Catechesi 79-2005 7187

Mercoledì, 7 gennaio 1987 “E voi chi dite che io sia?” (MT 16,15).

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Mt 16,15

1. Nell’iniziare il ciclo di catechesi su Gesù Cristo, di fondamentale importanza per la fede e la vita cristiana, ci sentiamo interpellati dalla stessa domanda che quasi duemila anni fa il Maestro rivolse a Pietro e ai discepoli che erano con lui. In quel momento decisivo della sua vita, come nel suo Vangelo narra Matteo, che ne fu testimone, “essendo Gesù giunto nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”” (Mt 16,13-15).

Conosciamo la risposta schietta e impetuosa di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Per poterla anche noi formulare, non tanto in termini astratti, ma come espressione di una esperienza vitale, frutto del dono del Padre (cf. Mt 16,17), ciascuno di noi deve lasciarsi toccare personalmente dalla domanda: “E tu, che dici: chi sono io? Tu che senti parlare di me, rispondi: cosa sono io veramente per te?”. A Pietro l’illuminazione divina e la risposta della fede vennero dopo un lungo periodo di vicinanza a Gesù, di ascolto della sua parola e di osservazione della sua vita e del suo ministero (cf. Mt 16,21-24).

Anche noi per giungere a una più consapevole confessione di Gesù Cristo dobbiamo percorrere, come Pietro, un cammino fatto di ascolto attento, premuroso. Dobbiamo metterci alla scuola dei primi discepoli, diventati suoi testimoni e nostri maestri, e insieme recepire l’esperienza e la testimonianza di ben venti secoli di storia solcati dalla domanda del Maestro e impreziositi dall’immenso coro delle risposte dei fedeli di tutti i tempi e luoghi. Oggi, mentre lo Spirito “Signore e Vivificante” ci spinge verso la soglia del terzo millennio cristiano, siamo chiamati a dare con gioia rinnovata la risposta che Dio ci ispira e attende da noi, quasi come per un nuovo natale di Gesù Cristo nella nostra storia.

2. La domanda di Gesù circa la sua identità mostra la finezza pedagogica di chi non si fida di frettolose risposte, ma vuole una risposta maturata attraverso un tempo, a volte lungo, di riflessione e di preghiera, nell’ascolto attento e intenso della verità della fede cristiana professata e predicata dalla Chiesa.

Riconosciamo infatti che di fronte a Gesù non ci si può accontentare di una simpatia semplicemente umana per quanto legittima e preziosa, né è sufficiente considerarlo solo come un personaggio degno di interesse storico, teologico, spirituale, sociale o come fonte di ispirazione artistica. Intorno a Cristo vediamo spesso ondeggiare, anche tra i cristiani, le ombre dell’ignoranza, o quelle ancora più penose del fraintendimento quando non addirittura della infedeltà. È sempre presente il rischio di appellarsi al “Vangelo di Gesù”, senza veramente conoscerne la grandezza e la radicalità e senza vivere ciò che a parole si afferma. Quanti sono coloro che riducono il Vangelo a loro misura e si fanno un Gesù più comodo, negandone la trascendente divinità, o vanificandone la reale, storica umanità, oppure manipolando l’integrità del suo messaggio, in particolare non tenendo conto del sacrificio della croce che domina la sua vita e la sua dottrina, né della Chiesa che egli ha istituito come suo “sacramento” nella storia.

Anche queste ombre ci stimolano alla ricerca della verità piena su Gesù, traendo vantaggio dalle molte luci che, come una volta con Pietro, il Padre ha acceso lungo i secoli intorno a Gesù nel cuore di tanti uomini con la potenza dello Spirito Santo: le luci dei testimoni fedeli fino al martirio; le luci di tanti studiosi appassionati, impegnati a scandagliare il mistero di Gesù con lo strumento dell’intelligenza sostenuta dalla fede; le luci che soprattutto il magistero della Chiesa, guidato dal carisma dello Spirito Santo, ha acceso nelle definizioni dogmatiche su Gesù Cristo.

Riconosciamo che uno stimolo a scoprire chi è veramente Gesù è presente nella ricerca incerta e trepidante di molti nostri contemporanei così somiglianti a Nicodemo che andò “di notte a trovare Gesù” (Jn 3,2) o a Zaccheo che si arrampicò su un albero per “vedere Gesù” (Lc 19,4). Il desiderio di aiutare ogni uomo a scoprire Gesù, che è venuto come medico per i malati e come salvatore per i peccatori (cf. Mc 2,17), mi spinge ad assolvere il compito impegnativo e appassionante di presentare la figura di Gesù ai figli della Chiesa e a ogni uomo di buona volontà.

Forse ricorderete che, all’inizio del mio pontificato, rivolsi agli uomini di oggi l’invito a “spalancare le porte a Cristo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 38). In seguito, nell’esortazione Catechesi Tradendae (Ioannis Pauli PP. II, Catechesi Tradendae CTR 5), dedicata alla catechesi, facendomi portavoce del pensiero dei vescovi riuniti nel IV Sinodo, ho affermato che “l’oggetto essenziale e primordiale della catechesi è . . . il “mistero di Cristo”. Catechizzare è in un certo modo condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni . . .; svelare nella persona di Cristo l’intero disegno eterno di Dio, che in essa si compie . . . Egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito Santo e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità” (Eiusdem, Catechesi Tradendae CTR 5).

