Catechesi 79-2005 13385

Mercoledì, 13 marzo 1985

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1. Il primo e fondamentale punto di riferimento della presente catechesi sono le professioni universalmente conosciute della fede cristiana. Esse si chiamano anche “simboli di fede”. La parola greca “symbolon” significava la metà di un oggetto spezzato (per esempio di un sigillo) che veniva presentata come il segno di riconoscimento. Le parti spezzate venivano messe insieme per verificare l’identità del portatore. Da qui provengono gli ulteriori significati del “simbolo”: la prova dell’identità, le lettere credenziali e anche un trattato o contratto di cui il “symbolon” era la prova. Il passaggio da questo significato a quello di raccolta o sommario delle cose riferite e documentate era abbastanza naturale. Nel nostro caso i “simboli” significano la raccolta delle principali verità di fede, cioè di ciò in cui la Chiesa crede. Nella catechesi sistematica sono contenute le istruzioni su ciò in cui crede la Chiesa, cioè sui contenuti della fede cristiana. Di qui anche il fatto che i “simboli di fede” sono il primo e fondamentale punto di riferimento per la catechesi.

2. Tra i vari “simboli di fede” antichi, il più autorevole è il “simbolo apostolico”, di origine antichissima e comunemente recitato nelle “preghiere del cristiano”. In esso sono contenute le principali verità della fede trasmessa dagli apostoli di Gesù Cristo. Un altro simbolo antico famoso è quello “niceno-costantinopolitano”: esso contiene le stesse verità della fede apostolica autorevolmente delucidate nei primi due Concili ecumenici della Chiesa universale: Nicea (325) e Costantinopoli (381). L’usanza dei “simboli di fede” proclamati come frutto dei Concili della Chiesa si è rinnovata anche nel nostro secolo: infatti, dopo il Concilio Vaticano II, il papa Paolo VI pronunciò la “professione di fede” nota come il Credo del popolo di Dio (1968), che contiene l’insieme delle verità dalla fede della Chiesa con particolare considerazione di quei contenuti ai quali aveva dato espressione l’ultimo Concilio, o di quei punti intorno ai quali erano stati affacciati dei dubbi negli ultimi anni.

I simboli di fede sono il principale punto di riferimento per la presente catechesi. Essi, però, rinviano all’insieme del “deposito della parola di Dio”, costituito dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione apostolica, essendone soltanto una sintesi concisa. Attraverso le professioni di fede ci proponiamo, perciò, di risalire pure noi a quell’immutabile “deposito”, sulla scorta dell’interpretazione che la Chiesa, assistita dallo Spirito, ne ha dato nel corso dei secoli.

3. Ognuno dei menzionati “simboli” inizia con la parola “credo”. Ognuno di essi infatti serve non tanto come istruzione ma come professione. I contenuti di questa professione sono le verità della fede cristiana: tutte sono radicate in questa prima parola “credo”. E proprio su questa espressione “credo” desideriamo concentrarci in questa prima catechesi.

L’espressione è presente nel linguaggio quotidiano, anche indipendentemente da ogni contenuto religioso, e specialmente da quello cristiano. “Ti credo” significa: mi fido di te, sono convinto che dici la verità. “Credo in ciò che tu dici” significa: sono convinto che il contenuto delle tue parole corrisponde alla realtà oggettiva.

In questo uso comune della parola “credo” si mettono in risalto alcuni elementi essenziali. “Credere” significa accettare e riconoscere come vero e corrispondente alla realtà il contenuto di ciò che vien detto, cioè delle parole di un’altra persona (o anche di più persone), a motivo della sua (o della loro) credibilità. Questa credibilità decide in un dato caso della particolare autorità della persona: l’autorità della verità. Così dunque dicendo “credo”, esprimiamo contemporaneamente un duplice riferimento: alla persona e alla verità; alla verità, in considerazione della persona che gode di particolari titoli di credibilità.

4. La parola “credo” appare molto spesso nelle pagine del Vangelo e di tutta la Sacra Scrittura. Sarebbe molto utile confrontare e analizzare tutti i punti dell’Antico e del Nuovo Testamento che ci permettono di cogliere il senso biblico del “credere”. Accanto al verbo “credere” troviamo anche il sostantivo “fede” come una delle espressioni centrali di tutta la Bibbia. Troviamo perfino un certo tipo di “definizioni” della fede, come per esempio: “la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” della Lettera agli Ebrei (
He 11,1).

