Catechesi 79-2005 29106

Mercoledì, 29 ottobre 1986

29106

1. Nelle catechesi del presente ciclo teniamo continuamente davanti agli occhi la verità sul peccato originale, e nello stesso tempo cerchiamo di guardare la realtà del peccato nella dimensione globale della storia dell’uomo. L’esperienza storica conferma a suo modo ciò che è espresso dalla rivelazione: nella vita dell’uomo il peccato è costantemente presente, costantemente attuale. Dal lato dell’umana conoscenza esso è presente come il male morale, di cui in modo più diretto si occupa l’etica (filosofia morale). Ma a modo loro se ne occupano anche altri rami della scienza antropologica di carattere più descrittivo, come la psicologia e la sociologia. Una cosa è certa: il male morale (così come il bene) appartiene all’esperienza umana, e da qui partono per studiarlo tutte quelle discipline che intendono accedervi come ad oggetto dell’esperienza.

2. Al tempo stesso però bisogna constatare che, al di fuori della rivelazione, non siamo in grado di percepire pienamente né di esprimere adeguatamente l’essenza stessa del peccato (ossia del male morale come peccato). Solo sullo sfondo del rapporto instaurato con Dio mediante la fede diventa comprensibile la realtà totale del peccato. Alla luce di tale rapporto cerchiamo dunque di sviluppare e di approfondire questa comprensione.

Se si tratta della rivelazione e prima di tutto della Sacra Scrittura, non si può presentare la verità sul peccato in essa contenuta, se non tornando all’“inizio” stesso. In un certo senso anche il peccato “attuale”, appartenente alla vita di ogni uomo, diventa pienamente comprensibile in riferimento a quell’“inizio”, a quel peccato del primo uomo. E non solo perché quello che il Concilio di Trento chiama “fonte del peccato” (“fomes peccati”), conseguenza del peccato originale, è nell’uomo la base e la fonte dei peccati personali. Ma anche perché quel “primo peccato” dei progenitori rimane in una certa misura il “modello” di ogni peccato commesso dall’uomo personalmente. Il “primo peccato” era in se stesso anche un peccato personale: perciò i singoli elementi della sua “struttura” si ritrovano in qualche modo in ogni altro peccato dell’uomo.

3. Il Concilio Vaticano II ricorda: “Costituito da Dio in uno stato di santità, l’uomo però, tentato dal maligno . . . abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio” (Gaudium et Spes
GS 13). Con queste parole il Concilio tratta del peccato dei progenitori commesso nello stato di giustizia originale. Ma anche in ogni peccato commesso da qualsiasi altro uomo lungo la storia, nello stato di fragilità morale ereditaria, si riflettono quegli stessi elementi essenziali. In ogni peccato infatti, inteso come atto personale dell’uomo, è contenuto un particolare “abuso della libertà”, cioè un cattivo uso della libertà, della libera volontà. L’uomo, come essere creato, abusa della libertà della sua volontà quando l’adopera contro la volontà del proprio Creatore, quando nel suo comportamento “si erige contro Dio”, quando cerca “di conseguire il suo fine al di fuori di Dio”.

4. In ogni peccato dell’uomo si ripetono gli elementi essenziali, che sin dall’inizio costituiscono il male morale del peccato alla luce della verità rivelata su Dio e sull’uomo. Si presentano in un grado di intensità diverso da quello del primo peccato, commesso nello stato di giustizia originale. I peccati personali, commessi dopo il peccato originale, sono condizionati dallo stato di inclinazione ereditaria al male (“fomite del peccato”), in un certo senso già al punto stesso di partenza. Tuttavia tale situazione di debolezza ereditaria non cancella la libertà dell’uomo, e perciò in ogni peccato attuale (personale) è contenuto un vero abuso della libertà contro la volontà di Dio. Il grado di questo abuso, come si sa, può variare, e di qui dipende anche il diverso grado di colpa di colui che pecca. In questo senso bisogna applicare una diversa misura per i peccati attuali, quando si tratta di valutare il grado del male in essi contenuto. Di qui anche proviene la differenza tra peccato “grave” e peccato “veniale”. Se il peccato grave è contemporaneamente “mortale”, è perché causa la perdita della grazia santificante in colui che lo commette.

5. San Paolo, parlando del peccato di Adamo, lo descrive come “disobbedienza” (cfr Rm 5,19): quanto affermato dall’Apostolo vale anche di ogni peccato “attuale” che l’uomo commette. L’uomo pecca trasgredendo il comandamento di Dio, dunque è “disobbediente” verso Dio come Legislatore supremo. Questa disobbedienza, alla luce della rivelazione, è al tempo stesso rottura dell’alleanza con Dio. Dio, quale lo conosciamo dalla rivelazione, è infatti il Dio dell’alleanza e proprio come Dio dell’alleanza è Legislatore. Inserisce infatti la sua legge nel contesto dell’alleanza con l’uomo, rendendola condizione fondamentale dell’alleanza stessa.

6. Così già era in quell’alleanza originale, che, come leggiamo nella Genesi, fu violata “all’inizio”. Ma ciò appare ancora più chiaro nel rapporto del Signore Dio verso Israele ai tempi di Mosè. L’alleanza stretta col popolo eletto sotto il monte Sinai (cfr Ex 24,3-8), ha in sé come sua parte costitutiva i Comandamenti: il Decalogo (cfr Ex 20 Dt 5). Essi costituiscono i principi fondamentali e inalienabili di comportamento di ogni uomo nei riguardi di Dio e nei riguardi delle creature, prima fra queste l’uomo.

7. Secondo l’insegnamento contenuto nella Lettera di san Paolo ai Romani, tali principi fondamentali e inalienabili di condotta, rivelati nel contesto dell’alleanza del Sinai, in realtà sono “scritti nel cuore” di ogni uomo, anche indipendentemente dalla rivelazione fatta a Israele. Scrive infatti l’Apostolo: “Quando i pagani, che non hanno legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono” (Rm 2,14-15).

