Catechesi 79-2005 22688

Mercoledì, 22 giugno 1988

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1. Abbiamo detto nella catechesi precedente che tutta la missione di Gesù di Nazaret, il suo insegnamento, i segni che faceva, sino a quello supremo: la risurrezione (“il segno del profeta Giona”), erano rivolti a “radunare” gli uomini. Questa “assemblea” del nuovo Popolo di Dio costituisce il primo abbozzo della Chiesa, in cui, per volontà e istituzione di Cristo, deve avverarsi e perdurare nella storia dell’uomo il Regno di Dio iniziato con la venuta e con la missione messianica di Cristo. Gesù di Nazaret annunziava il Vangelo a tutti coloro che lo seguivano per ascoltarlo, ma nello stesso tempo egli chiamò alcuni in modo particolare a seguirlo per essere preparati da lui a una missione futura. Si tratta per esempio della vocazione di Filippo (
Jn 1,43), di Simone (Lc 5,10), ed anche di Levi, il pubblicano: anche a lui Cristo si rivolge con il suo “seguimi” (cf. Lc 5,27-25).

2. Di particolare rilievo è per noi il fatto, che tra i suoi discepoli Gesù abbia scelto i Dodici: una scelta che aveva anche il carattere di una “istituzione”. Il vangelo di Marco (Mc 3,14) adopera a questo riguardo l’espressione: “ha stabilito”, verbo che nel testo greco dei Settanta è usato anche per l’opera della creazione; per questo il testo ebraico originale usa la parola bara, che non ha un suo preciso corrispondente in greco: bara dice ciò che “fa” solo Dio stesso, creando dal nulla. In ogni caso anche l’espressione greca è sufficientemente eloquente in relazione ai Dodici.

Parla della loro istituzione come di una azione decisiva di Cristo che ha prodotto una nuova realtà. Le funzioni - i compiti - che i Dodici ricevono sono conseguenza di ciò che essi sono diventati in virtù dell’istituzione da parte di Cristo (istituì = fece).

3. È sintomatico anche il modo con cui Gesù ha operato la scelta dei Dodici. “. . . Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6,12-13). Seguono i nomi degli eletti, Simone, a cui Gesù dà il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni (Marco precisa che erano figli di Zebedeo e che Gesù diede loro il soprannome “Boanerghes”, che significa “figli del tuono”) Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Simone chiamato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, “che fu il traditore” (Lc 6,16). Tra le liste dei Dodici che si trovano nei tre Vangeli sinottici e negli Atti degli Apostoli vi è concordanza, nonostante qualche piccola differenza.

4. Gesù stesso parlerà un giorno di questa elezione dei Dodici, sottolineando ciò che lo aveva mosso a farla: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi . . .” (Jn 15,16); e aggiungerà: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Jn 15,19).

Gesù dunque aveva costituito i Dodici “perché stessero con lui”, per poterli “mandare a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). Sono stati dunque eletti e “costituiti” per una missione precisa. Sono dei mandati (= “apostoloi”).

Nel testo di Giovanni leggiamo ancora: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Jn 15,16).

Questo “frutto” in un altro punto viene designato con l’immagine della “pesca”, quando Gesù, dopo la pesca miracolosa sul lago di Genesaret, dice a Pietro tutto emozionato per quel fatto prodigioso: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10).

5. Gesù mette la missione degli apostoli in relazione di continuità con la propria missione, quando nella preghiera (sacerdotale) dell’ultima cena dice al Padre: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anche io li ho mandati nel mondo” (Jn 17,18). In questo contesto diventano comprensibili ancora altre parole di Gesù: “. . . io assegno a voi un Regno, come il Padre l’ha assegnato a me” (Lc 22,29). Gesù non dice agli apostoli semplicemente: “A voi è stato confidato il mistero del Regno di Dio” (Mc 4,11), come se fosse “dato” in modo solo conoscitivo - ma “trasmette” agli apostoli il Regno che egli stesso ha iniziato con la sua missione messianica sulla terra. Questo Regno “assegnato” al Figlio dal Padre è il compimento delle promesse già date nell’antica alleanza. Il numero stesso di “dodici” apostoli corrisponde nelle parole di Cristo alle “dodici tribù di Israele”: “. . . voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele” (Mt 19,28 anche Lc 22,30). Gli apostoli - “i Dodici” - come inizio del nuovo Israele, sono allo stesso tempo “collocati” nella prospettiva escatologica della vocazione di tutto il Popolo di Dio.

6. Dopo la risurrezione, Cristo, prima di inviare definitivamente gli apostoli in tutto il mondo, lega col loro servizio l’amministrazione dei sacramenti del Battesimo (cf. Mt 28,18-20), dell’Eucaristia (cf. Mc 14,22-24 et par) e della Penitenza e Riconciliazione (cf. Jn 20,22-23), da lui istituiti come segni salvifici di grazia. Gli apostoli vengono dunque dotati di autorità sacerdotale e pastorale nella Chiesa.