Questi dati biblici sono stati studiati, spiegati, sviluppati dai Padri e dai teologi nell’arco di duemila anni di cristianesimo, come ci attesta l’enorme letteratura esegetica e dogmatica che abbiamo a disposizione. Come nei “simboli” così in tutta la teologia, il “credere”, la “fede” è una categoria fondamentale. È anche il punto di partenza della catechesi, come primo atto con cui si risponde alla rivelazione di Dio.

5. Nel presente incontro ci limiteremo a una sola fonte, che però riassume tutte le altre. Essa è la costituzione conciliare Dei Verbum del Vaticano II. Vi leggiamo quanto segue: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cf. Ep 1,9), mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne nello Spirito Santo, hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura . . . (cf. Ep 2,18 2P 1,4)” (Dei Verbum DV 2).

“A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede (cf. Rm 16,26 Rm 1,5 2Co 10,5-6), con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente prestandogli “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” (Concilio Vaticano I, Dei Filius, 3) e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da lui” (Dei Verbum DV 5).

In queste parole del documento conciliare è contenuta la risposta alla domanda: che cosa significa “credere”. La spiegazione è concisa, ma condensa una grande ricchezza di contenuto. Dovremo in seguito penetrare più ampiamente in questa spiegazione del Concilio, che ha una portata equivalente a quella di una definizione per così dire tecnica.


Una cosa è prima di tutto ovvia: esiste un genetico e organico legame tra il nostro “credo” cristiano e quella particolare “iniziativa” di Dio stesso, che si chiama “rivelazione”.

Perciò la catechesi sul “credo” (la fede) deve essere portata avanti insieme con quella sulla divina rivelazione. Logicamente e storicamente la rivelazione precede la fede. La fede è condizionata dalla rivelazione. Essa è la risposta dell’uomo alla divina rivelazione.

Diciamo fin d’ora che questa risposta è possibile e doveroso darla, perché Dio è credibile. Nessuno lo è come lui. Nessuno come lui possiede l’autorità della verità. In nessun caso come nella fede in Dio si attua il valore concettuale e semantico della parola così usuale nel linguaggio umano: “Credo”, “Ti credo”.

Ai fedeli di espressione francese

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Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli provenienti dalla Germania

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

A pellegrini italiani

Saluto cordialmente i pellegrini italiani, tutti e ciascuno.


In particolare, il gruppo di sacerdoti Comboniani che, trovandosi a Roma per un corso di rinnovamento, hanno voluto partecipare all’udienza odierna.

Carissimi! Il missionario è colui che va verso l’uomo, verso ogni uomo, perché la fede nel Signore, incontrato attraverso la maternità della Chiesa, urge il suo cuore ad annunciare in ogni luogo che Gesù è il Redentore.

Con la certezza amorosa di chi si è consacrato a Dio, preparatevi a riprendere il vostro ministero sacerdotale in terra d’Africa, facendo crescere in voi la consapevolezza che la più grande carità che si può fare al mondo è quella di proclamare che Cristo è risorto e si dà all’uomo come unica, vera fonte di verità e di libertà.

Benedico voi e l’intero vostro Istituto, perché il Signore ci sostenga nel faticoso, ma sempre consolante lavoro di edificare la Chiesa.
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Mi rivolgo ora ai dirigenti della Cassa di Risparmio di Bologna, alle loro consorti e ai membri della Fabbriceria di San Petronio.

Desidero esortarvi a perseverare a condurre un’esistenza ispirata ai valori cristiani, con lo stesso animo col quale avete promosso la pregevole opera che illustra l’insigne Basilica di San Petronio, emblema della vitalità religiosa della vostra città e mirabile compendio della sua storia.

Vi invito ad essere sempre più pietre vive di quella dimora santa, che è la Chiesa, e ad avere cura del tempio, dove la fede dei bolognesi è stata, lungo le vicissitudini della storia, egregiamente custodita e alimentata.
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Con animo riconoscente saluto anche l’Arcivescovo e la delegazione dell’Arcidiocesi di Modena, la quale sta celebrando l’VIII centenario della dedicazione del duomo.

Nell’auspicare che la ricorrenza porti abbondanti frutti di bene, invio una particolare benedizione all’intera Arcidiocesi modenese.
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Memore del non lontano incontro con la parrocchia di San Marco Evangelista, ne saluto i rappresentanti, soprattutto il reverendo padre Cristoforo Pasqual, i membri del Consiglio pastorale e i catechisti, che sono oggi qui convenuti per ricambiare la mia visita.

Carissimi fratelli e sorelle, nell’esprimere l’augurio che i doni di luce e di fervore, ricevuti durante quella giornata di reciproca comunicazione e preghiera, possano rendere sempre più convinta la vostra adesione a Cristo e il vostro amore al prossimo, raccomando al Signore le vostre persone.

