Catechesi 79-2005 20587

Mercoledì, 20 maggio 1987

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1. Il ciclo delle catechesi su Gesù Cristo si è avvicinato gradualmente al suo centro rimanendo in relazione costante con l’articolo del Simbolo, nel quale professiamo: “Credo in . . . Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio”. Le catechesi precedenti ci hanno preparato a questa verità centrale mostrando prima di tutto il carattere messianico di Gesù di Nazaret. E in verità la promessa del Messia - presente in tutta la rivelazione dell’antica alleanza come principale contenuto delle attese d’Israele - trova il suo compimento in colui che era solito chiamarsi il Figlio dell’uomo.

Alla luce delle opere e delle parole di Gesù, diventa sempre più chiaro che egli è allo stesso tempo il vero Figlio di Dio. Questa è una verità che riusciva molto difficile ammettere ad una mentalità radicata in un rigido monoteismo religioso. E tale era la mentalità degli Israeliti contemporanei di Gesù. Le nostre catechesi su Gesù Cristo entrano ora proprio nell’ambito di questa verità che determina la novità essenziale del Vangelo - e decide di tutta l’originalità del Cristianesimo come religione fondata sulla fede nel Figlio di Dio fattosi uomo per noi.

2. I simboli della fede si concentrano in questa fondamentale verità riguardante Gesù Cristo.

Nel Simbolo apostolico professiamo: “Io credo in Dio, Padre onnipotente . . . e in Gesù Cristo, suo unico Figlio (unigenito)”. Solo successivamente il Simbolo apostolico mette in rilievo il fatto che il Figlio unigenito del Padre è lo stesso Gesù Cristo come Figlio dell’uomo, “il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine”.

Il Simbolo niceno-costantinopolitano esprime la stessa cosa con parole un po’ diverse: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato (latino: incarnatus ) nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.

Ancor prima, però, lo stesso Simbolo presenta in modo molto più ampio la verità della figliolanza divina di Gesù Cristo, Figlio dell’uomo: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente... Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Queste ultime parole mettono ancor più in rilievo l’unità nella divinità, del Figlio col Padre, che è “creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”.

3. I Simboli esprimono la fede della Chiesa in modo conciso - ma proprio grazie alla loro concisione, scolpiscono le verità più essenziali: quelle che costituiscono quasi il “midollo” stesso della fede cristiana, la pienezza e il vertice dell’autorivelazione di Dio. Ebbene secondo l’espressione dell’autore della Lettera agli Ebrei, Dio “aveva già parlato... molte volte e in diversi modi” e alla fine “ha parlato” all’umanità “per mezzo del Figlio” (cf.
He 1,1-2). Difficile non riconoscere come indicata qui l’autentica pienezza della Rivelazione. Dio non solo parla di sé per mezzo degli uomini chiamati a parlare a nome suo. Ma in Gesù Cristo, Dio stesso parlando “per mezzo del Figlio”, diventa il soggetto della parola che rivela. Egli stesso parla di se stesso. La sua parola contiene in sé l’autorivelazione di Dio - l’autorivelazione nel senso stretto e immediato.

4. Tale autorivelazione di Dio costituisce la grande novità e “originalità” del Vangelo. Professando la fede con le parole dei Simboli, sia apostolico che niceno-costantinopolitano, la Chiesa attinge in pienezza dalla testimonianza evangelica e ne raggiunge la essenziale profondità. Alla luce di questa testimonianza, essa professa e rende testimonianza su Gesù Cristo come Figlio, che è “della stessa sostanza del Padre”. Il nome “Figlio di Dio” poteva essere - ed è stato - usato anche in senso largo, come si rileva in alcuni testi dell’Antico Testamento (Sg 2,18 Si 4,11 più chiaramente 2S 7,14 Ps 2,7 Ps 110,3). Il Nuovo Testamento, e i Vangeli in particolare, parlano di Gesù Cristo come del Figlio di Dio in senso stretto e pieno. Egli è “generato, non creato”, è “della stessa sostanza del Padre”.

5. Presteremo ora attenzione a questa verità centrale della fede cristiana analizzando la testimonianza del Vangelo da questo punto di vista. Essa è anzitutto la testimonianza del Figlio sul Padre e, in particolare, la testimonianza di una relazione filiale che è propria di lui e solo di lui.

Infatti tanto sono significative le parole di Gesù: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27), altrettanto lo sono le altre: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (Mt 11,27). Difatti è il Padre che rivela il Figlio. Merita osservare che nello stesso contesto vengono riportate le parole di Gesù: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25 anche Lc 10,21-22). Sono parole che Gesù pronuncia - come annota l’evangelista - con una particolare letizia del cuore: “esultando nello Spirito Santo” (cf. Lc 10,21).