Dunque l’ordine morale, convalidato da Dio con la rivelazione della legge nell’ambito dell’alleanza, ha già consistenza nella legge “scritta nei cuori”, anche al di fuori dei confini segnati dalla legge mosaica e dalla rivelazione: si può dire che è inscritto nella stessa natura razionale dell’uomo, come spiega in modo eccellente san Tommaso quando parla della “lex naturae” (Summa Theol., I-II 91,2 I-II 94,5-6). L’adempimento di questa legge determina il valore morale degli atti dell’uomo, fa sì che essi siano buoni. Invece la trasgressione della legge “scritta nei cuori”, cioè nella stessa natura razionale dell’uomo, fa sì che gli atti umani siano cattivi. Sono cattivi perché si oppongono all’ordine oggettivo della natura umana e del mondo, dietro il quale sta Dio, suo Creatore. Perciò anche in questo stato di coscienza morale illuminato dai principi della legge naturale, un atto moralmente cattivo è peccato.

8. Alla luce della legge rivelata il carattere del peccato viene messo ancora maggiormente in risalto. L’uomo possiede allora una maggiore consapevolezza di trasgredire una legge esplicitamente e positivamente stabilita da Dio. Ha dunque anche la consapevolezza di opporsi alla volontà di Dio, e, in questo senso, di “disobbedire”. Non si tratta solo della disobbedienza verso un principio astratto di comportamento, ma verso il principio nel quale prende forma l’autorità “personale” di Dio: verso un principio nel quale si esprimono la sua sapienza e la sua Provvidenza. Tutta la legge morale è dettata da Dio a motivo della sua sollecitudine per il vero bene della creazione, e in particolare per il bene dell’uomo. Proprio questo bene è stato inscritto da Dio nell’alleanza, da lui stretta con l’uomo: sia nella prima alleanza con Adamo, sia nell’alleanza del Sinai, per il tramite di Mosè e, da ultimo, in quella definitiva, rivelata in Cristo e stretta nel sangue della sua redenzione (cf. Mc 14,24 Mt 26,28 1Co 11,25 Lc 22,20).

9. Visto su questo sfondo, il peccato come “disobbedienza” alla legge si manifesta meglio nel suo carattere di “disobbedienza” verso Dio personale: verso Dio come Legislatore, il quale è nello stesso tempo Padre che ama. Questo messaggio, già espresso profondamente nell’Antico Testamento (cf. Os Os 11,1-7), troverà la sua enunciazione più piena nella parabola del figlio prodigo (cf. Lc 15,18-21). In ogni caso la disobbedienza a Dio, cioè l’opposizione alla sua volontà creatrice e salvifica, includente il desiderio dell’uomo “di conseguire il suo fine al di fuori di Dio”, è un “abuso della libertà” (Gaudium et Spes GS 13).

10. Quando Gesù Cristo, il giorno prima della sua passione, parla del “peccato” di cui lo Spirito Santo deve “convincere il mondo”, spiega l’assenza di questo peccato con le parole: “Perché non credono in me” (Jn 16,9). Quel “non credere” a Dio è in un certo senso la prima fondamentale forma del peccato, che l’uomo commette contro il Dio dell’alleanza. Questa forma di peccato si era già manifestata nel peccato originale, di cui si parla in Gen 3. Ad essa si riferiva, per escluderla, anche la legge data nell’alleanza del Sinai: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me” (Ex 20,2-3). Ad essa si riferiscono anche le parole di Gesù nel cenacolo e tutto il Vangelo e il Nuovo Testamento.

11. Questa incredulità, questa mancanza di fiducia in Dio che si è rivelato come Creatore, Padre e Salvatore, indicano che, peccando, l’uomo non solo trasgredisce il comandamento (la legge), ma realmente si “erige contro” Dio stesso, “bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio”. In questo modo alla radice di ogni peccato attuale possiamo trovare il riflesso, forse lontano ma non meno reale, di quelle parole che sono alla base del primo peccato: le parole del tentatore, che presentavano la disobbedienza verso Dio come via per essere come Dio; e per conoscere, come Dio, “il bene e il male”.

Ma come abbiamo detto, anche nel peccato attuale, quando si tratta di peccato grave (mortale), l’uomo sceglie se stesso contro Dio, sceglie la creazione contro il Creatore, respinge l’amore del Padre così come il figlio prodigo nella prima fase della sua folle avventura. In una certa misura ogni peccato dell’uomo esprime quel “mysterium iniquitatis” (2Th 2,7), che sant’Agostino ha racchiuso nelle parole: “amor sui usque ad contemptum Dei”: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio (“De Civitate Dei”, XIV, 28: PL 41, 436).

Ai pellegrini provenienti dalla Francia

Ai fedeli di espressione linguistica inglese

Ad un gruppo di giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini della diocesi di Urawa e membri del gruppo del Tempio Kozanji di Kyoto.

Preghiamo tutti affinché il nostro comune desiderio giunga fino al Cielo e affinché si stabilisca la pace nel mondo.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini provenienti da Paesi di espressione tedesca

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Ai fedeli di lingua spagnola

Ad un pellegrinaggio proveniente da diverse diocesi della Polonia

Al coro “Synkròtima Vizantinis Musikìs”

Saluto cordialmente il coro greco “Synkròtima Vizantinis Musikìs” che ha unito il suo canto di lode e di impetrazione alle voci di Oriente e di Occidente, che ad Assisi l’altro ieri si sono elevate a Dio per invocare la pace.