A voi tutti qui presenti, alle vostre famiglie e a tutti i fedeli della comunità parrocchiale di San Marco Evangelista rinnovo di cuore la mia benedizione apostolica.

Ai giovani

Carissimi giovani! Sono lieto di incontrarmi soltanto con voi in questa udienza nella basilica di San Pietro. Mi fa piacere trovarvi qui, così numerosi, proprio nel luogo che ci ricorda il martirio e la testimonianza di fede del capo degli apostoli.

Come a lui Gesù aveva affidato il compito di essere il fondatore dell’unità della fede e della comunione, così ai successori di Pietro spetta la missione di continuare l’opera. Il Papa, Vescovo di Roma, come sapete bene, è capo visibile di tutta la Chiesa, per reggere la casa del Dio vivente, il popolo santo di Dio, la comunità di tutti i credenti. Comprendete, quindi, la consolazione che mi date venendo ad affermare qui, in maniera diretta e personale, la vostra fede nella mia missione. Siate i benvenuti!

Io desidero, in risposta, meditare con voi sulla vostra missione, quella che è connessa con la vostra condizione di giovani.

La mia prima parola è: non lasciate trascorrere la vostra giovinezza senza tenere gli occhi ben vigili verso l’avvenire.

Da molte parti voi sentite dire che “il domani è vostro”. Questa affermazione è vera, ma solo in parte. Il domani potrà essere vostro, se voi vivrete il presente con serietà e impegno. Voi sarete domani quello che avete saputo essere oggi, poiché l’avvenire sarà solo il frutto della vostra capacità di dare significato al presente. La giovinezza condiziona le scelte irreversibili dell’età matura.

Le scelte importanti - ecco un secondo pensiero - esigono riflessione e domandano serie conoscenze per essere scelte libere e non solo istintive o condizionate. Voi siete invitati a raccogliere con impegno ed equilibrio il senso profondo dei valori, in un’esperienza che si allarghi e arricchisca sempre di più.

Avete in Gesù un modello. Il vangelo ci dice spesso che egli è venuto per fare la volontà del Padre suo. Questa volontà del Padre era sempre nella sua mente, nelle sue intenzioni profonde, e Gesù rivelò di essere Figlio di Dio proprio vivendo nella volontà del Padre. Pensate spesso a Gesù come guida della vostra esperienza giovanile, e imparate ad amarlo come un amico, insieme al quale si cammina e ci si orienta per le vie dell’esistenza, confortati, sorretti, illuminati dalla sua parola.


Profittate della Quaresima, tempo prezioso, per rientrare in voi stessi e riflettere sul valore della vita. Vivetela bene, sapendo allenarvi a qualche rinuncia, con severità nell’uso e nell’impiego del tempo, al fine di ottenere pieno autocontrollo. Riuscirete così a confermare nell’intimo dell’anima tempi di maggiore libertà, aprendo dentro di voi lo spazio interiore destinato a Dio. Così la vostra vita giovanile sarà illuminata dalla sapienza e dalla saggezza che viene da Gesù Cristo.

Vi ricordo e vi suggerisco la preghiera che la liturgia delle Ore ci ha messo sulle labbra al Vespro di lunedì scorso (terzo di Quaresima) proprio per voi giovani: “Maestro buono - abbiamo detto - fa’ conoscere ai giovani la via che hai tracciata per ciascuno di loro, perché, realizzando la loro vocazione, siano veramente felici”.

È con questa intenzione che ben volentieri e di cuore vi do la mia benedizione apostolica.

Agli ammalati

Cari ammalati, che con fatica e sacrificio siete venuti a questa udienza!

Il tempo di Quaresima ci sta avvicinando rapidamente alla celebrazione della Pasqua, del mistero, cioè, della passione, morte e risurrezione di Gesù.

Quando l’apostolo Paolo scriveva ai Corinzi che “noi portiamo sempre e dappertutto nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2Co 4,10), ci illuminava con una verità che sostiene quando cerchiamo di trovare una via nel fitto buio delle mutilazioni, dei dubbi, della tristezza. La luce della Risurrezione, che per ogni uomo è piena di novità e di imprevedibile gioia, vi sostenga e vi conforti con l’abbondante consolazione di Cristo.

Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e vi benedico tutti di cuore.

Agli sposi novelli

Un augurio particolare alle giovani coppie di sposi, con l’invito a considerare la vocazione santa, a voi donata dal Signore nello spirito della fede, con grande ottimismo e con profonda fiducia.