Della istituzione della struttura sacramentale della Chiesa parleremo nella prossima catechesi. Qui vogliamo far notare l’istituzione della struttura ministeriale, legata agli apostoli e in seguito alla successione apostolica nella Chiesa. A questo riguardo dobbiamo anche ricordare le parole con cui Gesù descrisse e poi stabilì il particolare “ministerium” di Pietro: “E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18-19). Tutte similitudini che rispecchiano e fanno percepire l’idea della Chiesa-regno di Dio dotato di una struttura ministeriale, quale era nel pensiero di Gesù.

7. Le questioni del “ministerium” e nello stesso tempo del sistema gerarchico della Chiesa verranno approfondite in modo più particolareggiato nel successivo ciclo di catechesi ecclesiologiche. Qui è opportuno far notare solamente un particolare significativo riguardante la dolorosa esperienza della passione e della morte in croce di Cristo. Nel prevedere il rinnegamento di Pietro, Gesù dice all’apostolo: “. . . ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). Più tardi - dopo la risurrezione ottenuta la triplice confessione di amore da parte di Pietro (“Signore, tu lo sai che io ti amo”), Gesù conferma definitivamente l’universale missione pastorale di lui: “Pasci le mie pecorelle . . .” (cf. Jn 21,15-17).

8. Possiamo dunque dire che i rispettivi passi evangelici indicano chiaramente che Gesù Cristo trasmette agli apostoli “il regno” e “la missione” che egli stesso ricevette dal Padre, e al tempo stesso istituisce la fondamentale struttura della sua Chiesa, nella quale questo Regno di Dio, mediante la continuazione della missione messianica di Cristo, deve realizzarsi tra tutte le nazioni della terra come compimento messianico ed escatologico delle eterne promesse di Dio. Le ultime parole rivolte da Gesù agli apostoli prima del suo ritorno al Padre, esprimono in modo definitivo la realtà e le dimensioni di quella istituzione: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20); anche Mc 16, 15-18 e Lc 24, 47-48).

Ai pellegrini di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese



Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini provenienti dalla Spagna e dall’America Latina


Ai pellegrini polacchi

A diversi gruppi italiani

DESIDERO ORA porgere il mio saluto alle Suore dell’Istituto “Religiose Purezza di Maria”, attualmente a Roma per prepararsi, con gli studi universitari, all’insegnamento che le attende nelle scuole della loro Congregazione. A tutte auguro una generosa dedizione all’impegno educativo e formulo altresì l’auspicio che la loro fedeltà alla vita religiosa, nell’amore a Cristo e nell’impegno per la causa del suo regno, costituisca l’anima profonda di tutto il loro servizio ecclesiale.
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SALUTO ANCHE i pellegrini della Diocesi di Caltanissetta, ai quali auguro che il loro viaggio a Roma costituisca non solo un momento privilegiato di fraternità e di comunione, ma un’occasione per rinvigorire la fede, traendo ispirazione dalle memorie degli Apostoli Pietro e Paolo e da tanti monumenti della tradizione cristiana presenti in questa Città.
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IL MIO PENSIERO va poi al gruppo dei fedeli di San Pietro Apostolo in Fondi (diocesi di Gaeta), accompagnati dal loro parroco e dal sindaco della Città. Saluto il Consiglio pastorale e in particolare i giovani che quest’anno hanno ricevuto i sacramenti dell’eucaristia e della Confermazione. Li invito ad essere perseveranti nella partecipazione alla Eucaristia festiva, generosi nella testimonianza e nella diffusione della loro fede, validi assertori della parola di Cristo lungo tutto il corso della loro vita. Benedico volentieri l’immagine di San Pietro, loro patrono, che essi hanno portato qui per la circostanza ed alla sua celeste intercessione affido l’intera parrocchia.
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SALUTO, INFINE, con affetto i cari ragazzi ospiti del centro di riabilitazione “La nostra scuola”, e saluto con loro il personale ed i familiari che li accompagnano. A tutti l’invito a perseverare con fiducia nell’opera intrapresa. Essa è una testimonianza validissima del servizio e del rispetto dovuto alla vita ed alla persona umana: un servizio prezioso per la riabilitazione dei piccoli, per la serenità di cui hanno bisogno, per l’appagamento delle attese dei loro genitori.

A tutti voi la mia Benedizione, con cordiale affetto.

Ai giovani

SALUTO ORA i ragazzi egiovani, ormai liberi dagli impegni di un anno scolastico che mi auguro abbia portato frutti copiosi di crescita umana e culturale.

Carissimi, nei mesi estivi la corsa dell’anno per voi si rallenta: è il tempo delle vacanze, del riposo, del turismo, del divertimento.

Voi avvertite tanto desiderio di compagnia, tanta voglia di far festa, interrompendo la monotonia del quotidiano. Ricordate tuttavia che il tempo non va mai sprecato, perché si consuma in fretta, e pertanto va vissuto in tutta la sua intensità. Non manchino nelle vostre giornate, con le occasioni di svago, momenti intensi di incontro con Dio nella preghiera, prendendo spunto anche dalla contemplazione del creato.