Percorreremo insieme questo itinerario catechistico ordinando le nostre considerazioni intorno a quattro centri focali: 1) Gesù nella sua realtà storica e nella sua qualità messianica trascendente, figlio di Abramo, figlio dell’uomo e figlio di Dio; 2) Gesù nella sua identità di vero Dio e vero uomo, in profonda comunione con il Padre e animato dalla potenza della Spirito Santo, come ci viene presentato nel Vangelo; 3) Gesù agli occhi della Chiesa che con l’assistenza dello Spirito Santo ha chiarito e approfondito i dati rivelati dandoci, specialmente con i Concili ecumenici, precise formulazioni della fede cristologica; 4) infine, Gesù nella sua vita e nelle sue opere, Gesù nella sua passione redentrice e nella sua glorificazione, Gesù in mezzo a noi e in noi, nella storia e nella sua Chiesa fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20).

3. È ben vero che nella Chiesa vi sono molti modi di catechizzare il popolo di Dio su Gesù. Ciascuno di essi, tuttavia, per essere autentico deve attingere il suo contenuto alla fonte perenne della santa Tradizione e della sacra Scrittura, interpretata alla luce degli insegnamenti dei Padri e Dottori della Chiesa, della liturgia, della fede e pietà popolare, in una parola, della Tradizione vivente e operante nella Chiesa sotto l’azione dello Spirito Santo, che - secondo la promessa del Maestro - “vi condurrà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Jn 16,13). Tale Tradizione la riconosciamo espressa e sintetizzata particolarmente nella dottrina dei sacrosanti Concili, raccolta nei simboli della fede e approfondita dalla riflessione teologica fedele alla Rivelazione e al magistero della Chiesa.

Che cosa varrebbe una catechesi su Gesù se non avesse la genuinità e la completezza dello sguardo con cui la Chiesa contempla, prega e annuncia il suo mistero? D’altra parte si richiede una saggezza pedagogica che, nel rivolgersi ai destinatari della catechesi, sappia tener conto delle loro condizioni e dei loro bisogni. Come scrivevo nell’esortazione ora citata, Catechesi Tradendae: “La costante preoccupazione di ogni catechista - quale che sia il livello delle sue responsabilità nella Chiesa - deve essere quella di far passare attraverso il proprio insegnamento e il proprio comportamento, la dottrina e la vita di Gesù” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae CTR 6).

4. Concludiamo questa catechesi introduttiva, ricordando che Gesù in un momento particolarmente difficile della vita dei primi discepoli, quando cioè la croce si profilava vicina e molti lo abbandonavano, rivolse a coloro che erano rimasti con lui un’altra di quelle sue domande così forti, così penetranti e ineludibili: “Forse volete andarvene anche voi?”. Fu ancora Pietro che come interprete dei suoi fratelli rispose: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Jn 6,66-69). Possano questi nostri appuntamenti catechistici renderci sempre più disponibili a lasciarci interrogare da Gesù, capaci ad avere la giusta risposta alle sue domande, pronti a condividere fino in fondo la sua vita.

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini spagnoli


Ai pellegrini polacchi

Ai giovani

Rivolgo ora un cordiale saluto alla folta rappresentanza di ragazzi e giovani presenti.

Carissimi, la solennità dell’Epifania, che abbiamo ieri celebrato, ci ha fatto considerare l’apparizione della stella ai Magi, i quali seguendola con fede e docilità furono da essa guidati sul “ luogo dove si trovava il Bambino ”. Anche voi lasciatevi condurre docilmente dalla stella della fede, che prende luce dal mistero del Natale, e scoprirete da vicino il Salvatore, venuto in mezzo a noi a recare a tutti gli uomini “ la sua benignità e la sua umanità ”. Vi auguro che la sua stella guidi sempre i vostri passi sulla via dell’amore, della pace e della salvezza. Vi benedico tutti.

Agli ammalati

Un pensiero particolare va anche a tutti gli ammalati qui presenti e a quelli che in qualunque modo sono provati dalla sofferenza. Il Salvatore, che ha conosciuto il soffrire fin dalla sua nascita in una povera grotta, vi conforti con l’abbondanza delle sue grazie e vi sostenga nei momenti più difficili della vostra vita. E voi, a vostra volta, sappiate offrire i vostri patimenti, che sono tesori preziosi, per il bene delle anime e per la conversione dei cuori. Il Signore vi benedica e vi sostenga nelle vostre prove.

