Schwyz, (da cui il nome: Svizzera) e Unterwalden ha dato inizio a tutta la Federazione elvetica, formata oggi da 26 Cantoni, i quali uniscono tutti gli svizzeri in un popolo, indipendentemente dal fatto che essi parlano quattro lingue: il tedesco, il francese, l’italiano e il romancio.

3. La vocazione di Nicola da Flüe è meravigliosa. In essa si è manifestato in modo splendido, sovrumano e addirittura mirabile quel radicalismo evangelico, che invita ad abbandonare tutto.

“Guardate, questo è Nicola da Flüe, il vostro concittadino”, ho detto nell’omelia del 14 giugno scorso a Flüeli, luogo natale del santo, “Per seguire la sua vocazione, 517 anni fa abbandonò sua moglie, i suoi figli, la sua casa, il suo campo: prese alla lettera le parole del Vangelo. Il suo nome è rimasto impresso nei Cantoni svizzeri: è un autentico testimone di Cristo. Un uomo che ha attuato il Vangelo fino all’ultima parola”.


Nicola fu marito e padre di una famiglia numerosa, composta di dieci figli. Manteneva questa famiglia lavorando duramente, insieme con la moglie Dorotea, in una fattoria. La decisione di abbandonare tutto non fu facile. Richiese pure l’accordo della moglie che si può dire prese questa decisione con eroismo pari a quello di Nicola, assumendo sulle proprie spalle tutto il peso del mantenimento della famiglia e della fattoria.

Poco distante dalla casa di famiglia a Ranft si trova l’eremo di San Nicola. “Bruder Klaus” trascorse in questo luogo vent’anni nella più severa penitenza e nell’assoluto digiuno, non ricevendo per venti anni! alcun cibo.

4. La figura di san Nicola da Flüe costituisce un’insolita efflorescenza del cristianesimo, radicato gradatamente nelle anime delle generazioni fin dai tempi romani. Basti ricordare che la diocesi di Sion risale al IV secolo, poco dopo il periodo in cui nell’impero infuriavano le sanguinose persecuzioni contro i cristiani; quel periodo, in cui san Maurizio e tutta la sua legione Tebana avevano offerto la vita per Cristo. E l’abbazia di Saint-Maurice ricorda oggi a noi quella meravigliosa professione di fede mediante il martirio cruento!

Attraverso le successive generazioni e i secoli, il Vangelo mise le sue radici, come testimonia, tra l’altro, il ricco sviluppo della vita monastica soprattutto benedettina.

Tra le abbazie benedettine una speciale importanza occupa Einsiedeln. Essa raccoglie, da secoli, pellegrini da tutta la Svizzera intorno alla Madre del Dio Uomo, che qui, in terra svizzera, si è trovata un particolare tabernacolo.

La permanenza ad Einsiedeln, dal 14 giugno sera al 16 giugno mattina, è stata caratterizzata dalla splendida liturgia e da molti importanti incontri con l’episcopato, con i sacerdoti, con i rappresentanti del laicato, con gli operatori dei mezzi di comunicazione, con i giovani, con gli ammalati. A nostra Signora di Einsiedeln ho affidato di nuovo tutta la Chiesa e, in particolare, i fratelli e le sorelle che vivono in terra svizzera.

5. L’eremita del Ranft, “Bruder Klaus”, ha avuto un ruolo importante, addirittura decisivo nella vita della società svizzera del XV secolo. È diventato un fervente patrocinatore della riconciliazione e della pace tra i suoi connazionali. Forse anche da qui prende il suo inizio il fatto che la Svizzera è diventata il Paese della pace interna, e quasi non ha subìto guerre dall’esterno.

Con la neutralità della Svizzera, come Paese, si spiega certamente anche il fatto che, al presente, numerose organizzazioni internazionali abbiano cercato e cerchino in essa una sede.

Il Paese, relativamente non grande, costituisce una Federazione di Cantoni, ciascuno dei quali ha le sue autorità. Il governo federale assicura l’unità e la compattezza dell’insieme. Desidero assicurare oggi un particolare ringraziamento alle autorità sia federali, sia cantonali che municipali, per il loro benevolo atteggiamento nei riguardi della visita del Papa. L’ho sperimentato in ogni tappa del mio viaggio, sia là dove la maggioranza della popolazione è cattolica, sia là dove la maggioranza è invece protestante.

