Catechesi 79-2005 21085

Mercoledì, 2 ottobre 1985

21085

1. “Dio è amore . . .”: queste parole, contenute in uno degli ultimi libri del Nuovo Testamento, la prima Lettera di San Giovanni (
1Jn 4,16), costituiscono come la definitiva chiave di volta della verità su Dio, la quale si fece strada mediante numerose parole e molti avvenimenti, fino a divenire piena certezza della fede con la venuta di Cristo, e soprattutto con la sua croce e la sua risurrezione. Sono parole nelle quali trova un’eco fedele l’affermazione di Cristo stesso: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Jn 3,16).

La fede della Chiesa culmina in questa verità suprema: Dio è amore! Ha rivelato se stesso in modo definitivo come amore nella croce e risurrezione di Cristo. “Noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi - continua l’apostolo Giovanni nella sua prima Lettera - Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Jn 4,16).

2. La verità che Dio è amore costituisce come l’apice di tutto ciò che è stato rivelato “per mezzo del Figlio . . .” come dice la Lettera agli Ebrei (He 1,1). Tale verità illumina tutto il contenuto della Rivelazione divina, e in particolare la realtà rivelata della creazione e quella dell’alleanza. Se la creazione manifesta l’onnipotenza del Dio-Creatore, l’esercizio dell’onnipotenza si spiega definitivamente mediante l’amore. Dio ha creato perché poteva, perché è onnipotente; ma la sua onnipotenza era guidata dalla sapienza e mossa dall’amore. Questa è l’opera della creazione. E l’opera della redenzione ha un’eloquenza ancora più possente e ci offre una dimostrazione ancora più radicale: di fronte al male, di fronte al peccato delle creature rimane l’amore come espressione dell’onnipotenza. Solo l’amore onnipotente sa trarre il bene dal male e la vita nuova dal peccato e dalla morte.

3. L’amore come potenza, che dà la vita e che anima, è presente in tutta la rivelazione. Il Dio vivo, il Dio che dà la vita a tutti i viventi, è colui di cui parlano i salmi: “Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano e si saziano dei beni. Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro “polvere” (Ps 104,27-29). L’immagine è tratta dal seno stesso della creazione. E se questo quadro ha dei tratti antropomorfici (come molti testi della Sacra Scrittura) - quest’antropomorfismo possiede una sua motivazione biblica: dato che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, esiste una ragione per parlare di Dio “a immagine e somiglianza” dell’uomo. D’altra parte, questo antropomorfismo non offusca la trascendenza di Dio: Dio non viene ridotto a dimensioni d’uomo. Vengono conservate tutte le regole dell’analogia e del linguaggio analogico, nonché quelle dell’analogia della fede.

4. Nell’alleanza, Dio si fa conoscere agli uomini, prima di tutto dal popolo da lui eletto. Seguendo una progressività pedagogica, il Dio dell’alleanza manifesta le proprietà del suo essere, quelle che si sogliono chiamare i suoi attributi. Essi sono innanzitutto attributi di ordine morale, nei quali si svela gradualmente il Dio-Amore. Se infatti Dio si rivela - soprattutto nell’alleanza del Sinai - come legislatore, fonte suprema della legge, questa autorità legislativa trova la sua piena espressione e conferma negli attributi dell’agire divino che la Sacra Scrittura ci fa conoscere.

Li manifestano i libri ispirati dell’Antico Testamento. Così per esempio leggiamo nel libro della Sapienza: “La tua forza infatti è principio di giustizia; il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti . . . Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza; ci governi con molta indulgenza, perché il potere lo eserciti quando vuoi” (Sg 12,16 Sg 12,18).

E ancora: “La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue misericordie?” (Si 18,4).

Gli scritti dell’Antico Testamento mettono in risalto la giustizia di Dio, ma anche la sua clemenza e misericordia.

Sottolineano specialmente la fedeltà di Dio nell’alleanza, che è un aspetto della sua “immutabilità” (cf. Ps 111,7-9 Is 65,1-2 Is 65,16-19).

