Catechesi 79-2005 20886

Mercoledì, 20 agosto 1986

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1. Le nostre catechesi su Dio, Creatore delle cose “invisibili”, ci hanno portato a illuminare e ritemprare la nostra fede per quanto riguarda la verità sul maligno o satana, non certamente voluto da Dio, sommo amore e santità, la cui Provvidenza sapiente e forte sa condurre la nostra esistenza alla vittoria sul principe delle tenebre. La fede della Chiesa infatti ci insegna che la potenza di satana non è infinita. Egli è solo una creatura, potente in quanto spirito puro, ma pur sempre una creatura, con i limiti della creatura, subordinata al volere e al dominio di Dio. Se satana opera nel mondo per il suo odio contro Dio e il suo regno, ciò è permesso dalla divina Provvidenza che con potenza e bontà (“fortiter et suaviter”) dirige la storia dell’uomo e del mondo. Se l’azione di satana certamente causa molti danni - di natura spirituale e indirettamente di natura anche fisica - ai singoli e alla società, egli non è tuttavia in grado di annullare la definitiva finalità cui tendono l’uomo e tutta la creazione, il Bene. Egli non può ostacolare l’edificazione del regno di Dio, nel quale si avrà, alla fine, la piena attuazione della giustizia e dell’amore del Padre verso le creature eternamente “predestinate” nel Figlio-Verbo, Gesù Cristo. Possiamo anzi dire con san Paolo che l’opera del maligno concorre al bene (cfr
Rm 8,28) e che serve a edificare la gloria degli “eletti” - (cfr 2Tm 2,10).

2. Così tutta la storia dell’umanità si può considerare in funzione della salvezza totale, nella quale è iscritta la vittoria di Cristo sul “principe di questo mondo” (Jn 12,31 Jn 14,30 Jn 16,11).

“Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai” (Lc 4,8), dice perentoriamente Cristo a satana. In un momento drammatico del suo ministero, a chi lo accusava in modo sfacciato di scacciare i demoni perché alleato di Beelzebul, capo dei demoni, Gesù risponde con quelle parole severe e confortanti insieme: “Ogni regno discorde cade in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con se stesso. Come potrà dunque reggersi il suo regno? . . . E se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12,25-26 Mt 12,28). “Quando un uomo forte, bene armato fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino” (Lc 11,21-22). Le parole pronunciate da Cristo a proposito del tentatore trovano il loro compimento storico nella croce e nella risurrezione del Redentore. Come leggiamo nella Lettera agli Ebrei, Cristo si è fatto partecipe dell’umanità fino alla croce “per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo . . . e liberare così quelli che . . . erano tenuti in schiavitù” (He 2,14-15). Questa è la grande certezza della fede cristiana: “il principe di questo mondo è stato giudicato” (Jn 16,11); “il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1Jn 3,8), come ci attesta san Giovanni. Dunque il Cristo crocifisso e risorto si è rivelato come quel “più forte” che ha vinto “l’uomo forte”, il diavolo, e lo ha spodestato.

Alla vittoria di Cristo sul diavolo partecipa la Chiesa: Cristo, infatti, ha dato ai suoi discepoli il potere di cacciare i demoni (cfr Mt 10,1 par. Mc 16,17). La Chiesa esercita tale potere vittorioso mediante la fede in Cristo e la preghiera (cfr Mc 9,29 Mt 17,19-20), che in casi specifici può assumere la forma dell’esorcismo.

3. In questa fase storica della vittoria di Cristo si inscrive l’annuncio e l’inizio della vittoria finale, la parusia, la seconda e definitiva venuta di Cristo alla conclusione della storia, verso la quale è proiettata la vita del cristiano. Anche se è vero che la storia terrena continua a svolgersi sotto l’influsso di “quello spirito che - come dice san Paolo - ora opera negli uomini ribelli” (Ep 2,2), i credenti sanno di essere chiamati a lottare per il definitivo trionfo del Bene: “la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ep 6,12).

4. La lotta, man mano che se ne avvicina il termine, diventa in certo senso sempre più violenta, come mette in rilievo specialmente l’Apocalisse, l’ultimo libro del Nuovo Testamento (cfr Ap 12,7-9). Ma proprio questo libro accentua la certezza che ci è data da tutta la rivelazione divina: che cioè la lotta si concluderà con la definitiva vittoria del bene. In quella vittoria, precontenuta nel mistero pasquale di Cristo, si adempirà definitivamente il primo annuncio del Libro della Genesi, che con termine significativo è detto protoevangelo, quando Dio ammonisce il serpente: “Io porrò inimicizia tra te e la donna” (Gn 3,15). In quella fase definitiva Dio, completando il mistero della sua paterna Provvidenza, “libererà dal potere delle tenebre” coloro che ha eternamente “predestinati in Cristo” e li “trasferirà nel regno del suo Figlio diletto” (cfr Col 1,13-14). Allora il Figlio sottometterà al Padre anche l’intero universo, affinché “Dio sia tutto in tutti” (1Co 15,28).