Mentre vi auguro di cuore Buone Vacanze, vi seguo con la mia preghiera e vi benedico.

Agli ammalati

CARI AMMALATI, anche voi, affrontando i disagi della temperatura estiva, accompagnati dai familiari o da persone amiche e generose, vi siete uniti ai partecipanti a questa Udienza. A voi devo un saluto particolare, cordiale ed affettuoso.

La liturgia ha fatto memoria ieri di San Luigi Gonzaga, un giovane che, chinandosi a lenire le piaghe dei fratelli sofferenti, contrasse il morbo che lo portò prematuramente a “contemplare il Dio eterno nella terra dei viventi”: così egli scriveva in una famosa lettera alla madre, nella quale definiva il premio finale “un tesoro che è coronamento di grandi fatiche e pianto”. Ed aggiungeva: il Signore “ci toglie tutto quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile”.

I Santi ci hanno tracciato ed indicato la strada: a noi il compito di seguirla, anche quando i sentieri del Signore si fanno stretti e faticosi.

Vi accompagni la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

SALUTO INFINE tutti voi, cari sposi novelli, che nell’itinerario del vostro viaggio nuziale avete voluto inserire anche una sosta presso la Sede di Pietro quale opportunità di riflessione e di preghiera.

Resi forti dalla grazia del Sacramento che avete da poco ricevuto, sappiate costruire giorno per giorno una vita di amore fecondo, mantenendo forti e grandi i vostri animi e coltivando lo spirito di sacrificio, col quale saprete affrontare gli immancabili momenti della vita coniugale.

Attraverso la preghiera comune, saprete anche profumare la vostra nuova casa del senso di Dio, trasmettendo in tal modo, insieme con la vita, anche il dono della fede ai figli che Dio vorrà donarvi.

Nella vostra casa portate anche la mia Benedizione.

Prima di concludere l’udienza generale di questa mattina il Santo Padre, riferendosi alla riunione in corso nel monastero ortodosso di Uusi Valamo in Finlandia della commissione mista tra cattolici e ortodossi, chiede di pregare per il ristabilimento della piena unità tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse. Queste le parole di Giovanni Paolo II.

Da domenica scorsa è riunita nel monastero ortodosso di Uusi Valamo (Nuovo Valamo), in Finlandia, la Commissione mista fra la Chiesa cattolica e l’insieme di tutte le Chiese ortodosse.

Nell’esprimere viva gioia per i progressi che il dialogo teologico cattolico-ortodosso ha già compiuto, vi invito ad unirvi a me nella preghiera al Signore perché illumini i componenti della Commissione e li aiuti nell’importante lavoro che stanno svolgendo in vista del ristabilimento della piena unità tra cattolici e ortodossi.

Prima di concludere l’udienza generale il Santo Padre vuole far partecipi i presenti delle sue preoccupazioni di questi giorni per l’unità della Chiesa e chiede di pregare con particolare intensità affinché i discepoli di Cristo continuino ad essere “una cosa sola”. Queste le parole del Santo Padre.

In questi giorni siamo particolarmente preoccupati per l’unità della santa Chiesa nella fedeltà alla verità rivelata.

Ritorniamo alla preghiera di Cristo che nell’ultima cena esortò i suoi discepoli ad essere una cosa sola. Pregando alla fine di questa udienza il “Pater Noster”, facciamolo con questa particolare intenzione.





Mercoledì, 6 luglio 1988

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1. “Ja zum Glauben - Ja zum Leben”: “Sì alla fede - Sì alla vita!”.

In questo motto i Vescovi austriaci, invitando il Papa nel loro Paese dal 23 al 27 giugno scorso, hanno racchiuso il programma della visita. Oggi desidero ringraziare per quest’invito la Chiesa in Austria, indirizzando nello stesso tempo il ringraziamento al Presidente della Repubblica e a tutte le autorità, che hanno avuto un atteggiamento molto benevolo nei confronti di questa nuova visita pastorale, collaborando per la sua preparazione ai diversi livelli e nelle diverse fasi. Approfitto dell’odierna udienza generale per porre in rilievo quest’avvenimento, così come ho fatto in occasione degli altri viaggi compiuti in adempimento del mio ministero pastorale.

2. Si è trattato ora di completare la visita che ebbe luogo nell’anno 1983, durante il cosiddetto “Katholikentag”, e che si limitò a Vienna, capitale dell’Austria, e quindi al Santuario mariano di Mariazell.

Questa volta, invece, Vienna è stata soltanto il punto di partenza del programma; durante i giorni successivi, mi è stato dato di visitare - almeno indirettamente - tutte le diocesi del Paese.

Se la parola programmatica del 1983 si riferiva alla speranza (“Hoffnung leben, Hoffnung geben”), questa volta gli organizzatori hanno concentrato la attenzione sulla fede, sulla vita di fede (“Ja zum Glauben - Ja zum Leben”). Effettivamente non vi è speranza senza la fede. Sulla linea di questo motto, mi è stato dato di incontrarmi con la Chiesa che vive in terra austriaca nelle varie diocesi: Wien, Eisenstadt, sankt Pölten, Linz, Graz-Seckau, Gurk-Klagenfurt, Salzburg, Innsbruck-Feldkirch.