Se parlano della collera di Dio, questa è sempre la giusta collera di un Dio che, inoltre, è “lento all’ira e ricco di grazia” (Ps 145,8). Se, infine, sempre nella menzionata concezione antropomorfica, essi mettono in rilievo la “gelosia” del Dio dell’alleanza verso il suo popolo, lo presentano sempre come un attributo dell’amore: “Lo zelo del Signore degli eserciti” (Is 9,6).

Abbiamo già detto precedentemente che gli attributi di Dio non si distinguono dalla sua essenza; perciò sarebbe più esatto parlare non tanto del Dio giusto, fedele, clemente, quanto del Dio che è giustizia, fedeltà, clemenza, misericordia - così come San Giovanni ha scritto che “Dio è amore” (1Jn 4,16).

5. L’Antico Testamento prepara alla definitiva rivelazione di Dio come Amore con abbondanza di testi ispirati. In uno di essi leggiamo: “Hai compassione di tutti, perché tutto puoi . . . Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, che tu non vuoi?

“Tu risparmi tutte le cose perché tutte sono tue, Signore amante della vita” (Sg 11,23-26).

Non si può forse dire che in queste parole del libro della Sapienza, attraverso l’“essere” creatore di Dio, traspare ormai chiaramente Dio-Amore (Amor-Caritas)?

Ma vediamo altri testi, come quello del libro di Giona: “So che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato” (Gn 4,2).

O anche il Salmo 144: “Paziente e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Ps 145,8-9).

Più ci addentriamo nella lettura degli scritti dei profeti maggiori, più ci si svela il volto di Dio-Amore.

Ecco come parla il Signore per bocca di Geremia a Israele: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conserverò ancora pietà” (in ebraico “hesed”) (Jr 31,3).

Ed ecco le parole di Isaia: “Sion ha detto: il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non mi dimenticherò mai” (Is 49,14-15).

Quanto è significativo nelle parole di Dio questo riferimento all’amore materno: la misericordia di Dio oltre che attraverso la paternità si fa conoscere anche attraverso la tenerezza ineguagliabile della maternità. Ancora Isaia: “Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia” (Is 54,10).

6. Questa meravigliosa preparazione svolta da Dio nella storia dell’antica alleanza, specialmente per mezzo dei profeti, attendeva il compimento definitivo. E la parola definitiva del Dio-Amore è venuta col Cristo. Essa è stata non solo pronunciata, ma vissuta nel mistero pasquale della croce e della risurrezione. Lo annuncia l’apostolo: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati” (Ep 2,4-5).

Davvero possiamo dare pienezza alla nostra professione di fede in “Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra” con la stupenda definizione di San Giovanni: “Dio è amore” (1Jn 4,16).

Ai pellegrini di espressione inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

A gruppi di pellegrini polacchi

Ai pellegrini di Nagasaki, giunti dalla città dell’Immacolata

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini di “Seibo no Kishi” (Cavaliere dell’Immacolata), voi siete sulle orme del Signore Gesù, della Madonna e di san Francesco.

Ora io vi auguro che i frutti di questo vostro pellegrinaggio contribuiscano non soltanto alla vostra santificazione, ma anche alla santificazione dei vostri connazionali. Con questo augurio vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo.

A gruppi italiani

Rivolgo ora un saluto particolarmente affettuoso ai missionari che stanno frequentando a Roma un Corso di preparazione per la loro prossima attività di evangelizzazione in Africa e in Asia; in pari tempo, saluto anche le Suore Missionarie che studiano teologia presso la Comunità del “Foyer Paolo VI” di via Urbano VII, in Roma.

Carissimi, vi esprimo il mio vivo compiacimento per il vostro zelo in favore delle missioni. Fate tesoro di questo periodo di preparazione per rendervi sempre più idonei e disponibili nel servizio di una causa così nobile e così meritoria quale è quella della dilatazione del regno di Dio sulla terra.

Con questa vostra scelta voi dimostrate di aver capito che vale la pena di lasciare tutto per consacrare tutte le proprie energie per l’ideale missionario che primeggia su ogni altro, perché riguarda il destino superiore e la salvezza eterna di tanti uomini e donne, a cui ancora non arriva la verità di Cristo che illumina e salva.

Vi sia di sostegno in questo slancio apostolico la mia benedizione apostolica, e vi accompagni il mio continuo ricordo nella preghiera per le vostre presenti e future fatiche.