A Lohn, ho potuto intrattenermi cordialmente con il presidente e tutti i consiglieri federali, ricordando la storia originale della Svizzera, il suo attaccamento alla libertà, alla tolleranza, alla neutralità, alla pace per la nazione e per il mondo, e anche gli sforzi congiunti della Svizzera e della Santa Sede nel settore umanitario durante le due guerre mondiali. Con tale incontro ho inteso esprimere il mio omaggio all’intero popolo svizzero e, allo stesso tempo, la mia stima e i miei auguri per coloro che hanno la responsabilità del bene comune.

6. Il pellegrinaggio nel cuore del popolo di Dio nella terra svizzera ha incontrato di fatto la realtà della divisione della Chiesa, chiaramente accentuata nella storia di questa società del tempo della riforma.


Ci separano cinquecento anni dalla nascita di Zwingli, 475 anni da quella di Calvino: la Svizzera è diventata, accanto alla Germania, la seconda patria della riforma.

Tuttavia dopo il Concilio Vaticano II, dopo il decreto dell’ecumenismo, questo pellegrinaggio era non soltanto possibile, ma addirittura necessario. Ha acquistato un carattere ecumenico in una duplice dimensione. Prima di tutto: mediante l’incontro con la comunità di lavoro delle Chiese cristiane (compresi anche i rappresentanti della Chiesa cattolica); in seguito, mediante l’incontro molto importante con i rappresentanti della Chiesa riformata. Questi due incontri hanno avuto luogo a Kehrsatz (vicino a Berna) e sono stati dedicati allo scambio di idee e alla comune preghiera, nello spirito delle direttive dell’ecumenismo conciliare.

7. Oltre questa dimensione familiare e interna alla Svizzera, si è distinta, nell’insieme della visita, la dimensione più ampia, universale. Mi è stato dato di incontrarmi a Ginevra con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese, il cui presidente onorario è il benemerito pastore Willem Wissert Hooft, e l’attuale segretario generale il pastore dottor Philip Potter. La sede del Consiglio ecumenico delle Chiese era stata visitata per la prima volta dal papa Paolo VI nel 1969; la mia è stata quindi la seconda visita, che conferma l’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti dell’ecumenismo. È necessario uno scambio incessante di idee, il dialogo teologico; è necessaria la comune testimonianza a Cristo, e soprattutto è necessaria un’incessante comune preghiera, perché possa esserci data la grazia dell’unione, nello Spirito Santo, dell’unità nella fede. Secondo le parole di Cristo: “Padre santo . . . perché siano una cosa sola” . . . “perché il mondo creda” (
Jn 17,11 Jn 17,21).

È stato inoltre motivo di gioia, l’aver potuto visitare il centro ortodosso a Chambésy, dove, sotto la direzione del caro metropolita Damaskinos, si svolgono i lavori preparatori al previsto Sinodo panortodosso. Quest’incontro nella preghiera ci ha dato nuovamente la possibilità di dialogare con questi nostri fratelli, che ci sono specialmente vicini per quanto riguarda il deposito apostolico della fede.

8. Su questo vasto sfondo assume un’adeguata espressione la visita alla comunità cattolica, che dopo la riforma è rimasta in unione con Roma e attualmente si raggruppa nelle seguenti Chiese particolari: la diocesi di Sion, di Losanna Ginevra-Friburgo, di Coira, di Basilea, di San Gallo e di Lugano. Inoltre le due abbazie “territoriali”: Einsiedeln e Saint-Maurice.

Tutti gli incontri, specialmente quelli liturgici nella comune Eucaristia, e gli altri nella preghiera, collegati con uno scambio di idee (così per esempio i due incontri con la gioventù: a Einsiedeln in lingua tedesca e a Friburgo in lingua francese) mi sono rimasti profondamente nel cuore. A Friburgo (che sempre è unita nella mia mente col ricordo del grande cardinale Journet) si sono svolte anche le splendide “Lodi” insieme con i religiosi e le religiose.

Ancora a Friburgo, la visita all’università, l’incontro con la comunità dei professori e degli studenti. E poi, separatamente, con i rappresentanti delle facoltà teologiche di tutta la Svizzera.

Tutti incontri cordiali, solidamente preparati, permeati da un senso di realismo e, al tempo stesso, da una sincera sollecitudine per la missione del Vangelo nei confronti di una società che subisce l’influsso della secolarizzazione.

Infine l’incontro, in diverse lingue, con gli uomini che in Svizzera hanno trovato asilo e condizioni di vita e di lavoro. Esso si è svolto a Lucerna.

9. Il Concilio Vaticano II ha aperto una nuova tappa della via davanti a tutta la Chiesa.

La Chiesa che è in terra svizzera è entrata in questa tappa, con la consapevolezza della sua grande e, insieme, difficile eredità, della sua situazione ecumenica e di tutti i condizionamenti particolari profondamente radicati nella tradizione sociale degli svizzeri.