3. “Ja zum Glauben” - La fede cattolica ha in terra austriaca radici profonde, che risalgono ai tempi romani. In primo luogo occorre nominare qui Lauriacum (oggi Lorch), alla quale è unita la storia del martirio di san Floriano e dell’apostolato di san Severino. Lauriacum era un campo militare romano, nel quale i cristiani non furono soltanto presenti, ma si dimostrarono anche pronti a dare testimonianza della loro fede fino alla morte.

Ai tempi romani risalgono anche Vindobona (oggi Vienna) ed altri centri di quel territorio, in cui si è sviluppato, col tempo, il cristianesimo. Questo vi arrivò come frutto di un’evangelizzazione già regolarmente organizzata e vi si strutturò dapprima intorno alla sede di Salisburgo (il cui Arcivescovo divenne poi “Primas Germaniae”, “Primate della Germania” di allora) e, in seguito, intorno a quelle di Gurk e di Graz, situate alla frontiera del mondo romano, germanico e slavo. Le altre sedi vescovili sono sorte solo più tardi: Vienna nel XV secolo, alcune nei nostri tempi.

4. Questa mia visita pastorale si è iniziata e conclusa con la celebrazione dei vespri: a Vienna, all’arrivo, in onore di san Giovanni Battista, e a Innsbruck, prima della partenza, in onore della beatissima Vergine Maria. Grandi e solenni celebrazioni eucaristiche hanno avuto luogo con una buona partecipazione di fedeli a Trausdorf presso Eisenstadt, a Gurk (insieme con la diocesi di Graz-Seckau), a Salzburg e Innsbruck (insieme con la diocesi di Feldkirch). Oltre all’incontro con le autorità dello Stato, mi sono trovato a Vienna con rappresentanti della comunità ebraica in Austria, un incontro che poi ha avuto il suo completamento tematico-storico nella mia visita al campo di concentramento di Mauthausen.

Nell’ambiente ecclesiastico hanno rivestito una particolare importanza la liturgia della parola con gli uomini e le donne del mondo del lavoro delle diocesi di Linz e Sankt Polten, a Lorch; l’incontro con l’episcopato austriaco, con una rappresentanza di giovani, con ammalati e anziani a Salzburg, e con i ragazzi della gioventù cattolica a Innsbruck. Di speciale significato e intensità spirituale sono stati inoltre la manifestazione avvenuta nella Festspielhaus di Salzburg, con esponenti della scienza, arte e cultura e la celebrazione ecumenica nella stessa città.

5. Assai significativo nel corso della visita è stato il fatto che, in alcuni luoghi, hanno partecipato all’incontro pellegrini provenienti dai Paesi limitrofi. E così confluirono a Trausdorf (Eisenstadt) parecchie decine di migliaia di pellegrini dall’Ungheria, con il Primate e numerosi Vescovi; venne pure un gruppo considerevole di croati con il Cardinale Franjo Kuharic e alcuni Vescovi; infine, un piccolo gruppo di slovacchi con il Vescovo Sokol di Trnava, recentemente ordinato. Pochissimi pellegrini cechi si trovarono a Lorch, insieme col vicario capitolare di Cesskè Budejovice.

È poi da ricordare la celebrazione in tre lingue a Gurk in onore di santa Emma, fondatrice e patrona di quella Chiesa, nel contesto del pellegrinaggio delle tre nazioni (“Dreiländerwallfahrt”): oltre alla lingua tedesca per gli austriaci, si utilizzò la lingua slovena per i pellegrini provenienti dalla provincia slovena della Jugoslavia con l’Arcivescovo di Ljubliana e il Vescovo di Maribor, e la lingua italiana (oltre al dialetto friulano) per i pellegrini della regione di Udine con l’Arcivescovo Alfredo Battisti.

Il motto “Ja zum Glauben” ci conduce, come si vede, attraverso la storia di diversi popoli di quella parte del continente europeo, ed esprime il radicarsi della fede nelle lingue e culture diverse.

6. Per quanto riguarda l’Austria, l’anno 1938 - quindi mezzo secolo fa - portava con sé un evento traumatico che ha lasciato una tragica impronta nella storia di quel Paese e - come è noto - di altri Paesi e nazioni dell’Europa. Allora (nel 1938) l’Austria fu annessa alla Germania (“Anschluss”) e sottoposta al potere di Hitler e del sistema nazionalsocialista.

L’attuale visita papale - dopo cinquanta anni - non poteva rimanere senza un riferimento a quel periodo. Espressione di tale partecipazione sono state prima di tutto la croce commemorativa, collocata nel campo di sterminio e di morte a Mauthausen, e, sempre in tale luogo di morte, la liturgia ispirata alle “Lamentazioni” di Geremia. Accanto ai rappresentanti delle autorità statali, hanno partecipato alla commemorazione anche superstiti di quel campo e le loro famiglie.