Ai giovani

Mi rivolgo ora a tutti i ragazzi presenti a questa udienza.

Carissimi, da pochi giorni avete iniziato a frequentare la scuola. L’anno scolastico è un grande dono per voi, vi offre la possibilità di crescere in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Oggi la Chiesa celebra la festa degli Angeli custodi, ai quali il Signore ha affidato ciascuno di noi perché ci siano di guida. Vi esorto ad essere attenti nell’ascoltare la loro voce e pronti nel seguire i loro suggerimenti. Affido al vostro entusiasmo il compito di saper trasformare le fatiche dello studio in giornate di gioiosa cordialità. In tal modo l’anno scolastico ci darà giovani impegnati al servizio del bene. Per questo vi benedico.

Agli ammalati

Ora saluto anche voi, carissimi fratelli ammalati. La vostra presenza, qui vicino alla tomba di Pietro, apostolo e martire, manifesta la vostra fede, la vostra speranza e il vostro spirito di sacrificio. La sofferenza, se è vissuta alla luce dell’insegnamento e dell’esempio di Gesù Cristo, si trasforma in prezioso strumento di santificazione personale e sociale.

La malattia e la sofferenza, segno dei nostri limiti umani, ci portano a riflettere sui valori della nostra esistenza e il modo di vivere di un malato diventa così una scuola che educa ai valori umani e cristiani.

La preghiera di ogni giorno vi sia di sostegno e di conforto.

Vi benedico di vero cuore.

Agli sposi novelli

Saluto infine gli sposi novelli.

Carissimi, con il sacramento del matrimonio avete reso noto l’impegno di realizzare in coppia la missione di amore e di vita a cui il Signore vi ha chiamati. La Grazia sacramentale ricevuta, l’assidua preghiera e la frequenza ai sacramenti rendono visibile il vostro impegno. Crescete nella fede per diventare capaci di testimoniarla in ogni ambiente e situazione. La società moderna ha bisogno di “vedere come si vive”, più che sentirsi dire come si dovrebbe vivere.

Vi auguro ogni bene e vi benedico di cuore.


Mercoledì, 9 ottobre 1985

9105

1. La Chiesa professa la propria fede nel Dio unico, il quale è insieme Trinità santissima e ineffabile di persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. E la Chiesa vive di questa verità, contenuta nei più antichi simboli di fede, e ricordata ai nostri tempi da Paolo VI, in occasione del 1900° anniversario del martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo (1968), nel simbolo da lui stesso presentato e universalmente conosciuto come “Credo del popolo di Dio”.

Solo “colui, che ha voluto darsi a conoscere a noi e che “abitando una luce inaccessibile” (
1Tm 6,16) è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata . . . può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita noi siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell’oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua . . .” (Insegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 302-303).

2. Dio, che per noi è incomprensibile, ha voluto rivelare se stesso, non solo come unico creatore e Padre onnipotente, ma anche come Padre, Figlio e Spirito Santo. In questa rivelazione la verità su Dio, che è amore, si svela nella sua fonte essenziale: Dio è amore nella vita interiore stessa di un’unica divinità. Questo amore si rivela come un’ineffabile comunione di persone.

3. Questo mistero - il più profondo: il mistero della vita intima di Dio stesso - ce l’ha rivelato Gesù Cristo: “Colui che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Jn 1,18). Secondo il Vangelo di San Matteo le ultime parole, con cui Gesù Cristo conclude la sua missione terrena dopo la risurrezione, furono rivolte agli apostoli: “Andate . . . e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Queste parole inauguravano la missione della Chiesa, indicandole l’impegno fondamentale e costitutivo. Il primo compito della Chiesa è di insegnare e battezzare - e battezzare vuol dire “immergere” (perciò si battezza con acqua) - nella vita trinitaria di Dio.

Gesù Cristo racchiuse in queste ultime parole tutto ciò che aveva insegnato precedentemente su Dio: sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito Santo. Aveva infatti annunziato sin dall’inizio la verità sul Dio unico, in conformità con la tradizione di Israele. Alla domanda: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?” Gesù aveva risposto: “Il primo è: ascolta Israele, il signore Dio nostro è l’unico Signore” (Mc 12,29). E al tempo stesso Gesù si era costantemente rivolto a Dio come a suo Padre, fino ad asserire: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). Allo stesso modo aveva rivelato anche lo “Spirito di verità che procede dal Padre” e che - aveva assicurato - “io vi manderò dal Padre” (Jn 15,26).