5. Qui si concludono le catechesi su Dio Creatore delle “cose visibili e invisibili”, unite nella nostra impostazione con la verità sulla divina Provvidenza. Appare evidente agli occhi del credente che il mistero dell’inizio del mondo e della storia si ricollega indissolubilmente col mistero del termine, nel quale la finalità di tutto il creato raggiunge il suo compimento. Il Credo, che unisce così organicamente tante verità, è veramente la cattedrale armoniosa della fede.

In maniera progressiva e organica abbiamo potuto ammirare stupefatti il grande mistero dell’intelligenza e dell’amore di Dio, nella sua azione creatrice, verso il cosmo, verso l’uomo, verso il mondo degli spiriti puri. Di tale azione abbiamo considerato la matrice trinitaria, la sapiente finalizzazione alla vita dell’uomo, vera “immagine di Dio”, a sua volta chiamato a ritrovare pienamente la sua dignità nella contemplazione della gloria di Dio. Abbiamo ricevuto luce su uno dei massimi problemi che inquietano l’uomo e pervadono la sua ricerca di verità: il problema della sofferenza e del male. Alla radice non sta una decisione errata o cattiva di Dio, ma la sua scelta, e in certo modo il suo rischio, di crearci liberi per averci amici. Dalla libertà è nato anche il male. Ma Dio non si arrende, e con la sua saggezza trascendente, predestinandoci ad essere suoi figli in Cristo, tutto dirige con fortezza e soavità, perché il bene non sia vinto dal male.

Dobbiamo ora lasciarci guidare dalla divina rivelazione nella esplorazione di altri misteri della nostra salvezza. Intanto abbiamo accolto una verità che deve stare a cuore di ogni cristiano: come esistano degli spiriti puri, creature di Dio, inizialmente tutte buone, e poi per una scelta di peccato, separatesi irriducibilmente in angeli di luce e in angeli di tenebre. E mentre l’esistenza degli angeli cattivi chiede a noi il senso della vigilanza per non cedere alle loro lusinghe, siamo certi che la vittoriosa potenza del Cristo Redentore circonda la nostra vita perché ne siamo noi stessi vincitori. In ciò siamo validamente aiutati dagli angeli buoni, messaggeri dell’amore di Dio, ai quali, ammaestrati dalla tradizione della Chiesa, rivolgiamo la nostra preghiera: “Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen”.

Ai pellegrini di lingua francese
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Ai pellegrini di lingua tedesca

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Ai fedeli di lingua spagnola
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Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini provenienti dalla Polonia

Ai fedeli di lingua italiana

Desidero ora rivolgere il mio saluto alle suore capitolari dell’Istituto Suore dell’Immacolata di Genova, riunite presso la Casa Generalizia di Roma per il loro capitolo elettivo, per la revisione dello statuto secondo le disposizioni del nuovo Codice di Diritto Canonico e per approfondire la conoscenza del carisma dell’Istituto. Mi compiaccio con voi e benedico il vostro impegno, con la raccomandazione di ravvivare sempre in voi la fiamma della carità che ha caratterizzato la vita del vostro fondatore.
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Saluto poi le suore Ancelle del Sacro Cuore, anch’esse presenti in Roma per il Capitolo Generale. Ad esse va il mio augurio per un confortante esito della loro riunione, insieme con l’invito a diffondere in tutti i campi dell’apostolato la devozione al Cuore di Cristo.
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Il mio pensiero va, infine, al numeroso gruppo delle suore Canossiane, Figlie della Carità, convenute un po’ da tutto il mondo, dalle loro case di Missione dell’Asia, dell’Africa e dell’America, per partecipare ad un seminario di formazione permanente.