Agli sposi novelli

Anche a voi, cari sposi novelli, giunga il mio saluto e il mio augurio di gioia cristiana. La Famiglia di Nazareth, che abbiamo davanti agli occhi in questi giorni delle Festività natalizie, vi insegni a conoscere sempre meglio la vita di Gesù, della Madonna e di San Giuseppe e a modellare la vostra nascente famiglia sull’esempio della loro, che fu mirabile per lo spirito di pietà, di amore e di armonia. La grazia del Sacramento del Matrimonio, che avete da poco ricevuto, vi aiuti a conseguire questi traguardi, che faranno del vostro focolare un ideale nido di affetti veri e duraturi. Con la mia Benedizione che estendo a tutti i vostri Cari.




Mercoledì, 14 gennaio 1987

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1. Con la catechesi della scorsa settimana, seguendo i più antichi simboli della fede cristiana, abbiamo iniziato un nuovo ciclo di riflessioni su Gesù Cristo. Il Simbolo apostolico proclama: “Credo . . . in Gesù Cristo, suo unico Figlio (di Dio)”. Il Simbolo niceno-costantinopolitano, dopo aver definito con precisione ancora maggiore la divina origine di Gesù Cristo come Figlio di Dio, prosegue dichiarando che questo Figlio di Dio “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e . . . si è incarnato”. Come si vede, il nucleo centrale della fede cristiana è costituito dalla duplice verità che Gesù Cristo è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo (la verità cristologica), ed è la realizzazione della salvezza dell’uomo, che Dio Padre ha compiuto in lui, Figlio suo e Salvatore del mondo (la verità soteriologica).

2. Se nelle precedenti catechesi abbiamo trattato del male, e in particolare del peccato, lo abbiamo fatto anche per preparare il ciclo presente su Gesù Cristo Salvatore. Salvezza infatti significa liberazione dal male, in particolare dal peccato. La Rivelazione contenuta nella sacra Scrittura, a cominciare dal Proto-Vangelo (
Gn 3,15) ci apre alla verità che solo Dio può liberare l’uomo dal peccato e da tutto il male presente nell’esistenza umana. Dio, mentre rivela se stesso come Creatore del mondo e suo provvidente Ordinatore, si rivela contemporaneamente come Salvatore: come colui che libera dal male, in particolare dal peccato causato dalla libera volontà della creatura. È questo il culmine del progetto creativo attuato dalla Provvidenza di Dio, nel quale mondo (cosmologia), uomo (antropologia) e Dio salvatore (soteriologia) sono strettamente legati.

Come infatti ricorda il Concilio Vaticano II, i cristiani credono che il mondo è “creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto . . .” (Gaudium et Spes GS 2).

3. Il nome “Gesù”, considerato nel suo significato etimologico, vuol dire “Jahvè libera”, salva, aiuta. Prima della schiavitù di Babilonia veniva espresso nella forma “Jehosua”: nome teoforico che contiene la radice del santissimo nome di Jahvè. Dopo la schiavitù babilonese prese la forma abbreviata “Jeshua”, che nella traduzione dei Settanta fu trascritto con “Jesoûs” da cui l’italiano “Gesù”.

Il nome era alquanto diffuso, sia al tempo dell’antica sia della nuova alleanza. È infatti il nome che portava Giosuè, che dopo la morte di Mosè introdusse gli Israeliti nella terra promessa: “Egli, secondo il significato del suo nome, fu grande per la salvezza degli eletti di Dio . . . per assegnare il possesso a Israele” (Si 46,1). Gesù, figlio di Sirach, fu il compilatore del libro del Siracide (Si 50,27). Nella genealogia del Salvatore, riportata nel Vangelo secondo Luca, troviamo enumerato “Er, figlio di Gesù” (Lc 3,28-29). Tra i collaboratori di san Paolo è presente anche un certo Gesù, “chiamato Giusto” (cf. Col 4,11).

4. Il nome Gesù, tuttavia, non ebbe mai quella pienezza di significato che avrebbe assunto nel caso di Gesù di Nazaret e che sarebbe stato rivelato dall’angelo a Maria (cf. Lc 1,31ss.) e a Giuseppe (cf. Mt 1,21). All’inizio del ministero pubblico di Gesù, la gente intendeva il suo nome nel senso comune di allora.

“Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Così dice uno dei primi discepoli, Filippo, a Natanaele il quale ribatte: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Jn 1,45-46). Questa domanda indica che Nazaret non era molto stimata dai figli di Israele. Nonostante ciò, Gesù fu chiamato “Nazareno” (cf. Mt 2,23), o anche “Gesù da Nazaret di Galilea” (Mt 21,11), espressione che lo stesso Pilato utilizzò nell’iscrizione che egli fece porre sulla croce: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Jn 19,19).

5. La gente chiamò Gesù “il Nazareno” dal nome del luogo in cui egli risiedette con la sua famiglia fino all’età di trent’anni. Sappiamo tuttavia che il luogo di nascita di Gesù non fu Nazaret ma Betlemme, località della Giudea, a sud di Gerusalemme. Lo attestano gli evangelisti Luca e Matteo. Il primo, in particolare, fa notare che a causa del censimento ordinato dalle autorità romane, “Giuseppe, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2,4-6).

