Catechesi 79-2005 10688

Mercoledì, 1° giugno 1988

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1. “Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio . . .” (
He 1,1 s). Con queste parole, ben conosciute dai fedeli grazie alla liturgia natalizia, l’autore della lettera agli Ebrei parla della missione di Gesù Cristo, presentandola sullo sfondo della storia dell’antica alleanza. Vi è, da un lato, una continuità tra la missione dei profeti e la missione di Cristo; dall’altro lato però salta subito agli occhi una chiara differenza. Gesù non è soltanto l’ultimo, oppure il più grande tra i profeti: il profeta escatologico, com’era da alcuni chiamato e atteso. Egli si distingue da tutti gli antichi profeti in modo essenziale e supera infinitamente il livello della loro personalità e della loro missione. Egli è il Figlio del Padre, il Verbo-Figlio consostanziale al Padre.

2. Questa è la verità chiave per comprendere la missione di Cristo. Se egli è stato mandato per annunziare la buona novella (il Vangelo) ai poveri, se insieme con lui “è venuto a noi” il Regno di Dio, entrando in modo definitivo nella storia dell’uomo, se Cristo è colui che rende testimonianza alla verità attinta alla sua stessa fonte divina, come abbiamo visto nelle precedenti catechesi, ora possiamo ricavare dal testo della lettera agli Ebrei, appena riportato, la verità che unifica tutti gli aspetti della missione di Cristo: Gesù rivela Dio nel modo più autentico, perché basato sull’unica fonte assolutamente sicura e indubitabile: l’essenza stessa di Dio. La testimonianza di Cristo ha dunque il valore della verità assoluta.

3. Nel Vangelo di Giovanni troviamo la stessa affermazione della lettera agli Ebrei, espressa in modo più conciso. Leggiamo infatti alla fine del prologo: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Jn 1,18).

In questo consiste l’essenziale differenza tra la rivelazione di Dio che si trova nei profeti e in tutto l’Antico Testamento, e quella portata da Cristo che dice di se stesso: “Ora qui c’è più di Giona” (Mt 12,41). Qui a parlare di Dio è Dio stesso fattosi uomo: “Il Verbo che si fece carne” (cf. Jn 1,14). Quel Verbo che “è nel seno del Padre” (cf. Jn 1,18), diventa “la luce vera” (cf. Jn 1,9), “la luce del mondo” (cf. Jn 8,12). Lui stesso dice di sé: “Io sono la via, la verità e la vita” (cf. Jn 14,6).

4. Cristo conosce Dio come il Figlio che conosce il Padre e nello stesso tempo è conosciuto da lui: “Come il Padre conosce me (“ginoskei”) e io conosco il Padre . . .”, leggiamo nel Vangelo di Giovanni (cf. Jn 10,15), e quasi identicamente nei sinottici: “Nessuno conosce (“epiginoskei”) il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27 cf. Lc 10,22).

Dunque il Cristo, il Figlio che conosce il Padre, rivela il Padre. E nello stesso tempo il Figlio viene rivelato dal Padre. Gesù stesso, dopo la confessione di Cesarea di Filippo, lo fa notare a Pietro, che lo riconosce come “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato - gli dice - ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17).

5. Se l’essenziale missione di Cristo è di rivelare il Padre, che è il “Dio nostro” (cf. Jn 20,17), nello stesso tempo egli stesso viene rivelato dal Padre come Figlio. Questo Figlio essendo “una cosa sola con il Padre” (Jn 10,30), può dunque dire: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Jn 14,9). In Cristo Dio è diventato “visibile”: in Cristo si attua la “visibilità” di Dio. Lo ha detto concisamente sant’Ireneo: “La realtà invisibile del Figlio era il Padre, e la realtà visibile del Padre era il Figlio” (S. Irenaei “Adv. haer.”, IV, 6, 6).

Dunque in Gesù Cristo si realizza in tutta la pienezza l’autorivelazione di Dio. Al momento opportuno verrà poi rivelato lo Spirito che procede dal Padre (Jn 15,26), e che il Padre manderà nel nome del Figlio (cf. Jn 14,26).

6. Nella luce di questi misteri della Trinità e dell’incarnazione, acquista un adeguato significato la beatitudine proclamata da Gesù per i suoi discepoli: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l’udirono” (Lc 10,23-24).

Quasi una viva eco di queste parole del maestro sembra risonare nella prima lettera di Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostri mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna . . .), quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Jn 1,1-3). Nel prologo del suo Vangelo lo stesso Apostolo scrive, “. . . noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Jn 1,14).