La nobile tradizione musicale, poetica e teologica che questo Coro ha rappresentato ad Assisi, fa parte del grande patrimonio spirituale cristiano. Ringrazio vivamente tutti i suoi componenti e auguro loro di cantare sempre la gloria di Dio con cuore fedele e con animo gioioso.

“Ho Theòs met’ymôn”.

Il Signore sia sempre con voi.

A diversi gruppi di fedeli italiani

Il mio pensiero va poi al gruppo del Rotary Club di Napoli Ovest, che celebra il centenario della sua fondazione. Formulo per il sodalizio napoletano un vivo augurio affinché tra i soci siano sempre esaltati quei valori della cultura, del bene sociale e dell’amicizia che stanno alla base del programma del Rotary.

A tutti il mio saluto e la mia Benedizione.
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Rivolgo ora un saluto ai partecipanti al Convegno “L’Espressione Latina di Roma” che hanno tenuto in questa Città il loro primo incontro nazionale, sul tema “Quali valori ricerca l’uomo contemporaneo”.

Li incoraggio nel loro impegno di promuovere lo studio della lingua e della civiltà latina, mentre esprimo loro i miei più fervidi auguri.

Ai giovani

Un saluto particolare ai giovani qui presenti. Abbiamo ancora tutti viva nell’animo l’eco del grande incontro di preghiera, che la Chiesa ha vissuto ad Assisi insieme con uomini religiosi di tutto il mondo. E sono certo che voi, cari giovai, avete seguito in modo particolare questa nobile iniziativa di pace.

Vogliate anche voi, cari giovani, sentirvi coinvolti in questo vasto movimento spirituale, per dare ad esso il vostro contributo con la chiarezza delle vostre posizioni di credenti e con la disponibilità di uomini amanti della pace. Con la mia Benedizione.

Agli ammalati

E ora a voi, cari malati, il mio pensiero pieno di affettuosa stima e di ferventi augurio per la vostra salute. Con voi saluto le persone che vi assistono, incoraggiandole nella loro sollecitudine per voi.

Vi invito ad unire le vostre sofferenze alla grande corrente di preghiera che l’altro giorno si è innalzata ad Assisi da parte di tanti uomini, i quali si sono trovati gli uni accanto agli altri nell’implorare da Dio il dono incommensurabile della pace. Ed io vi segno, cari ammalati, con la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Anche voi, sposi novelli, siate i benvenuti a questo incontro! A voi pure desidero ricordare l’importanza della straordinaria Giornata di preghiera che la Chiesa ha vissuto ad Assisi. E vi invito ad unirvi alle intenzioni di quella Giornata, con le vostre fresche energie, piene di vita. La vostra fede cristiana non si lasci abbattere dalle difficoltà. Costruite la pace nel vostro nucleo familiare, e questa pace, come un flusso benefico, riscalderà molti altri cuori! Benedico il vostro amore.



Mercoledì, 5 novembre 1986

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1. Nelle catechesi di questo ciclo sul peccato, considerato alla luce della fede, l’oggetto diretto dell’esame è il peccato attuale (personale), sempre tuttavia in riferimento al primo peccato, che ha lasciato le sue conseguenze in ogni discendente di Adamo, e che viene perciò chiamato peccato originale. In conseguenza del peccato originale gli uomini nascono in uno stato di fragilità morale ereditaria e facilmente prendono la strada dei peccati personali, se non corrispondono alla grazia offerta da Dio all’umanità, per mezzo della redenzione operata da Cristo.

Lo fa notare il Concilio Vaticano II, quando scrive, tra l’altro: “Tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da se medesimo gli assalti del male . . . Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo” (Gaudium et Spes
GS 13). In questo contesto di tensioni e di conflittualità legate alla condizione della natura umana decaduta, va collocata ogni riflessione sul peccato personale.

2. Esso ha questa caratteristica essenziale, di essere sempre l’atto responsabile di una determinata persona, un atto incompatibile con la legge morale e quindi opposto alla volontà di Dio. Che cosa comporti e includa in sé quest’atto, lo possiamo scoprire con l’aiuto della Bibbia. Già nell’Antico Testamento troviamo diverse espressioni usate per indicare i diversi momenti o aspetti della realtà del peccato alla luce della divina rivelazione. Così a volte esso viene chiamato semplicemente “il male” (“ra’”): chi commette il peccato, fa “ciò che è male agli occhi del Signore” (Dt 31,29). Perciò il peccatore, designato anche come “empio” (“rasa”) è colui che “dimentica Dio” (Ps 9,18), che “non vuole conoscere Dio” (Jb 21,14), in cui “non c’è timor di Dio” (Ps 35,2), colui che non “confida nel Signore” (Ps 31,10), anzi, colui che “disprezza Dio (Ps 9,34), ritenendo che “il Signore non vede” (Ps 94,7) e “non ne chiederà conto” (Ps 9,34). E ancora il peccatore (l’empio) è colui che non ha paura di opprimere i giusti (Ps 12,9), né di “recare torto alle vedove e agli orfani” (Ps 82,4 Ps 94,6), e neppure di “ricambiare il bene con il male” (Ps 108,2-5). L’opposto del peccatore è, nella Sacra Scrittura, l’uomo giusto (“sadiq”). Il peccato dunque è, nel senso più ampio della parola, l’ingiustizia.

3. Questa ingiustizia dalle molte forme trova la sua espressione anche nel termine “pesa’”, in cui è presente l’idea di torto recato all’altro, a colui i cui diritti sono stati violati con l’azione che costituisce appunto il peccato. La stessa parola tuttavia significa anche “ribellione” contro i superiori, tanto più grave se è rivolta contro Dio, come leggiamo nei profeti. “Ho allevato e fatto crescere i figli, ma essi si sono ribellati contro di me” (Is 1,2 cfr Is 48,8-9 Ez 2,3).