Voi potete dimostrare al mondo che la famiglia, quando si esprime secondo il progetto di Dio, non fallisce nella sua prospettiva, non viene meno al suo compito, e riesce a realizzare anche nel nostro tempo la sua missione di santificare, di annunciare la fede, di educare con efficacia, di equilibrare la personalità dei coniugi e dei figli che crescono.

La mia benedizione su tutti voi, perché possiate raggiungere con gioia gli obiettivi di questo vostro impegno vocazionale.



Mercoledì, 20 marzo 1985

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1. Nella scorsa catechesi abbiamo detto che la fede è condizionata dalla rivelazione e che questa precede la fede. Dovremo dunque cercare di chiarire la nozione e di verificare la realtà della rivelazione (seguendo in ciò la costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II). Prima di questo, tuttavia, vogliamo concentrarci ancora un poco sul soggetto della fede: cioè sull’uomo che dice “credo”, rispondendo in questo modo a Dio, il quale “nella sua bontà e sapienza” ha voluto “rivelare se stesso all’uomo”.

Prima ancora di pronunciare il proprio “credo” l’uomo possiede già qualche concetto di Dio che raggiunge con lo sforzo del proprio intelletto, la costituzione Dei Verbum, trattando della divina rivelazione, ricorda questo fatto con le seguenti parole: “Il sacro Concilio professa che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può esser conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione dalle cose create” (cf.
Rm 1,27)” (Dei Verbum DV 6).

Il Vaticano II si richiama qui alla dottrina presentata ampiamente dal precedente Concilio: il Vaticano I. Essa corrisponde a tutta la tradizione dottrinale della Chiesa, che affonda le sue radici nella Sacra Scrittura, sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento.

2. Un testo classico sul tema della possibilità di conoscere Dio - prima di tutto la sua esistenza - partendo dalle cose create, lo troviamo nella Lettera di San Paolo ai Romani: “. . . poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili” (Rm 1,19-21). L’Apostolo ha qui nella mente gli uomini “che soffocano la verità nell’ingiustizia” (Rm 1,18). Il peccato li trattiene dal rendere la gloria dovuta a Dio, che ogni uomo può conoscere. Può conoscere la sua esistenza, e anche, fino ad un certo grado, la sua essenza, le sue perfezioni, i suoi attributi. Dio invisibile diventa in un certo senso “visibile nelle sue opere”.

Nell’Antico Testamento, il libro della Sapienza proclama la stessa dottrina dell’Apostolo sulla possibilità di giungere alla conoscenza dell’esistenza di Dio a partire dalle cose create. La troviamo in un passo un po’ più esteso, che conviene leggere per intero: “Davvero stolti per natura tutti gli uomini / che vivevano nell’ignoranza di Dio, / e dai beni visibili non riconobbero colui che è, / non riconobbero l’artefice, pur considerando le opere. / Ma o il fuoco o il vento o l’aria sottile / o la volta stellata o l’acqua impetuosa / o le luci del cielo / considerano come dèi, reggitori del mondo. / Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per dèi, / pensino quanto è superiore il loro Signore, / perché li ha creati lo stesso autore della bellezza. / Se sono colpiti dalla loro potenza e attività, / pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati. / Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature / per analogia si conosce l’autore. / Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero / perché essi forse s’ingannano / nella loro ricerca di Dio e nel volere trovarlo. / Occupandosi delle sue opere, compiono indagini, / ma si lasciano sedurre dall’apparenza, / perché le cose vedute sono tanto belle. / Neppure costoro però sono scusabili, / perché se tanto poterono da scrutare l’universo, / come mai non ne hanno trovato più presto il Creatore?” (Sg 13,1-9).

Troviamo il pensiero principale di questo passo anche nella Lettera di San Paolo ai Romani (Rm 1,18-21): Dio si può conoscere dalle creature, il mondo visibile costituisce per l’intelletto umano la base per l’affermazione dell’esistenza dell’invisibile Creatore. Il passo del libro della Sapienza è più ampio. L’autore ispirato polemizza in esso con il paganesimo a lui contemporaneo, che attribuiva a delle creature gloria divina. Al tempo stesso ci offre degli elementi di riflessione e di giudizio che possono valere per ogni epoca, anche per la nostra. Egli parla dell’enorme sforzo compiuto per la conoscenza dell’universo visibile.Parla anche di uomini che “ricercano Dio e vogliono trovarlo”. Si chiede perché il sapere umano che permette di “scrutare l’universo”, non arriva a conoscere il suo Signore. L’autore del libro della Sapienza - così come più tardi San Paolo - vede in questo una certa colpa. Ma occorrerà tornare a parte su questo tema.