7. In riferimento a questa verità fondamentale della nostra fede, il Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla divina rivelazione dice: “La profonda verità, poi, su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione” (Dei Verbum DV 2). Qui abbiamo la piena dimensione di Cristo, rivelazione di Dio, perché questa rivelazione di Dio è, nello stesso tempo, la rivelazione dell’economica salvifica di Dio nei riguardi dell’uomo e del mondo. In essa, come dice san Paolo a proposito della predicazione degli apostoli, si tratta di “far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo” (Ep 3,9). È il mistero del piano della salvezza, che Dio ha concepito dall’eternità nell’intimità della vita trinitaria, nella quale ha contemplato, amato, voluto, creato e “ri-creato” le cose del cielo e della terra legandole all’incarnazione e quindi a Cristo.

8. Ricorriamo ancora una volta al Concilio Vaticano II, dove leggiamo: “Gesù Cristo . . . Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» (Jn 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre” (cf. Jn 5,36 Jn 17,4). Egli, “col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito Santo, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte, e risuscitarci per la vita eterna”.

“L’economia cristiana, dunque, in quanto è alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” (cf. 1Tm 6,14 et Tt 2,13) (Dei Verbum DV 4).

Ai pellegrini di lingua francese

Ad alcuni gruppi di lingua inglese


Ai fedeli di lingua tedesca



Ai fedeli dalla Spagna e da Paesi latinoamericani

Ad alcuni gruppi di lingua portoghese


Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

DESIDERO ORA porgere il mio saluto ai numerosi pellegrini del quartiere di Ponticelli, in Napoli, guidati dall’arcivescovo Monsignor Michele Giordano, che il prossimo 28 giugno sarà elevato alla dignità cardinalizia. Mi compiaccio con voi, cari fedeli di Napoli, per la settimana di preghiere e di catechesi che in questo Anno Mariano avete voluto realizzare, ricordando specialmente la celeste patrona del vostro quartiere, la Madonna della Neve. Sia per tutti voi questo momento un’occasione per rinvigorire il vostro spirito nella fede, seguendo il modello di Maria, colei che ci precede nel cammino della fede. Pensate spesso all’esempio di Maria, che accolse la parola di Dio e le rimase fedele, fino ai piedi della Croce.
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SALUTO IL PRESIDENTE ed il gruppo direttivo italiano dell’Associazione Internazionale “Ecole Instrument de Paix”, mentre esprimo il mio compiacimento per la bella iniziativa di diffondere nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla conoscenza ed all’apprezzamento dei diritti dell’uomo e del diritto all’ambiente per una cultura di pace.
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SALUTO IL GRUPPO dei missionari Salesiani, provenienti da varie nazioni per un corso di formazione permanente. Ad essi auguro il conforto della grazia nel loro ministero, e li invito a diffondere sempre e dovunque lo spirito di Don Bosco, il suo amore per i giovani, il suo metodo di formazione alla vita cristiana.
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IL MIO PENSIERO va poi alle religiose, addette agli Ospedali Militari in Italia, ed alle Suore della Provvidenza, giunte a Roma per un corso di aggiornamento e di spiritualità. Sappiate sempre essere, care sorelle, umili strumenti della Misericordia e della Provvidenza per chi soffre, operando con la testimonianza della carità affettuosa per avvicinare a Cristo i fratelli più bisognosi.

A tutti il mio cordiale saluto e la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora il mio saluto ai giovani.

INIZIA OGGI il mese di Giugno, dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Il Culto al Sacro Cuore, che ha fondamento nella Sacra Scrittura, ed ha una storia di crescente sviluppo nella Chiesa, è una risposta di fede e di amore a Cristo che, offertosi per noi al Padre sulla Croce fino all’ultima goccia di sangue, ci ha reso popolo della nuova ed eterna Alleanza.

Carissimi giovani, fate oggetto di riflessione questo mistero di grazia, per penetrare sempre più in profondità le inesauribili ricchezze spirituali, ma, soprattutto, lasciatevi coinvolgere dalla sua logica. A voi, che l’età rende attenti nel ricercare ideali significativi per i quali impegnare l’esistenza, non riuscirà difficile scoprire come la totale adesione al Signore sia la migliore garanzia per essere validamente illuminati dalle scelte che contano per il vostro presente e per il vostro futuro. Vi sostengano in questa ricerca la mia preghiera e la mia Benedizione.

Agli ammalati

Un affettuoso saluto anche agli ammalati presenti.

ANCHE A VOI, carissimi fratelli e sorelle, il Cuore di Cristo si offre come porto di sicuro rifugio e di consolazione: “Venite a me - egli ha detto - voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. È davvero fonte di grande pace questo invito e, più ancora, la certezza che, accogliendolo, si troveranno luce e fama necessarie per affrontare momenti di immancabile sconforto e dar soluzione ad interrogativi che sembrerebbero senza risposta. Ci si sente, così, più uniti a Cristo crocifisso e redentore, e si diventa capaci di trasformare momenti di sofferenza in occasioni di grazia per sé e per i fratelli. Nell’assicurarvi il mio ricordo nella preghiera per una pronta guarigione, auspico che di questa verità possiate fare viva esperienza e diventarne sereni e convinti testimoni davanti al mondo. Vi benedico di cuore uno per uno.