I tremendi anni del terrore nazista causarono milioni di vittime di molte nazioni. Una misura particolare di sterminio fu riservata, purtroppo, alla nazione ebraica: questo fatto ha trovato pure espressione nell’incontro con i rappresentanti della comunità israelitica, che vive in Austria.

7. “Ja zum Glauben” - “Ja zum Leben”, come programma del servizio papale in Austria, vuol esser soprattutto l’espressione dei compiti che la Chiesa si propone di fronte alla situazione sociale e culturale del Paese. Sono i compiti della “seconda evangelizzazione”, così come in altri Paesi del nostro continente. Il magistero del Concilio Vaticano II offre un vasto e solido fondamento per tali compiti.

Le diverse serie di incontri, avvenuti durante la visita alle diocesi austriache, hanno messo in evidenza la consapevolezza che esse hanno di questi compiti, ed i seri sforzi che compiono nell’affrontarli. Basti ricordare, per esempio, l’incontro con il mondo della scienza e della cultura, con i lavoratori agricoli e industriali, con i giovani e con i ragazzi, con i malati . . . L’incontro ecumenico e la comune preghiera per l’unità dei cristiani meritano un rilievo speciale.

I compiti più importanti sono stati definiti nel discorso all’episcopato a Salisburgo. Essi sono soprattutto: la famiglia e la gioventù; e, al tempo stesso, nella Chiesa, le vocazioni sacerdotali e religiose insieme con l’apostolato dei laici.

8. L’anno mariano fa sì che tutto questo programma del sì alla fede e alla vita di fede, il programma dell’evangelizzazione della Chiesa in Austria nella prospettiva del terzo millennio, si colleghi con la Madre di Dio. Anche il servizio papale, nel corso dei giorni della visita, si è rivolto a lei, alla sua materna mediazione.

Sono stati giorni pieni di contenuto, pieni di preghiera, la quale in tutti i luoghi ha rivestito la forma di una liturgia - soprattutto eucaristica - straordinariamente bella e matura. Nella cornice della bellezza della natura, che la Provvidenza divina ha elargito generosamente a quel Paese, e sullo sfondo di uno splendido patrimonio di cultura e di arte, l’uomo proclamava in quella preghiera, in modo particolarmente profondo, la gloria del creatore e del redentore, a nome di tutte le creature.

“Benedicite omnia opera Domini, Domino!”.

Ai fedeli di espressione francese


Ai pellegrini di lingua inglese


Ad un gruppo di religiose giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIME FIGLIE di S. Paolo. I miei migliori auguri per il 25o della vostra professione religiosa! Voi festeggiate il vostro giubileo proprio nell’Anno Mariano. Questo fatto dà un significato speciale alla vostra vita consacrata. Ora, carissime figlie di S. Paolo, vi esorto a camminare con la Madonna e con Lei a lavorare per il Regno di Dio.

Con questo augurio vi imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini giunti dalla Spagna e da diversi Paesi latino-americani

Ai pellegrini giunti dal Portogallo e dal Brasile


Ai pellegrini polacchi

Ai giovani

ORA MI RIVOLGO a voi, cari giovani. La vostra presenza è sempre motivo di una gioia, che si apre naturalmente alla speranza; gioia e speranza sono note caratteristiche della vostra età. Per la maggior parte di voi è ormai iniziato il periodo delle vacanze. Godete pure del meritato riposo in allegria e spensieratezza, senza, però, dimenticare che le vacanze non sono un tempo da sprecare, giacché in esse si possono approfondire meglio i rapporti familiari, avviare nuove amicizie e fare istruttive letture.

Inoltre le vacanze offrono frequenti occasioni di ammirare le bellezze della natura, gustando la suggestiva semplicità della campagna o della montagna. Bello sarebbe se, al termine delle vacanze, voi tornaste alle vostre case e ai vostri studi col cuore più contento, con lo spirito più maturo, con la mente più ricca di sani pensieri.

È quanto vivamente auguro, carissimi, con la mia Benedizione.

Agli ammalati

IL MIO SGUARDO è ora, per voi, cari malati, che vedo vicini a me ed a cui rivolgo un saluto particolarmente cordiale. A voi il Signore ha chiesto il sacrificio di rinunce a volte anche gravi. Ma ha forse, per questo, perso valore la vostra esistenza? È forse la salute il massimo valore della vita? Ciò che più conta davanti a Dio? No, davvero! Davanti a Dio e all’eternità, in cui crediamo e speriamo, ha valore soprattutto ciò che ciascuno è dentro di sé; la ricchezza dell’anima, grazie alla quale ciascuno entra in contatto con Lui.

Coraggio, dunque! Sia generosa la vostra fede, e sarà più profonda la vostra pace, più fondato il vostro ottimismo, più sicura la vostra speranza. E sia generosa intorno a voi anche la fede e l’opera di quanti, in qualsiasi modo hanno cura di voi e del vostro bene. A tutti la mia paterna Benedizione.