Mi compiaccio con voi, ed a tutte imparto la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Un saluto cordiale ed affettuoso ai giovani presenti a questa Udienza. Desidero rivolgervi oggi un invito a cercare di sviluppare sempre in voi stessi un’autentica coscienza di pace. Abbiate la sincera consapevolezza che la pace è un bene prezioso e grande e che occorre un forte e costante impegno per realizzarla, seguendo con onestà e verità le vie che la costruiscono e la confermano nella società. Sappiate, perciò, trasfondere il vostro impegno per la pace nel tessuto sociale ed umano che vi riguarda, senza lasciarvi scoraggiare se lo trovate talvolta refrattario agli autentici valori della pace. Faccio voti che l’impegno per la pace sia sempre in voi sollecito, ricco di speranza, ma anche coraggioso e generoso.

Agli ammalati

Desidero salutare, altresì, i cari malati e li invito a conservare anche nei momenti della prova, fortezza d’animo e fiducia. Ricordate le parole dell’Apostolo Paolo: “Dio non permetterà che siamo tribolati oltre le nostre possibilità”. Abbiate, pertanto, fiducia nella provvida azione di grazia del Signore, che vi è vicino, vi assiste, vigila sulle vostre vicende, vi sta accanto per sostenere, con il dolore della sua Croce, la sofferenza di ogni uomo. Siate forti nello spirito, consapevoli come siete che tanti doni di grazia dipendono dalla vostra capacità di rendervi, presso Dio, interpreti, nella preghiera e nella sofferenza, delle necessità dei fratelli.

Vi conforti e vi sostenga la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Saluto anche le giovani coppie di sposi novelli, ai quali rivolgo il mio più fervido augurio per un felice avvenire delle loro famiglie, iniziate con la benedizione di Dio nel Sacramento del matrimonio.

Sia la carità di Cristo la regola fondamentale della vita in famiglia, lo spunto costante del vostro amore più autentico. La vostra carità si ispiri, nella fede, al modello di Gesù Cristo. Essa sia aperta, premurosa e generosa in tutte le situazioni difficili, che rendono l’uomo bisognoso di attenzione, di affetto e di delicata premura. Sia la carità cristiana la virtù che voi insegnerete ai figli con attenta e peculiare pedagogia, facendo loro comprendere che essa è il vertice di ogni altra virtù. Fate in modo che la famiglia sia una scuola costante, valida, efficace della virtù soprannaturale dell’amore.

Su tutti voi la mia cordiale Benedizione.




Mercoledì, 27 agosto 1986

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1. Dopo le catechesi su Dio Uno e Trino, Creatore e Provvidente, Padre e Signore dell’universo, apriamo un’altra serie di catechesi su Dio Salvatore.

Il punto fondamentale di riferimento anche delle presenti catechesi è costituito dai Simboli della fede, soprattutto da quello più antico, che viene chiamato il Simbolo apostolico, e da quello detto niceno-costantinopolitano. Essi sono anche i Simboli più conosciuti e più usati nella Chiesa, specialmente nelle “preghiere del cristiano” il primo, e nella liturgia il secondo. Ambedue i testi hanno un’analoga disposizione di contenuto, nella quale è caratteristico il passaggio dagli articoli che parlano di Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili, a quelli che parlano di Gesù Cristo.

Il Simbolo apostolico è conciso: (io credo) “in Gesù Cristo, suo unico Figlio (di Dio), nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine . . .”, ecc.

Il Simbolo niceno-costantinopolitano amplia invece notevolmente la professione di fede nella divinità di Cristo, Figlio di Dio, “nato dal Padre prima di tutti i secoli . . . generato, non creato, consostanziale al Padre”, il quale - ed ecco il passaggio al mistero dell’incarnazione del Verbo - “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. E a questo punto entrambi i Simboli presentano le componenti del mistero pasquale di Gesù Cristo e annunciano la sua nuova venuta per il giudizio.

Successivamente i due Simboli professano la fede nello Spirito Santo. Bisogna dunque sottolineare che la loro struttura essenziale è Trinitaria: Padre-Figlio-Spirito Santo. Al tempo stesso in essi sono inscritti gli elementi salienti di ciò che costituisce l’azione “all’esterno” (“ad extra”) della santissima Trinità: perciò parlano prima del mistero della creazione (del Padre creatore) e in seguito dei misteri della redenzione (del Figlio redentore) e della santificazione (dello Spirito Santo e santificatore).

2. Ecco perché seguendo i Simboli, dopo il ciclo delle catechesi concernenti il mistero della creazione, o meglio, concernenti Dio come creatore di ogni cosa, passiamo ora a un ciclo di catechesi che riguardano il mistero della redenzione, o meglio, Dio come redentore dell’uomo e del mondo. E saranno le catechesi su Gesù Cristo (cristologia), poiché l’opera della redenzione, anche se appartiene (come anche l’opera della creazione) a Dio Uno e Trino, è stata realizzata nel tempo da Gesù Cristo, Figlio di Dio che si è fatto uomo per salvarci.