4. Le parole sul Battesimo “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, affidate da Gesù agli apostoli a conclusione della sua missione terrena, hanno un significato particolare, poiché hanno consolidato la verità sulla santissima Trinità, ponendola alla base della vita sacramentale della Chiesa. La vita di fede di tutti i cristiani ha inizio nel Battesimo, con l’immersione nel mistero del Dio vivo. Lo provano la lettere apostoliche, prima di tutto quelle di Paolo. Tra le formule trinitarie che esse contengono, la più conosciuta e costantemente usata nella liturgia è quella presente nella seconda Lettera ai Corinzi: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio (Padre) e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Co 13,13). Altre ne troviamo nella prima Lettera ai Corinzi; in quella agli Efesini e anche nella Prima lettera di San Pietro, all’inizio del primo capitolo (1P 1,1-2).

Di riflesso tutto lo svolgimento della vita di preghiera della Chiesa ha assunto una consapevolezza e un respiro trinitario: nello Spirito, per Cristo, al Padre.

5. Così la fede nel Dio uno e trino è entrata sin dall’inizio nella tradizione della vita della Chiesa e dei cristiani. Di conseguenza tutta la liturgia è stata - ed è - per sua essenza trinitaria, in quanto espressione della divina economia. Bisogna sottolineare che alla comprensione di questo supremo mistero della santissima Trinità ha contribuito la fede nella redenzione, la fede cioè nell’opera salvifica di Cristo. Essa manifesta la missione del Figlio e dello Spirito Santo che in seno alla Trinità eterna procedono “dal Padre”, rivelando l’“economia trinitaria” presente nella redenzione e nella santificazione, La santa Trinità viene annunciata prima di tutto mediante la soteriologia, cioè mediante la conoscenza dell’“economia della salvezza”, che Cristo annunzia e realizza nella sua missione messianica. Da questa conoscenza parte la via alla conoscenza della Trinità “immanente”, del mistero della vita intima di Dio.

6. In questo senso il Nuovo Testamento contiene la pienezza della rivelazione trinitaria. Dio, rivelandosi in Gesù Cristo, da una parte svela chi è Dio per l’uomo e, dall’altra, scopre chi è Dio in se stesso, cioè nella sua vita intima. La verità “Dio è amore” (1Jn 4,16), espressa nella prima Lettera di Giovanni, possiede qui il valore di chiave di volta. Se per mezzo di essa si svela chi è Dio per l’uomo, allora si svela anche (per quanto è possibile alla mente umana capirlo e alle nostre parole esprimerlo) chi è lui in se stesso. Egli è unità, cioè comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

7. L’Antico Testamento non ha rivelato questa verità in modo esplicito, ma l’ha preparata, mostrando la paternità di Dio nell’alleanza col popolo, manifestando la sua azione nel mondo con la sapienza, la parola e lo Spirito (cf. per esempio Sg 7,22-30 Pr 8,22-30 Ps 33,4-6 Ps 147,15 Is 55,11 Sg 12,1 Is 11,2 Si 48,12).

L’Antico Testamento ha principalmente consolidato innanzitutto Israele e poi fuori di esso la verità sul Dio unico, il cardine della religione monoteista. Si deve dunque concludere che il Nuovo Testamento ha portato la pienezza della rivelazione sulla santa Trinità e che la verità trinitaria è stata fin dall’inizio alla radice della viva fede della comunità cristiana, per mezzo del Battesimo e della liturgia. Di pari passo andavano le regole della fede, con le quali incontriamo abbondantemente sia nelle lettere apostoliche, che nella testimonianza del kerigma, della catechesi e della preghiera della Chiesa.