Nel corso dei sei giorni del pellegrinaggio abbiamo pregato insieme, con la fiducia che questa tappa che percorriamo nell’unità universale della Chiesa cattolica, ci permetta di avvicinarci, con umiltà e con costanza, a quella che dal popolo di Dio aspetta lo Spirito Santo Consolatore, che è lo Spirito di verità. E alla quale egli stesso ci conduce!

Al pellegrinaggio organizzato dal settimanale “La Vie”

Ai gruppi inglesi

Al pellegrinaggio giapponese organizzato dell’associazione “Volunteer Probation Officers”

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi membri dell’Associazione “Volunteer Probation Officers”,

vi ringrazio di cuore per la vostra visita, che si ripete ormai quasi tutti gli anni.


Desidero invitarvi ad accrescere sempre più il vostro interessamento per la dignità dell’uomo, che la disciplina e la legge devono salvaguardare.

Augurandovi sinceramente di mirare verso tale scopo, imparto a voi tutti e ai vostri assistiti la mia Benedizione.

Sia lodato Gesù Cristo.

Ad un pellegrinaggio organizzato da sacerdoti claretiani

Ai polacchi

Ai gruppi italiani

Un cordiale saluto rivolgo ai Sacerdoti novelli della Diocesi di Brescia, che sono accompagnati dai loro familiari; come pure saluto con affetto i Sacerdoti della Diocesi di Verona, che hanno desiderato questo incontro nel ricordo del 4o° anniversario della loro ordinazione sacerdotale.

Carissimi fratelli, vi invito a ringraziare il Signore per il grande dono ricevuto, corrispondendo con generosità a Cristo che ha posato su di voi il suo sguardo di predilezione e vi ha chiamati ad essere le guide dell’umanità sulla via della salvezza. Con la vostra parola e con la vostra vita annunciate senza stancarvi Cristo agli uomini di oggi. Vi sostenga la mia Benedizione, che di cuore imparto a voi, ai vostri cari ed ai vostri fedeli.
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Una parola di augurio e d’incoraggiamento desidero rivolgere ai soci della Cooperativa COVES che opera presso le Stazioni Ferroviarie del’intero territorio italiano. il vostro lavoro, carissimi, sia esercitato con quel profondo senso di responsabilità morale che la fede cristiana può suggerire e che tanto bene può effondere sull’intera società.
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Esprimo il mio beneaugurante saluto ai partecipanti al XXII Corso di perfezionamento, indetto dall’“IRI”, per quadri tecnici e direttivi dei Paesi in via di sviluppo industriale, provenienti da 36 Nazioni dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e dell’Europa. Tornando alle vostre terre d’origine, carissimi, ricordate che la vostra attività si rivolge all’elevazione e al benessere dell’uomo, la cui dignità è sana, ed è perciò meritevole del vostro rispetto, della vostra comprensione, della vostra solidarietà. In questa benefica opera vi segue la mia Benedizione Apostolica.
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Un saluto affettuoso anche ai partecipanti al Corso di sviluppo della piccola industria, riservato ai Dirigenti di varie imprese di Paesi latino-americani. Formulo fervido auspicio, carissimi, che attraverso il vostro generoso impegno cristiano nelle attribuzioni che vi competono, si realizzi nelle vostre rispettive Nazioni un autentico progresso civile, economico e morale. Vi seguono il mio augurio cordiale per ciascuno e per le vostre famiglie e la mia Benedizione Apostolica.
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Un saluto particolare ai giovani presenti. Carissimi, questo nostro mondo ha bisogno di testimoni fedeli di Gesù Cristo, che guarda con rispetto e nel stima il coraggio. Anche voi, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, deponendo tutto ciò che è di peso e il peccato che intralcia (cf. Hebr He 12,1-2), siate perseveranti e forti nel rispondere alla Parola e alla chiamata del Signore, siate generosi nel sacrificio che vi chiede, e non abbiate paura delle difficoltà che incontrate per essere coerenti. Diventerete, così, autentici missionari del Vangelo, e la vostra vita, come quella del Signore e dei Santi, sarà una benedizione per tutti.
* * *


Un affettuoso ricordo per tutti gli ammalati intervenuti a questa Udienza. In questo mese particolarmente dedicato al Sacro Cuore di Gesù, noi meditiamo sull’amore del Signore per noi. Egli, per liberarci dal peccato, pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione di servo; per compiere la volontà di Dio si umiliò facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce (Ph 2,6-8). L’offerta della sua vita è stata per noi strumento di salvezza. Il Cristo Redentore doni a tutti voi la grazia di avere i suoi stessi sentimenti e il suo medesimo amore nelle umiliazioni proprie della sofferenza e della malattia, in modo da essere preziosi collaboratori nella sua opera di redenzione.
* * *