Come avviene per altri luoghi biblici, anche Betlemme assume un valore profetico. Rifacendosi al profeta Michea, Matteo ricorda che questa cittadina è stata designata come luogo della nascita del Messia: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te infatti uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele” (Mt 2,6). Il profeta aggiunge: “. . . le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mt 5,1).

A questo testo si riferirono i sacerdoti e gli scribi che Erode aveva consultato per rispondere ai Magi che, giunti dall’Oriente, domandavano dove era il luogo della nascita del Messia.

Il testo del Vangelo di Matteo (Mt 2,1): “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode”, si rifà alla profezia di Michea, alla quale si riferisce anche l’interrogativo riportato nel quarto Vangelo: “Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?” (Jn 7,42).

6. Da questi particolari si deduce che Gesù è il nome di una persona storica, vissuta in Palestina. Se è giusto riconoscere credibilità storica a figure come Mosè e Giosuè, a maggior ragione va accolta l’esistenza storica di Gesù. I Vangeli non ci riferiscono in dettaglio la sua vita perché non hanno scopo primariamente storiografico. Sono però proprio i Vangeli che, letti con onestà di critica, portano a concludere che Gesù di Nazaret è una persona storica vissuta in uno spazio e tempo determinati. Anche da un punto di vista puramente scientifico deve suscitare meraviglia non chi afferma, ma chi nega l’esistenza di Gesù, come hanno fatto le teorie mitologiche del passato e come ancora oggi fa qualche studioso.

Per quanto riguarda la data precisa della nascita di Gesù, i pareri degli esperti non sono concordi. Si ammette comunemente che il monaco Dionigi il Piccolo, quando nell’anno 533 propose di calcolare gli anni non dalla fondazione di Roma, ma dalla nascita di Gesù Cristo, sia caduto in errore. Fino a qualche tempo fa si riteneva che si trattasse di uno sbaglio di circa quattro anni, ma la questione è tutt’altro che risolta.

7. Nella tradizione del popolo israelitico il nome “Gesù” ha conservato il suo valore etimologico: “Dio libera”. Per tradizione erano sempre i genitori che imponevano il nome ai loro figli. Invece nel caso di Gesù, figlio di Maria, il nome fu scelto e assegnato dall’alto già prima della nascita, secondo l’indicazione dell’angelo a Maria, nell’annunciazione (Lc 1,31) e a Giuseppe in sogno (Mt 1,21). “Gli fu messo nome Gesù” - sottolinea l’evangelista Luca - perché con questo nome “era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2,21).

8. Nel progetto disposto dalla Provvidenza di Dio, Gesù di Nazaret porta un nome che allude alla salvezza: “Dio libera”, perché egli è in realtà ciò che il nome indica, cioè il Salvatore. Lo testimoniano alcune frasi, presenti nei cosiddetti Vangeli dell’infanzia, scritti da Luca (Lc 2,11): “. . . vi è nato . . . un salvatore”, e da Matteo (Mt 1,21): “egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Sono espressioni che riflettono la verità che è rivelata e proclamata da tutto il Nuovo Testamento. Scrive ad esempio l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi . . . e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore (Kyrios, Adonai) a gloria di Dio Padre” (Ph 2,9-11).

La ragione dell’esaltazione di Gesù la troviamo nella testimonianza resa a lui dagli apostoli i quali proclamarono con coraggio: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (Ac 4,12).

Ai gruppi francesi

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di espressione spagnola

Ad un gruppo di giuristi brasiliani


Ai connazionali polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Con grande gioia saluto i pellegrini della Parrocchia di Santa Maria “ Regina Mundi ”, di Roma. Carissimi, sotto la guida del vostro parroco avete voluto partecipare a questa Udienza per ringraziarmi della visita, che mi fu dato di compiere presso la vostra Comunità a Torre Spaccata nel dicembre scorso. Di vero cuore corrispondo al vostro pellegrinaggio, assicurando a voi ed a tutti quelli che rappresentate il mio affetto e la mia preghiera. Mentre auspico che la Vergine Madre accompagni ciascuno di voi ad amare Cristo e il suo Regno di giustizia, per donare a tutti pienezza di gioia di profondità di pace, vi imparto la Benedizione Apostolica.
* * *


Rivolgo ora, il mio saluto al gruppo di militari in servizio a Tauriano. Carissimi, ben apprezzo il vostro pensiero di venire a Roma per testimoniarmi quella devozione sincera, che l’omaggio dell’esecuzione da parte della Fanfara del vostro Reparto rende più gradita. Nel dirvi la mia spirituale vicinanza, volentieri prego il Dio di ogni bontà, perché vi assista sempre e colmi la vostra vita della sua grazia. A questo fine, vi benedico di cuore.

Ai giovani

A voi, giovani, che siete presenti a questa Udienza, desidero rivolgere un cordiale saluto e una parola di incoraggiamento perché sappiate vivere intensamente questo periodo della vostra vita così bello, in quanto pieno di speranze e di ideali. Che la vostra giovinezza si realizzi con Cristo e in Cristo, cioè nel continuo impegno della conoscenza della sua Persona e del suo Messaggio e nella costante e generosa testimonianza di fede e di vita, a Lui ispirata.