Peccato significa perciò anche “ingiustizia” Al tempo stesso questa parola, secondo la Bibbia, mette in rilievo lo stato peccaminoso dell’uomo, in quanto colpevole del peccato. Infatti, etimologicamente, esso significa “deviazione dalla giusta strada” oppure “stortura” o “deformazione”: il vero essere fuori dalla giustizia. La coscienza di questo stato di ingiustizia affiora in quella dolente confessione di Caino: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” (Gn 4,13); e in quell’altra del salmista: “Le mie iniquità hanno superato il mio capo, come carico pesante mi hanno oppresso” (Ps 37,5). La colpa - ingiustizia - comporta rottura con Dio, espressa dal termine “hata”, che etimologicamente significa “mancanza verso qualcuno”. Perciò ecco l’altra presa di coscienza del salmista: “contro te solo ho peccato!” (Ps 50,6).

4. Sempre secondo la Sacra Scrittura il peccato, per quella sua essenziale natura di “ingiustizia”, è offesa di Dio, ingratitudine per i suoi benefici, addirittura disprezzo verso la sua santissima Persona. “Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore facendo ciò che è male ai suoi occhi?” - chiede il profeta Natan a Davide dopo il suo peccato - (2S 12,9). Il peccato è pure una macchia e un’impurità. Perciò Ezechiele parla della “contaminazione” col peccato, specialmente col peccato di idolatria che spesso viene paragonato dai profeti all’“adulterio” (cfr Os Os 2,4-7). Perciò anche il salmista chiede: “Purificami con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve” (Ps 50,9).

In questo stesso contesto si possono meglio intendere le parole di Gesù nel Vangelo: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo . . . Dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose . . . contaminano l’uomo” (Mc 7,20-23 cf. Mt 15,18-20). Si deve osservare che nel lessico del Nuovo Testamento al peccato non vengono dati tanti nomi corrispondenti a quelli dell’Antico: viene chiamato soprattutto con la parola greca “anomía” (iniquità,ingiustizia,opposizione al regno di Dio; cf. Mc 7,23 Mt 13,41 Mt 24,12 1Jn 3,4). Inoltre con la parola “amartía” (errore, mancanza); oppure con “opheilema” (debito; “rimetti a noi i nostri debiti . . .” = peccati) (Mt 6,12 Lc 11,4).

5. Abbiamo appena sentito le parole di Gesù che descrivono il peccato come qualcosa che proviene “dal cuore” dell’uomo, dal suo intimo. Esse mettono in rilievo il carattere essenziale del peccato. Nascendo nell’intimo dell’uomo, nella sua volontà, il peccato, per sua stessa essenza è sempre un atto della persona (“actus personae”). Un atto consapevole e libero, nel quale si esprime la libera volontà dell’uomo. Solamente in base a questo principio di libertà, e quindi al fatto della deliberazione, si può stabilirne il valore morale. Solo per questa ragione possiamo giudicarlo come male nel senso morale, così come giudichiamo e approviamo come bene un atto conforme all’oggettiva norma della morale, e in definitiva alla volontà di Dio. Solamente ciò che nasce dalla libera volontà implica la responsabilità personale: e solo in questo senso un atto cosciente e libero dell’uomo che si opponga alla norma morale (alla volontà di Dio), alla legge al comandamento e in definitiva alla coscienza, costituisce una colpa.

6. È in questo senso individuale e personale che la Sacra Scrittura parla del peccato, giacché esso per principio dice riferimento a un determinato soggetto, all’uomo che ne è l’artefice. Anche quando in alcuni passi compare l’espressione “il peccato del mondo”, tale senso non viene smentito, almeno per quanto riguarda la causalità e la responsabilità del peccato. Il “mondo” come tale non può essere l’artefice del peccato; lo può essere solamente un essere razionale e libero che si trova nel mondo, cioè l’uomo (o in un’altra sfera di esseri, anche il puro spirito creato, cioè l’“angelo”, come abbiamo visto in precedenti catechesi).

L’espressione “il peccato del mondo” si trova nel Vangelo secondo san Giovanni: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Jn 1,29, nella formula liturgica è detto: “i peccati del mondo”). Nella prima Lettera dell’Apostolo troviamo un altro passo che suona così: “Non amate né il mondo, né le cose del mondo! . . . perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo” (1Jn 2,15-16). E con parole ancora più drastiche: “Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Jn 5,19).

7. Come intendere queste espressioni sul “peccato del mondo”? I passi riportati indicano chiaramente che qui non si tratta del “mondo” come creazione di Dio, ma come una dimensione specifica, quasi uno spazio spirituale chiuso a Dio, nel quale, sulla base della libertà creata, è nato il male. Questo male trasferito nel “cuore” dei progenitori sotto l’influsso del “serpente antico” (Gn 3 Ap 12,9), cioè satana, “padre della menzogna”, ha dato cattivi frutti sin dall’inizio della storia dell’uomo. Il peccato originale ha lasciato dopo di sé quel “fomite del peccato”, cioè la triplice concupiscenza, che induce l’uomo al peccato. A loro volta i molti peccati personali commessi dagli uomini formano quasi un “ambiente di peccato”, che dal canto suo crea le condizioni per nuovi peccati personali, e in qualche modo vi induce e attira i singoli uomini. Perciò il “peccato del mondo” non si identifica col peccato originale, ma costituisce quasi una sintesi o una somma delle sue conseguenze nella storia delle singole generazioni e quindi dell’intera umanità. Ne consegue che portano su di sé una certa impronta del peccato pure le varie iniziative, tendenze, realizzazioni e istituzioni umane, anche in quegli “insiemi” che costituiscono le culture e le civiltà, e che condizionano la vita e il comportamento dei singoli uomini. In questo senso si può forse parlare di peccato delle strutture, per una sorta di “infezione” che dai cuori degli uomini si propaga negli ambienti in cui vivono e nelle strutture da cui è retta e condizionata la loro esistenza.