Agli sposi novelli

PER VOI CARI SPOSI che avete appena iniziato il vostro cammino, congiunti da un amore santificato nel sacramento, chiedo a Dio che renda lieti, saldi e duraturi i vostri propositi in questa nuova fase della vostra vita. Voi, per parte vostra, non private mai la vostra famiglia ed il vostro vivere insieme della fede in Dio e della preghiera a Lui, dalla cui paternità discende ogni dono perfetto. Se insisto sull’aspetto religioso della vostra nuova vita è perché sono, sì, necessari, in ogni convivenza il dialogo, la comprensione, la pazienza, la buona volontà; ma tali virtù difficilmente possono essere messe in atto senza una assidua preghiera, che consenta di attingere la forza là dove è la sua sorgente: in Dio, appunto. Con Dio siate sempre felici. È questo l’augurio col quale affettuosamente vi benedico.







Mercoledì, 13 luglio 1988

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1. “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (
Mt 28,20). Queste parole pronunciate da Gesù risorto in occasione dell’invio degli apostoli in tutto il mondo, attestano che il Figlio di Dio, il quale, venendo nel mondo, diede inizio al Regno di Dio nella storia dell’umanità, lo trasmise agli apostoli in stretto collegamento con la continuazione della sua missione messianica “io assegno a voi un Regno, come il Padre l’ha assegnato a me” (Lc 22,29). Per la realizzazione di questo Regno e il compimento della sua stessa missione, egli istituì nella Chiesa una visibile struttura “ministeriale”, che doveva durare “fino alla fine del mondo”, secondo il principio di trasmissione nei successori degli apostoli suggerito da queste stesse parole di Gesù risorto. È un “ministerium” legato al “mysterium”, per cui gli apostoli si ritengono e vogliono essere ritenuti “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio”, come dice san Paolo (1Co 4,1). La struttura ministeriale della Chiesa suppone e include una struttura sacramentale ed è “di servizio” nei suoi riguardi (“ministerium” = servizio).

2. Questo rapporto tra “ministerium” e “mysterium” richiama una verità teologica fondamentale: Cristo ha promesso non solo di essere “con” gli apostoli, cioè “con” la Chiesa, fino alla fine del mondo, ma di essere egli stesso “nella” Chiesa, come fonte e principio di vita divina: di quella “vita eterna” che appartiene a colui che ha confermato, per mezzo del mistero pasquale, la sua potenza vittoriosa sul peccato e sulla morte. Mediante il servizio apostolico della Chiesa, Cristo desidera trasmettere agli uomini questa vita divina, perché possano “rimanere in lui e lui in loro”, come egli si esprime nella parabola della vite e dei tralci che fa parte del suo discorso d’addio, riportato nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Jn 15,5).

3. Perciò, per istituzione di Cristo, la Chiesa possiede non solo la sua struttura ministeriale, visibile ed “esterna”, ma contemporaneamente (e soprattutto) una capacità “interiore”, appartenente a una sfera invisibile, ma reale, dove è la fonte di ogni elargizione della vita divina, della partecipazione alla vita trinitaria di Dio: di quella vita, che è in Cristo e che da Cristo, mediante l’azione dello Spirito Santo, viene comunicata agli uomini per il compimento del disegno salvifico di Dio. I sacramenti, istituiti da Cristo, sono i segni visibili di questa capacità di trasmettere la nuova vita, il nuovo dono di sé che Dio stesso fa all’uomo - cioè della grazia. Essi la significano e allo stesso tempo la comunicano. Anche ai sacramenti della Chiesa dedicheremo in seguito un apposito ciclo di catechesi. Ciò che ora ci preme è di far notare prima di tutto l’essenziale unione dei sacramenti con la missione di Cristo, il quale nel fondare la Chiesa, la munisce di una struttura sacramentale. Come segni, i sacramenti appartengono all’ordine visibile della Chiesa; contemporaneamente, ciò che essi significano e comunicano - la vita divina - appartiene al “mysterium” invisibile da cui deriva la soprannaturale vitalità del Popolo di Dio nella Chiesa. Questa è la dimensione invisibile della vita della Chiesa, che nella partecipazione al mistero di Cristo attinge questa vita da lui, come da fonte inesausta e inesauribile, e s’immedesima sempre più a lui come unica “vite” (cf. Jn 15,1).

4. A questo punto dobbiamo almeno accennare all’inserimento specifico dei sacramenti nella struttura ministeriale della Chiesa.

Sappiamo che durante la sua attività pubblica, Gesù “faceva dei segni” (cf. ex. gr. Jn 2,23 Jn 6,2 ss). Ciascuno di essi costituiva la manifestazione della potenza salvifica (onnipotenza) di Dio, con la liberazione degli uomini dal male fisico. Ma nello stesso tempo questi segni, cioè i miracoli, appunto come “segni” indicavano il superamento del male morale, la trasformazione e il rinnovamento dell’uomo nello Spirito Santo. I segni sacramentali, di cui Cristo ha dotato la sua Chiesa, devono servire allo stesso scopo. Ciò risulta chiaramente dal Vangelo.