Agli sposi novelli

Agli sposi novelli venuti a questa Udienza, porgo fervidi auguri di ogni desiderato bene,

CARISSIMI, CON LA CELEBRAZIONE del sacramento del matrimonio, voi avete scelto il Signore come garante della vostra unione coniugale per andare avanti, insieme con Lui, con fondata fiducia. Siate certi che, se saprete rinnovare ogni giorno tale scelta, egli saprà ricompensarvi pienamente, continuando ad accompagnarvi con la Sua Provvidenza nel nuovo stato di vita. A Lui, che ha santificato il vostro amore, consacrate ogni giorno le vostre esistenze, i figli che avrete, i vostri progetti. La sua pace e la sua gioia consolideranno la vostra famiglia, che diventerà un esempio ed un modello anche per la società. Per questi voti, vi accompagni la mia propiziatrice Benedizione.





Mercoledì, 8 giugno 1988

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1. Leggiamo nella costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II riguardo alla missione terrena di Gesù Cristo: “È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale in lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha predestinati ad essere adottati in figli, perché in lui volle accentrare tutte le cose (cf.
Ep 1,4-5 Ep 1,10). Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre ha inaugurato in terra il Regno dei cieli e ci ha rivelato il mistero di lui e con la sua obbedienza ha operato la redenzione” (Lumen Gentium LG 3).

Questo testo ci permette di considerare in modo sintetico tutto ciò di cui abbiamo parlato nelle ultime catechesi. In esse, infatti, abbiamo cercato di mettere in rilievo gli aspetti essenziali della missione messianica di Cristo. Ora il testo conciliare ci ripropone la verità della stretta e profonda connessione che esiste tra questa missione e lo stesso inviato, Cristo, che nell’adempimento di essa manifesta le sue disposizioni e doti personali. Si possono infatti rilevare in tutta la condotta di Gesù alcune caratteristiche fondamentali, che trovano espressione anche nella sua predicazione, e servono a dare pienezza di credibilità alla sua missione messianica.

2. Gesù nella sua predicazione e nella sua condotta dimostra anzitutto la sua profonda unione con il Padre nel pensiero e nelle parole. Ciò che vuole trasmettere ai suoi uditori (e a tutta l’umanità) proviene dal Padre che l’ha “mandato nel mondo” (Jn 10,36). “Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire ed annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me” (Jn 12,49-50). “Come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Jn 8,28). Così leggiamo nel Vangelo di Giovanni. Ma anche nei sinottici è riportata una parola analoga pronunciata da Gesù: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio” (Mt 11,27), e con quel “tutto” Gesù si riferisce espressamente al contenuto della rivelazione da lui portata agli uomini (cf. Mt 11,25-27 analogiche Lc 10,21-22). In queste parole di Gesù troviamo la manifestazione dello spirito con cui egli compie la sua predicazione. Egli è e rimane il “testimone fedele” (Ap 1,5). In questa testimonianza è inclusa e risalta quella particolare “obbedienza” del Figlio verso il Padre, che nel momento culminante si dimostrerà “obbedienza fino alla morte” (cf. Ph 2,8).

3. Nella predicazione Gesù dimostra pure che quella sua assoluta fedeltà al Padre come fonte prima e ultima di “tutto” ciò che deve essere rivelato, è il fondamento essenziale della sua veridicità e credibilità. “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato”, dice Gesù, e aggiunge: “Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l’ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia” (Jn 7,16 Jn 7,18). Sulla bocca del Figlio di Dio tali parole possono sorprendere. Le pronunzia infatti colui che è “consostanziale al Padre”. Ma non possiamo dimenticare che egli parla anche come uomo. Ci tiene a far sì che i suoi uditori non abbiano alcun dubbio su di un punto fondamentale: ossia che la verità, che lui trasmette, è divina, e proviene da Dio. Ci tiene a far sì che gli uomini, ascoltandolo, trovino nella sua parola l’accesso alla stessa fonte divina della verità rivelata. Che essi non si fermino su colui che insegna, che non si lascino affascinare dall’“originalità” e “straordinarietà” di ciò che in questa dottrina proviene dal Maestro stesso. Il Maestro “non cerca la propria gloria”. Cerca solo ed esclusivamente “la gloria di colui che l’ha mandato”. Non parla “a nome proprio”, ma a nome del Padre.

Anche questo è un aspetto dello “spogliamento” (“kenosis”), che secondo san Paolo (cf. Ph 2,7), raggiungerà il suo culmine nel mistero della croce.