Per ora chiediamoci anche noi soltanto questo: come è possibile che l’immenso progresso della conoscenza dell’universo (del macrocosmo e del microcosmo), delle sue leggi e delle sue vicende, delle sue strutture e delle sue energie, non conduca tutti a riconoscere il primo principio, senza del quale il mondo resta senza spiegazione? Dovremo esaminare le difficoltà in cui inciampano non pochi uomini di oggi. Rileviamo però con gioia che sono molti, anche oggi, i veri scienziati che trovano proprio nel sapere scientifico un impulso alla fede, o almeno a chinare la fronte dinanzi al mistero.

3. Seguendo la tradizione che, come abbiamo detto, ha la sua radice nella Sacra Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento, la Chiesa, nel XIX secolo, durante il Concilio Vaticano I, ha ricordato e confermato la dottrina sulla possibilità di cui è dotato l’intelletto dell’uomo a conoscere Dio dalle creature. Nel nostro secolo, il Concilio Vaticano Il ha ricordato nuovamente questa dottrina nel contesto della costituzione sulla divina rivelazione (Dei Verbum). Ciò riveste una grande importanza.

La rivelazione divina sta infatti alle basi della fede: del “credo” dell’uomo. Al tempo stesso i passi della Sacra scrittura nei quali questa rivelazione è stata consegnata, ci insegnano che l’uomo è in grado di conoscere Dio con la sola ragione: è capace di una certa “scienza” su Dio, anche se in modo indiretto e non immediato. Dunque, accanto all’“io credo” si trova un certo “io so”. Questo “io so” riguarda l’esistenza di Dio, e anche fino a un certo grado la sua essenza. Questa conoscenza intellettuale di Dio è trattata in modo sistematico da una scienza chiamata “teologia naturale”, che ha carattere filosofico e sorge sul terreno della metafisica, cioè della filosofia dell’essere. Essa si concentra sulla conoscenza di Dio come causa prima, e anche come fine ultimo dell’universo.


4. Questi problemi, come l’intera vasta discussione filosofica ad essi legata, non si possono approfondire nell’ambito di una breve istruzione sulle verità di fede. Non intendiamo neppure occuparci qui in modo particolareggiato di quelle “vie”, che guidano la mente umana nella ricerca di Dio (le “cinque vie” di San Tommaso d’Aquino). Per questa nostra catechesi è sufficiente aver presente il fatto che le fonti del cristianesimo parlano della possibilità della conoscenza razionale di Dio. Perciò, secondo la Chiesa, tutto il nostro pensare su Dio, in base alla fede, ha anche carattere “razionale” e “intellettivo”. E anche l’ateismo rimane nel circolo di un qualche riferimento al concetto di Dio. Se esso infatti nega l’esistenza di Dio, deve pur sapere di chi nega l’esistenza.

È chiaro che la conoscenza mediante la fede è diversa dalla conoscenza puramente razionale. Tuttavia Dio non avrebbe potuto rivelarsi all’uomo, se questi non fosse già stato naturalmente capace di conoscere qualcosa di vero a suo riguardo. Quindi a fianco e oltre un “io so”, che è proprio dell’intelligenza dell’uomo, si pone un “io credo”, proprio del cristiano: con la fede infatti il credente ha accesso, anche se oscuramente, al mistero della vita intima di Dio che si rivela.

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di espressione inglese

Ai vari gruppi di lingua tedesca

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A gruppi di pellegrini di lingua spagnola

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A pellegrini ungheresi della diocesi e città di Peecz


Siate fedeli sempre alla Chiesa e alle tradizioni cristiane dei vostri grandi antenati.

Di cuore do la mia benedizione apostolica a voi e al popolo ungherese.

A pellegrini giunti dalla Polonia

Ai giovani

Carissimi giovani,

è una gioia per me vedervi presenti così numerosi e così festosi in questa basilica. A tutti voi va il mio affettuoso saluto e il mio caldo benvenuto. Mi piace vedere in voi come un preannuncio della grande manifestazione giovanile internazionale che avrà luogo la prossima domenica delle Palme, al fine di celebrare, mediante la preghiera e la gioia di stare insieme, questo “Anno internazionale della gioventù”.

Vorrei trovare parole nuove per esprimere la grande speranza e la ferma fiducia che sempre ispira in me l’incontro con voi giovani; con voi che per la vostra stessa età manifestate di credere nella vita e nell’avvenire, perché li avete ancora tutti interi davanti a voi come un compito da svolgere che vi attende, un ideale da realizzare, una vocazione da attuare sotto lo sguardo di Dio, per il bene vostro, per una società più giusta e per una Chiesa più santa!