8. Il peccato infatti, pur conservando il suo essenziale carattere di atto personale, possiede al tempo stesso una dimensione sociale, di cui ho parlato nell’esortazione apostolica postsinodale sulla riconciliazione e penitenza, pubblicata nel 1983. Come scrivevo in quel documento, “parlare di peccato sociale vuol dire, anzitutto, riconoscere che, in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri. È questa, l’altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che «ogni anima che si eleva, eleva il mondo». A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione del peccato, per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero” (Reconciliatio et Paenitentia RP 16).

Poi l’esortazione parla di peccati che in modo particolare meritano di essere qualificati come “peccati sociali”, tema di cui ci occuperemo ancora nell’ambito di un altro ciclo di catechesi.

9. Da quanto premesso, risulta abbastanza chiaramente che il “peccato sociale” non è la stessa cosa che il biblico “peccato del mondo”. E tuttavia bisogna riconoscere che per comprendere il “peccato del mondo” bisogna prendere in considerazione non solo la dimensione personale del peccato, ma anche quella sociale. L’esortazione Reconciliatio et Paenitentia continua: “Non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana. Secondo questa prima accezione, a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale”. A questo punto possiamo conchiudere con l’osservare che la dimensione sociale del peccato spiega meglio perché il mondo diventa quello specifico “ambiente” spirituale negativo, a cui allude la Sacra Scrittura quando parla del “peccato del mondo”.

Ai gruppi di espressione inglese

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Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini provenienti dalla Spagna

Ai pellegrini polacchi

A diversi gruppi di fedeli italiani

Desidero ora dare il benvenuto al gruppo di tassisti di Verona, qui presenti con i loro familiari. Vi ringrazio per la vostra visita e colgo l’occasione per esprimere il mio apprezzamento per il vostro lavoro, che rappresenta un servizio al prossimo. La protezione del Signore vi accompagni nel vostro impegno quotidiano.

Di cuore vi benedico.

Ai giovani

Saluto cordialmente tutti i giovani presenti!

La recente festività dei Santi mi suggerisce una riflessione circa la comune vocazione alla santità. Anche voi siete chiamati ad essere santi. Il santo è colui che ha saputo vivere la sua vita nell’autenticità, ed ha saputo scoprire la dimensione profonda della persona umana, cercando in Dio e nel Cristo, il senso dei valori della vita. L’autenticità del santo ha saputo comprendere le grandi risorse del cuore, il significato degli avvenimenti, il valore degli altri.

Vi invito ad orientare la vostra vita seguendo i criteri dell’autenticità e della profondità di cui i santi ci hanno dato l’esempio. Non lasciatevi illudere da profondità fittizie, fuggite le pseudo-libertà, preparatevi alla vita cercando di conoscere sempre più profondamente Cristo e di amarlo.

Agli ammalati

Il mio saluto va ora a tutti i malati. Voi sapete, cari malati, che la santità si realizza proprio attorno alla croce di Cristo, là dove l’amore di Dio ha raggiunto il culmine della sua manifestazione. È accanto alla croce di Cristo che acquista valore sommo ogni atto con cui l’uomo riesce a donare se stesso, offrendo la sua pena come un vero sacrificio.

Vi invito, perciò, a considerare il grande valore di ogni vostro dolore. Esso, unito alla croce di Cristo, può divenire una incomparabile fonte di spirituali energie per il mondo e per la Chiesa.

Vi conforti la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Ai novelli sposi auguro di perseverare in quel colloquio con Cristo che si è iniziato nella celebrazione del sacramento nuziale. Tale colloquio, che ha segnato la vostra vocazione coniugale, deve intensificarsi perché l’amore che è nato in voi deve portarvi a vedere che Dio è amore. Dite al mondo con la vostra fede che il mistero della grazia coniugale ha avuto principio in Dio Creatore ed è radicato in Cristo Redentore, il quale insegna a donarsi secondo la piena misura della dignità personale di ciascuno di voi.

Vi accompagni la mia Benedizione.




Mercoledì, 12 novembre 1986

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1. Le considerazioni sul peccato, svolte nel presente ciclo delle nostre catechesi, ci impongono di ritornare sempre a quel primo peccato di cui si legge in Gen 3, San Paolo ne parla come della “disobbedienza” del primo Adamo (cfr
Rm 5,19), in connessione diretta con quella trasgressione del comandamento del Creatore concernente “l’albero della conoscenza del bene e del male”. Anche se una lettura superficiale del testo può dare l’impressione che quel divieto riguardasse una cosa irrilevante (“non dovete mangiare del frutto dell’albero”), chi ne fa un’analisi più profonda si convince facilmente che il contenuto apparentemente irrilevante del divieto simboleggia una questione del tutto fondamentale. E ciò appare dalle parole del tentatore, il quale, per persuadere l’uomo ad agire contro il divieto del Creatore, lo alletta con quella istigazione: “Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gn 3,5).

2. In questa luce sembra si debba intendere che quell’albero della conoscenza e il divieto di mangiare dei suoi frutti avevano lo scopo di ricordare all’uomo che egli non è “come Dio”: è solo una creatura! Sì, una creatura particolarmente perfetta perché fatta a “immagine e somiglianza di Dio”, e, nondimeno, sempre e solo una creatura. Questa era la fondamentale verità dell’essere umano. Il comandamento che l’uomo ha ricevuto all’inizio includeva questa verità espressa in forma di ammonimento: Ricordati di essere una creatura chiamata all’amicizia con Dio, il quale solo è il tuo Creatore: non voler essere ciò che non sei! Non voler essere “come Dio”. Agisci secondo ciò che sei, tanto più che questa è già una misura così alta: la misura dell’“immagine e somiglianza di Dio”. Essa ti distingue tra le creature del mondo visibile, ti pone sopra di esse. Ma nello stesso tempo la misura dell’immagine e somiglianza di Dio ti obbliga ad agire in conformità con ciò che tu sei. Sii dunque fedele all’alleanza che Dio creatore ha stretto con te, creatura, sin dall’inizio.