Agli ammalati

Un affettuoso pensiero rivolgo ora a voi, ammalati qui presenti, che portate nel cuore e nel corpo le sofferenze, che Gesù stesso ebbe a sopportare per noi. Prendendo esempio da Lui, accogliete con fede il mistero del dolore, di cui fate esperienza.

Agli sposi novelli

A voi, sposi novelli, giunga il mio sincero augurio di una vita coniugale lunga e serena, confortata ed elevata dalla grazia del sacramento del Matrimonio, dalla fede operosa, dal vicendevole amore aperto agli altri. Che la vostra famiglia sia come una “ Chiesa domestica ”, un “ Chiesa in miniatura ”, che ripresenti alla società e al mondo contemporaneo gli esempi luminosi della Santa Famiglia di Nazaret. A voi tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 21 gennaio 1987

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“Uniti in Cristo, una nuova creazione” (
2Co 5,17-6,4).

1. È il tema della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” di quest’anno, che è in corso nel mondo intero. L’annuale “Settimana di preghiera” coinvolge sempre maggiormente i cristiani: cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, si incontrano in assemblee comuni per invocare il perdono, a motivo del peccato della divisione, e il dono dell’unità. Questa comune celebrazione è spiritualmente dinamica; essa anima dall’interno il movimento verso l’unità; lo sostiene nei momenti difficili; lo mantiene costantemente orientato al giusto fine.

Il tema scelto per quest’anno richiama l’attenzione alla radice stessa dell’unità ecclesiale: l’unione in Cristo.

Per il sacrificio di Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza del mondo, Iddio ci ha riconciliati a sé. Siamo stati redenti dal sangue di Cristo. Incorporati in lui, partecipiamo della sua vita. Di conseguenza siamo chiamati a novità di vita (cf. Rm 6,4).

Ai primi cristiani di Corinto, travagliati da divisioni interne, san Paolo, con la sua Seconda Lettera, ricorda con vigore che le cose vecchie sono passate. E le cose vecchie sono: l’odio, l’avversione, la divisione, il peccato. Paolo richiama anche alla loro memoria che sono nate cose nuove: la riconciliazione, la carità, la solidarietà, l’unità. Egli giunge a un’espressione lapidaria e densa: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura” (2Co 5,17).

2. Il Concilio Vaticano II ha fondato la sua riflessione sul “vincolo sacramentale dell’unità (Unitatis Redintegratio UR 22), esistente tra i cattolici e gli altri cristiani sull’evento del battesimo”.

Con il sacramento del battesimo, quando è debitamente conferito e ricevuto con la dovuta disposizione d’animo, “l’uomo è veramente incorporato a Cristo crocifisso e glorificato e viene rigenerato per partecipare alla vita divina . . . Il battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati” (Unitatis Redintegratio UR 22).

Questo vincolo profondo, che permane malgrado ogni sopravvenuta divisione, è il fondamento solido dell’unità. Ma non si tratta di un fondamento statico. Dal comune battesimo, infatti, emana sempre urgente l’esigenza della sua piena realizzazione nella comunione ecclesiale dell’intera comunità cristiana, senza alcuna divisione di fede, pur nella varietà di espressioni legittime di tradizioni liturgiche e disciplinari (cf. Unitatis Redintegratio UR 1).

L’unità radicale in Cristo esige la piena comunione di fede e di vita perché la comunione cristiana possa rendere una testimonianza più convincente della nuova creazione, a cui il Signore chiama l’intera umanità.

3. La “Giornata di preghiera” che abbiamo celebrato ad Assisi al fine di impetrare la pace per il mondo - nel contesto di un più ampio disegno - ha anche dato l’occasione per una preghiera comune tra i cristiani. Questa si fondava sulla fede comune in Gesù Cristo, salvatore del mondo e principe della pace. Accanto ai credenti delle altre religioni che, essi pure, pregavano per la pace, la preghiera comune fra i cristiani esprimeva lo specifico cristiano che ci unisce nella fede fondamentale e nella comune vocazione. Costituiva quasi l’esperienza anticipata del giorno in cui non vi saranno più divisioni.

Nello stesso tempo, essa manifestava il servizio comune che i cristiani possono e debbono rendere insieme in favore dell’uomo del nostro tempo.

L’ultimo Sinodo straordinario dei vescovi ha dichiarato che l’ecumenismo è iscritto profondamente e indelebilmente nella coscienza della Chiesa. E ha aggiunto che “il dialogo ecumenico fa sì che la Chiesa venga vista più chiaramente come sacramento di unità. La comunione tra i cattolici e gli altri cristiani, sebbene sia incompleta, chiama tutti alla collaborazione in molteplici campi e rende così possibile una certa qual testimonianza comune dell’amore salvifico di Dio verso il mondo bisognoso di salvezza” (Synodi Extraordinariae Episcoporum 1985, Relatio finalis, II, C, 7).

