Catechesi 79-2005 26685

Mercoledì, 26 giugno 1985

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1. L’autorivelazione di Dio, che ha raggiunto la sua pienezza in Gesù Cristo, è la fonte della fede cristiana: cioè di quel “credo”, al quale la Chiesa dà espressione nei simboli di fede. Tuttavia, nell’ambito di questa fede cristiana, durante i secoli si sono verificate varie fratture e scissioni. “Tutti asseriscono di essere discepoli del Signore, ma [le comunioni cristiane] hanno diverse sentenze e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso (cf.
1Co 1,13)”. “Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo” (Unitatis redintegratio UR 1), in divergenza dalle altre e principalmente dalla Chiesa cattolica, apostolica, romana.

2. A dire il vero, fin dai tempi apostolici si lamentano divisioni tra i seguaci di Cristo, e San Paolo severamente rimprovera i responsabili come meritevoli di condanna (Cf. 1Co 11,18-19 Ga 1,6-9 cf. 1Jn 2,18-19); (cf. Unitatis redintegratio UR 3). Le divisioni non mancarono anche nei tempi post-apostolici. Una particolare attenzione meritano quelle che “avvennero in Oriente . . . per la contestazione delle formule dogmatiche dei concili di Efeso e di Calcedonia” (Unitatis redintegratio UR 13), riguardanti il rapporto tra la natura divina e quella umana di Gesù Cristo.

3. Tuttavia si devono qui nominare soprattutto le due divisioni maggiori, la prima delle quali interessò il cristianesimo soprattutto in Oriente, la seconda in Occidente. La rottura in Oriente, il cosiddetto scisma orientale, collegato alla data del 1054, avvenne “per lo scioglimento della comunione ecclesiastica tra i patriarcati orientali e la Sede romana” (Unitatis redintegratio UR 13). Per effetto di questa rottura vi sono nell’ambito del cristianesimo la Chiesa cattolica (romano-cattolica) e la Chiesa o Chiese ortodosse, il cui centro storico si trova a Costantinopoli.

“Le altre [divisioni] sono sorte, dopo più di quattro secoli, in Occidente, a causa di quegli eventi che comunemente passano sotto il nome di Riforma. Da allora parecchie comunioni, sia nazionali che confessionali, si separarono dalla Sede romana. Tra quelle, nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e le strutture cattoliche, tiene un luogo speciale la Comunione anglicana. Tuttavia queste diverse divisioni differiscono molto tra di loro non solo in ragione dell’origine, del luogo e del tempo, ma soprattutto per la natura e gravità delle questioni che riguardano la fede e la struttura ecclesiastica” (Ivi UR 13).


4. Non si tratta dunque soltanto di divisioni concernenti la disciplina. È il contenuto stesso del “credo” cristiano che è intaccato. Un teologo protestante moderno, K. Barth, ha espresso questa situazione di divisione con la frase seguente: “Tutti crediamo in un solo Cristo, ma non tutti nello stesso modo”.

Il Concilio Vaticano II si pronuncia così: “Tale divisione contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura” (Ivi, UR 1).

I cristiani di oggi devono ricordare e meditare con una particolare sensibilità le parole della preghiera che Cristo Signore rivolse al Padre la sera in cui doveva essere tradito: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21).

5. La viva eco di queste parole fa sì che, specialmente nell’odierna situazione storica, siamo pervasi, nella recita del “credo” cristiano, da un ardente desiderio dell’unione dei cristiani fino alla piena unità nella fede.

Leggiamo nel documento conciliare: “Il Signore dei secoli, che con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione. Moltissimi uomini in ogni parte del mondo sono stati toccati da questa grazia, e anche tra i nostri fratelli separati è sorto, per impulso della grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio per ristabilire l’unità di tutti i cristiani. A questo movimento per l’unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Signore e Salvatore, e non solo come singole persone separatamente, ma anche riunite in gruppi, nei quali hanno ascoltato il Vangelo e che i singoli dicono essere la Chiesa loro e di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio” (Unitatis redintegratio UR 1).

6. Questa lunga citazione è tratta dal decreto sull’ecumenismo (Ivi UR 1), nel quale il Concilio Vaticano II ha precisato il modo in cui il desiderio dell’unione dei cristiani deve penetrare la fede della Chiesa, il modo in cui deve rispecchiarsi nel concreto atteggiamento di fede d’ogni cristiano cattolico e influire sul suo agire e cioè sulla risposta che egli deve dare alle parole della preghiera sacerdotale di Cristo.

Paolo VI ha visto nell’impegno ecumenico la prima e la più vicina cerchia di quel “dialogo della salvezza”, che la Chiesa deve portare avanti con tutti i fratelli nella fede, separati ma sempre fratelli! Molti avvenimenti degli ultimi tempi, dopo l’iniziativa di Giovanni XIII, l’opera del Concilio, e successivamente gli sforzi post-conciliari, ci aiutano a comprendere e a sperimentare che, nonostante tutto, “è più quello che ci unisce di quello che ci divide”.

È anche con questa disposizione di spirito che, processando il “credo”, ci “abbandoniamo a Dio” (cf. Dei Verbum DV 5), attendendo soprattutto da lui la grazia del dono della piena unione in questa fede di tutti i testimoni di Cristo. Da parte nostra metteremo tutto l’impegno della preghiera e dell’azione per l’unità, cercando le vie della verità nella carità.

A gruppi inglesi

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Ai pellegrini di lingua tedesca

Ad alcuni gruppi di fedeli provenienti dalla Spagna

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Ad un gruppo di fedeli ungheresi

Saluto con affetto i pellegrini ungheresi qui nel centro della Chiesa. Siate fedeli sempre alla fede cattolica e alla concezione cristiana del mondo.