Osserviamo subito che in quest’ambito del mistero della redenzione, la cristologia si colloca sul terreno dell’“antropologia” e della storia. Infatti il Figlio consostanziale al Padre, che per opera dello Spirito Santo si fa uomo nascendo dalla Vergine Maria, entra nella storia dell’umanità nel contesto di tutto il cosmo creato. Si fa uomo “per noi uomini (“propter nos homines”) e per la nostra salvezza” (“et propter nostram salutem”). Il mistero dell’Incarnazione (“et incarnatus est”) è visto dai Simboli in funzione della redenzione. Secondo la rivelazione e la fede della Chiesa, esso ha dunque un senso salvifico (soteriologia).

3. Per questa ragione i Simboli, nel collocare il mistero dell’Incarnazione salvifica nello scenario della storia, toccano la realtà del male, e in primo luogo quella del peccato. Salvezza infatti significa innanzitutto liberazione dal male e, in particolare, liberazione dal peccato, anche se ovviamente la portata del termine non si riduce a ciò, ma abbraccia la ricchezza della vita divina che Cristo ha portato all’uomo. Secondo la rivelazione, il peccato è il male principale e fondamentale perché in esso è contenuto il rifiuto della volontà di Dio, della verità e della santità di Dio, della sua paterna bontà, quale si è rivelata già nell’opera della creazione, e soprattutto nella creazione degli esseri razionali e liberi, fatti “a immagine e somiglianza” del Creatore. Proprio questa “immagine e somiglianza” viene usata contro Dio, quando l’essere razionale con la propria libera volontà respinge la finalità dell’essere e del vivere che Dio ha stabilito per la creatura. Nel peccato è dunque contenuta una deformazione particolarmente profonda del bene creato, specialmente in un essere, che, come l’uomo, è immagine e somiglianza di Dio.

4. Il mistero della redenzione è, nella sua stessa radice, congiunto di fatto con la realtà del peccato dell’uomo. Perciò, nello spiegare con una catechesi sistematica gli articoli dei Simboli che parlano di Gesù Cristo, nel quale e per il quale Dio ha operato la salvezza, dobbiamo affrontare innanzitutto il tema del peccato, questa realtà oscura diffusa nel mondo creato da Dio, che è alla radice di tutto il male nell’uomo e si può dire nel creato. Solo su questa via è possibile capire pienamente il significato del fatto che, secondo la rivelazione, il Figlio di Dio si è fatto uomo “per noi uomini” e “per la nostra salvezza”. La storia della salvezza presuppone “de facto” l’esistenza del peccato nella storia dell’umanità, creata da Dio. La salvezza, di cui parla la divina rivelazione, è prima di tutto la liberazione da quel male che è il peccato. Questa è verità centrale nella soteriologia cristiana: “propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis”.

E qui dobbiamo osservare che, in considerazione della centralità della verità sulla salvezza in tutta la rivelazione divina e, in altre parole, in considerazione della centralità del mistero della redenzione, anche la verità sul peccato rientra nel nucleo centrale della fede cristiana. Sì, peccato e redenzione sono termini correlativi nella storia della salvezza. Bisogna dunque riflettere prima di tutto sulla verità del peccato per poter dare giusto senso alla verità della redenzione operata da Gesù Cristo, che professiamo nel Credo. Si può dire che è la logica ulteriore della rivelazione e della fede, espressa nei Simboli, che ci impone di occuparci in queste catechesi innanzitutto del peccato.

5. A questo tema siamo stati preparati in un certo grado dal ciclo delle catechesi sulla divina Provvidenza. “Tutto ciò che ha creato, Dio lo conserva e lo dirige con la sua Provvidenza” come insegna il Concilio Vaticano I, che cita il libro della Sapienza: “estendendosi da un confine all’altro con forza e governando con bontà ogni cosa” (cfr Sap
Sg 8,1) (DS 3003).

Nell’affermare questa cura universale delle cose, che Dio conserva e conduce con mano potente e con tenerezza di Padre, quel Concilio precisa che la Provvidenza divina abbraccia in modo particolare tutto ciò che gli esseri razionali e liberi introducono nell’opera della creazione. Ora si sa che ciò consiste in atti delle loro facoltà, che possono essere conformi o contrari alla Volontà divina; dunque anche il peccato.