La presenza ad Assisi di numerosi rappresentanti delle Chiese e comunioni cristiane di Oriente e d’Occidente ha manifestato indubbiamente un frutto dei nuovi rapporti instaurati tra i cristiani e nello stesso tempo ha fatto constatare la possibilità e l’urgenza di compiere nuovi passi verso la piena riconciliazione e il servizio comune all’intera umanità.

Dalle prospettive emerse dall’incontro di Assisi, la preghiera per l’unità dei cristiani può trarre un nuovo impulso e un rafforzato impegno.

4. Per svolgere nel nostro tempo il ministero della riconciliazione (2Co 5,18) occorre essere pienamente riconciliati con Dio e col prossimo, e prima di tutti con coloro con i quali condividiamo la fede nel Dio Trino e siamo uniti dall’unico battesimo.

Concludiamo queste riflessioni, rivolgendo la nostra preghiera a Dio per tutti i nostri fratelli nella fede:

“O Dio, che per mezzo dell’acqua e dello Spirito Santo, ci hai fatto rinascere a vita eterna nella nuova creazione, nella tua bontà continua ad effondere le tue benedizioni su tutti i tuoi figli e le tue figlie; conservaci sempre, ovunque ci troviamo, membri fedeli del tuo popolo, uniti da un comune battesimo, confessando insieme l’unica fede ereditata dagli apostoli, al fine di dare testimonianza in un mondo diviso e di cercare la piena unità voluta da Cristo per la sua Chiesa.

Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli”.

Ai pellegrini francesi



Ad alcuni gruppi di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai giovani

Desidero ora rivolgermi cordialmente ai giovani qui presenti. A voi il mio affettuoso benvenuto e grazie per la vostra visita. E’ in corso, come sapete, la “ Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani ”. E come voi siete aperti alla speranza, così pure tale manifestazione è aperta alla speranza. Vi esorto pertanto a sentirvi impegnati ed a prendere sul serio l’invito a pregare ed a operare per l’unità. E’ questione importante per l’avvenire della Chiesa e dell’umanità. La giovane vergine martire S. Agnese, della quale oggi ricorre la festa, vi accompagni in questo cammino di fede. Ed io di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Un saluto carissimo anche a voi, che portate la croce della sofferenza e della malattia. Vi chiedo di offrire un po’ delle vostre prove per la buona riuscita di questa “ Settimana di Preghiera ”. E’ soprattutto con la sua passione, che Cristo ha consentito agli uomini di ricevere quello Spirito di unità che cementa i loro cuori. E per questo dobbiamo considerare l’imitazione di Cristo crocifisso come uno dei mezzi più sicuri e più efficaci perché i cristiani possano ottenere il dono dell’unità. Il Signore premierà largamente tale vostra generosa offerta, mentre io vi benedico di tutto cuore.

Agli sposi novelli

Un caro e cordiale saluto a voi, giovani sposi qui presenti. Avete da poco coronato il vostro sogno d’amore ed ora si apre innanzi un cammino nel quale dovrete dar prova reciproca di fedeltà ai vostri impegni e alle vostre promesse. Ora dovrete vivere ed attuare ciò che avete progettato: la costruzione di una famiglia, di una piccola Chiesa! La formazione cristiana e morale dei nuovi esseri umani! Quale compito sublime e stupendo! La grazia di Dio è sempre pronta ad accompagnarvi nell’attuazione di questo ideale. Da parte vostra, non manchi il necessario impegno. Vi sostenga anche la mia Benedizione.




Mercoledì, 28 gennaio 1987

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1. Nell’incontro precedente abbiamo concentrato la nostra riflessione sul nome “Gesù”, che significa “Salvatore”. Questo medesimo Gesù, vissuto per trent’anni a Nazaret, in Galilea, è l’eterno Figlio di Dio, “concepito per opera dello Spirito Santo e nato da Maria Vergine”. Lo proclamano i Simboli della fede, il Simbolo degli apostoli e quello niceno-costantinopolitano; lo hanno insegnato i Padri della Chiesa e i Concili, secondo i quali Gesù Cristo, eterno Figlio di Dio, è “ex substantia matris in saeculo natus” (cf. Symbolum «Quicumque», Denz.-S.,
DS 76). La Chiesa dunque professa e proclama che Gesù Cristo fu concepito e nacque da una figlia di Adamo, discendente da Abramo e da Davide, la Vergine Maria. Il Vangelo secondo Luca precisa che Maria concepì il Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, “non conoscendo uomo” (Lc 1,34 e Mt 1,18 Mt 1,24-25). Maria era dunque “vergine” prima della nascita di Gesù ed è rimasta vergine nel momento del parto e dopo il parto. È la verità che presentano i testi del Nuovo Testamento e che hanno espresso sia il V Concilio Ecumenico, celebrato a Costantinopoli nel 553, che parla di Maria come “sempre vergine”, sia il Concilio Lateranense nel 649, il quale insegna che “la Madre di Dio . . . Maria . . . ha concepito (il suo Figlio) per opera dello Spirito Santo senza intervento d’uomo e che incorruttibilmente lo ha generato, rimanendo inviolata la sua verginità anche dopo il parto” (Denz.-S. DS 503).