8. Un argomento a parte è la formazione del dogma trinitario nel contesto della difesa contro le eresie dei primi secoli. La verità su Dio uno e trino è il più profondo mistero della fede e anche il più difficile da comprendere: si presentava dunque la possibilità di interpretazioni errate, specialmente quando il cristianesimo venne a contatto con la cultura e la filosofia greche. Si trattava di “inscrivere” correttamente il mistero del Dio trino e uno nella terminologia dell’“essere”, cioè di esprimere in forma precisa nel linguaggio filosofico dell’epoca i concetti che definivano inequivocabilmente tanto l’unità quanto la Trinità del Dio della nostra rivelazione.

Ciò avvenne prima di tutto nei due grandi Concili ecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). Il frutto del magistero di questi Concili è il “Credo” niceno-costantinopolitano, con il quale, sin da quei tempi, la Chiesa esprime la sua fede nel Dio uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo. Ricordando l’operato dei Concili bisogna nominare alcuni teologi particolarmente benemeriti, specialmente tra i Padri della Chiesa. Per il periodo pre-niceno citiamo Tertulliano, Cipriano, Origene, Ireneo; per quello niceno Atanasio ed Efrem Siro; per quello precedente il Concilio di Costantinopoli ricordiamo Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno, Ilario, fino ad Ambrogio, Agostino, Leone Magno.

9. Dal V secolo proviene il cosiddetto simbolo atanasiano, che inizia con la parola “Quicumque”, e che costituisce una specie di commento al simbolo niceno-costantinopolitano.

Il “Credo del popolo di Dio” di Paolo VI conferma la fede della Chiesa primitiva quando proclama: “I mutui vincoli, che costituiscono eternamente le tre persone, le quali sono ciascuna l’unico e identico essere divino, sono la beata vita intima di Dio tre volte santo, infinitamente al di là di tutto ciò che noi possiamo concepire secondo l’umana misura (cf. Denz.-S. DS 804)” (Insegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 303); davvero ineffabile e santissima Trinità unico Dio!

Ai fedeli di lingua francese

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Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi membri del “Rosary Center”, mi è stato detto che voi recitate ogni giorno il santo rosario, secondo il desiderio della Madonna, per la pace del mondo e anche per me.

Sono molto lieto di questa vostra devozione.

Vi incoraggio a continuare la recita del rosario e, invocando su di voi con tutto l’affetto la protezione della Madonna, vi imparto la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini spagnoli

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Ad alcuni pellegrini ungheresi

È qui con noi oggi un gruppo di pellegrini ungheresi della diocesi di Eger. Ieri hanno partecipato alla santa Messa celebrata nella cappella degli Ungheresi, che io stesso ho benedetto proprio cinque anni fa. Ora vorrei rivolgere loro un breve saluto.

Saluto con affetto i pellegrini ungheresi. Vegli su di noi la Magna Domina Hungarorum. In ottobre recitate ogni giorno il rosario. La mia benedizione apostolica a tutti i fedeli ungheresi!

Ai fedeli polacchi

A diversi gruppi italiani

Un particolare saluto va ad un gruppo di Vescovi, amici del Movimento dei Focolari, che al Centro Mariapoli di Rocca di Papa attendono a un convegno spirituale.

Venerati fratelli, sono veramente lieto di accogliervi e dirvi il mio compiacimento per questo incontro di preghiera, che vi vede riuniti nello Spirito Santo per trovare luce e forza nella guida delle vostre Chiese particolari.

La carità di Cristo vi sostenga e vi conforti, vi doni efficacia nella testimonianza della carità, e la Vergine santissima vi assista sempre.

La mia speciale benedizione su di voi, quale segno di copiose grazie celesti e di singolare benevolenza.
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Rivolgo ancora un saluto cordiale e beneaugurante alle Suore di santa Dorotea della santa Paola Frassinetti, che celebrano il loro XVI capitolo generale.

Le grandi linee della vostra vocazione religiosa: educare, evangelizzare, animare le comunità giovanili, vi sospingano ad essere sempre più testimoni della materna opera della Chiesa serene annunciatrici della fedele e gioiosa consacrazione al’impegno dei singoli evangelici.

Con la mia affettuosa benedizione.