Come si vede, la verità sulla divina Provvidenza ci permette di vedere anche il peccato in una giusta prospettiva. Ed è in questa luce che i Simboli ci aiutano a considerarlo. In realtà, diciamolo fin dalla prima catechesi sul peccato, i Simboli di fede toccano appena questo tema. Ma proprio per questo ci suggeriscono di esaminare il peccato dal punto di vista del mistero della redenzione, nella soteriologia. E allora possiamo subito aggiungere che se la verità sulla creazione, e ancor più quella sulla divina Provvidenza, ci permette di accostarci al problema del male e specialmente del peccato con chiarezza di visione e precisione di termini in base alla rivelazione dell’infinita bontà di Dio, la verità sulla redenzione ci farà confessare con l’Apostolo: “Ubi abundavit delictum, superabundavit gratia: Laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20), perché ci farà meglio scoprire la misteriosa conciliazione, in Dio, della giustizia e della misericordia, che sono le due dimensioni di quella sua bontà. Possiamo dunque dire fin d’ora che la realtà del peccato diventa, alla luce della redenzione, l’occasione per una conoscenza più profonda del mistero di Dio: di Dio che è amore (1Jn 4,16).

La fede si pone così in attento dialogo con le tante voci della filosofia, della letteratura, delle grandi religioni, che non poco trattano delle radici del male e del peccato, e spesso anelano a una luce di redenzione. È proprio su questo comune terreno che la fede cristiana intende portare a favore di tutti la verità e la grazia della divina rivelazione.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

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Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli provenienti dalla Polonia

Ai numerosi pellegrini italiani

Desidero ora porgere il mio saluto al numeroso gruppo delle Religiose che partecipano alla diciottesima Settimana Biblica Nazionale, organizzata dall’Associazione Biblica Italiana, sul tema delle lettere di San Paolo ai Galati ed ai Romani. Mi compiaccio con voi e desidero sottolineare l’importanza e l’utilità, per lo spirito religioso, di questi corsi di riflessione ed aggiornamento sulla Parola di Dio.
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Il mio pensiero va, poi, agli alunni del Seminario di Bergamo, i quali, con i loro Superiori, sono venuti a Roma per riflettere, quasi in una tappa del loro itinerario di formazione, sulla loro fede e sulla loro dedizione verso la Sede di Pietro. Auguro a tutti di perseverare nel grande cammino intrapreso seguendo la chiamata del Signore.
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Saluto, quindi, i membri della Associazione Italiana Canto Gregoriano, con il Coro dell’Assunzione, impegnati nella diffusione della conoscenza del canto antico ed ufficiale della Chiesa. Faccio voti per un felice esito delle loro manifestazioni corali.
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Saluto infine il gruppo delle Suore delle Poverelle del beato Palazzolo di Bergamo, qui presenti con le loro Superiore Maggiori, per celebrare il venticinquesimo di professione religiosa.

A tutti il mio cordiale augurio di serena prosperità e la mia Benedizione.

Ai giovani

Carissimi giovani!

Porgo a voi tutti il mio affettuoso saluto e vi esprimo la mia grande gioia per la vostra presenza ed il vostro entusiasmo.

Oggi la Liturgia ricorda Santa Monica, la madre di Sant’Agostino la cui festa sarà celebrata domani. Sono lieto di dirvi che proprio ieri è stata pubblicata una mia “Lettera Apostolica” che commemora il sedicesimo centenario della conversione al Cristianesimo di questo grande Santo e del suo Battesimo da lui ricevuto a Milano per mano di Sant’Ambrogio. Nel prossimo anno ricorrerà il medesimo centenario della morte di Santa Monica avvenuta ad Ostia, mentre era in procinto di salpare per l’Africa. Essa lasciò la terra dopo aver provato l’immensa gioia del ritorno alla fede del figlio, da lei tanto amato e sempre seguito con ansia materna e cristiana nelle sue complesse vicende. Mentre invoco su di voi, cari giovani, l’intercessione di Santa Monica e di Sant’Agostino, vi esorto a pregarli ed a leggere o a rileggere, le stupende pagine delle “Confessioni” che illustrano la vita e la spiritualità della Santa che oggi onoriamo.

Agli ammalati

Carissimi ammalati!

Anche a voi, e soprattutto a voi, e ai vostri familiari e accompagnatori, giunga la mia parola di saluto, di affetto, di conforto, di incoraggiamento alla fiducia nel Signore. Saluto in particolare il numeroso gruppo proveniente da Macerata per ricordare il cinquantesimo anniversario di fondazione della sottosezione della UNITALSI in quella diocesi.