2. Questa fede è presente nell’insegnamento degli apostoli. Leggiamo per esempio nella Lettera di san Paolo ai Galati: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna .. . perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). Gli avvenimenti legati al concepimento e alla nascita di Gesù sono contenuti nei primi capitoli di Matteo e di Luca, comunemente definiti “il Vangelo dell’infanzia”, ed è ad essi soprattutto che occorre far riferimento.

3. Particolarmente conosciuto è il testo di Luca, perché frequentemente letto nella liturgia eucaristica, e utilizzato nella preghiera dell’Angelus. Il brano del Vangelo di Luca descrive l’annunciazione di Maria, avvenuta sei mesi dopo l’annunzio della nascita di Giovanni Battista (cf. Lc 1,5-25).

“. . . L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria” (Lc 1,26). L’angelo la salutò con le parole: “Ave, Maria”, che divennero preghiera della Chiesa (la “salutatio angelica”). Il saluto provoca commozione in Maria: “A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo”. . . Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”” (Lc 1,29-35). L’angelo annunziatore, presentando come un “segno” l’insperata maternità di Elisabetta, parente di Maria, che ha concepito un figlio nella sua vecchiaia, aggiunge: “”nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”” (Lc 1,37-38).

4. Questo testo del Vangelo di Luca è alla base dell’insegnamento della Chiesa sulla maternità e verginità di Maria, dalla quale è nato il Cristo, fatto uomo per opera dello Spirito. Il primo momento del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio si identifica con il concepimento prodigioso avvenuto per opera dello Spirito Santo nell’istante in cui Maria pronunciò il suo “”: “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

5. Il Vangelo secondo Matteo completa la narrazione di Luca descrivendo alcune circostanze che precedettero la nascita di Gesù. Leggiamo: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù, il Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”” (Mt 1,18-21).

6. Come si vede, ambedue i testi del “Vangelo dell’infanzia” sono concordi nella constatazione fondamentale: Gesù fu concepito per opera dello Spirito Santo e nacque da Maria Vergine; e sono tra loro complementari nel chiarire le circostanze di questo avvenimento straordinario: Luca in riferimento a Maria, Matteo in riferimento a Giuseppe.

Per identificare la fonte, dalla quale deriva il Vangelo dell’infanzia, occorre rifarsi alla frase di san Luca: “Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Luca la ripete due volte: dopo la partenza dei pastori da Betlemme e dopo il ritrovamento di Gesù nel tempio (Lc 2,51). L’evangelista stesso ci offre gli elementi per identificare nella Madre di Gesù una delle sorgenti di informazione da lui utilizzate per scrivere il “Vangelo dell’infanzia”. Maria, che “ha serbato queste cose nel suo cuore” (Lc 2,19), ha potuto testimoniare, dopo la morte e risurrezione di Cristo, ciò che riguardava la propria persona e funzione di Madre proprio nel periodo apostolico, in cui nacquero i testi del Nuovo Testamento ed ebbe origine la prima tradizione cristiana.

7. La testimonianza evangelica del concepimento verginale di Gesù da parte di Maria è di grande rilevanza teologica. Essa infatti costituisce un segno particolare dell’origine divina del Figlio di Maria. Il fatto che Gesù non ha un padre terreno perché generato “senza intervento di uomo”, mette in risalto la verità che egli è il Figlio di Dio, tanto che anche quando assume la natura umana il suo Padre rimane esclusivamente Dio.

8. La rivelazione dell’intervento dello Spirito Santo nel concepimento di Gesù, indica l’inizio nella storia dell’uomo della nuova “generazione spirituale” (cf. 1Co 15,45-49). In questo modo Dio Uno e Trino “si comunica” alla creatura mediante lo Spirito Santo. È il mistero cui si possono applicare le parole del salmo: “Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Ps 104,30). Nell’economia di tale comunicazione di sé che Dio fa alla creatura, il concepimento verginale di Gesù, avvenuto per opera dello Spirito Santo, è un avvenimento centrale e culminante. Esso dà inizio alla “nuova creazione”. Dio entra così in modo decisivo nella storia per attuare il destino soprannaturale dell’uomo, ossia la predestinazione di ogni cosa in Cristo. È l’espressione definitiva dell’amore salvifico di Dio verso l’uomo, del quale abbiamo parlato nelle catechesi sulla Provvidenza.

9. Nell’attuazione del piano della salvezza vi è sempre una partecipazione della creatura. Così nel concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo Maria partecipa in modo decisivo.Illuminata interiormente dal messaggio dell’angelo sulla sua vocazione di madre e sulla conservazione della sua verginità, Maria esprime la sua volontà e il suo consenso e accetta di divenire l’umile strumento della “potenza dell’Altissimo”. L’azione dello Spirito Santo fa sì che in Maria la maternità e la verginità siano compresenti in un modo che, sebbene inaccessibile alla mente umana, rientra pienamente nell’ambito della predilezione dell’onnipotenza di Dio. In Maria si compie la grande profezia di Isaia: “la vergine concepirà e partorirà un figlio” (Is 7,14 cf. Mt 1,22-23); la sua verginità, segno nell’Antico Testamento di povertà e di disponibilità totale al piano di Dio, diviene il terreno dell’azione eccezionale di Dio, che sceglie Maria ad essere Madre del Messia.