Di cuore do la mia benedizione apostolica a voi e al popolo ungherese.

A pellegrini di lingua slovena

Saluto la gioventù cattolica di Rogaška Slatina. Il vostro pellegrinaggio alla tomba di san Pietro e al Vicario di Cristo fortifichi la vostra fede e vi ispiri con rinnovato entusiasmo giovanile. Benedico voi, il signor parroco e i vostri cari.

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni pellegrinaggi italiani

Saluto e ringrazio per la loro presenza i pellegrini italiani. In particolare, desidero rivolgermi a voi, alunni ed ex alunni dell’Istituto Superiore di scienze religiose di Milano, qui convenuti sotto la guida del preside, Monsignor Giovanni Battista Guzzetti.


Vi ringrazio della vostra presenza, in occasione della celebrazione del 25° di fondazione della vostra scuola.

Auspico che il vostro istituto sia sempre più un luogo di studio e di ricerca che favorisca una personale sintesi tra fede e cultura, tra fede e vita, permettendo di approfondire teologicamente i misteri del cristianesimo e di rendere così i suoi studenti idonei operatori pastorali in quei delicati e importanti ambiti che sono la scuola, le associazioni e i movimenti ecclesiali, e l’opera di promozione vocazionale.

Vi accompagno con la mia preghiera e la mia benedizione.
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Saluto anche i pellegrini della parrocchia del Buon Pastore di Udine. Carissimi, siete venuti presso la sede del Successore di Pietro, per ricordare in modo impegnativo e solenne il X anniversario della costituzione della vostra comunità parrocchiale e per fare benedire dal Papa la “prima pietra” della chiesa, in ci vi raccoglierete per celebrare la fede e alimentare la vita con i sacramenti, che sono segni dell’incontro con Cristo.

Carissimi fratelli e sorelle, vi auguro che l’erigendo tempio non solo sorga in modo degno di Dio, ma sia anche la casa dell’uomo, che cerca la carità di Dio e l’amore del prossimo.
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Il mio saluto e il mio benvenuto va ora ai partecipanti al VI Campionato Mondiale Masters di atletica leggera qui a Roma. Nell’incontrarmi con voi, così numerosi e così festanti, cari atleti, mi è gradito dirvi la mia simpatia e anche il mio apprezzamento per la nobile attività umana, cui vi dedicate con impegno generoso. Apprezzate sempre la vita e difendetene il valore sacro con lo stesso entusiasmo e la stessa energia con cui vi dedicate alle discipline sportive, che praticate. La mia benedizione apostolica sostenga la vostra esuberante giovinezza.

Ai giovani

Mi rivolgo ora a tutti i ragazzi e giovani presenti a questa udienza.

Carissimi, i giovani sono sempre portatori di nuova vitalità, di gioia e di entusiasmo. Il periodo estivo offre a voi la possibilità di incontrare famiglie, amicizie e ambienti nuovi: portate perciò dappertutto il messaggio di vita e di gioia, che rasserenerà le persone anziane, spronerà gli indifferenti e chi è nelle difficoltà, e impegnerà ogni famiglia a vivere e educare ai valori autentici della vita. Animati dalla vera gioia, che non può essere data dalle sole cose materiali, ma che viene dall’intimo, siate anche voi lampada che arde e che splende, come lo fu san Giovanni di cui abbiamo recentemente celebrato la festa.

Mentre vi esorto alla preghiera, ad essere forti nella fede e ad essere vigilanti contro le insidie del nemico, affido al vostro entusiasmo questo messaggio di vita gioiosa e vi benedico.

Ai malati

Ora saluto anche voi, carissimi fratelli ammalati.

So che molti infermi accettano con spirito di fede le loro sofferenze e le offrono al Signore per il Papa, per la Chiesa e per la pace nel mondo; tutto questo è molto bello, e io vi ringrazio. Desidero altresì assicurarvi che anch’io, ogni giorno, ricordo nelle mie preghiere quanti soffrono nel corpo e nello spirito a causa della malattia. La sofferenza vissuta alla luce della fede, diventa un prezioso servizio per il singolo, per le famiglie e per la società e la stessa malattia diventa strumento di santificazione, poiché davanti al malato si è portati a rivedere e migliorare la propria vita. Siate anche voi, nelle mani del Signore, questo strumento di santificazione. La preghiera di ogni giorno vi sostenga e il Cuore di Gesù sia il vostro rifugio.

Vi benedico di cuore.

Agli sposi novelli

Rivolgo infine il mio saluto agli sposi novelli. Carissimi, è per me motivo di grande gioia intrattenermi con voi che avete iniziato un cammino insieme per dar vita a nuove famiglie cristiane. Guardo a voi con tanta fiducia. Essere in coppia “immagine dell’amore di Dio”, realizzare una comunione di vita e di amore, formare un sola carne e un solo cuore, vi impegna a vivere pienamente l’unità e la fedeltà coniugale. Avete consacrato il vostro amore davanti all’altare del Signore, vivetelo ora ogni giorno e non abbiate paura delle difficoltà; la grazia ricevuta nel sacramento vi sarà di aiuto per tutta la vita.

Vi auguro ogni bene e tanta serenità e vi accompagni la mia benedizione.




Mercoledì, 3 luglio 1985

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1. Le nostre catechesi raggiungono oggi il grande mistero della fede, il primo articolo del nostro Credo: Credo in Dio. Parlare di Dio significa affrontare un tema sublime e sconfinato, misterioso e attraente. Ma qui sulla soglia, come chi si prepara a un lungo, affascinante viaggio di scoperta - e tale rimane sempre un genuino discorso su Dio - sentiamo il bisogno di prendere in anticipo la giusta direzione di marcia, preparando il nostro spirito alla comprensione di verità quanto mai alte e decisive.