4. Cristo è il “testimone fedele”. Questa fedeltà - nella ricerca esclusiva della gloria del Padre, non di quella propria - scaturisce dall’amore, che egli intende provare: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre” (Jn 14,31). Ma la sua rivelazione dell’amore al Padre include anche il suo amore per gli uomini. Egli infatti “passa beneficando” (cf. Ac 10,38). Tutta la sua missione terrena è colma di atti di amore verso gli uomini, specialmente i più piccoli e bisognosi. “Venite a me - egli invita - voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28). “Venite”: è una esortazione che oltrepassa la cerchia dei contemporanei che Gesù poté incontrare nei giorni della sua vita e della sua sofferenza sulla terra; è una chiamata per i poveri di tutti i tempi, sempre attuale anche oggi, sempre rinascente sul labbro e nel cuore della Chiesa.

5. Parallela a questa esortazione, ve n’è un’altra: “imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11,29). La mitezza e l’umanità di Gesù diventano un’attrattiva per chi è chiamato ad accedere alla sua scuola: “Imparate da me”. Gesù è il “testimone fedele” dell’amore che Dio nutre per l’uomo. Nella sua testimonianza la verità divina e l’amore divino vengono associati. Per questo tra la parola e l’azione, tra ciò che egli fa e ciò che egli insegna vi è una profonda coesione, quasi si direbbe omogeneità. Gesù non solo insegna l’amore come il comandamento supremo, ma lo adempie egli stesso nel modo più perfetto. Non solo proclama le beatitudini nel discorso della montagna, ma ne offre in sé l’incarnazione durante tutta la sua vita. Non solo pone l’esigenza di amare i nemici, ma egli stesso l’adempie soprattutto nell’ora della crocifissione: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

6. Ma quella “mitezza e umiltà di cuore” in nessun modo significa debolezza. Al contrario, Gesù è esigente. Il suo Vangelo è esigente. Non è proprio lui ad ammonire: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”? E poco dopo: “Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà” (Mt 10,38-39). È una sorta di radicalismo non solo nel linguaggio evangelico, ma anche nelle reali esigenze della sequela di Cristo, delle quali egli non esita a ribadire spesso tutta l’estensione: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace - egli dice un giorno - ma una spada” (Mt 10,34). È un modo forte per dir che il Vangelo è anche una fonte di “inquietudine” per l’uomo, Gesù vuol farci capire che il Vangelo è esigente, e che esigere vuol dire agitare le coscienze, non permettere che si adagino in una falsa “pace”, nella quale diventano sempre più insensibili e ottuse, così che in esse le realtà spirituali si svuotano di valore, perdendo ogni risonanza. Gesù dirà davanti a Pilato: “Sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Jn 18,37). Queste parole riguardano anche la luce che egli porta su tutto il campo delle azioni umane, sgominando l’oscurità dei pensieri e specialmente delle coscienze per far trionfare in ogni uomo la verità. Si tratta però di mettersi dalla parte della verità. “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”, dirà Gesù (Jn 18,37). Per questo Gesù è esigente. Non duro o inesorabilmente severo: ma forte e inequivocabile nel richiamare chiunque alla vita nella verità.

7. Così le esigenze del Vangelo di Cristo penetrano nel campo della legge e della morale. Colui che è il “testimone fedele” (Ap 1,5) della verità divina, della verità del Padre, dice fin dall’inizio del discorso della montagna: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei cieli” (Mt 5,19). E nell’esortare alla conversione, non esita a rimproverare le stesse città dove la gente rifiuta di credere: “Guai a te, Corazin, guai a te, Betsaida!” (Lc 10,13), mentre ammonisce tutti e ciascuno: “. . . se non vi convertirete, perirete” (Lc 13,3).

8. Così il Vangelo della mitezza e dell’umiltà va di pari passo con il Vangelo delle esigenze morali, e persino delle severe minacce a coloro che non vogliono convertirsi. Non vi è contraddizione tra l’uno e l’altro. Gesù vive della verità che annunzia e dell’amore che rivela, e questo è un amore esigente come la verità da cui promana. Del resto l’amore ha posto le più grandi esigenze a Gesù stesso nell’ora del Getsemani, nell’ora del Calvario, nell’ora della croce. Gesù ha accettato e assecondato queste esigenze fino in fondo, perché, come ci avverte l’evangelista, egli “amò sino alla fine” (Jn 13,1). Si trattava di un amore fedele, per il quale il giorno prima di morire egli poteva dire al Padre: “Le parole che hai dato a me io le ho date a loro” (Jn 17,8).

9. Come “testimone fedele” Gesù ha compiuto la missione ricevuta dal Padre nelle profondità del mistero trinitario. Era una missione eterna, inclusa nel pensiero del Padre che lo generava e che lo predestinava a compierla “nella pienezza dei tempi” per la salvezza dell’uomo - di ogni uomo - e per il bene perfetto di tutta la creazione. Gesù aveva la coscienza di questa sua missione al centro del piano creatore e redentore del Padre; e perciò, con tutto il realismo della verità e dell’amore portati al mondo, poteva dire: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Jn 12,32).