6. La verità su Gesù Cristo, Figlio di Dio, appartiene dunque all’essenza stessa della rivelazione trinitaria. In essa e mediante essa Dio rivela se stesso come unità dell’inscrutabile Trinità: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Così dunque la definitiva fonte della testimonianza, che i Vangeli (e tutto il Nuovo Testamento) danno di Gesù Cristo come Figlio di Dio, è il Padre stesso: il Padre che conosce il Figlio, e se stesso nel Figlio. Gesù, rivelando il Padre, condivide in certo modo con noi la conoscenza, che il Padre ha di se stesso nel suo eterno, unigenito Figlio. Mediante questa eterna figliolanza Dio è eternamente Padre. Veramente con spirito di fede e di gioia, ammirati e commossi facciamo nostra la confessione di Gesù: “Ogni cosa è stata affidata a te dal Padre, o Gesù Figlio di Dio, e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale tu, o Figlio, lo voglia rivelare”.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Desidero salutare cordialmente i membri del Capitolo generale dell’Istituto del Beato Don Orione, che hanno appena eletto il loro nuovo Superiore.

Vi ringrazio, cari fratelli, per la vostra presenza, mentre colgo l’occasione per esprimere il mio vivo compiacimento per l’opera che state compiendo in vari Paesi del mondo secondo le finalità che vi contraddistinguono.

Il vostro Istituto sta mostrando una fervorosa vitalità, piena di promesse, ed io ne lodo il Signore, che manifesta in voi la sua potenza. Mi auguro che ora vi dedichiate con impegno all’esecuzione dei piani del vostro Capitolo, che prevedono un approfondimento del vostro carisma, un potenziamento dello slancio missionario, uno sviluppo dell’attività economica, ed un’accentuazione della vita spirituale e della formazione permanente, secondo l’esempio sempre attuale del Fondatore.

Vi sono a fianco nei vostri buoni propositi con la mia affettuosa Benedizione.
* * *


Saluto poi i fedeli della parrocchia di Santa Maria della Pace di Agosta, e benedico l’immagine venerata della Vergine che essi hanno qui recato.

A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo adesso un cordiale saluto ai giovani qui presenti. Carissimi, incontrare voi giovani, è sempre per me motivo di speranza e di consolazione. La vostra età è la primavera della vita. In questo mese di maggio - mese primaverile - ricordiamo in modo speciale, come sapete, la Vergine Maria, che possiamo definire Primavera della Vita divina, promessa ed annuncio di Redenzione. Maria sia dunque l’anima della vostra primavera, della costante giovinezza e vitalità del vostro spirito. Con la mia Benedizione.

Agli ammalati

A voi, cari malati, un pensiero affettuoso. Grande è la mia gioia anche per la vostra presenza. Vi chiedo oggi di offrire la vostra sofferenza e le vostre preghiere per un’intenzione che mi sta a cuore: il buon esito dei lavori dell’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, attualmente in corso. Voglia il Signore gradire le vostre preghiere e concedere abbondanti doni dello Spirito. Con affetto, vi benedico e vi seguo nella preghiera.

Agli sposi novelli

Cari sposi novelli! A voi ora il mio saluto! anche in voi splende la primavera della vita, carica di promesse e di attraenti progetti. La vostra vita, nella luce di Dio, nell’entusiasmo del vostro amore, ha ora preso - con la benedizione della Chiesa - una chiara direzione, che vi impegna per sempre. Percorretela con fiducia, invocando l’aiuto della Beata Vergine Maria, che festeggiamo in questo mese, e che ci prepariamo ad onorare in modo speciale nell’Anno Mariano che sta per iniziare. Pregate la Madonna soprattutto col Santo Rosario. Da parte mia, vi seguo con la mia Benedizione.




Mercoledì, 27 maggio 1987

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1. I Vangeli - e tutto il Nuovo Testamento - rendono testimonianza a Gesù Cristo come Figlio di Dio. Questa è una verità centrale della fede cristiana. Confessando Cristo come Figlio “della stessa sostanza” del Padre, la Chiesa segue fedelmente questa testimonianza evangelica. Gesù Cristo è il Figlio di Dio nel senso stretto e preciso di questa parola. È dunque “generato” in Dio, e non “creato” da Dio e in seguito “accettato” come Figlio cioè “adottato”. Questa testimonianza del Vangelo (e di tutto il Nuovo Testamento), sulla quale si basa la fede di tutti i cristiani, trova la sua fonte definitiva in Dio-Padre, che rende testimonianza a Cristo come suo Figlio.

Si è già parlato di questo nella precedente catechesi mediante il riferimento ai testi del Vangelo secondo Matteo e Luca. “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (
Mt 11,27) -. “Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre” (Lc 10,22).