Ai giovani

Ed ora un pensiero affettuoso a voi, cari giovani. Prenderò occasione dalla festa della Vergine santissima del Rosario, celebrata ieri l’altro, ma che si protende in qualche modo a tutto il mese di ottobre. Il santo rosario ci introduce nel cuore stesso della fede; ci fa riflettere sul piano divino della salvezza realizzato dalla vita; ci fa riflettere sul piano divino della salvezza realizzato dalla vita, passione e risurrezione di Cristo; ci presenta Maria strettamente associata al mistero della redenzione; ci immerge in esso, nella lode e nell’implorazione. Con il pensiero fisso ad esso noi salutiamo più volte, gioiosamente, la santa Madre di Dio, ne dichiariamo benedetto il Figlio, il frutto del suo seno, ne invochiamo la protezione materna in vita e in morte. Cari giovani, stimate il rosario, fatene un canto elevato alla Vergine Madre, e vi sia caro recitarlo.

Agli ammalati

Il santo rosario, con le sue alterne strofe di gioia e di dolore, oltre che di speranza nella risurrezione, è la vostra consolazione, cari ammalati che siete presenti, o che siete rimasti nelle vostre case.

Esso dimostra, attraverso le vicende del Figlio di Dio e della Vergine, quanto sia costante nella vita umana l’alternarsi del bene e del male, del sereno e della tempesta, dei giorni lieti e tristi. Il dolore pesa sulla natura umana, creata per la gioia; ma è anche elemento rigeneratore e santificante, come bene vediamo nella vita di Cristo e della Madre sua.

Cari malati, se saprete levare gli occhi al cielo e accettare da Dio la vostra posizione di sofferenza redentrice, avrete parte anche voi al canto della vita celeste che mai tramonta.

A voi, ammalati, e a voi, membri dell’Associazione Nazionale Italiana Mutilati e Invalidi Civili, giunga il mio cordiale saluto.

Agli sposi novelli

Cari sposi novelli, il santo rosario recitato in famiglia è lodevole abitudine e dolce espressione della fede religiosa. La casa diventa così il santuario domestico di cui i genitori sono in qualche modo sacerdoti.

Che la famiglia di oggi non dimentichi mai questo modo così singolare di onorare Dio e la Vergine sua Madre. Non lo dimentichino le vostre nuove famiglie, di cui voi siete il promettente inizio.

Vi esorto perciò caldamente a mantenervi fedeli o a riprendere questa abitudine.

Poche ore prima delle confortanti notizie sulla drammatica vicenda dell’“Achille Lauro”, Giovanni Paolo II nel corso dell’udienza generale invita gli autori dell’atto terroristico a porre fine al loro gesto. “Non è col ricorso alla violenza che si può trovare una giusta soluzione ai problemi. La violenza genera solo violenza”, ammonisce il Papa. “II rispetto della persona umana è un dovere sacro e rappresenta la vera via che porta alla pace”.
Questo l’appello del Santo Padre.

Seguo con viva apprensione le notizie sulla nave “Achille Lauro” sequestrata l’altro ieri al largo delle coste di Alessandria d’Egitto. Non posso non esprimere la più ferma, accorata riprovazione per questo grave gesto di violenza contro persone innocenti e inermi. È un fatto che suscita sgomento e condanna in tutti gli uomini di retto sentire: non è col ricorso alla violenza che si può trovare una giusta soluzione ai problemi. La violenza genera solo violenza.

Sono vicino col cuore e con la preghiera a tutti coloro che sono coinvolti in questo doloroso avvenimento. Il mio pensiero va all’equipaggio, a tutti i lavoratori marittimi che operano nella nave, e a ciascuno dei numerosi passeggeri trattenuti in ostaggio.

Desidero assicurare le loro famiglie in ansia che trepido e prego per loro.

Preghiamo perché il Signore muova i responsabili a desistere dai loro propositi: il rispetto della persona umana è un dovere sacro e rappresenta la vera via che porta alla pace. Vorrei che gli autori di questa sconsiderata vicenda lo comprendessero, ponendo fine al loro gesto.

Appello per il Sudafrica


Il Sud Africa si raccoglie in preghiera per impetrare dal Signore il dono della pace e della riconciliazione. Provata da anni da tensioni civili e sociali, tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a riflettere sul presente e sul futuro del Paese, sugli atti di violenza e sui lutti che hanno seminato morte e mietuto lacrime. Il Papa si unisce alla corale preghiera dei cattolici e dei cristiani del Paese sudafricano augurando il raggiungimento di una pace vera, fondata sulla giustizia e sull’amore reciproco.
Questo l’invito rivolto dal Santo Padre durante l’udienza generale.