A questo scopo ritengo necessario rispondere subito ad alcune domande, la prima delle quali è: perché parlare oggi di Dio?

2. Alla scuola di Giobbe, che confessò umilmente: “Ecco, sono ben meschino . . . Mi metto la mano sulla bocca” (
Jb 40,4), percepiamo con forza che proprio la fonte delle nostre supreme certezze di credenti, il mistero di Dio, è prima ancora la sorgente feconda delle nostre più profonde domande: chi è Dio? Possiamo conoscerlo in modo verace nella nostra condizione umana? Chi siamo noi, creature, davanti a Dio?

Con le domande nascono da sempre tante e talvolta tormentose difficoltà: se Dio esiste, perché allora tanto male nel mondo? Perché l’empio vigoreggia e il giusto viene calpestato? L’onnipotenza di Dio non finisce con lo schiacciare la nostra libertà e responsabilità?

Sono domande, difficoltà che si intrecciano con le attese e le aspirazioni, di cui gli uomini della Bibbia, nei salmi in particolare, sono diventati portavoce universali: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Ps 42,2-3): da Dio si attende la salute, la liberazione dal male, la felicità e anche, con splendido slancio di confidenza, il poter stare insieme con lui, “abitare nella sua casa” (cf. Ps 84,2). Ecco noi parliamo di Dio perché questo è un bisogno insopprimibile dell’uomo.


3. La seconda domanda è come parlare di Dio, come parlarne rettamente. Anche fra i cristiani, molti possiedono un’immagine deformata di Dio. È doveroso chiedersi se è stato fatto un giusto percorso di ricerca, attingendo la verità da fonti genuine e secondo un atteggiamento adeguato. Qui credo doveroso richiamare anzitutto, come primo atteggiamento, l’onestà dell’intelligenza, il restare cioè aperti a quei segni di verità che Dio stesso ha lasciato di sé nel mondo e nella nostra storia.

Vi è certamente il cammino della sana ragione (e avremo tempo di considerare che cosa l’uomo con le sue forze possa conoscere di Dio). Ma qui mi preme dire che alla ragione, ben oltre le sue risorse naturali, Dio stesso offre di sé una splendida documentazione: quella che con linguaggio della fede si chiama “rivelazione”. Il credente, e ogni uomo di buona volontà che ricerchi il volto di Dio, ha a disposizione innanzitutto l’immenso tesoro della Sacra Scrittura vero diario di Dio nei rapporti con il suo popolo, che ha al centro l’insuperabile rivelatore di Dio, Gesù Cristo: “Chi vede me, vede il Padre” (Jn 14,9). Gesù, per parte sua, ha affidato la sua testimonianza alla Chiesa, che da sempre, con l’aiuto dello Spirito di Dio, ne ha fatto oggetto di appassionata ricerca, di progressivo approfondimento e anche di strenua difesa di fronte a errori e deformazioni. La documentazione genuina di Dio passa dunque attraverso la tradizione vivente, di cui tutti i Concili sono fondamentali testimonianze: dal Niceno al Costantinopolitano, a quello Tridentino, fino al Vaticano I e al Vaticano II.

Sarà nostra cura rifarci a queste genuine sorgenti di verità.

La catechesi attinge inoltre i suoi contenuti su Dio anche dalla duplice esperienza ecclesiale: la fede pregata, la liturgia, le cui formulazioni sono un continuo, instancabile parlare di Dio parlando con lui; e la fede vissuta da parte dei cristiani, dei santi in particolare, che hanno avuto la grazia di una profonda comunione con Dio. Dunque non siamo destinati soltanto a fare delle domande su Dio, per poi perderci in una selva di risposte ipotetiche, oppure troppo astratte. Dio stesso ci è venuto incontro con una ricchezza organica di sicure indicazioni. La Chiesa sa di possedere, per grazia di Dio stesso, nel suo patrimonio di dottrina e di vita, la giusta direzione per parlare con rispetto e verità di lui. E mai come oggi sente l’impegno di offrire con lealtà e amore agli uomini l’essenziale risposta, di cui sono in attesa.

4. È quanto intendo fare in questi incontri. Ma come? Ci sono diverse maniere di fare catechesi, e la loro legittimità dipende in definitiva dalla fedeltà nei confronti della fede integrale della Chiesa. Ho ritenuto opportuno scegliere la via che, mentre ci richiama direttamente alla Sacra Scrittura, si rifà altresì ai simboli della fede, nella comprensione approfondita che ne ha dato il pensiero cristiano lungo venti secoli di riflessione.

È mio intento, nel proclamare la verità su Dio, invitare voi tutti a riconoscere la validità, oltre che della via storico-positiva, di quella offerta dalla riflessione dottrinale elaborata nei grandi Concili e nel magistero ordinario della Chiesa. In questo modo, senza sminuire per nulla la ricchezza dei dati biblici, si potranno illustrare verità di fede o prossime alla fede o comunque teologicamente fondate che, per essere state espresse in linguaggio dogmatico-speculativo, rischiano di venir meno sentite e apprezzate da molti uomini d’oggi con non lieve impoverimento della conoscenza di colui che è mistero insondabile di luce.

5. Non potrei terminare questa catechesi iniziale del nostro discorso su Dio senza ricordare un secondo fondamentale atteggiamento, oltre a quello dell’onesta intelligenza, detto sopra. E cioè l’atteggiamento del cuore docile e riconoscente. Parliamo di colui che Isaia ci propone come il tre volte santo (Is 6,3). Dobbiamo quindi parlarne con vivissimo e totale rispetto, in adorazione. Al tempo stesso, però, sostenuti da colui “che è nel seno del Padre e ce lo ha rivelato” (Jn 1,18), Gesù Cristo nostro fratello, ne parliamo con soavissimo amore. “Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen” (Rm 11,36).