5. Anzitutto per ciò che riguarda il Battesimo. Questo segno della purificazione spirituale era usato già da Giovanni Battista, dal quale anche Gesù ha ricevuto “il Battesimo di penitenza” sul Giordano (cf. Mc 1,9). Ma lo stesso Giovanni distingueva chiaramente il Battesimo, da lui amministrato, da quello che sarebbe stato amministrato da Cristo: “Colui che viene dopo di me . . . vi battezzerà in Spirito Santo” (Mt 3,11). Inoltre nel quarto Vangelo troviamo un cenno interessante al “Battesimo” che veniva amministrato da Gesù, e più precisamente dai suoi discepoli, “nella regione della Giudea”, distintamente da Giovanni (cf. Jn 3,22 Jn 3,26 Jn 4,2).

A sua volta Gesù parla del Battesimo che lui stesso deve ricevere, indicando con queste parole la sua futura passione e morte in croce: “C’è un Battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,50). E ai due fratelli, Giovanni e Giacomo, domanda: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il Battesimo con cui sono battezzato?” (Mc 10,38).

6. Se vogliamo riferirci propriamente al sacramento che verrà trasmesso alla Chiesa, lo troviamo indicato specialmente nelle parole di Gesù a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Jn 3,5).

Inviando gli apostoli a predicare il Vangelo in tutto il mondo, Gesù comandò loro di amministrare proprio questo Battesimo: il Battesimo “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). E precisò: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo” (Mc 16,16). L’“essere salvati”, l’“entrare nel Regno di Dio”, vuol dire avere la vita divina, che Cristo dona come “la vite ai tralci”, (Jn 15,1) per opera di questo “Battesimo” con cui egli stesso è stato “battezzato” nel mistero pasquale della sua morte e risurrezione. San Paolo presenterà magnificamente il Battesimo cristiano come “immersione nella morte di Cristo” per rimanere uniti a lui nella risurrezione e vivere una vita nuova (cf. Rm 6,3-11). Il Battesimo costituisce l’inizio sacramentale di questa vita nell’uomo.

L’importanza fondamentale del Battesimo per la partecipazione alla vita divina viene messa in rilievo dalle parole, con cui Cristo invia gli apostoli a predicare il Vangelo al mondo intero (cf. Mt 28,19).

7. Gli stessi apostoli - in stretta unione con la Pasqua di Cristo - sono stati muniti dell’autorità di rimettere i peccati. Anche Cristo naturalmente possedeva questa autorità: “Il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati” (cf. Mt 9,6). Lo stesso potere egli lo trasmise agli apostoli dopo la risurrezione, quando alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Jn 20,22-23). “Rimettere i peccati” significa, in positivo, restituire all’uomo la partecipazione alla vita che è in Cristo. Il sacramento della Penitenza (o riconciliazione) è dunque connesso in modo essenziale con il mistero “della vite e dei tralci”.

8. Tuttavia la piena espressione di questa comunione di vita con Cristo è l’Eucaristia. Gesù istituì questo sacramento il giorno prima della sua morte redentrice sulla croce, durante l’ultima cena (la cena pasquale) nel cenacolo di Gerusalemme (cf. Mc 14,22-24 Mt 26,26-30 Cor Lc 11,23-26). Il sacramento costituisce il duraturo segno della presenza del suo corpo dato alla morte e del suo sangue versato “in remissione dei peccati”, e, nello stesso tempo, ogni volta che viene celebrato, rende presente il sacrificio salvifico del Redentore del mondo. Tutto ciò avviene sotto il segno sacramentale del pane e del vino, e quindi del banchetto pasquale, connesso da Gesù stesso al mistero della croce, come ci ricordano le parole istitutive, ripetute nella formula sacramentale: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi; questo è il calice del mio sangue . . . versato per voi e per tutti, in remissione dei peccati”.

9. Il cibo e la bevanda, che nell’ordine temporale servono al sostentamento della vita umana, nel loro significato sacramentale indicano e producono la partecipazione alla vita divina, che è in Cristo, “la vite”. Egli a prezzo del suo sacrificio redentivo, trasmette questa vita ai “tralci”: i suoi discepoli e seguaci. Lo mettono in evidenza le parole dell’annuncio eucaristico pronunciate nella sinagoga di Cafarnao: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Jn 6,51). “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Jn 6,54).

10. L’Eucaristia come segno del banchetto fraterno, è strettamente connessa con la promulgazione del comandamento dell’amore reciproco (cf. Jn 13,34 Jn 15,12).

Secondo l’insegnamento paolino quest’amore unisce intimamente tutti i componenti della comunità nella Chiesa: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” (1Co 10,17). In questa unione, frutto dell’amore fraterno, si riflette in qualche modo l’unità trinitaria, formata dal Figlio con il Padre, come risulta dalla preghiera di Gesù: “Perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te . . .” (Jn 17,21). Ed è l’Eucaristia che fa partecipi dell’unità della vita di Dio secondo le parole di Gesù stesso: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (Jn 6,57).