La vostra partecipazione all’Udienza infonda nei vostri animi tanta serenità e forza di accettare sempre con pazienza la volontà di Dio. Pensate a Santa Monica! Quante sofferenze essa patì e quante pene sopportò, prima per il marito Patrizio e poi per il figlio Agostino! Ma alla fine ebbe la suprema consolazione di vederli tutti e due convertiti all’unica vera fede cattolica. Lo stesso Sant’Agostino confessò: “La mia salvezza fu concessa alla lacrime sincere che tutti i giorni mia madre versava”. Grazie a Santa Monica, la Chiesa annovera tra i suoi santi Agostino, sommo filosofo, teologo, letterato!

Abbiate fiducia anche voi nel valore delle vostre sofferenze! Il vostro dolore unito alla Passione redentrice di Cristo, è fonte di salvezza, causa di conversione, stimolo di perseveranza! Tutti vi benedico di cuore.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli!

Sono molto lieto di rivolgervi il mio saluto e il mio augurio. Siete venuti in pellegrinaggio al sepolcro di Pietro ed a questa Udienza per incominciare il vostro cammino coniugale in perfetta sintonia con la Santa Chiesa, nella sublime prospettiva del matrimonio che è perfezione reciproca e mutuo impegno di santificazione. Benedico con grande affetto i vostri propositi e vi esorto alla fervorosa perseveranza mediante la preghiera e l’Eucaristia. Santa Monica aiuti anche voi a comprendere e a vivere sempre più e sempre meglio i supremi valori della fede, che donano la vera gioia interiore, pur nelle eventuali avversità della vita, e spingono a sentimenti di bontà e di carità.

Siate sempre sereni e felici, nella grazia di Dio! Con la mia Benedizione.




Mercoledì, 3 settembre 1986

30986

1. Se i Simboli di fede sono molto parchi nel parlare del peccato, nella Sacra Scrittura invece il termine e il concetto di “peccato” sono tra quelli che vengono ripetuti con maggior frequenza. Ciò prova che la Sacra Scrittura è, sì, il libro di Dio e su Dio, ma è anche un grande libro sull’uomo, preso così com’è nella sua condizione esistenziale quale risulta dall’esperienza. Il peccato infatti appartiene all’uomo e alla sua storia: si cercherebbe invano di ignorarlo o di dare a questa realtà oscura altri nomi, altre interpretazioni, come è avvenuto sulla scia dell’illuminismo e del secolarismo. Se si ammette il peccato, si riconosce al tempo stesso un profondo legame dell’uomo con Dio, poiché al di fuori di questo rapporto uomo-Dio, il male del peccato non appare nella sua vera dimensione, pur continuando ovviamente ad essere presente nella vita dell’uomo e nella storia. Il peccato tanto più pesa sull’uomo come una realtà oscura e nefasta quanto meno viene conosciuto e riconosciuto, quanto meno viene identificato nella sua essenza di rifiuto e opposizione di fronte a Dio. Soggetto e artefice di questa scelta è naturalmente l’uomo, che può respingere il dettame della propria coscienza anche senza riferirsi espressamente a Dio; ma questo suo gesto insano e nefasto acquista tutto il suo significato negativo solo se visto sullo sfondo del rapporto dell’uomo con Dio.

2. Per questo nella Sacra Scrittura il primo peccato è descritto nel contesto del mistero della creazione. In altre parole: il peccato commesso all’inizio della storia umana è presentato sullo sfondo della creazione, ossia dell’elargizione dell’esistenza da parte di Dio. L’uomo, nel contesto del mondo visibile, riceve in dono l’esistenza come “immagine e somiglianza di Dio”, ossia a livello di essere razionale, dotato di intelligenza e volontà: e a un tale livello di elargizione creatrice da parte di Dio si spiega meglio anche l’essenza del peccato dell’“inizio”, come scelta compiuta dall’uomo col cattivo uso di tali facoltà.

Va da sé che qui non parliamo dell’inizio della storia così com’esso è descritto - ipoteticamente - dalla scienza, ma dell’“inizio” quale appare attraverso le pagine della Scrittura, Questa scopre in tale “inizio” l’origine del male morale, di cui l’umanità fa l’incessante esperienza e lo identifica come “peccato”.