Si celebra oggi in Sud Africa una Giornata di preghiera per la pace e la riconciliazione in quella nazione così provata da tensioni civili e sociali.

Vi esorto ad unire anche la vostra preghiera affinché si possa presto giungere alla vera pace, fondata sulla giustizia e sull’amore reciproco, mediante una sincera ricerca di soluzioni giuste ai problemi che travagliano quel caro Paese.




Mercoledì, 16 ottobre 1985

16105

1. “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” (
Ps 2,7).

Nell’intento di far comprendere la piena verità della paternità di Dio che è stata rivelata in Gesù Cristo, l’autore della Lettera agli Ebrei si rifà alla testimonianza dell’Antico Testamento (cf. He 1,4-14), citando, tra l’altro, l’espressione appena letta desunta dal salmo 2, come pure una simile frase del libro di Samuele: “Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (2S 7,14).

Sono parole profetiche; Dio parla a Davide del suo discendente. Mentre, però, nel contesto dell’Antico Testamento queste parole sembravano riferirsi solo alla figliolanza adottiva, per analogia con la paternità e la figliolanza umana, nel Nuovo Testamento si svela il loro significato autentico e definitivo: esse parlano del Figlio che è della stessa sostanza del Padre, del Figlio veramente generato dal Padre. E perciò parlano anche della reale paternità di Dio, di una paternità a cui è propria la generazione del Figlio consostanziale al Padre. Esse parlano di Dio, che è Padre nel senso più alto e più autentico della parola. Parlano di Dio, che eternamente genera il Verbo eterno, il Figlio consostanziale al Padre. In ordine a lui Dio è Padre nell’ineffabile mistero della sua divinità.

“Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”.

L’avverbio “oggi” parla dell’eternità. È l’“oggi” della vita intima di Dio, l’“oggi” dell’eternità, l’“oggi” della santissima e ineffabile Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, che è amore eterno ed eternamente consostanziale al Padre e al Figlio.

2. Nell’Antico Testamento il mistero della paternità divina intratrinitaria non era ancora esplicitamente rivelato. L’intero contesto dell’antica alleanza era ricco invece di accenni alla verità della paternità di Dio, presa in senso morale e analogico. Così Dio si rivela come Padre del suo popolo, Israele, quando comanda a Mosè di chiedere la sua liberazione dall’Egitto: “Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Io ti avevo detto: lascia partire mio figlio . . .” (Ex 4,22-23).

Questa, basandosi sull’alleanza, è una paternità di elezione, che si radica nel mistero della creazione. Dice Isaia: “Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64,7).

Questa paternità non riguarda solo il popolo eletto, ma raggiunge ogni uomo e supera il legame esistente con i genitori terreni. Ecco alcuni testi: “Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto” (Ps 27,10). “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono” (Ps 103,13). “Il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto” (Pr 3,12). Nei testi appena citati è chiaro il carattere analogico della paternità di Dio-Signore, al quale viene elevata la preghiera: “Signore, padre e padrone della mia vita, non abbandonarmi al loro volere, non lasciarmi cadere a causa loro . . . Signore, padre e Dio della mia vita, non mettermi in balia di sguardi sfrontati” (Si 23,1-4). Nella stessa luce è detto ancora: “Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà e lo libererà dalle mani dei suoi avversari” (Sg 2,18).

3. La paternità di Dio, nei riguardi sia d’Israele sia dei singoli uomini, si manifesta nell’amore misericordioso. Leggiamo, per esempio, in Geremia: “Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni . . . perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito” (Jr 31,9).

Sono numerosi i passi dell’Antico Testamento che presentano l’amore misericordioso del Dio dell’alleanza. Eccone alcuni.

“Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, / non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento . . . / Tu risparmi tutte le cose, / perché tutte sono tue, Signore amante della vita” (Sg 11,23-26).

“Ti ho amato di amore eterno, / per questo ti conservo ancora pietà” (Jr 31,3).

In Isaia incontriamo commoventi testimonianze di cura e di affetto: “Sion ha detto: “Il Signore mi ha abbandonato, / il Signore mi ha dimenticato”. / Si dimentica forse una donna del suo bambino . . .? / Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, / io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,14-15 cf. anche Is 54,10).