Desidero, infine, rivolgere un saluto agli sposi novelli. Carissimi, ricercate sempre la vostra unità: l’amore vicendevole, la cura premurosa verso i figli che renderanno lieta la vostra famiglia e l’impegno cristiano di tutta la vostra vita siano, dinanzi a tutti, dei chiari segni che vi siete uniti nel nome del Signore. In tal modo, ricolmi della sua grazia, vivrete nella gioia. E se, accanto a voi, incontrerete famiglie che hanno perduto questa gioia a causa di difficoltà e di prove, la vostra preghiera sia per loro un sostegno, la vostra comprensione un incoraggiamento, la vostra accoglienza e la vostra parola una speranza e un valido aiuto.

La festività del “Corpus Domini”

Com'è noto, domani si celebra, secondo il calendario della Chiesa universale, la solennità del Corpo e Sangue di Cristo. Per la circostanza mi recherò alla Basilica di San Giovanni in Laterano, ove celebrerò la Santa Messa e presiederò la processione eucaristica che dalla predetta basilica si porterà a quella di Santa Maria Maggiore.

Invito i fedeli romani ad essere presenti a tale solenne atto di culto, per testimoniare la propria fede nel grande mistero ed implorare per la Chiesa i doni dell’unità e della pace, misticamente significati nelle offerte eucaristiche.




Mercoledì, 27 giugno 1984

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1. Commentando nelle scorse settimane il Cantico dei cantici, ho sottolineato come il segno sacramentale del matrimonio si costituisce sulla base del “linguaggio del corpo”, che l’uomo e la donna esprimono nella verità che gli è propria. Sotto tale aspetto intendo analizzare oggi alcuni brani del Libro di Tobia.

Nel racconto dello sposalizio di Tobia con Sara si trova, oltre l’espressione “sorella” - per cui sembra essere radicata nell’amore sponsale un’indole fraterna - anche un’altra espressione analoga a quelle del suddetto Cantico.

Come ricorderete, nel duetto degli sposi l’amore, che si dichiarano vicendevolmente, è “forte come la morte” (
Ct 8,6). Nel Libro di Tobia troviamo la frase che, dicendo che egli amò Sara “al punto di non saper più distogliere il cuore da lei” (Tb 6,19), presenta una situazione confermante la verità delle parole sull’amore “forte come la morte”.

2. Per capire meglio occorre rifarsi ad alcuni particolari che trovano spiegazione sullo sfondo dello specifico carattere del Libro di Tobia. Vi leggiamo che Sara, figlia di Raguele, in precedenza era “stata data in moglie a sette uomini” (Tb 6,14), ma tutti erano morti prima di unirsi a lei. Ciò era accaduto per opera dello spirito maligno e anche il giovane Tobia aveva ragioni per temere una morte analoga.

Così l’amore di Tobia doveva fin dal primo momento affrontare la prova della vita e della morte. Le parole sull’amore “forte come la morte”, pronunciate dagli sposi del Cantico dei cantici nel trasporto del cuore, assumono qui il carattere di una prova reale. Se l’amore si dimostra forte come la morte, ciò avviene soprattutto nel senso che Tobia e, insieme con lui, Sara, vanno senza esitare verso questa prova. Ma in questa prova della vita e della morte vince la vita, perché, durante la prova della prima notte di nozze, l’amore, sorretto dalla preghiera, si rivela più forte della morte.

3. Questa prova della vita e della morte ha pure un altro significato che ci fa comprendere l’amore e il matrimonio degli sposi novelli. Infatti essi, unendosi come marito e moglie, si trovano nella situazione in cui le forze del bene e del male si combattono e si misurano reciprocamente. Il duetto degli sposi del Cantico dei cantici sembra non percepire affatto questa dimensione della realtà. Gli sposi del Cantico vivono e si esprimono in un mondo ideale o “astratto”, in cui è come se non esistesse la lotta delle forze oggettive tra il bene e il male. È forse proprio la forza e la verità interiore dell’amore ad attenuare la lotta che si svolge nell’uomo e intorno a lui?