La vostra stessa esistenza è un atto di fiducia nella vita e una sfida contro gli istinti di morte che percorrono questa nostra umanità e vorrebbero come raggelare la sua crescita verso un futuro migliore.

Questi sono gli anni nei quali vi preparate ai grandi compiti che vi attendono. Il vostro avvenire dipenderà molto dall’impegno e dagli sforzi del periodo della vostra giovinezza.

Non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà. Cercate di acquistare una buona formazione. Sforzatevi di consolidare sempre più le convinzioni che sostengono le vostre aspirazioni e di rafforzare sempre più la volontà di metterle in pratica, seguendo l’esempio dei migliori, dei maestri e dei santi. E dove trovare qui un esempio più alto che in nostro Signore Gesù Cristo?


Fin dalla fanciullezza Dio Padre pone nella nostra mente e nei nostri cuori l’idea del vero e del bene: qui sta la vera ed eterna giovinezza dello spirito! Coloro che sanno mantenersi fedeli a questi ideali, nonostante sconfitte e delusioni, restano sempre giovani, anche se gli anni passano.

Certo, occorre lottare per questi ideali. Ma accanto a Gesù la vittoria è sicura. Questo periodo quaresimale, che ormai volge al termine, è particolarmente indicato perché ci esercitiamo in questo lavoro di conquista dei nostri ideali, illuminando la nostra intelligenza con la parola di Dio e fortificando la nostra volontà con quell’austerità di vita e quello spirito di sacrificio, che ci rende sempre più padroni di noi stessi e ci purifica dai nostri peccati.

In tal modo, la santa Pasqua ormai vicina potrà essere per voi un’esplosione di giovinezza, quella giovinezza che è “novità di vita”, e vittoria sull’“uomo vecchio” del peccato. Ecco, cari giovani, il significato profondo, oltre che simbolico, della vostra età: è quell’“uomo nuovo” del quale parla San Paolo, figlio di Dio e mosso dallo Spirito, l’uomo vincitore del peccato e della morte grazie a Cristo risorto. Egli sia sempre la vostra giovinezza, anche quando il corpo sentirà il peso degli anni. Ma il vostro spirito resti sempre giovane, in preparazione alla Pasqua eterna della risurrezione!

Questo, carissimi giovani, è il mio augurio; questa la mia preghiera che faccio per voi. E la mia più affettuosa benedizione vi accompagni.

Agli ammalati

Mi è poi sempre tanto cara la presenza di numerosi ammalati, ai quali rivolgo un affettuoso pensiero.

Carissimi, il tempo della Quaresima, che si conclude con la settimana di Passione, ed è il preludio della Pasqua di risurrezione, ci rammenta in modo unico come la sofferenza sia pegno di grazia efficace e copiosa, momento eminente di salvezza e di amore. Da quando Cristo ha scelto la strada del dolore per rinnovare l’uomo e ridargli la speranza del cielo, ogni persona che soffre non ha strada migliore per sentirsi strumento di grazia e di salvezza per l’intera umanità, nella certezza che ai servi fedeli è promessa la corona di gloria”.

E di questa gioiosa certezza sia pegno la mia benedizione.

Agli sposi novelli

Saluto infine le coppie di sposi novelli, che hanno voluto includere la Città eterna nell’itinerario del loro viaggio nuziale.

La liturgia ci ha fatto celebrare ieri la solennità di san Giuseppe, un padre e uno sposo che, seppure in una situazione singolare, ha saputo realizzare una comunione familiare che continua a porsi come esempio ideale per tutte le famiglie cristiane.

Come Maria e Giuseppe camminate dunque insieme, unendo valori umani e divini, al fine di realizzare il disegno di Dio che vi fa, attraverso l’amore, compartecipi con lui nel continuare la vita, rifuggendo coraggiosamente da ogni forma di egoismo, rinnovando quotidianamente il dono e la grazia del sacramento, che è impegno di testimonianza cristiana vissuta.

Tornando nella vostra muova casa portate, come auspicio dei favori del Signore, la mia benedizione.


Mercoledì, 27 marzo 1985

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1. Il nostro punto di partenza nella catechesi su Dio che si rivela resta sempre il testo del Concilio Vaticano II: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cf.
Ep 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ep 2,18 2P 1,4). Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile (cf. Col 1,15 1Tm 1,17) parla nel suo grande amore agli uomini come ad amici (cf. Ex 33,11 Jn 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar Ba 3,38) per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (Dei Verbum DV 2).