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini giunti dalla Spagna e da numerosi Paesi latinoamericani

Ai fedeli giunti dal Portogallo e dal Brasile

Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

DESIDERO ORA rivolgere un caro saluto ai gruppi parrocchiali del Santissimo Redentore e di San Ciro, di Pozzuoli, in provincia di Napoli, e della parrocchia di Porto Legnago, in provincia di Verona. Vi ringrazio per la vostra presenza, mi unisco a voi nel festeggiare gli anniversari che state celebrando, e vi benedico di cuore.
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SONO PRESENTI, inoltre, alcuni gruppi di Religiosi e Religiose di vari Istituti, che lavorano nelle Missioni: un gruppo di Sacerdoti Comboniani, che festeggiano il 40° anniversario della loro Ordinazione presbiterale; Religiosi e Religiose del Pontificio Istituto Missioni Estere e dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, a Roma per corsi di aggiornamento.

Auguro a tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, uno slancio missionario sempre vivo, generoso, aggiornato, pieno di speranza. Possa questo soggiorno romano ritemprare le forze del vostro spirito per una ripresa del vostro lavoro ancor più fervorosa e ricca di risultati apostolici. Vi seguo con la mia Benedizione.
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UN CORDIALE SALUTO anche ad alcuni gruppi di Religiose di vari Istituti, presenti a Roma per un periodo di più intensa spiritualità, al fine di dare al loro cammino di fede una nuova carica di fervore e di generosità. Si tratta delle Figlie della Chiesa, delle Figlie di San Paolo e delle Piccole Sorelle dei Poveri.

Care Sorelle, in questi giorni di aggiornamento culturale e di più profonda vita interiore, vi sono vicino con la preghiera affinché i vostri incontri e le lezioni che ascolterete abbiano una ricca eco nella vostra anima, vi rendano più salde nella vostra vocazione, e sempre più pronte nel servizio della Chiesa e delle anime. Vi accompagno con la mia Benedizione.
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UN CARO SALUTO inoltre a due gruppi appartenenti ad Enti benemeriti nel campo della promozione umana e della collaborazione tra i popoli: il gruppo dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, avente sede a Roma; e il gruppo della Fondazione di Ricerche e Studi Internazionali, con sede a Firenze. Si tratta per lo più di giovani, appartenenti a vari paesi del mondo, che partecipano a corsi di perfezionamento nelle loro rispettive discipline.

Rallegramenti per queste iniziative ed auguri di buon successo!
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UN CORDIALE SALUTO anche al gruppo di allievi cinesi del Conservatorio di Milano, che si sono esibiti ieri qui a Roma in un saggio di carattere musicale, scenico e letterario. Su voi tutti, sui vostri familiari, e con un particolare pensiero alla vostra Patria, che qui rappresentate, invoco le continue benedizioni del Cielo.
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SALUTO, INFINE con gioia il Coro di sacerdoti ortodossi serbi, che visita in questi giorni l’Italia per far conoscere la bellezza della preghiera cristiana vissuta e celebrata nella loro Chiesa.

I vostri canti corali, cari fratelli nel sacerdozio, ci ricordano che la Chiesa di Cristo è essa stessa un coro, e sono uno sprone a lavorare instancabilmente perché il suo canto dalle molte voci porti allo spirito dell’uomo l’armonia unica di Cristo Signore, crocifisso e risorto. Vi invito a portare i miei deferenti saluti al vostro Patriarca, Sua Beatitudine German, mio fratello nel Signore, e l’assicurazione del mio ricordo nella preghiera.

Ai giovani

ED ORA SALUTO i giovani qui presenti ed i numerosi e vivaci alunni delle scuole.

Questo incontro col Papa voi lo avete certamente desiderato e atteso da tempo. Ora che vi è stato dato di viverlo, fate in modo che esso non resti nel vostro animo come un semplice anche se caro ricordo, ma serva a rendere più salda e coraggiosa la vostra fede, più fermi i propositi battesimali: fuga del male, di tutto quello che non piace a Dio, e prontezza agli atti generosi, ai doveri della vostra età, alla bontà verso tutti. Non abbandonate la vita di pietà, coltivate l’amicizia con Gesù e con la Madre sua, Maria Ss.ma. Tutto questo nella più schietta gioia, perché al Signore piace di essere amato e seguito nella letizia del cuore. Vi accompagni, con questi pensieri, la mia Benedizione, che estendo molto volentieri alle vostre famiglie, ai vostri educatori, ai vostri compagni.