3. Proprio questa verità, e quindi il principio primordiale di comportamento dell’uomo, non solo è stato messo in dubbio dalle parole del tentatore riferite in Gen Gn 3,1 ma è stato addirittura radicalmente “contestato”. Pronunciando quelle parole tentatrici il “serpente antico”, come lo chiama l’Apocalisse (Ap 12,9), formula per la prima volta un criterio di interpretazione a cui in seguito l’uomo peccatore ricorrerà tante volte nel tentativo di affermare se stesso o addirittura di crearsi un’etica senza Dio: il criterio cioè secondo cui Dio è “alienante” per l’uomo, così che questi, se vuol essere se stesso, deve farla finita con Dio (cf. Feuerbach, Marx, Nietzsche).

4. La parola “alienazione” presenta diverse sfumature di significato. In tutti i casi indica l’“usurpazione” di qualcosa che è proprietà altrui. Il tentatore di Gen 3 dice per la prima volta che il Creatore ha “usurpato” ciò che appartiene all’uomo-creatura! Attributo dell’uomo sarebbe infatti l’“essere come Dio”, il che dovrebbe significare l’esclusione di qualunque dipendenza da Dio. Da questo presupposto metafisico deriva logicamente il rifiuto di ogni religione come incompatibile con ciò che l’uomo è. Di fatti le filosofie atee (o anti-teiste) ritengono che la religione sia una forma fondamentale di alienazione mediante la quale l’uomo si priva o si lascia espropriare di ciò che appartiene esclusivamente al suo essere umano. Nello stesso crearsi un’idea di Dio, l’uomo si aliena da se stesso, perché rinuncia in favore di quell’Essere perfetto e felice da lui immaginato, a ciò che è originariamente e principalmente sua proprietà. La religione a sua volta accentua, conserva e alimenta questo stato di auto-spogliamento in favore di un Dio di creazione “idealistica” e quindi è uno dei principali coefficienti dell’“espropriazione” dell’uomo, della sua dignità, dei suoi diritti.

5. Di questa falsa teoria, così contraria ai dati della storia e della psicologia religiosa, vorrei far qui notare che presenta varie analogie con la narrazione biblica della tentazione e della caduta. È significativo che il tentatore (“il serpente antico”) di Gen 3 non metta in dubbio l’esistenza di Dio, e neanche neghi direttamente la realtà della creazione; verità che in quel momento storico erano per l’uomo fin troppo ovvie. Invece, nonostante questa ovvietà, il tentatore - nella propria esperienza di creatura ribelle per libera scelta - cerca di innestare nella coscienza dell’uomo già “all’inizio”, quasi “in germe”, ciò che costituisce il nucleo dell’ideologia dell’“alienazione”. E con ciò opera una radicale inversione della verità sulla creazione nella sua essenza più profonda. Al posto del Dio che elargisce al mondo l’esistenza, del Dio-Creatore, nelle parole del tentatore in Gen 3 viene presentato un Dio “usurpatore” e “nemico” della creazione, e specialmente dell’uomo. In realtà proprio l’uomo è il destinatario di una particolare elargizione divina, essendo stato creato a “immagine e somiglianza” di Dio. In questo modo la verità viene estromessa dalla non-verità; viene mutata in menzogna, perché manipolata dal “padre della menzogna”, come il Vangelo chiama colui che ha operato questa contraffazione all’“inizio” della storia umana: “Egli è stato omicida fin dal principio . . . perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Jn 8,44).

6. Nel cercare la fonte di questa “menzogna”, che si trova all’inizio della storia come radice del peccato nel mondo degli esseri creati e dotati della libertà a immagine del Creatore, vengono ancor sempre alla mente le parole del grande Agostino: “amor sui usque ad contemptum Dei” (De Civitate Dei, XIV, 28: PL 41, 438). La menzogna primordiale ha la sua fonte nell’odio che porta al disprezzo di Dio: “contemptus Dei”.

Questa è la misura di negatività morale che si è riflessa nel primo peccato dell’uomo. Ciò consente di capire meglio quanto san Paolo insegna quando qualifica il peccato di Adamo come “disobbedienza” (Rm 5,19). L’Apostolo non parla di odio diretto di Dio, ma di “disobbedienza”, di opposizione alla volontà del Creatore. Tale rimarrà il carattere principale del peccato nella storia dell’uomo. Sotto il peso di questa eredità la volontà dell’uomo, resa debole e incline al male, resterà permanentemente esposta all’influenza del “padre della menzogna”. Lo si constata nelle diverse epoche della storia. Lo testimoniano ai nostri tempi le diverse specie di negazione di Dio, dall’agnosticismo all’ateismo o addirittura all’antiteismo. In diversi modi viene inscritta in esse l’idea del carattere “alienante” della religione e della morale, che trova nella religione la propria radice, proprio come aveva suggerito agli inizi il “padre della menzogna”.

7. Ma se si vuol guardare alla realtà senza pregiudizi e chiamare le cose col loro nome, dobbiamo dire francamente che alla luce della rivelazione e della fede, la teoria dell’alienazione dev’essere rovesciata. Ciò che porta all’alienazione dell’uomo è proprio il peccato, è unicamente il peccato! È proprio il peccato che fin dall’“inizio” fa sì che l’uomo venga in certo modo “diseredato” della propria umanità. Il peccato “toglie” all’uomo, in diversi modi, ciò che decide della sua vera dignità: quella di immagine e somiglianza di Dio. Ogni peccato in certo modo “riduce” questa dignità! Quanto più l’uomo diventa “schiavo del peccato” (Jn 8,34) tanto meno gode della libertà dei figli di Dio. Egli cessa di essere padrone di se stesso, come esigerebbe la struttura stessa del suo essere persona e cioè di creatura razionale, libera, responsabile.