Abbiamo però già considerato la possibilità di conoscere Dio con la capacità della sola ragione umana. Secondo la costante dottrina della Chiesa, espressa specialmente al Concilio Vaticano I (Concilio Vaticano I, Dei Filius, 2), e ripresa nel Concilio Vaticano II (Dei Verbum DV 6), la ragione umana possiede tale capacità e possibilità: “Dio, principio e fine di tutte le cose - è detto - può esser conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione dalle cose create (cf. Rm 1,20)”, anche se è necessaria la rivelazione divina perché “tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé impervio all’umana ragione, possa, anche nel presente stato del genere umano, esser conosciuto da tutti speditamente, con ferma certezza e senza mistura d’errore”.

Questa conoscenza di Dio per mezzo della ragione, salendo a lui “dalle cose create”, corrisponde alla natura razionale dell’uomo. Corrisponde anche all’originale disegno di Dio, che dotando l’uomo di tale natura, vuole poter essere da lui conosciuto. “Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cf. Jn 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cf. Rm 1,19-20)” (Dei Verbum DV 3). Questa testimonianza è data come dono e nello stesso tempo è lasciata come oggetto di studio da parte della ragione umana. Mediante l’attenta e perseverante lettura della testimonianza delle cose create, la ragione umana si dirige verso Dio e si avvicina a lui. Questa è in un certo senso la via “ascendente”: sui gradini delle creature l’uomo si innalza verso Dio, leggendo la testimonianza dell’essere, della verità, del bene e della bellezza che le creature posseggono in se stesse.

2. Questa via della conoscenza, che in un certo qual senso, ha il suo inizio nell’uomo e nella sua mente, permette alla creatura di salire al Creatore. Possiamo chiamarla la via del “sapere”. Vi è una seconda via, la via della “fede” che ha il proprio inizio esclusivamente in Dio. Queste due vie sono diverse tra di loro, ma s’incontrano nell’uomo stesso, e in un certo senso si completano e si aiutano reciprocamente.

Diversamente dalla conoscenza mediante la ragione che parte “dalle creature”, le quali solo indirettamente portano a Dio, nella conoscenza mediante la fede attingiamo dalla rivelazione, nella quale Dio “fa conoscere se stesso” direttamente. Dio si rivela, cioè permette di conoscere se stesso, manifestando all’umanità “il mistero della sua volontà” (Ep 1,9). La volontà di Dio è che gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto uomo, abbiano nello Spirito Santo accesso al Padre e siano resi partecipi della natura divina. Dio dunque rivela all’uomo “se stesso”, rivelando insieme il suo piano salvifico nei riguardi dell’uomo. Questo misterioso progetto salvifico di Dio non è accessibile alla sola forza ragionatrice dell’uomo. Persino la più perspicace lettura della testimonianza di Dio nelle creature non è in grado di svelare alla mente umana questi orizzonti soprannaturali. Essa non apre dinanzi all’uomo “la via della superna salvezza” (Dei Verbum DV 3), via che è strettamente unita al “dono che Dio fa di sé” all’uomo. Nella rivelazione di sé stesso Dio “invita e ammette l’uomo alla comunione con sé” (cf. Ivi, DV 2).

3. Solamente avendo tutto questo davanti agli occhi, possiamo capire che cosa davvero è la fede: quale è il contenuto dell’espressione “credo”.

Se è esatto dire che la fede consiste nell’accettare come vero ciò che Dio ha rivelato, il Concilio Vaticano II ha opportunamente messo in risalto che essa è anche una risposta di tutto l’uomo, sottolineando la dimensione “esistenziale” e “personalistica” di essa. Se infatti Dio “rivela se stesso” e manifesta all’uomo il salvifico “mistero della sua volontà”, è giusto dimostrare a Dio che si rivela una tale “obbedienza della fede”, per cui tutto l’uomo liberamente si abbandona a Dio mostrandogli “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” (Concilio Vaticano I, Dei Filius) e acconsentendo volontariamente alla “rivelazione data da lui” (cf. Dei Verbum DV 3).

Nel conoscere mediante la fede l’uomo accetta come verità tutto il contenuto soprannaturale e salvifico della rivelazione; tuttavia questo fatto lo introduce al tempo stesso in un rapporto profondamente personale con Dio stesso che si rivela. Se il contenuto proprio della rivelazione è l’“autocomunicazione” salvifica di Dio, allora la risposta della fede è corretta nella misura in cui l’uomo, accettando come verità quel contenuto salvifico, al tempo stesso “si abbandona tutt’intero a Dio”. Solamente un completo “abbandono a Dio” da parte dell’uomo costituisce una risposta adeguata.