Agli ammalati

RIVOLGENDOMI ORA ai cari ammalati - che vedo qui vicini a me, e che sono ancor più vicini al mio cuore - vorrei confortare la loro fede perché sia sempre forte anche nell’esperienza del male, senza mai perdere di vista i beni, i meriti, il valore e persino la gioia che i patimenti nascondono, se si sa unire la propria croce a quella di Gesù, innocente e vittima. Anche se è duro riconoscerlo, sappiamo che non c’è Pasqua senza Venerdì Santo: non c’è sofferenza che, se abbiamo vera fede, non ci rinnovi e non ci faccia migliori, portandoci a pregustare la gioia della risurrezione.

Dio grande e buono accresca la luce di questa verità, in voi e in tutti noi, perché tutti ne abbiamo bisogno. Col più vivo affetto, carissimi, prego per voi e vi benedico, come benedico le vostre famiglie e quanti hanno di voi amorevole cura.

Agli sposi novelli

ANCHE AGLI SPOSI giunga il mio augurio e, insieme, il mio grazie. Sì, il mio grazie, perché è stato un bel pensiero l’aver voluto fare visita al Papa, per ricevere da Lui una speciale benedizione all’inizio della vostra nuova vita. Invoco su di voi l’assistenza divina, perché vi conforti nell’adempimento del solenne impegno, che è destinato a trasformare profondamente tutta la vostra esistenza e a renderla altamente responsabile dinanzi a Dio, dinanzi alla società, dinanzi a coloro che saranno, come auspico, i frutti del vostro amore. Se volete dare un saldo fondamento all’edificio della vostra famiglia poggiatelo sempre sull’osservanza fedele dei comandamenti di Dio e sulla pratica assidua della preghiera. Abbiate sempre una tenera devozione alla Vergine Santissima. Nel suo nome vi benedico di cuore.




Mercoledì, 15 giugno 1988

15688

1. “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (
Mc 1,15). Queste parole, fin dall’inizio del Vangelo di Marco, vengono riportate quasi per riassumere brevemente la missione di Gesù di Nazaret, colui che è “venuto per annunziare la buona novella”. Al centro del suo annuncio si trova la rivelazione del Regno di Dio, che si è avvicinato ed anzi è entrato nella storia dell’uomo (“Il tempo è compiuto”).

2. Proclamando la verità sul Regno di Dio, Gesù annuncia nello stesso tempo il compimento delle promesse contenute nell’Antico Testamento. Del Regno di Dio, infatti, parlano spesso i versetti dei salmi (cf. Ps 103 [102], 19; Ps 93 [92], 1). Il salmo 145 (144) canta la gloria e la maestà di questo regno e indica contemporaneamente la sua durata eterna: “Il tuo Regno è regno di tutti i secoli, il tuo dominio si estende ad ogni generazione” (Ps 145 [144], 13). I successivi libri dell’Antico Testamento riprendono questo tema. In particolare si può ricordare l’annuncio profetico, particolarmente eloquente, del libro di Daniele: “. . . il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto (e non sarà trasmesso ad altro popolo): stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre” (Da 2,44).

3. Riferendosi a tali annunci e promesse dell’Antico Testamento, il Concilio Vaticano II constata e afferma: “Questo Regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo” . . . (Lumen Gentium LG 5) “Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il Regno dei cieli” (Lumen Gentium LG 3). Nello stesso tempo il Concilio rileva che “predicando la buona novella, cioè l’avvento del Regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura . . . il Signore Gesù diede inizio alla sua Chiesa” (Lumen Gentium LG 5). L’inizio della Chiesa, la sua istituzione da parte di Cristo, si iscrive nel Vangelo del Regno di Dio, nell’annuncio della sua venuta e della sua presenza tra gli uomini. Se il regno di Dio si è reso presente tra gli uomini grazie all’avvento di Cristo, alle sue parole e alle sue opere, è anche vero che, per espressa volontà sua, “il regno di Dio è presente già ora in mistero nella Chiesa, che per virtù di Dio cresce visibilmente nel mondo” (Lumen Gentium LG 3).

4. Gesù fece conoscere in vari modi ai suoi ascoltatori la venuta del regno di Dio. Sono sintomatiche le parole da lui pronunciate a proposito della “cacciata del demonio” dagli uomini e dal mondo: “Se . . . io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio” (cf. Lc 11,20). Il regno di Dio significa, infatti, la vittoria sulla potenza del male che è nel mondo e di colui che ne è l’oscuro artefice principale. Si tratta dello spirito delle tenebre, padrone di questo mondo; si tratta di ogni peccato, che nasce nell’uomo per effetto della sua volontà cattiva e sotto l’influsso di quella presenza arcana e malefica. Gesù, che è venuto per rimettere i peccati, anche quando guarisce dalle varie malattie avverte che la liberazione dal male fisico è il segno della liberazione dal male ben più grave che ingombra l’anima dell’uomo. Ciò è stato ampiamente spiegato nelle catechesi precedenti.