La pienezza di questa verità e di questa forza propria dell’amore sembra tuttavia essere diversa e sembra tendere piuttosto là dove ci conduce l’esperienza del Libro di Tobia. La verità e la forza dell’amore si manifestano nella capacità di porsi tra le forze del bene e del male, che combattono nell’uomo e intorno a lui, perché l’amore è fiducioso nella vittoria del bene ed è pronto a fare di tutto affinché il bene vinca. Di conseguenza la verità dell’amore degli sposi del Libro di Tobia non viene confermata dalle parole espresse dal linguaggio del trasporto amoroso come nel Cantico dei cantici, ma dalle scelte e dagli atti che assumono tutto il peso dell’esistenza umana nell’unione di entrambi. Il “linguaggio del corpo”, qui, sembra usare le parole delle scelte e degli atti scaturiti dall’amore, che vince perché prega.


4. La preghiera di Tobia (Tb 8,5-8), che è innanzitutto preghiera di lode e di ringraziamento, poi di supplica, colloca il “linguaggio del corpo” sul terreno dei termini essenziali della teologia del corpo. È un linguaggio “oggettivizzato”, pervaso non tanto dalla forza emotiva dell’esperienza, quanto dalla profondità e gravità della verità dell’esistenza stessa.

Gli sposi professano questa verità insieme, all’unisono davanti al Dio dell’alleanza: “Dio dei nostri padri”. Si può dire che sotto questo aspetto il “linguaggio del corpo” diventa il linguaggio dei ministri del sacramento consapevoli che nel patto coniugale si esprime e si attua il mistero che ha la sua sorgente in Dio stesso. Il loro patto coniugale è infatti l’immagine - e il primordiale sacramento dell’alleanza di Dio con l’uomo, con il genere umano - di quell’alleanza che trae la sua origine dall’amore eterno.

Tobia e Sara terminano la loro preghiera con le parole seguenti: “Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia” (Tb 8,7).

Si può ammettere (in base al contesto) che essi hanno davanti agli occhi la prospettiva di perseverare nella comunione sino alla fine dei loro giorni: prospettiva che si apre dinanzi a loro con la prova della vita e della morte, già durante la prima notte nuziale. Al tempo stesso essi vedono con lo sguardo della fede la santità di questa vocazione, in cui - attraverso l’unità dei due, costruita sulla verità reciproca del “linguaggio del corpo” - debbono rispondere alla chiamata di Dio stesso, contenuta nel mistero del principio. E per questo chiedono: “Degnati di aver misericordia di me e di lei”.

5. Gli sposi del Cantico dei cantici dichiarano vicendevolmente, con parole ardenti, il loro amore umano. Gli sposi novelli del Libro di Tobia chiedono a Dio di saper rispondere all’amore. L’uno e l’altro trovano il loro posto in ciò che costituisce il segno sacramentale del matrimonio. L’uno e l’altro partecipano alla formazione di questo segno.

Si può dire che attraverso l’uno e l’altro il “linguaggio del corpo”, riletto sia nella dimensione soggettiva della verità dei cuori umani, sia nella dimensione “oggettiva” della verità del vivere nella comunione, diviene la lingua della liturgia.

La preghiera degli sposi novelli del Libro di Tobia sembra certamente confermarlo in un modo diverso dal Cantico dei cantici, e anche in modo che senza dubbio commuove più profondamente.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai gruppi di lingua inglese



Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai numerosi fedeli di lingua spagnola



Ai numerosi pellegrini polacchi


Ai fedeli italiani


Saluto ora con viva cordialità tutti e singoli gli italiani, qui presenti.

In particolare i pellegrini dell’Ospedale Luigi Sacco di Vitalba, della parrocchia di San Pietro Apostolo in Tagliano di Castelli Calepino, di Fornace di Trento e di Caloziocorte. Cari fratelli e sorelle, benedico volentieri la campana, che avete qui portato e che avete offerto al Santuario mariano di Fornace di Trento, perché sia invito ad elevare il pensiero e il cuore a Dio e alla Madonna. nel compiacermi per la vostra iniziativa, vi esorto a perseverare nell’impegno di fedele adesione a Cristo e di filiale affidamento a Maria Santissima. Per tutti formo l’auspicio di prosperità cristiana e di ogni bene; ne è pegno la Benedizione Apostolica, che di cuore vi imparto, estendendola a quanti vi sono cari.
* * *


Saluto poi i partecipanti al 13° Convegno nazionale dell’Unione Parroci e Vicari Cooperatori d’Italia dei Frati Minori. Cari fratelli, mi fa piacere sapervi generosamente impegnati nel ministero liturgico, catechetico e caritativo che la parrocchia esige, per essere sempre più l’ambiente dell’uomo redento da Cristo. Mentre vi esorto a continuare con dedizione il vostro servizio ecclesiale, auspico che siate sempre autentici annunciatori della Buona Novella, con quella povertà e letizia, di cui fu ed è esempio grande San Francesco d’Assisi. Vi sia di sostegno la mia Benedizione.
* * *