La Sacra Scrittura sottolinea efficacemente questo concetto di alienazione, illustrandone una triplice dimensione: l’alienazione del peccatore da se stesso (cfr Ps 57,4, alienati sunt peccatores ab utero), da Dio (cfr Ez 14,7, [qui] alienatus fuerit a me; Ep 4,18, alienati a vita Dei), dalla comunità (cfr Ep 2,12, alienati a conversatione Israel).

8. Il peccato è dunque non solo “contro” Dio, ma anche contro l’uomo. Come insegna il Concilio Vaticano II: “Il peccato è . . . una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di costruire la propria pienezza” (Gaudium et Spes GS 13). È una verità che non ha bisogno di essere provata con elaborate argomentazioni. Basta semplicemente constatarla. Del resto non ne offrono forse eloquente conferma tante opere della letteratura, del cinema, del teatro? In esse l’uomo appare indebolito, confuso, privo di un centro interiore, accanito contro di sé e contro gli altri, succube di non-valori, in attesa di qualcuno che non arriva mai, quasi a riprova del fatto che, una volta perduto il contatto con l’Assoluto, egli finisce per perdere anche se stesso.

È perciò sufficiente richiamarsi all’esperienza, sia a quella interiore, sia a quella storico-sociale nelle sue varie forme, per convincersi che il peccato è un’immane “forza distruttrice”: esso distrugge con virulenza subdola e inesorabile il bene della convivenza tra gli uomini e le società umane. Proprio per questo si può parlare giustamente del “peccato sociale” (Reconciliatio et Paenitentia RP 16). Dato però che alla base della dimensione sociale del peccato si trova sempre il peccato personale, bisogna soprattutto mettere in rilievo ciò che il peccato distrugge in ogni uomo, suo soggetto e artefice, considerato nella sua concretezza di persona.

9. A questo proposito merita di essere richiamata un’osservazione di san Tommaso d’Aquino, secondo il quale, allo stesso modo che ad ogni atto moralmente buono l’uomo come tale diventa migliore, così per ogni atto moralmente cattivo l’uomo come tale diventa peggiore (cf. Summa Theol, I-II 55,3 I-II 63,2). Il peccato dunque distrugge nell’uomo quel bene che è essenzialmente umano, in un certo senso “toglie” all’uomo quel bene che gli è proprio, “usurpa” l’uomo a se stesso. In questo senso, “chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”, come afferma Gesù nel Vangelo di Giovanni (Jn 8,34). Questo è precisamente quanto è contenuto nel concetto di “alienazione”. Il peccato, dunque, è la vera “alienazione” dell’essere umano razionale e libero. All’essere razionale compete di tendere alla verità e di esistere nella verità. Al posto della verità circa il bene, il peccato introduce la non-verità: il vero bene viene da esso eliminato in favore di un bene “apparente”, che non è un bene vero, essendo stato eliminato il vero bene in favore del “falso”.

L’alienazione che avviene nel peccato tocca la sfera conoscitiva, ma attraverso la conoscenza raggiunge la volontà. E ciò che allora succede sul terreno della volontà, lo ha espresso forse nel modo più esatto san Paolo, scrivendo: “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me . . . Quando voglio fare il bene il male è accanto a me . . . Sono uno sventurato” (Rm 7,19-24).

10. Come si vede, la reale “alienazione” dell’uomo - l’alienazione di un essere fatto a immagine di Dio, razionale e libero - è nient’altro che “il dominio del peccato” (Rm 3,9). E questo aspetto del peccato viene messo in rilievo con ogni forza dalla Sacra Scrittura. Il peccato è non solo “contro” Dio, contemporaneamente esso è “contro” l’uomo.

Orbene, se è vero che il peccato implica, secondo la sua stessa logica e secondo la rivelazione, adeguate punizioni, la prima di queste punizioni è costituita dal peccato stesso. Mediante il peccato l’uomo punisce se stesso! Nel peccato è già immanente la punizione; qualcuno giunge a dire: v’è già l’inferno, come privazione di Dio! “Ma forse costoro offendono me - chiede Dio per mezzo del profeta Geremia (Jr 7,19) - o non piuttosto se stessi a loro vergogna?”. “La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono” (Jr 2,19). E il profeta Isaia lamenta: “Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento . . . Tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balia della nostra iniquità” (Is 64,5-6).

11. Proprio questo “consegnarsi (e auto-consegnarsi) dell’uomo in balia della sua iniquità” spiega nel modo più eloquente il significato del peccato come alienazione dell’uomo. Tuttavia il male non è completo o almeno è rimediabile, finché l’uomo ne è consapevole, finché conserva il senso del peccato. Quando invece anche questo viene a mancare, è praticamente inevitabile il crollo totale dei valori morali e si fa terribilmente incombente il rischio della perdizione definitiva. È per questo che vanno sempre riprese e meditate con grande attenzione quelle gravi parole di Pio XII (un’espressione che è divenuta quasi proverbiale): “Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato” (Discorsi e Radiomessaggi, VIII [1946], 288).

Ai fedeli di lingua francese

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Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

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Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Desidero ora porgere il mio saluto a tutti i pellegrini italiani, rivolgendo uno speciale pensiero al gruppo di sacerdoti che partecipano ad un corso di esercizi spirituali promosso dal movimento FAC.