È significativo che nei brani del profeta Isaia la paternità di Dio si arricchisca di connotazioni che si ispirano alla maternità (cf. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, nota 52).

4. Nella pienezza dei tempi messianici Gesù annunzia molte volte la paternità di Dio nei riguardi degli uomini riallacciandosi alle numerose espressioni contenute nell’Antico Testamento. Così si esprime a proposito della provvidenza divina verso le creature, specialmente verso l’uomo: “. . . il Padre vostro celeste li nutre . . .” (Mt 6,26 cf. Lc 12,24), “il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno” (Mt 6,32 cf. Lc 12,30). Gesù cerca di far comprendere la misericordia divina presentando come proprio di Dio il comportamento accogliente del padre del figlio prodigo (cf. Lc 15,11-32); ed esorta coloro che ascoltano la sua parola: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6,36).

Per terminare, possiamo dire che, per Gesù, Dio non è solamente “Il Padre d’Israele, il Padre degli uomini”, ma “il Padre mio”.

Di questo parleremo nella prossima catechesi.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli spagnoli

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni pellegrini ungheresi

È presente nell'odierna udienza generale un gruppo di pellegrini ungheresi proveniente dalla località di Tatabánya, diocesi di Gyor.

Saluto con affetto i pellegrini ungheresi.

La settimana scorsa era la festa della Vergine Maria, patrona dell’Ungheria. Siate sempre fedeli alla dottrina del suo Figlio, Gesù Cristo.

La mia benedizione apostolica a voi e a tutti gli ungheresi in tutto il mondo

Ai giovani

Rivolgo ora un affettuoso saluto a tutti i ragazzi e i giovani qui presenti, tra cui desidero menzionare i 25 studenti che si sono distinti nella scuola per impegno e profitto e sono venuti a Roma da ogni parte d’Italia per ricevere gli attestati di “Alfieri del lavoro”.

Carissimi, il mio auguro è che Gesù sia sempre la luce delle vostre menti e la fiamma dei vostri cuori. Siete infatti i prediletti del divin Maestro. E voi dovete rispondere a questa predilezione. Perciò vi esprimo il fervido voto che il rapporto di amicizia con Gesù sia fonte inestinguibile di totale dedizione alla Chiesa e di generosità per i fratelli, E vi incoraggio a seguire sempre, senza tentennamenti, gli insegnamenti del Vangelo nel fermo ripudio di ogni compromesso con le seduzioni del mondo.

Gesù sia sempre la vostra guida e i vostri comportamenti ne siano la fedele testimonianza.

Con la mia benedizione apostolica.

Agli ammalati

Voglio ora rinnovare ai diletti infermi, presenti a questa udienza, l’assicurazione del mio profondo affetto. Carissimi! Agli occhi di tutti i credenti voi assumete l’aspetto di Cristo sofferente, mentre nei vostri occhi brilla la luce di lui risorto. Se voi nella Chiesa potete definirvi i “poveri della salute”, per cui avete bisogno dell’aiuto dei fratelli in buone condizioni fisiche, voi largamente li remunerate richiamando la loro attenzione in che è essenziale per il regno di Dio, vale a dire la speranza e l’amore. Il Signore aumenti in voi questa speranza e vi aiuti a comprendere che, con la vostra sofferenza, partecipate al bene delle anime.

Vi benedico di cuore, ed estendo la mia benedizione ai vostri cari e a quanti vi sono di sollievo nel vostro dolore.

Agli sposi novelli

Anche a voi, sposi novelli, il mio augurio e il mio saluto. Desiderando questo incontro quale coronamento della vostra letizia nuziale, voi rendete testimonianza alla bellezza, alla grandezza e alla santità del vincolo matrimoniale, in tempo in cui occorrono per esso maggiore attenzione ed eccezionale sensibilità per la stabilità della famiglia umana.

Nel ringraziarvi di cuore per la vostra visita, faccio voti che la vostra vita coniugale si ispiri sempre agli insegnamenti del Vangelo.

A voi e ai vostri familiari di cuore imparto la mia benedizione apostolica.



Catechesi 79-2005 21085