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

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Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

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Ad un gruppo giunto dall’Ungheria

Saluto con grande affetto i pellegrini ungheresi.

Siate fedeli imitatori del Vescovo Prohászka Ottokár e di Kaszap István e di Bogner Mária Margit che sono morti in fama di santità nella vostra diocesi.

Dal cuore do la mia benedizione apostolica a voi e a tutto il popolo ungherese.

Ai fedeli di lingua ucraina

Saluto sinceramente il gruppo di professori e studenti ucraini giunti a Roma da tutto il mondo per partecipare al XV Corso accademico estivo presso il Centro studi superiori di San Clemente Papa. Che il vostro soggiorno e i vostri studi a Roma possano rafforzare la vostra fede e rinvigorire la vostra fedeltà all’insegnamento di Cristo e la sua santa Chiesa. Da tutto cuore imparto a voi, ai vostri familiari e ai vostri cari una particolare benedizione apostolica. Laudetur Iesus Christus!

Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo un particolare saluto ai gruppi italiani, provenienti da varie città e regioni, sempre numerosi e devoti: vi ringrazio per la vostra presenza e vi assicuro il costante ricordo nella preghiera.


In modo particolare desidero ricordare il gruppo di persone che, mediante l’Opera Italiana Pellegrinaggi Paolini, sono diretti a Lourdes, e hanno voluto fare una tappa a Roma per partecipare all’udienza. Vi sono riconoscente per questo gesto di fede e di ossequio e raccomando alle vostre preghiere ai piedi della Vergine di Lourdes tutte le necessità della Chiesa e la pace tra le nazioni.
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Una parola di apprezzamento e di incoraggiamento rivolgo anche alle Suore missionarie dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, riunite a Roma per un corso di aggiornamento.

Il Signore e la sua santissima Madre vi diano sempre più fervore, per essere coraggiose testimoni di fede e di carità nel mondo.

Ai giovani

Il consueto saluto desidero ora rivolgere ai giovani presenti all’odierno incontro. Fra di essi noto con particolare piacere il gruppo degli alunni di terza media del Seminario minore di Padova. Carissimi, voi, e certamente molti altri assieme a voi, siete un periodo di meritate vacanze e liberi dai vostri normali impegni di studio, desiderosi quindi di un più diretto rapporto con le bellezze del creato, che può arricchire la vostra personalità in maniera diversa, ma complementare, da quella della cultura attinta dai libri scolastici. Vi auguro che nel contatto con la natura sappiate trasformare tale esperienza in meritata riflessione e in adorante preghiera verso Dio, Creatore e Padre di tutti.

Agli ammalati

Sono anche presenti a questa udienza diversi ammalati: a voi che portate i segni della sofferenza desidero porgere un affettuoso, fraterno saluto, accompagnato da un sentimento di intensa solidarietà. Nel ricordo del Cristo crocifisso vi chiedo - a nome anche di tutti coloro che partecipano a questa udienza - di voler offrire a Dio, per la Chiesa e per il mondo, la vostra infermità. Ve ne siamo fin d’ora grati e riconoscenti al Signore.

Agli sposi novelli

Infine, agli sposi novelli il mio particolare saluto: in questi giorni voi, dinanzi a Dio, alla Chiesa e alla vostra coscienza, avete consacrato il vostro vicendevole amore mediante il Matrimonio, dando inizio alla vostra nuova famiglia cristiana. Vi auguro che la vita coniugale sia sempre animata e conforta dalla grazia del Sacramento, della fede in Cristo, e si esprima nel reciproco affetto, nella fedeltà, nella donazione, di modo che la vostra casa diventi veramente una “chiesa in miniatura”, ad esempio e a edificazione del popolo di Dio.




Mercoledì, 10 luglio 1985

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1. Quando ci chiediamo: “Perché crediamo in Dio?”, la prima risposta è quella della nostra fede: Dio si è rivelato all’umanità, è entrato in contatto con gli uomini. La suprema rivelazione di Dio ci è venuta in Gesù Cristo, Dio incarnato. Noi crediamo in Dio perché Dio si è fatto scoprire da noi come l’essere supremo, il grande “esistente”.

Tuttavia, questa fede in un Dio che si rivela, trova anche un sostegno nei ragionamenti della nostra intelligenza. Quando riflettiamo, constatiamo che non mancano le prove dell’esistenza di Dio. Queste sono state elaborate dai pensatori sotto forma di dimostrazioni filosofiche, secondo il concatenamento di una logica rigorosa. Ma esse possono rivestire anche una forma più semplice e, come tali, sono accessibili a ogni uomo che cerca di comprendere ciò che significa il mondo che lo circonda.

2. Quando si parla di prove dell’esistenza di Dio, dobbiamo sottolineare che non si tratta di prove d’ordine scientifico-sperimentale. Le prove scientifiche, nel senso moderno della parola, valgono solo per le cose percettibili ai sensi, giacché solo su queste possono esercitarsi gli strumenti di indagine e di verifica, di cui la scienza si serve. Volere una prova scientifica di Dio, significherebbe abbassare Dio al rango degli esseri del nostro mondo, e quindi sbagliarsi già metodologicamente su quello che Dio è. La scienza deve riconoscere i suoi limiti e la sua impotenza a raggiungere l’esistenza di Dio: essa non può né affermare, né negare questa esistenza.