Mi rivolgo ora ai giovani, presenti a quest’Udienza. Carissimi, molti di voi, terminato l’anno scolastico, hanno già iniziato le vacanze estive, che consentono di praticare nuove amicizie e di conoscere nuove località. Fate vostri gli ideali di Cristo, il quale vuol essere per tutti motivo di gioia, di quella gioia vera che non può essere data dalle sole cose materiali. Approfittate del tempo libero di cui disponete anche per intensificare la vostra amicizia con il Signore, attraverso i Sacramenti e la preghiera. Vi benedico di cuore.
* * *


Un saluto anche per voi, carissimi fratelli ammalati. La vicina ricorrenza del Sacro Cuore di Gesù e la Solennità di San Pietro e di San Paolo siano per voi occasione propizia per rafforzare il vostro amore a Dio e alla Chiesa. Vi invito inoltre ad offrire al Signore i vostri dolori affinché l’ammalato sia sempre al centro dell’attenzione delle famiglie cristiane e delle organizzazioni sociali, e venga così evidenziato il valore della sofferenza umana, nel rispetto della dignità della persona ammalata. A tutti voi una parola di vivo incoraggiamento. Vi benedico di cuore.
* * *


Saluto infine gli sposi novelli. Carissimi, la conoscenza, la stima e la fiducia reciproca, la comune fede in Cristo Gesù e un comune ideale da realizzare, vi hanno portato al grande Sacramento del Matrimonio. Fate tesoro del dono ricevuto nel sacramento, aiutatevi a mantenere viva la fede, nutrendola con i Sacramenti e l’assidua preghiera. Guardo con profonda fiducia alle vostre famiglie: siano esse una “vera chiesa domestica” per la gioia vostra, per il bene della società e di tutta la Chiesa. Portate alle vostre case la mia Benedizione.





Mercoledì, 4 luglio 1984

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1. Riportiamoci oggi al classico testo del capitolo 5° della lettera agli Efesini, la quale rivela le sorgenti eterne dell’alleanza nell’amore del Padre e insieme la sua nuova e definitiva istituzione in Gesù Cristo.

Questo testo ci conduce a una dimensione tale del “linguaggio del corpo” che potrebbe essere chiamata “mistica”. Parla infatti del matrimonio come di un “grande mistero”. “Questo mistero è grande”(
Ep 5,32). E sebbene questo mistero si compia nell’unione sponsale di Cristo redentore con la Chiesa e nella Chiesa-sposa con Cristo (“Lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ep 5,32)), sebbene si effettui definitivamente nelle dimensioni escatologiche, tuttavia l’autore della lettera agli Efesini non esita ad estendere l’analogia dell’unione di Cristo con la Chiesa nell’amore sponsale, delineata in modo così “assoluto” ed “escatologico”, al segno sacramentale del patto sponsale dell’uomo e della donna, i quali sono “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ep 5,21). Non esita a estendere quella mistica analogia al “linguaggio del corpo”, riletto nella verità dell’amore sponsale e dell’unione coniugale dei due.

2. Bisogna riconoscere la logica di questo stupendo testo, che libera radicalmente il nostro modo di pensare dagli elementi di manicheismo o da una considerazione non personalista del corpo e al tempo stesso avvicina il “linguaggio del corpo”, racchiuso nel segno sacramentale del matrimonio, alla dimensione della reale santità.

I sacramenti innestano la santità sul terreno dell’umanità dell’uomo: penetrano l’anima e il corpo, la femminilità e la mascolinità del soggetto personale, con la forza della santità. Tutto ciò viene espresso nella lingua della liturgia: vi si esprime e vi si attua.

La liturgia, la lingua liturgica, eleva il patto coniugale dell’uomo e della donna, basato sul “linguaggio del corpo” riletto nella verità, alle dimensioni del “mistero” e, nel medesimo tempo, consente che quel patto si realizzi nelle suddette dimensioni attraverso il “linguaggio del corpo”.