Con essi saluto anche i sacerdoti salesiani, incaricati della pastorale giovanile e provenienti da varie Nazioni, che stanno seguendo in Roma un corso di rinnovamento e di aggiornamento.

Mi compiaccio con tutti voi, cari sacerdoti, e vi esorto a far sì che tutta la vostra vita sia una realizzazione trasparente e luminosa del servizio al quale siete chiamati da Cristo. Siate generosi e tenaci nella fedeltà al Vangelo, alla Chiesa, alla missione verso le anime che vi furono affidate.
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Il mio pensiero va poi alle Suore capitolari della Congregazione della Ancelle di Maria Immacolata, di rito bizantino-ucraino e mentre esorto a perseverare nel carisma della vita interiore desiderato dalla loro fondatrice, benedico le molteplici iniziative operate dall’Istituto per sovvenire alle persone più bisognose in tanti Paesi.
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Saluto la parrocchia di S. Maria Assunta di Zagarise (Catanzaro), che desidera affidarsi solennemente alla Madonna, e benedico volentieri la corona con la quale l’Arcivescovo ornerà, in segno di consacrazione di tutta la comunità, l’immagine della Vergine Immacolata.
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Il mio pensiero va poi al gruppo degli anziani dell’Arcidiocesi di Chieti. Li assicuro del mio ricordo e con essi saluto l’intera Arcidiocesi.
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Rivolgo poi una parola di incoraggiamento e di saluto al gruppo dei giovani Avieri del Ministero dell’Aeronautica, accompagnati da alcuni loro Ufficiali e dal Segretario Generale dell’Ordinariato Militare.

A tutti il mio cordiale pensiero e la mia Benedizione.

Ai giovani

Un saluto cordiale ai giovani venuti a questa Udienza.

La liturgia odierna fa memoria del Vescovo S. Giosafat, martire a motivo del suo infaticabile zelo per l’unità della Chiesa. Testimoniare la fede con la vita è una conseguenza che nasce dalla coscienza dei doni di grazia ricevuti perché siano messi a disposizione degli altri; è, altresì, la prova più autentica della propria adesione a Cristo, che ha dato se stesso per noi. Carissimi giovani, vi esorto ad ispirare a questa fondamentale verità gli sforzi ed i progetti per il vostro futuro. Il mondo di oggi ha bisogno della linfa della vostra gioiosa generosità e del vostro disinteressato entusiasmo per essere permanentemente sollecitato ad operare scelte che rispettino l’uomo e le sue esigenze più vere e profonde. Siate consapevoli di questo meraviglioso compito che vi attende e, per l’impegno che saprete dedicarvi, propiziatrice vi accompagni la mia Benedizione.

Agli ammalati

Saluto ora con affetto gli ammalati presenti e i loro accompagnatori, con un particolare pensiero per i membri dell’UNITALSI.

Carissimi, vi porgo il mio augurio cordiale per un pronto miglioramento delle vostre condizioni di salute. Ma desidero al tempo stesso ricordarvi quanto sia meritorio condividere la passione di Cristo, offrendo con Lui le proprie sofferenze al Padre: si imparano lezioni che rischiarano intimamente il senso dell’esistenza e si affretta l’ora della grazia per tanti che hanno bisogno di ritornare sulla via della vera vita. Niente di ciò che per amore è dato al Signore va perso: nella sua Divina Provvidenza, tutto Egli utilizza per il bene presente e futuro dei suoi figli e della Chiesa. Vi sia di sostegno nel vostro meritorio cammino l’Apostolica Benedizione, che di cuore imparto a voi ed ai vostri cari.

Agli sposi novelli

Agli “sposi novelli” un beneaugurante saluto. Carissimi, il Signore vi ha concesso di arrivare ad una tappa attesa e fondamentale della vostra vita e, certamente, la vostra riconoscenza è grande. Con la celebrazione del matrimonio voi siete diventati una cosa sola in Cristo. Quale significativo impegno ciò comporta per voi! In un’epoca lacerata da tante divisioni, la vostra sacramentale unione familiare è chiamata ad essere un contributo di pace ed un segno convincente di come si possa procedere insieme sulla via della concordia e del bene. Siatene ogni giorno più consapevoli e sui vostri propositi di amore e di reciproca fedeltà scenda la mia Benedizione.

Ad un gruppo di senatori degli Stati Uniti

Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione italiana.

Cari amici.

Sono felice di dare io il benvenuto a voi, illustri senatori degli Stati Uniti d’America, membri della Delegazione all’assemblea del Nord Atlantico diretti a Istanbul. Rivolgo i miei cordiali saluti a voi, alle vostre mogli e a tutti coloro che vi accompagnano. La vostra presenza mi sollecita ad assicurare, ancora una volta, le mie preghiere per voi e per tutti quelli che come voi sono chiamati ad esercitare ruoli di responsabilità di ordine internazionale.

In questa occasione desidero ripetere che la Santa Sede incoraggia tutte le iniziative che hanno lo scopo di portare avanti una sempre più stretta cooperazione tra le nazioni del mondo. Tuttavia tali sforzi, che a molti popoli rendono possibile vivere in armonia senza la paura di un conflitto, sono in realtà tentativi incerti, fondati sulla sabbia, a meno che prevalga ovunque un forte senso di fratellanza universale. È solo attraverso la solidarietà mondiale che i trattati restano sicuri e i legami che uniscono le comunità internazionali rafforzati.

Inoltre, noi cristiani crediamo che gli individui non si considereranno come fratelli e sorelle se prima non riconosceranno di essere veramente figli dello stesso Padre celeste, che è il supremo Legislatore e Giudice divino.

Esprimo i miei migliori auguri per una feconda partecipazione alle deliberazioni dell’assemblea, e invoco su voi e su tutti quelli che rappresentate le benedizioni di gioia e pace di Dio.





Catechesi 79-2005 29106