Da ciò non deve tuttavia trarsi la conclusione che gli scienziati siano incapaci di trovare, nei loro studi scientifici, motivi validi per ammettere l’esistenza di Dio. Se la scienza, come tale, non può raggiungere Dio, lo scienziato, che possiede un’intelligenza il cui oggetto non è limitato alle cose sensibili, può scoprire nel mondo le ragioni per affermare un essere che lo supera. Molti scienziati hanno fatto e fanno questa scoperta.

Colui che, con uno spirito aperto, riflette su quello che è implicato nell’esistenza dell’universo, non può impedirsi di porre il problema dell’origine. Istintivamente, quando siamo testimoni di certi avvenimenti, ci chiediamo quali ne siano le cause. Come non fare la stessa domanda per l’insieme degli esseri e dei fenomeni che scopriamo nel mondo?

3. Un’ipotesi scientifica come quella dell’espansione dell’universo, fa apparire più chiaramente il problema: se l’universo si trova in continua espansione, non si dovrebbe risalire nel tempo fino a quello che si potrebbe chiamare il “momento iniziale”, quello in cui quell’espansione è cominciata? Ma, quale che sia la teologia adottata circa l’origine dell’universo, la questione più fondamentale non può essere elusa. Questo universo in costante movimento postula l’esistenza di una causa che, dandogli l’essere, gli ha comunicato questo movimento e continua ad alimentarlo. Senza tale causa suprema, il mondo e ogni moto in esso esistente resterebbero “inspiegati” e “inspiegabili”, e la nostra intelligenza non potrebbe essere soddisfatta. Lo spirito umano può ricevere una risposta ai suoi interrogativi solo ammettendo un essere che ha creato il mondo con tutto il suo dinamismo, e che continua a sostenerlo nell’esistenza.

4. La necessità di risalire a una causa suprema s’impone ancora di più quando si considera la perfetta organizzazione che la scienza non cessa di scoprire nella struttura della materia. Quando l’intelligenza umana si applica con tanta fatica a determinare la costituzione e le modalità di azione delle particelle materiali, non è forse indotta a cercarne l’origine in un’intelligenza superiore, che ha concepito tutto? Di fronte alle meraviglie di quello che si può chiamare il mondo immensamente piccolo dell’atomo, e il mondo immensamente grande del cosmo, lo spirito dell’uomo si sente interamente superato nelle sue possibilità di creazione e persino di immaginazione, e comprende che un’opera di tale qualità e di tali proporzioni richiede un Creatore, la cui sapienza trascenda ogni misura, la cui potenza sia infinita.

5. Tutte le osservazioni concernenti lo sviluppo della vita conducono a un’analoga conclusione. L’evoluzione degli esseri viventi, di cui la scienza cerca di determinare le tappe e discernere il meccanismo, presenta un interno finalismo che suscita l’ammirazione. Questa finalità che orienta gli esseri in una direzione, di cui non sono padroni né responsabili, obbliga a supporre uno Spirito che ne è l’inventore, il creatore.

La storia dell’umanità e la vita di ogni persona umana manifestano una finalità ancor più impressionante. Certo, l’uomo non può spiegare a se stesso il senso di tutto ciò che gli succede, e quindi deve riconoscere che non è padrone del proprio destino. Non solo egli non ha fatto se stesso, ma non ha nemmeno il potere di dominare il corso degli avvenimenti nello sviluppo della sua esistenza. Tuttavia è convinto di avere un destino e cerca di scoprire come l’ha ricevuto, com’è iscritto nel suo essere. In certi momenti può discernere più facilmente una finalità segreta, che traspare da un concorso di circostanze o di avvenimenti. Così è portato ad affermare la sovranità di colui che l’ha creato e che dirige la sua vita presente.

6. Infine, tra le qualità di questo mondo che spingono a guardare verso l’alto, vi è la bellezza. Essa si manifesta nelle svariate meraviglie della natura; si traduce nelle innumerevoli opere d’arte, letteratura, musica, pittura, arti plastiche. Si fa apprezzare pure nella condotta morale: vi sono tanti buoni sentimenti, tanti gesti stupendi. L’uomo è consapevole di “ricevere” tutta questa bellezza, anche se con la sua azione concorre alla sua manifestazione. Egli la scopre e l’ammira pienamente solo quando riconosce la sua fonte, la bellezza trascendente di Dio.

7. A tutte queste “indicazioni” sull’esistenza di Dio creatore, alcuni oppongono la virtù del caso o di meccanismi propri della materia. Parlare di caso per un universo che presenta una così complessa organizzazione negli elementi e un così meraviglioso finalismo nella vita, significa rinunciare alla ricerca di una spiegazione del mondo come ci appare. In realtà, ciò equivale a voler ammettere degli effetti senza causa. Si tratta di una abdicazione dell’intelligenza umana, che rinuncerebbe così a pensare, a cercare una soluzione ai suoi problemi.


In conclusione, una miriade di indizi spinge l’uomo, che si sforza di comprendere l’universo in cui vive, a orientare il proprio sguardo verso il Creatore. Le prove dell’esistenza di Dio sono molteplici e convergenti. Esse contribuiscono a mostrare che la fede non mortifica l’intelligenza umana, ma la stimola a riflettere e le permette di capire meglio tutti i “perché” posti dall’osservazione del reale.

Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese


Ai fedeli tedeschi

Ai fedeli di espressione spagnola

Ad un gruppo di giuristi provenienti dal Brasile


Ai pellegrini ungheresi

Saluto con grande affetto i pellegrini ungheresi.

I patroni della vostra diocesi: san Michele e santo Stefano, e il patrono della vostra parrocchia, sant’Emerico. Siano sempre i vostri protettori.

Dal cuore do la mia benedizione apostolica a tutto il diletto popolo ungherese.

Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Porgo il mio cordiale saluto ai numerosi pellegrini italiani che sono qui convenuti. Un particolare benvenuto rivolgo ai seminaristi del Pontificio Seminario Pio XI di Reggio Calabria.

Questo incontro, che rinnova quello che ebbi con voi lo scorso anno nel vostro seminario, mi offre l’occasione per esortarvi a perseverare nel cammino vocazionale, perché diventiate coraggiosi portatori del messaggio e della presenza del Redentore. Il Signore infonda nei vostri cuori fiducia e serenità, mentre di cuore imparto a voi, ai vostri superiori, ai vostri cari la mia benedizione.
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Un affettuoso saluto anche alle Suore della Congregazione delle religiose ospedaliere di Gesù Nazareno.

Carissime! Auspico che il servizio ai sofferenti, cui siete chiamate, diventi sempre più strada di santità per voi e fonte di consolazione per quanti hanno bisogno di sostegno fraterno. Sia tenace la vostra fede, fiduciosa la vostra preghiera, e vi conforti a mia benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora un saluto particolarmente affettuoso a tutti i giovani, le ragazze e i ragazzi presenti a questo incontro, reso festoso e vibrante dal loro entusiasmo e dalla loro capacità di cogliere con ottimismo gli aspetti belli ed elevati della vita.

Carissimi, in questo periodo di riposo dai vostri impegni di studio e di lavoro, fate tesoro dei vostri viaggi e incontri per arricchire le vostre conoscenze storiche, artistiche e, al tempo stesso, trovandovi qui a Roma, per consolidare la vostra fede cristiana alla vista di antichi monumenti che stanno a testimoniare le radici primordiali del cristianesimo.

Vi auguro un felice soggiorno a Roma e vi accompagno con la mia benevolenza e la mia benedizione apostolica.

Agli ammalati

Anche a voi, cari ammalati, che siete tanto vicini al mio cuore, esprimo un pensiero speciale e beneaugurante. Auspico che possiate trovare sempre la forza cristiana per sopportare le prove, cui la malattia vi assoggetta. È la prova della croce, alla quale Gesù fu sottoposto per la nostra redenzione e che nessun cristiano può ignorare, senza privarsi dei meriti soprannaturali ad essa collegati.

La mia benedizione vi sia di sostegno e di conforto nei momenti più difficili della vostra vita.

Agli sposi novelli

Non dimentico, infine, le coppie di sposi novelli, che sono venuti per testimoniare la loro fede cristiana e per implorare sulla loro nascente famiglia la pienezza delle grazie celesti.

Cari sposi, vi auguro che il vostro amore, reso più forte dal sacramento del matrimonio, si mantenga sempre saldo e granitico, anche in mezzo alle difficoltà che potranno insorgere durante il percorso della vita a due; anzi si fortifichi sempre più mediante l’esercizio delle virtù cristiane e diventi veramente un segno luminoso dell’amore che unisce Cristo alla Chiesa.

A questo fine vi imparto una speciale benedizione.






Mercoledì, 17 luglio 1985

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1. È opinione abbastanza diffusa che gli uomini di scienza siano generalmente agnostici e che la scienza allontani da Dio. Che cosa c’è di vero in questa opinione?

Gli straordinari progressi compiuti dalla scienza, particolarmente negli ultimi due secoli, hanno talvolta indotto a credere che essa sia in grado di dare risposta da sola a tutti gli interrogativi dell’uomo e di risolverne tutti i problemi. Alcuni ne hanno dedotto che non ci sarebbe più, ormai, alcun bisogno di Dio. La fiducia nella scienza avrebbe soppiantato la fede.

Tra scienza e fede - si è detto - occorre fare una scelta: o si crede nell’una o si abbraccia l’altra. Chi persegue lo sforzo della ricerca scientifica, non ha più bisogno di Dio; viceversa, chi vuol credere in Dio, non può essere uno scienziato serio, perché tra la scienza e la fede c’è contrasto insanabile.

2. Il Concilio Vaticano II ha espresso una convinzione ben diversa. Nella costituzione Gaudium et spes, si afferma: “La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine nel medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che lo avverta, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quelle che sono” (Gaudium et spes
GS 36).

Di fatto, si può rilevare che sempre sono esistiti ed esistono tuttora eminenti uomini di scienza, che nel contesto della loro umana esperienza scientifica hanno positivamente e beneficamente creduto in Dio. Un’indagine risalente a cinquant’anni fa, fatta con 398 tra i più illustri scienziati, rilevò che solo 16 si dichiararono non credenti, 15 agnostici e 367 credenti (cf. A. Eymieu, La part des croyants dans les progrès de la science, Perrin 1935, p. 274).

3. Ancor più interessante e proficuo è rendersi conto del perché molti scienziati di ieri e di oggi vedono non solo compossibile, ma felicemente integrabile la ricerca scientifica rigorosamente condotta col sincero e gioioso riconoscimento dell’esistenza di Dio.

Dalle considerazioni che accompagnano sovente come un diario spirituale il loro impegno scientifico, sarebbe facile vedere l’incrociarsi di due elementi: il primo è come la stessa ricerca nel grande e nel piccolo, portata avanti con estremo rigore, lasci sempre spazio a ulteriori domande in un processo senza fine, che svela nella realtà un’immensità, un’armonia, un finalismo non spiegabili in termini di causalità o mediante le sole risorse scientifiche. A ciò si aggiunge l’ineliminabile domanda di senso, di più alta razionalità, anzi di qualcosa o di qualcuno capace di soddisfare bisogni interiori, che lo stesso raffinato progresso scientifico, lungi dal sopprimere, acuisce.