Di ciò parla appunto il segno del sacramento del matrimonio, il quale nella lingua liturgica esprime un evento interpersonale, carico di intenso contenuto personale, assegnato ai due “fino alla morte”. Il segno sacramentale significa non solo il “fieri”, il nascere del matrimonio, ma costruisce il suo “esse”, la sua durata: l’uno e l’altro come realtà sacra e sacramentale, radicata nella dimensione dell’alleanza e della grazia, nella dimensione della creazione e della redenzione. In tal modo la lingua liturgica assegna a entrambi, all’uomo e alla donna, l’amore, la fedeltà e l’onestà coniugale mediante il “linguaggio del corpo”. Assegna loro l’unità e l’indissolubilità del matrimonio nel “linguaggio del corpo”. Assegna loro come compito tutto il “sacrum” della persona e della comunione delle persone, e parimenti la loro femminilità e mascolinità, proprio in questo linguaggio.

3. In tale senso affermiamo, che la lingua liturgica diventa “linguaggio del corpo”. Ciò significa una serie di fatti e di compiti, che formano la “spiritualità” del matrimonio, il suo “ethos”. Nella vita quotidiana dei coniugi questi fatti diventano compiti, e i compiti, fatti. Questi fatti - come anche gli impegni - sono di natura spirituale, tuttavia si esprimono a un tempo col “linguaggio del corpo”.

L’Autore della lettera agli Efesini scrive in proposito: “. . . i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo . . .” (Ep 5,28) (“come se stesso”: Ep 5,33), “e la donna sia rispettosa verso il marito” (Ep 5,33). Ambedue, del resto, siano “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ep 5,21).

Il “linguaggio del corpo”, quale ininterrotta continuità della lingua liturgica si esprime non solo come il fascino e il compiacimento reciproco del Cantico dei Cantici, ma anche come una profonda esperienza del “sacrum”, che sembra essere infuso nella stessa mascolinità e femminilità attraverso la dimensione del “mysterium”: “mysterium magnum” della lettera agli Efesini, che affonda le radici appunto nel “principio”, cioè nel mistero della creazione dell’uomo: maschio e femmina a immagine di Dio, chiamati fin “dal principio” ad essere segno visibile dell’amore creativo di Dio.

4. Così dunque “quel timore di Cristo” e “rispetto”, di cui parla l’autore della lettera agli Efesini, è nient’altro che una forma spiritualmente matura di quel fascino reciproco: vale a dire dell’uomo per la femminilità e della donna per la mascolinità, che si rivela per la prima volta nel libro della Genesi (Gn 2,23-25). In seguito, lo stesso fascino sembra scorrere come un largo torrente attraverso i versetti del Cantico dei cantici per trovare, in circostanze del tutto diverse, la sua concisa e concentrata espressione nel libro di Tobia.


La maturità spirituale di questo fascino altro non è che il fruttificare del dono del timore, uno dei sette doni dello Spirito Santo, di cui ha parlato san Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi (1Th 4,4-7).

D’altronde, la dottrina di Paolo sulla castità, come “vita secondo lo Spirito” (cf. Rm 8,5), ci consente (particolarmente in base alla prima lettera ai Corinzi 6) di interpretare quel “rispetto” in senso carismatico, cioè quale dono dello Spirito Santo.

5. La lettera agli Efesini - nell’esortare i coniugi, perché siano sottomessi gli uni agli altri “nel timore di Cristo” (Ep 5,21) e nell’invogliarli, in seguito, al “rispetto” nel rapporto coniugale, sembra rivelare - conformemente alla tradizione paolina - la castità quale virtù e quale dono.

In tal modo, attraverso la virtù e ancor più attraverso il dono (“vita secondo lo Spirito”) matura spiritualmente il reciproco fascino della mascolinità e della femminilità. Entrambi, l’uomo e la donna, allontanandosi dalla concupiscenza, trovano la giusta dimensione della libertà del dono, unita alla femminilità e mascolinità nel vero significato sponsale del corpo.

Così la lingua liturgica, cioè la lingua del sacramento e del “mysterium”, diviene nella loro vita e convivenza “linguaggio del corpo” in tutta una profondità, semplicità e bellezza fino a quel momento sconosciute.

6. Tale sembra essere il significato integrale del segno sacramentale del matrimonio. In quel segno, attraverso il “linguaggio del corpo”, l’uomo e la donna vanno incontro al “grande mysterium”, per trasferire la luce di quel mistero, luce di verità e di bellezza, espresso nella lingua liturgica, in “linguaggio del corpo”, nel linguaggio cioè della prassi dell’amore, della fedeltà e dell’onestà coniugale, ossia nell’ethos radicato nella “redenzione del corpo” (cf. Rm 8,23). Su questa via, la vita coniugale diviene in certo senso liturgia.