10. L’eccezionalità di Maria risulta anche dalle genealogie riportate da Matteo e da Luca.

Il Vangelo secondo Matteo comincia, conformemente al costume ebraico, con la genealogia di Gesù (Mt 1,2-17) ed elenca, partendo da Abramo, le generazioni in linea maschile. A Matteo, infatti, preme di mettere in rilievo, mediante la paternità legale di Giuseppe, la discendenza di Gesù da Abramo e da Davide e, conseguentemente, la legittimità della sua qualifica di Messia. Tuttavia, alla fine della serie degli ascendenti leggiamo: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16). Ponendo l’accento sulla maternità di Maria, l’evangelista implicitamente sottolinea la verità della nascita verginale: Gesù, come uomo, non ha padre terreno.

Secondo il Vangelo di Luca, la genealogia di Gesù (Lc 3,23-38) è ascendente: da Gesù attraverso i suoi antenati risale fino ad Adamo.L’Evangelista ha voluto mostrare il legame di Gesù con tutto il genere umano.Maria, come collaboratrice di Dio nel dare al suo eterno Figlio la natura umana, è stata lo strumento del collegamento di Gesù con l’umanità intera.

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

A gruppi di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini italiani

Saluto cordialmente i partecipanti al Convegno di spiritualità della Famiglia salesiana, provenienti da varie parti del mondo per meditare su di un tema molto stimolante: “ Con i giovani raccogliamo la profezia del Concilio ”. Auguro una copiosa messe di risultati per i vostri lavori, sia per quanto riguarda la vostra personale crescita interiore, sia in riferimento al vostro apostolato, mentre io vi benedico con affetto.
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E’ poi presente un altro gruppo che, in questi giorni, si sta dedicando in modo speciale ad approfondire le esigenze e le prospettive della vita spirituale: si tratta dei partecipanti ad un Corso di spiritualità ignaziana, promosso dalla Compagnia di Gesù, particolarmente per la formazione di coloro che, in questo campo, hanno responsabilità educative e pastorali. Anche ai vostri incontri, cari fratelli e sorelle, auguro un buon successo. E’ molto importante, oggi, rivalutare la funzione preziosa ed insostituibile del consiglio e della direzione spirituale, mettendosi alla scuola dei grandi Maestri e, nello stesso tempo, con lo sguardo attento alle esigenze delle anime in un mondo che cambia. Vi benedico di vero cuore.

Ai giovani

Saluto ora i giovani presenti a questa udienza. Siate, come sempre, i benvenuti, cari giovani. La festa della conversione di San Paolo, che la Chiesa ha recentemente commemorato, offre lo spunto per una riflessione e una preghiera. Si tratta della chiamata che viene da Dio, e in particolare della vocazione al servizio per l’apostolato nel ministero sacerdotale. Voi comprendere quanto sia importante che nella Chiesa vi siano giovani che, accogliendo generosamente l’invito di Cristo, sappiano donarsi totalmente a lui ed ai fratelli, consacrandosi al ministero o alla vita religiosa. Anche oggi il Signore chiama, e per le strade della nostra vita, come un tempo agli Apostoli ed a Paolo egli rivolge a tanti giovani il suo invito a portare il suo nome ai popoli. Vogliate rispondere con slancio fiducioso alla chiamata di Cristo. Siatene certi, non c’è avventura più bella che possa capitare ad un giovane. Vi accompagni la mia più affettuosa Benedizione.

Agli ammalati

Mi rivolgo ora a a voi, cari malati. La vostra quotidiana sofferenza possa avere un ruolo singolare anche nell’ottenere da Dio grazie più abbondanti a favore delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Voi sapete quanto la Chiesa abbia bisogno di apostoli generosi. Nell’apparente inerzia del vostro dolore voi mettete in evidenza una lezione preziosa, ricordando il valore che ha l’offerta di se stessi a Dio per il bene di tutta la Chiesa. Voi insegnate così ai fratelli, con la vostra stessa vita, che la disposizione fondamentale dell’uomo nei riguardi del Signore consiste nell’accettazione piena della sua volontà. Vi chiedo di pregare per le vocazioni, e vi assicuro della mia vicinanza e del mio affetto. Vi conforti e vi sostenga la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Agli sposi novelli va il mio saluto, insieme con l’augurio più fervido per la felicità della loro giovane famiglia. Considerate, anzitutto, lo stato matrimoniale come un dono ed una vocazione, riconoscendo che il sacramento coniugale comporta un valido rapporto con Dio, inteso e vissuto come risposta gioiosa e libera ad una chiamata d’amore. Sappiate però anche essere i primi educatori nei vostri figli dell’attenzione che essi dovranno avere per la voce del Signore. A tutti imparto la mia Benedizione.



Catechesi 79-2005 7187