Proprio per questo l’Eucaristia è il sacramento che in modo particolarissimo “edifica la Chiesa” come comunità della partecipazione alla vita di Dio mediante Cristo, unica “Vite”.

Ai numerosi pellegrini spagnoli


Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini francesi


Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni pellegrinaggi italiani ed al gruppo internazionale dei partecipanti al “Festival della Collina”

DESIDERO ORA rivolgere un cordiale saluto alle rappresentanze di alcuni Istituti Religiosi, che stanno celebrando o che hanno appena celebrato il loro Capitolo Generale: i Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, le Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, le Suore Domenicane Insegnanti e Infermiere di S. Caterina da Siena e le Suore dell’Istituto dei Sacri Cuori di Gesù e Maria.

A tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, l’espressione del mio compiacimento per tali momenti così significativi nella vita dei vostri Istituti. Sono i momenti della riflessione, della revisione, della crescita, della speranza. I Capitoli Generali sono punti di arrivo e di partenza, durante i quali vi specchiate nella vostra Regola e vi proponete di osservarla meglio. Benedico i vostri lavori, i vostri propositi, le vostre speranze.
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SALUTO CORDIALMENTE il gruppo di Religiose, provenienti da diverse Nazioni ed Istituti, ospiti della Comunità “Mater Ecclesiae” delle Suore Dorotee da Cemmo. La vostra permanenza romana, care Sorelle, vi sia di sollievo nel corpo e nello spirito. Possiate ripartire da qui con nuove energie, per essere ancora più operose nel bene.
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UN CARO E AFFETTUOSO saluto anche agli alunni del Seminario di Cuneo. Grazie, cari giovani, per la vostra visita. Mi auguro che questa vostra permanenza a Roma parli alla vostra fede e vi dia motivi in più per proseguire la vostra formazione sacerdotale con maggior convinzione ed entusiasmo.
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SALUTO CORDIALMENTE anche i gruppi “folk”, provenienti da vari Paesi dell’Est e dell’Ovest, che partecipano al “Festival della Collina”. Mi compiaccio per la vostra iniziativa, che tiene vive antiche tradizioni popolari, che spesso hanno origini cristiane e che comunque testimoniano delle peculiari caratteristiche culturali dei vari popoli e sono una ricchezza per il bene comune dell’umanità. Iniziative che affratellano, che favoriscono la pace, che promuovono l’arte e la cultura.
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UN SALUTO, ANCORA, agli Allievi Ufficiali della Scuola delle Trasmissioni di Roma. Dice il vostro motto: “Spatia devinco disiuncta coniungo”. Questo certo è opera della tecnica, ma quanto più dev’essere opera dell’amore, e quanto bisogno c’è di quest’opera! Nel compimento del vostro dovere, voi favorite la concordia, la pace, l’unione degli spiriti. Vi auguro buon lavoro!

A tutti la mia affettuosa Benedizione.

Ai giovani

CARISSIMI GIOVANI a voi ora rivolgo un cordiale saluto. Tra pochi giorni ricorrerà la memoria della Madonna del Carmelo, una festa che spicca in modo particolare in quest’Anno Mariano che si avvia alla conclusione, e che da essa trae nuovi motivi di bellezza e di arricchimento.

Quanti sono i titoli della Vergine Santissima! Attorno a ciascuno di essi si raccoglie una tradizione, un movimento spirituale, una liturgia, potremmo dire addirittura una certa cultura ed un certo modo di vivere il cristianesimo. Mille sono le angolature sotto le quali possiamo rendere culto a Maria. E voi, cari giovani, avete qualche concreta forma di devozione alla Madonna? Cercatela, se ancora non l’avete, e restatele fedeli. Vi aiuti in ciò la mia Benedizione.

Agli ammalati

CARISSIMI MALATI qui presenti, vi saluto tutti con affetto e rispetto profondo. Se pensiamo che la sofferenza umana è stata assunta dal Verbo divino per salvare l’uomo peccatore, qualunque tipo di sofferenza non può non farci pensare alle sofferenze di Cristo. La Vergine Maria, che ha vissuto così da vicino la Croce del Figlio, ci aiuti e vi aiuti, cari malati, a penetrare il significato salvifico della sofferenza. La Madonna del Carmelo vi illumini sulla bellezza di questo mistero, mentre io vi benedico di tutto cuore.

Agli sposi novelli

CARISSIMI SPOSI NOVELLI, siate i benvenuti. Il pensiero che mi viene spontaneo in questo momento, è quello di esortarvi a mettere il vostro amore sotto la protezione della Vergine del Carmelo. Il segreto della buona riuscita del matrimonio consiste nel vivere questo sacramento nella luce di Maria. È la sua preghiera, è la sua intercessione che proteggerà il vostro amore dai pericoli, che lo renderà sempre fedele e fecondo, sempre più puro e più bello. Lasciatevi guidare da Maria. Il vostro amore diverrà così via di salvezza e di santificazione. Per Maria ed in Maria.

Vi accompagno con la mia Benedizione.






Catechesi 79-2005 22688