Ai membri della Scuola Allievi Ufficiali di Saint-Cyr

Ad un folto pellegrinaggio australiano



Ai monaci Buddhisti e Shintoisti provenienti dal Giappone

Rivolgo il mio cordiale saluto al gruppo degli Anziani del Buddhismo e al Capo dello Yamatoyama-Shinto che sono venuti dal Giappone. Auguro sinceramente che si sviluppi lo scambio spirituale tra l’Oriente e l’Occidente che hanno una lunga tradizione di preghiera e di meditazione.

A gruppi di fedeli provenienti dalla Germania, dall’Austria e dal Sud Tirolo

Ad un gruppo di Religiose Mercedarie del Sacro Cuore e di Missionarie Augustine


Ai fedeli polacchi provenienti dalla Polonia e da altri Paesi di immigrazione

Ai pellegrinaggi provenienti da varie diocesi italiane

Desidero rivolgere un affettuoso saluto ed un cordiale ringraziamento per la loro presenza a tutti i pellegrini e turisti italiani.

In particolare, al gruppo dei Sacerdoti delle Scuole Pie, che si trovano in questi giorni a Roma per un Seminario sulla formazione dello Scolopio.

Carissimi! Il carisma tipico del vostro Istituto nacque dal cuore e dalla mente del vostro Fondatore San Giuseppe Calasanzio, che nel 1592 venne dalla Spagna a Roma, dove cinque anni dopo apriva la prima scuola popolare d’Europa, una scuola con programmi, mezzi e metodi nuovi per l’educazione civica, l’istruzione umanistica e professionale, culminati nella istruzione e formazione religiosa. Il Calasanzio intuì la figura del Sacerdote-educatore, che desse cioè al fanciullo una cultura globale nella quale la dimensione religiosa fosse considerata e vissuta in maniera fondamentale e preponderante. Auspico che la riflessione comunitaria sulla geniale intuizione calasanziana porti tutti voi e gli Scolopi sparsi nei Continenti ad una rinnovata fedeltà agli insegnamenti ed agli esempio del loro Fondatore, che il mio Predecessore Pio XII nel 1948 proclamò “Patrono davanti a Dio di tutte le scuole popolari cristiane nel mondo”.

Con tali voti vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
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Uno speciale saluto indirizzo altresì a tutti i membri del Pellegrinaggio Regionale Siciliano, venuti a Roma per proclamare e corroborare la fede cristiana presso le tombe degli Apostoli e dei Martiri.

Nel ricordo del mio viaggio pastorale nella Valle del Belice ed a Palermo, nel novembre 1982, desidero rivolgervi l’auspicio che siate sempre fedeli al grande e prezioso tesoro della vostra plurisecolare tradizione cristiana, per dare oggi, con rinnovato impegno, una chiara testimonianza al messaggio di Cristo.

Vi accompagna la mia Benedizione Apostolica.
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Sono lieto ora di rivolgermi ai giovani, che con il loro entusiasmo danno, come sempre, a questa Udienza, una nota vibrante di letizia e di freschezza. Vi ringrazio, carissimi, per il dono della vostra presenza, della vostra giovinezza e della vostra fede cristiana. Impegnatevi, senza mai stancarvi, nella crescita spirituale e culturale in modo da formare davvero l’onore della vostra famiglia e della Chiesa. Io nutro per voi tanta fiducia perché so che voi siete capaci di grandi cose, ben conoscendo la generosità dei vostri cuori e l’ardore dei vostri animi. Per tanti giovani bisognosi siate amici e sostegno spirituale. La mia Benedizione Apostolica vi doni tanta forza e vi renda capaci di costante dedizione.
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Il mio pensiero va anche ai malati. Desidero salutarvi tutti con particolare affetto perché meritate una speciale attenzione, perché avete bisogno di conforto, perché siete una singolare e preziosa presenza di Dio nel mondo. La mia preghiera non dimentica quanti, nell’intera famiglia umana, portano croci pesanti, nel corpo e nello spirito: tutti siano aiutati e rasserenati dalla grazia del nostro divin Salvatore, di cui vuol essere pegno la mia confortatrice Benedizione.
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Sono certo, infine, di interpretare il pensiero di tutti i presenti, rivolgendo un cordiale augurio agli sposi novelli, che prendono parte a questa Udienza. Possa il vostro amore, corroborato dalla grazia del Sacramento, crescere nel tempo, affinarsi nella consuetudine della convivenza quotidiana, temprarsi nell’inevitabile confronto con le difficoltà dell’esistenza. Siate sempre tra voi generosi e sereni, cari sposi, sempre ancorati alla potenza della grazia divina e all’aiuto della Madonna, per avere i cuori colmi di serena fiducia e di pace feconda.

Avvalori questi voti la propiziatrice Benedizione Apostolica.





Catechesi 79-2005 20684