4. A ben vedere, il passaggio all’affermazione religiosa non avviene per sé in forza del metodo scientifico sperimentale, ma in forza di principi filosofici elementari, quali quello di causalità, di finalità, di ragione sufficiente, che uno scienziato, come uomo, si trova ad esercitare nel quotidiano contatto con la vita e con la realtà che studia. Anzi, la condizione di sentinella del mondo moderno, che per prima intravede l’enorme complessità e insieme la meravigliosa armonia della realtà, fa dello scienziato un testimone privilegiato della plausibilità del dato religioso, un uomo capace di mostrare come l’ammissione della trascendenza, lungi dal nuocere all’autonomia e ai fini della ricerca, la stimoli invece a superarsi continuamente, in un’esperienza di autotrascendimento rivelativo dell’umano mistero.

Se poi si considera che, oggi, i dilatati orizzonti della ricerca, soprattutto in ciò che attiene le sorgenti stesse della vita, pongono inquietanti interrogativi circa il retto uso delle conquiste scientifiche, non ci si stupisce che sempre più frequente si manifesti negli scienziati la richiesta di sicuri criteri morali, capaci di sottrarre l’uomo a ogni arbitrio. E chi, se non Dio, potrà fondare un ordine morale, nel quale la dignità dell’uomo, di ogni uomo, sia stabilmente tutelata e promossa?

Certo, la religione cristiana, se non può considerare ragionevoli certe confessioni di ateismo o di agnosticismo in nome della scienza, è però altrettanto ferma nel non accogliere affermazioni su Dio che provengano da forme non rigorosamente attente ai processi razionali.

5. A questo punto sarebbe assai bello far ascoltare in qualche modo le ragioni per cui non pochi scienziati affermano positivamente l’esistenza di Dio e vedere da quale personale rapporto con Dio, con l’uomo e con i grandi problemi e valori supremi della vita essi stessi siano sostenuti. Come sovente il silenzio, la meditazione, l’immaginazione creativa, il sereno distacco dalle cose, il senso sociale della scoperta, la purezza di cuore siano potenti fattori che aprono loro un mondo di significati che non possono essere disattesi da chiunque proceda con eguale lealtà ed amore verso la verità.

Basti qui il riferimento a uno scienziato italiano, Enrico Medi, scomparso pochi anni or sono. Egli affermava in un suo intervento al Congresso catechistico internazionale di Roma nel 1971: “Quando dico a un giovane: guarda, là c’è una stella nuova, una galassia, una stella di neutroni, a 100 milioni di anni luce di lontananza. Eppure i protoni, gli elettroni, i neutroni, i mesoni che sono là sono identici a quelli che stanno in questo microfono . . . L’identità esclude la probabilità. Ciò che è identico non è probabile . . . Quindi c’è una causa, fuori dello spazio, fuori del tempo, padrona dell’essere, che all’essere ha dato di essere così. E questo è Dio . . .

L’essere, parlo scientificamente, che ha dato la causa alle cose di essere identiche a un miliardo di anni luce di distanza, esiste. E di particelle identiche nell’universo ne abbiamo 10 elevato alla 85ª potenza . . . Vogliamo allora accogliere il canto delle galassie? Se fossi Francesco d’Assisi, direi: “O galassie dei cieli immensi, laudate il mio Signore, perché è onnipotente e buono. O atomi, o protoni, o elettroni, o canti degli uccelli, o spirare delle foglie e dell’aria, nelle mani dell’uomo, come preghiera, cantate l’inno che ritorna a Dio!”” (Atti del II Congresso Catechistico Internazionale: Roma, 20-25 settembre 1971, Studium, Roma 1972, PP 449-450).

Ai gruppi di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese


* * *


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai gruppi di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini di lingua ungherese

Saluto con grande affetto i pellegrini di lingua ungherese.

Siate fervidi apostoli dell’unità dei cristiani nella vostra bella patria. Dal cuore do la mia benedizione apostolica a voi e a tutto il popolo ungherese.

A pellegrini polacchi


Ai gruppi italiani

Il mio saluto va ora a tutti i pellegrini e turisti provenienti dalle regioni d’Italia. Tra essi sono i gruppi folkloristici che partecipano al “Festival della Collina”, organizzato dall’Ente Provinciale per il Turismo di Latina. Oltre al gruppo italiano, proveniente dalla Sardegna, hanno aderito anche quelli del Canada, Grecia, Yugoslavia, Polonia e Spagna. A tutti vi auguro di essere portatori di serenità spirituale, oltre che di valori culturali e artistici.

Ai giovani

Mi rivolgo poi a voi, carissimi giovani. Sono molto lieto della vostra presenza e vi saluto tutti con grande affetto. Oggi, nel pieno dell’estate e delle vostre vacanze, desidero esortarvi ad approfittare del tempo libero dallo studio o da altre occupazioni per dedicarvi alla lettura di buoni libri, che aumentino e approfondiscano la vostra cultura letteraria e religiosa. Sia vostro impegno utilizzare saggiamente un periodo così bello e così prezioso dell’anno! Fate in modo di renderlo valido e fecondo per la vostra vita spirituale a contatto con i grandi artisti e scrittori che vi aiutino a pensare rettamente, a credere, a sperare, ad amare! Questo ho voluto dirvi, augurando insieme liete vacanze nel Signore!

Agli ammalati

Cari ammalati! Anche a voi porgo il mio saluto, particolarmente cordiale! Sensibile alle vostre sofferenze e partecipe delle vostre speranze, assicuro a tutti il costante ricordo nella preghiera, mentre vi esorto anche alla confidenza e alla pazienza. Raccomando pure alle vostre orazioni e al vostro spirito di immolazione tutte le necessità del mondo, specialmente la pace delle nazioni e il buon governo dei popoli: pregate con fervore, affinché si veda aumentare il senso morale, insegnato e voluto da Cristo, unico vero fondamento della concordia e del benessere. Vi accompagni sempre la mia benedizione.