5. I vari segni della potenza salvifica di Dio offerti da Gesù con i miracoli, connessi alla sua parola, aprono la strada alla comprensione della verità sul regno di Dio in mezzo agli uomini. Egli spiega questa verità servendosi specialmente delle parabole, tra le quali si trova quella del seminatore e del seme seminato. Il seme è la parola di Dio che può essere accolta in modo da attecchire nel terreno delle anime umane oppure, per diversi motivi, o non essere accolta o non in modo tale da poter maturare e dare frutto in tempo opportuno (cf. Mc 4,14-20). Ma, ecco un’altra parabola, che ci mette di fronte al mistero dello sviluppo del seme ad opera di Dio: “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga” (cf. Mc 4,26-28). É la potenza di Dio che “fa crescere” dirà San Paolo (1Co 3,6 s) e anzi, come scrive l’apostolo, è lui che dà “il volere e l’operare”! (Ph 2,13).

6. Il regno di Dio o “regno dei cieli”, come viene detto da Matteo (cf. Mt 3,2 etc), è entrato nella storia dell’uomo sulla terra ad opera di Cristo, che anche durante la sua passione e nell’imminenza della morte in croce, parla di sé come di un re e nello stesso tempo spiega il carattere del Regno, che Egli è venuto a inaugurare sulla terra. Le sue risposte a Pilato, riportate dal quarto Vangelo (Jn 18,33 ss), servono come testo chiave per la comprensione di questo punto. Gesù si trova davanti al governatore romano, a cui è stato deferito dal Sinedrio sotto l’accusa di aver voluto farsi “re dei Giudei”. Quando Pilato gli contesta questo fatto, Gesù risponde: “Il mio Regno non è di questo mondo; se il mio Regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei” (Jn 18,36). Tuttavia il fatto che Cristo non è un re nel senso terreno della parola non cancella l’altro senso del suo Regno, che egli spiega nel rispondere a una nuova domanda del suo giudice: “Dunque tu sei re?”, domanda Pilato. “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo; per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Jn 18,37). È la più netta e inequivocabile proclamazione della propria regalità, ma anche del suo carattere trascendente, che conferma il valore più profondo dello spirito umano e la base principale dei rapporti umani: “la verità”.

7. Il Regno che Gesù, come Figlio di Dio incarnato, ha inaugurato nella storia dell’uomo, essendo di Dio, si stabilisce e cresce nello spirito umano con la potenza della verità e della grazia, che provengono da Dio, come ci hanno fatto intendere le parabole del seminatore e del seme che abbiamo riassunto. Cristo è il seminatore di questa verità. Ma in definitiva sarà per mezzo della croce che egli realizzerà la sua regalità e compirà la sua opera di salvezza nella storia dell’umanità: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Jn 12,32).

8. Tutto ciò traspare anche dall’insegnamento di Gesù sul buon pastore, che “offre la vita per le pecore” (Jn 10,11). Questa immagine del pastore è strettamente connessa a quella dell’ovile e delle pecore che ascoltano la voce del pastore. Gesù dice di essere il buon pastore che “conosce le sue pecore ed esse conoscono lui” (cf. Jn 10,14). Come buon pastore, cerca la pecora smarrita (cf. Mt 18,12 Lc 15,4), e pensa pure alle “altre pecore che non sono di quest’ovile”; anche quelle egli “deve condurre”, perché “. . . ascolteranno la sua voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Jn 10,16). Si tratta dunque di una regalità universale, esercitata con animo e con metodo di pastore, per portare tutti a vivere nella verità di Dio.

9. Come si vede, tutta la predicazione di Cristo, tutta la sua missione messianica è volta a “raccogliere” il gregge. Non si tratta solamente di tanti singoli uditori, seguaci, imitatori. Si tratta di una “assemblea”, che nella lingua aramaica suona “kehala”, e in ebraico “qahal”, corrispondente al greco “ekklesia”. La parola greca deriva da un verbo che significa “chiamare” (“chiamata” in greco si dice, infatti, “klesis”) e questa derivazione etimologica serve a farci capire che, come nell’antica alleanza Dio aveva “chiamato” il suo popolo Israele, così Cristo chiama il nuovo Popolo di Dio, scegliendone e cercandone i membri tra tutti gli uomini. Egli li attrae a sé e li raduna intorno alla propria persona per mezzo della parola del Vangelo e con la potenza redentiva del mistero pasquale. Questa potenza divina, manifestata definitivamente nella risurrezione di Cristo, confermerà il senso delle parole dette una volta a Pietro: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18), ossia la nuova assemblea del Regno di Dio.

10. La Chiesa-ecclesia-assemblea riceve da Cristo il comandamento nuovo. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati . . . Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli . . .” (Jn 13,34 cf. Jn 15,12). È certo che 1’“assemblea-Chiesa” riceve da Cristo anche la sua struttura esterna (di cui tratteremo prossimamente): ma il suo valore essenziale è la comunione con Cristo stesso: è lui a “radunare” la Chiesa, è lui a “edificarla” costantemente come suo corpo (cf. Ep 4,12), come Regno di Dio a raggio universale. “Verranno da oriente e occidente e siederanno a mensa (con Abramo, Isacco e Giacobbe) nel Regno di Dio” (cf. Lc 13,28-29).