3. Il Libro della Genesi, nel primo racconto dell’opera della creazione (
Gn 1,1-28, che è cronologicamente posteriore al racconto di Gn 2,4-15), mette in rilievo l’originale “bontà” di tutto il creato, e in particolare la “bontà” dell’uomo, creato da Dio come “maschio e femmina” (Gn 1,27). Varie volte nella descrizione della creazione viene inserita la constatazione; “Dio vide che era cosa buona”, e infine, dopo la creazione dell’uomo: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,12 Gn 1,18 Gn 1,21 Gn 1,25 Gn 1,31). Poiché si tratta dell’essere creato a immagine di Dio, cioè razionale e libero, la frase indica la “bontà” che è propria di un tale essere secondo il disegno del Creatore.

4. Qui si fonda la verità di fede, insegnata dalla Chiesa, circa l’innocenza originale dell’uomo, la sua giustizia originale, quale risulta dalla descrizione che la Genesi fa dell’uomo uscito dalle mani di Dio e vivente in piena familiarità con lui; anche il libro di Qoelet (Qo 7,29) dice che “Dio ha fatto l’uomo retto”. Se il Concilio di Trento insegna che il primo Adamo perdette la santità e giustizia in cui era stato costituito (DS 1511), ciò vuol dire che prima del peccato all’uomo apparteneva la grazia santificante con tutti i doni soprannaturali che rendono l’uomo “giusto” davanti a Dio. Con espressione sintetica tutto ciò può essere espresso dicendo che, all’inizio, l’uomo era in amicizia con Dio.

5. Alla luce della Bibbia, lo stato dell’uomo prima del peccato appare come una condizione di perfezione originale, espressa in qualche modo nell’immagine del “paradiso”, che ci offre la Genesi. Se ci chiediamo quale fosse la sorgente di questa perfezione, la risposta è che essa si trovava soprattutto nell’amicizia con Dio mediante la grazia santificante, e in quegli altri doni, chiamati in linguaggio teologico “preternaturali”, che vennero perduti mediante il peccato. Grazie a tali doni divini l’uomo, che si trovava congiunto in amicizia e armonia col suo Principio, possedeva e manteneva in se stesso l’equilibrio interiore né era angustiato dalla prospettiva del decadimento e della morte. Il “dominio” sul mondo, che Dio aveva dato all’uomo sin dall’inizio, si realizzava prima di tutto nell’uomo stesso come dominio di sé. E in questo autodominio ed equilibrio si aveva l’“integrità” dell’esistenza, nel senso che l’uomo era intatto e ordinato in tutto il suo essere perché libero dalla triplice concupiscenza, che lo piega ai piaceri dei sensi, alla cupidigia dei beni terreni e all’affermazione di sé contro i dettami della ragione.

Per questo vi era ordine anche nel rapporto con l’altro, in quella comunione e intimità che rende felici: come nel rapporto iniziale tra uomo e donna, Adamo ed Eva, prima coppia e anche primo nucleo della società umana. Molto eloquente da questo punto di vista sembra essere quella breve frase della Genesi “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna” (Gn 2,25).

6. La presenza della giustizia originale e della perfezione nell’uomo, creato a immagine di Dio, che conosciamo dalla rivelazione, non escludeva che quest’uomo, come creatura dotata di libertà, fosse sottoposto, come gli altri esseri spirituali, sin dall’inizio alla prova della libertà! La stessa rivelazione che ci fa conoscere lo stato di giustizia originale dell’uomo prima del peccato, in forza della sua amicizia con Dio, da cui derivava la felicità dell’esistere, ci mette al corrente della prova fondamentale riservata all’uomo, e nella quale egli fallì.

7. Nella Genesi questa prova viene descritta sotto forma di divieto di mangiare i frutti “dell’albero della conoscenza del bene e del male”. Ecco il testo: “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene del male non devi mangiare; perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti»” (Gn 2,16-17). Ciò significa che il Creatore, sin dall’inizio, si rivela a un essere razionale e libero come il Dio dell’alleanza e quindi dell’amicizia e della gioia, ma anche come fonte del bene e quindi della distinzione del bene e del male nel senso morale.

L’albero della conoscenza del bene e del male richiama simbolicamente al limite invalicabile che l’uomo, in quanto creatura, deve riconoscere e rispettare. L’uomo dipende dal Creatore ed è soggetto alle leggi, sulle quali il Creatore ha costituito l’ordine del mondo da lui creato, l’essenziale ordine dell’esistenza (ordo rerum); e quindi anche alle norme morali che regolano l’uso della libertà. La prova primordiale è dunque indirizzata alla libera volontà dell’uomo, alla sua libertà. Chissà se l’uomo confermerà con la sua condotta il fondamentale ordine della creazione e riconoscerà la verità di essere egli stesso creato? la verità della dignità che gli è propria quale immagine di Dio, ma anche la verità del suo limite creaturale?