Agli sposi novelli

Cari sposi novelli!

Con grande gioia vi saluto e vi ringrazio per la vostra presenza! Iniziando la vostra nuova vita avete voluto venire a pregare sulla tomba di san Pietro: il vostro gesto di fedeltà e di devozione vi sia propizio per sempre e vi mantenga nel fervore della fede e dell’amore cristiano. Vi auguro di cuore di essere dappertutto convinti testimoni di Cristo, specie nelle difficoltà, sicuri che il bene compiuto porta certamente i suoi frutti. La Madonna del Carmelo, che ieri abbiamo ricordato, protegga la vostra casa, la vostra vita, i vostri propositi!. In lei confidate sempre con amore filiale! Con grande affetto vi benedico!

Un accorato appello alla liberazione del Padre Rudy Romano, rapito la settimana scorsa nelle Filippine, del Gesuita Padre Teodoro Rebelo e delle due religiose portoghesi, Suor Laurinda Moreira Leão Dias e Maria Alice da Cruz Miranda, tutti e tre sequestrati in Mozambico, è rivolto dal Santo Padre al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro. Queste le parole pronunciate dal Santo Padre.


Notizie provenienti dal mondo missionario rattristano l’animo e invitano alla preghiera.

Giovedì scorso, in una frazione della città di Cebù, nelle Filippine, il padre Rudy Romano, religioso redentorista, è stato sequestrato da un gruppo di uomini armati. Ogni ricerca organizzata dalle competenti autorità non ha avuto sinora il risultato sperato.

Il giorno seguente, in Mozambico, nel distretto di Ulongwe, sono stati rapiti il padre Teodoro Rebelo della Compagnia di Gesù e due religiose dorotee, suor Laurinda Moreira Leão Dias e suor Maria Alice da Cruz Miranda, di nazionalità portoghese.

Desidero far giungere alle comunità religiose a cui appartengono i loro familiari il mio ricordo affettuoso in questo momento di prova e di intima sofferenza.

Vi invito poi alla preghiera con me perché il Signore Gesù, supremo pastore del gregge, muova i cuori dei responsabili di così gravi azioni a far sì che le due religiose e i due sacerdoti siano restituiti quanto prima al loro servizio pastorale.

“Il popolo libanese invoca di essere aiutato a liberarsi dalla catena di violenze, di vendette e di opposizioni tra bande armate”. “Tutti implorano che si ponga fine alla guerra e chiedono che gli altri cristiani e gli altri musulmani dei diversi Paesi del Mediterraneo e del mondo si sentano solidali e corresponsabili dell’esistenza e del futuro di tante persone”. È l’accorato appello che, giunto dal Libano tramite il Cardinale Roger Etchegaray appena rientrato dalla missione affidatagli dal Papa nel Paese, è riproposto da Giovanni Paolo II al termine dell’udienza generale. Parlando della missione compiuta dal Cardinale Presidente della Pontificia Commissione “Iustitia et Pax” e del Pontificio Consiglio “Cor Unum” in Libano il Santo Padre pronuncia le seguenti parole.

Da qualche giorno è ritornato a Roma il cardinale Roger Etechegaray, presidente della Pontificia commissione “Iustitia et Pax” e del Pontificio consiglio “Cor Unum”, al quale avevo affidato una missione speciale in Libano.

Egli è stato a Beirut e nel sud del Paese, dove ha visitato le popolazioni della cittadinanza di Jezzine e di numerosi villaggi della regione. Ha incontrato il patriarca maronita e il presidente della Repubblica, numerose personalità politiche e religiose, e, soprattutto, ha ascoltato e confortato tanta gente: uomini, donne e bambini, tanti bambini impauriti, appartenenti alle comunità cristiane e a quelle musulmane.

Ovunque si è recato, il cardinale ha potuto cogliere tra i cristiani e non cristiani un profondo sentimento che mi ha riferito con commozione: un vivo, appassionato desiderio di pace con la volontà di continuare a vivere insieme tra appartenenti alle diverse fedi religiose.

Egli ha raccolto le aspirazioni di tante famiglie che desiderano ritornare nel villaggi di origine, abbandonati a causa della guerra perdendo case, beni e terreni che da generazioni lavoravano in pace. Intere regioni, vicine al territorio di Jezzine, sono state sconvolte dalle lotte, là dove per tradizione cristiani e non cristiani vivevano insieme. Nei soli mesi di marzo e aprile scorsi ad est di Saida e nell’Iklim-Kharroub sono stati devastati più di 60 villaggi cristiani, oltre 2000 sono le case rase al suolo, 87 le chiese e i santuari profanati, bruciati o demoliti.

Tutti implorano che si ponga fine a una tale situazione, e chiedono che gli altri cristiani e gli altri musulmani dei diversi Paesi del Mediterraneo e del mondo si sentano solidali e corresponsabili dell’esistenza e del futuro di tante persone. Il popolo libanese invoca di essere aiutato a liberarsi dalla catena di violenze, di vendette e di opposizioni tra bande armate. Invoca la solidarietà dei popoli perché il Libano possa sopravvivere e dedicarsi alla propria ricostruzione.

Faccio mie queste invocazioni e queste speranze e vi invito a pregare con me: il Signore voglia illuminare il cuore di tutti coloro che possono offrire il loro sostegno e il loro contributo di pace per un Paese e per delle popolazioni così provati.



Catechesi 79-2005 26685