Ad alcuni fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese


Ad un gruppo di pellegrini provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

CARISSIMI PELLEGRINI di Kanazawa.

Vi porgo le mie congratulazioni per le celebrazioni con le quali voi commemorate il primo centenario della riedificazione della vostra chiesa parrocchiale. La vostra chiesa parrocchiale ha come fondatore il venerabile Ukon Takayama che fu esiliato per la causa della fede.

Vi auguro che, seguendo il suo esempio, possiate mantenere e fortificare sempre più la vostra fede con l’aiuto della Madonna.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di espressione tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese


Ai pellegrini polacchi

Ai numerosi gruppi di pellegrini giunti da varie Regioni d’Italia

RIVOLGO ORA il mio saluto cordiale e il mio augurio ai sacerdoti novelli della Diocesi di Brescia, accompagnati dai loro educatori e dai familiari. Cari novelli presbiteri, mi unisco alla vostra letizia e vi esorto a conservare sempre vivo nello spirito lo zelo che attualmente vi anima. In tale prospettiva vi esorto a coltivare una profonda amicizia con Cristo mediante la preghiera. Sarà essa a decidere della salvezza di tanti uomini, affidati al vostro servizio sacerdotale ed alla vostra cura pastorale. Con le parole stesse di Cristo, vi auguro di andare, di portare frutto, e che il vostro frutto rimanga.
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SALUTO ANCHE le Suore Francescane Missionarie di Maria, convenute a Roma da tante parti del mondo per il Consiglio Generale dell’Istituto, e per riflettere sul tema della fraternità internazionale e della corresponsabilità al servizio della missione. Auguro loro di poter essere nel mondo missionario, caratterizzato da molteplici culture, segno ed annuncio del Vangelo, per favorire l’inserimento della parola di Cristo nell’animo e nella vita di tanti fratelli.
* * *


IL MIO PENSIERO va poi ai pellegrini della Cattedrale di Ragusa e della parrocchia di Santa Maria la Nova di Chiaromonte Gulfi. Saluto in particolare Monsignor Sebastiano Rosso, Vescovo emerito di Piazza Armerina, che li accompagna e mi compiaccio per il bell’impegno della recita del Rosario nelle famiglie. Auguro a tutti la costante protezione della Vergine Madre del Redentore.
* * *


SALUTO, INFINE, il gruppo di stranieri provenienti da alcuni Paesi in via di sviluppo ed ospiti di questa Città di Roma e mentre auguro loro una fruttuosa permanenza fra tante memorie classiche e cristiane, invoco la protezione del Signore sulle loro persone, sulle rispettive famiglie e sui loro Paesi d’origine. A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

ED ORA SALUTO voi, giovani, che con cuore aperto e gioioso - come ben testimonia la festosità della vostra presenza a questo incontro - chiedete di essere guidati ad una stabile amicizia col Redentore.

Carissimi, un segno che siete sulla strada giusta per raggiungere la meta desiderata è la letizia. Questa infatti sgorga in chi senza riserve segue Cristo, maestro e amico che, donandoci la verità di Dio, ci conforma a sé nella carità, nella libertà e nella pace.

Mentre vi affido a Maria, che esultò per quanto il Signore aveva fatto accadere nella sua giovane vita, vi esorto a portare nel mondo l’annuncio dell’amore perenne e misericordioso di Dio.

Agli ammalati

RIVOLGO POI la mia affettuosa parola di saluto a voi, cari malati, che dalla partecipazione a questa Udienza attendete conforto e consolazione.

Mentre invoco per voi dall’Onnipotente serenità e salute, vi invito a non venir meno - soprattutto durante l’infermità che vi ha colpiti - alla speranza ed alla pazienza. Accettate il ruolo che in questo momento Cristo vi affida così da divenire, nella comunione alle sue sofferenze, partecipi dei frutti della sua passione, a vantaggio vostro e della Chiesa intera.

Vi sono vicino con la Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

CARI SPOSI NOVELLI, giunga pure a voi il mio saluto cordiale, al quale unisco voti e preghiere perché il Signore vi conceda gioia duratura e ricolmi la vostra esistenza familiare con i suoi doni di pace e di prosperità.

Accompagno questo augurio con l’esortazione a vivere sempre l’amore coniugale nella verità di Cristo. Col sacramento del matrimonio non solo avete scelto di impegnarvi - nel vincolo di un amore santo - ad una reciproca donazione aperta alla vita; ma vi siete pure consacrati a Dio per collaborare all’edificazione del suo Regno. Non dimenticatelo!

Con la mia Benedizione.








Catechesi 79-2005 10688