Purtroppo conosciamo l’esito della prova; l’uomo fallì. È la rivelazione a dircelo. Essa tuttavia ci dà questa triste notizia nel contesto della verità della redenzione, così da consentirci di guardare con fiducia al nostro misericordioso Creatore e Signore.

Ai pellegrini francesi

Ai gruppi di espressione inglese

Ai pellegrini tedeschi

Ad alcuni gruppi di lingua spagnola

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Ai numerosi pellegrini di lingua portoghese


Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Mi è gradito salutare i sacerdoti ed i religiosi degli Istituti Missionari Italiani, che sono temporaneamente riuniti a Roma per un corso di aggiornamento sul tema “Dialogo tra il Messaggio cristiano e le culture”.

Il lavoro, a cui attenderete in questi giorni, merita incoraggiamento, perché voi volete servire sempre meglio la Chiesa, comunicando la salvezza di Cristo secondo modalità sempre più consone alle necessità del vostro ministero, a favore degli uomini del nostro tempo.

Invocando su di voi i doni dello Spirito Santo, vi accompagno con l’Apostolica Benedizione.
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Ed ora una parola di saluto ai rappresentanti del Comitato Antiblasfemo dei Ferrovieri d’Italia. Mentre manifesto il mio apprezzamento per l’impegno che ponete nell’onorare il nome di Dio, e a farlo rispettare nel vostro ambiente di lavoro ed ovunque vi troviate a vivere, vi esorto a dare la vostra testimonianza di fede e di coerenza con sempre grande fermezza e buona volontà. Il Signore vi assisterà certo in quest’opera, oggi tanto necessaria.

Di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Rivolgo ora un cordiale saluto ai ragazzi ed ai giovani qui presenti. Carissimi, in questo giorno in cui veneriamo il Papa San Gregorio Magno, il cui corpo riposa nella Basilica di San Pietro, mi è caro leggervi un suo pensiero, tratto da un commento alla parabola degli operai della vigna: “Siccome - egli dice - alcuni giungono alla vita buona nella fanciullezza, altri nell’adolescenza, o nella giovinezza, o nella vecchiaia, o nell’ultima età, si dice che gli operai sono chiamati alla vigna in ore diverse. Esaminate quindi, o fratelli, la vostra vita, e chiedetevi se siete già operai di Dio. Ciascuno ponga in esame le sue azioni e cerchi di vedere se lavora nella vigna di Dio”. Faccio miei tali appelli e vi esorto: ricercate la via della vera vita! Siate sempre i buoni operai del Signore! Sulla risposta concreta, che saprete trovare per questi impegni, scenda propiziatrice l’Apostolica Benedizione.

Agli ammalati

Saluto poi gli ammalati e quanti li accompagnano, dando loro un sincero ed affettuoso benvenuto. Saluto in particolare il gruppo accompagnato dalla Associazione “Cerchio Aperto” di Cagliari e il gruppo proveniente dalla Parrocchia San Giacomo Maggiore in Gela.

San Gregorio è detto “il grande” per la sua eccezionale attività di pastore, padre e maestro di fede in tempi assai difficili per la società e la Chiesa: una “grandezza” nata dalla cura incessante e sofferta, spiritualmente e fisicamente, che attingeva forza e vigore dalla fiducia appassionata e viva nel Cristo. Ebbene, carissimi ammalati, quanto più pesante avvertite la croce della sofferenza, tanto più intensa e certa diventa la vostra fiducia in Dio. E’ questo che fa veramente “grande” chi soffre, perché lo porta a riconoscere nel Signore l’unica vera forza dell’esistenza. Vi conceda Egli la pace che nasce da questo abbandono in Lui e vi accompagni la mia Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

Desidero, infine, esprimere il mio sincero augurio agli Sposi Novelli. Chiamati da Dio a trasmettere la vita fisica, dovete impegnarvi, carissimi Sposi, a ricambiare un così grande dono, generandoLo con la fede e l’amore, proprio come osserva San Gregorio: “Fa nascere il Signore colui che lo comunica al cuore di chi ascolta. Diventa madre di Lui quando nell’anima del prossimo scaturisce l’amore di Dio portato dalla sua parola”. Beati voi se, insieme alla vita fisica, saprete infondere nei figli che il Signore vi darà l’amore di Lui, la fede in Lui, la vera somiglianza con Lui. Questa è la vostra grande missione.

Con i più fervidi auspici per questo impegno, vi imparto la mia speciale Benedizione.





Catechesi 79-2005 20886