Ai fedeli di espressione tedesca


Ai fedeli di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese



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Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai pellegrini croati

Sia lodato Gesù e Maria!

Saluto di cuore voi, cari giovani, provenienti dalla Missione croata di Colonia. Siete venuti a Roma per l’incontro internazionale dei giovani con il Santo Padre: avete portato con voi la croce di Višeslav e l’immagine della Vergine Maria. A voi, cari giovani, affido la croce di Cristo. Portatela nel mondo come segno del suo amore verso gli uomini. Amate Maria, vostra madre celeste, che tanto vi ama. Annunziate a tutti che la salvezza viene tramite la croce di Cristo, con la materna intercessione della Madonna.


Il Papa imparte di cuore a voi e ai vostri genitori, che vivete lontani dalla patria, la sua benedizione apostolica.

Ai polacchi

Agli ammalati

Il mio saluto anche a voi, carissimi fratelli ammalati. La liturgia della Settimana santa, ornai imminente, ci invita a posare lo sguardo su Gesù crocifisso per poter comprendere pienamente l’intensità e il significato delle sue sofferenze. Nel vostro dolore e nelle vostre sofferenze meditate Gesù crocifisso affinché, da lui illuminati, possiate capire che ogni sofferenza umana ha in sé un grande valore, se vissuta alla luce della fede e dell’insegnamento del Redentore. Dal crocifisso attingete la forza per non scoraggiarvi nella malattia. Gesù stesso vi dia la serenità nella consapevolezza che il dolore è partecipazione alla redenzione e quindi fonte di gioia e di grazia per voi e per tutta la Chiesa.

Vi benedico di cuore.

Agli sposi novelli

Saluto infine gli sposi novelli. Carissimi, con il sacramento del Matrimonio, ricevuto recentemente, avete posto un segno per poter indicare la vostra responsabile e generosa risposta, il vostro sì, al Signore che vi ha chiamati alla duplice, grande e nobile missione di amore e di vita, che realizzerete in coppia nella vostra nuova famiglia cristiana. Come la primavera porta nella natura un risveglio di vita, che si manifesta attraverso i fiori e i frutti, così la vostra comunità familiare segni nella Chiesa e nella società una primavera di fede con fiori di un amore autentico e frutti di nuove vite. Vi sorregga sempre la grazia ricevuta nel Sacramento, che renderete operante con la vostra opera personale; per questo vi esorto a pregare insieme e frequentare i sacramenti.

Ripongo in voi la mia personale fiducia, vi auguro ogni bene e vi benedico di cuore.

Ai giovani

Come sempre, desidero rivolgermi ai giovani, nella gioiosa attesa dell’incontro di sabato e domenica prossima con tutti quelli che verranno da ogni parte del mondo, in occasione dell’Anno internazionale della gioventù.


Carissimi, siamo ormai al termine del cammino quaresimale, tempo di particolare impegno di preghiera, di penitenza e di conversione, per essere veramente nuovi nel cuore e nello spirito. Domenica la liturgia ci farà rivivere l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, accompagnato da uno stuolo di giovani festanti. Anche nella prossima domenica delle Palme i giovani saranno i protagonisti attorno al Signore nell’incontro caratterizzato dalla preghiera e dal sacrificio personale, a cui esorto anche voi, affinché esso sia segno di vita nuova nella Chiesa e nel mondo. Durante le vacanze pasquali, che inizieranno tra pochi giorni, vi invito a prendere parte alle sacre funzioni della Settimana santa, per rivivere la passione di Cristo e comprendere meglio quanto è grande l’amore del Signore ed essere così più disponibili all’aiuto fraterno, affinché la vostra carità diventi sempre più concreta e generosa.

Vi benedico di cuore.

La Preghiera per la pace

nei Paesi sconvolti dalla violenza


Vi invito ora a unirvi alla mia preghiera per tutti coloro che sono stati colpiti nei dolorosi avvenimenti, dei quali in questi giorni è giunta notizia.

In particolare desidero ricordare le numerose vittime dei gravi disordini registratisi in Sudafrica, dove la violenza si è scatenata ancora una volta per le note tensioni sociali che esistono nel Paese.

In Iran e in Iraq, dopo appena ventiquattro ore di tregua sono ripresi con più intensa gravità i bombardamenti, senza risparmio degli obiettivi civili e dei centri urbani, causando un gran numero di vittime innocenti e nuove distruzioni.

Preghiamo perché il Signore conceda la pace alle vittime e conforto alle loro famiglie e ispiri i responsabili di questi popoli così provati a trovare le vie appropriate per porre termine a così inutili sofferenze.





Catechesi 79-2005 13385