2. Quest’unica e fondamentale testimonianza, che scaturisce dall’eterno mistero della vita trinitaria, trova una sua particolare espressione nei Vangeli sinottici, prima nella narrazione del battesimo di Gesù nel Giordano, e poi nel racconto della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Ambedue gli eventi meritano un’attenta considerazione.

3. Leggiamo nel Vangelo secondo Marco: “In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio diletto, in te mi sono compiaciuto”” (Mc 1,9-11). Secondo il testo di Matteo, la voce dal cielo rivolge le sue parole non direttamente a Gesù, ma a coloro, che sono presenti al suo battesimo nel Giordano: “Questi è il Figlio mio prediletto” (Mt 3,17). Nel testo di Luca (cf. Lc 3,22) il tenore delle parole è identico a quello di Marco.

4. Siamo dunque testimoni di una teofania trinitaria. La voce dal cielo, che si rivolge al Figlio in seconda persona: “Tu sei . . .” (Marco e Luca), o parla di lui in terza persona: “Questi è . . .” (Matteo), è la stessa voce del Padre, che in un certo senso presenta il suo proprio Figlio agli uomini venuti al Giordano per ascoltare Giovanni il Battista. Indirettamente lo presenta a tutto Israele: Gesù è colui che viene nella potenza dello Spirito Santo: l’unto di Spirito Santo - cioè il Messia/Cristo. Egli è il Figlio in cui il Padre ha posto le sue compiacenze, il Figlio “prediletto”. Questa “predilezione”, quest’amore, insinua la presenza dello Spirito Santo nell’unità trinitaria, anche se nella teofania del battesimo al Giordano ciò non appare ancora sufficientemente chiaro.

5. La testimonianza contenuta nella voce che proviene “dal cielo” (dall’alto), avviene proprio all’inizio della missione messianica di Gesù di Nazaret. Si ripeterà nel momento che precede la passione e l’evento pasquale che conclude tutta la sua missione: il momento della trasfigurazione. Nonostante la somiglianza tra le due teofanie, esiste però una chiara differenza, che si vede scaturire in gran parte dal contesto delle narrazioni. Al battesimo nel Giordano, Gesù viene proclamato Figlio di Dio davanti a tutto il popolo. La teofania della trasfigurazione si riferisce solamente ad alcune persone scelte: nemmeno gli apostoli sono stati introdotti come gruppo, ma solamente tre di essi: Pietro, Giacomo e Giovanni. “(Dopo sei giorni) . . . Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro . . .”. Questa “trasfigurazione” viene accompagnata dall’“apparizione di Elia con Mosè che discorrevano con Gesù”. E quando i tre apostoli superato lo “spavento” per un tale evento, esprimono il desiderio di prolungarlo e di fissarlo (“è bello per noi stare qui”) - allora “si formò una nube . . . e uscì una voce dalla nube: “Questi è il mio Figlio prediletto: ascoltatelo”” (cf. Mc 9,2-7). Così nel testo di Marco. Analogamente in Matteo: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5). In Luca, invece: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35).

6. L’evento, descritto dai sinottici, ebbe luogo quando Gesù si era già fatto conoscere ad Israele mediante i suoi segni (miracoli), le sue opere e le sue parole. La voce del Padre costituisce come una conferma “dall’alto” di ciò che ormai stava maturando nella coscienza dei discepoli. Gesù voleva che sulla base dei segni e delle parole, la fede nella sua divina missione e figliolanza nascesse nella coscienza dei suoi ascoltatori in grazia della rivelazione intima, data loro dal suo stesso Padre.

7. Particolarmente significativa, da questo punto di vista, è la risposta che Simon Pietro ebbe da Gesù dopo la sua confessione nei pressi di Cesarea di Filippo. Allora Pietro disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Gesù gli rispose: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17). Si sa quale importanza rivesta la confessione appena citata, sulla bocca di Simon Pietro. Ebbene è essenziale sapere che la professione della verità sulla divina figliolanza di Gesù di Nazaret - “Tu sei il Cristo (= Messia), il Figlio del Dio vivente” - proviene dal Padre. Solo il Padre “conosce il Figlio” (Mt 11,27), solo il Padre sa “chi è il Figlio” (Lc 10,12) - e solo il Padre può concedere questa conoscenza all’uomo. Proprio questo afferma il Cristo nella risposta data a Pietro. La verità sulla sua divina figliolanza apparsa sulle labbra dell’apostolo, e prima maturata nel suo intimo, nella sua coscienza, proviene dal profondo dell’autorivelazione di Dio. In questo momento tutti i significati analogici dell’espressione “Figlio di Dio”, conosciuti già nell’Antico Testamento, vengono completamente superati. Cristo è il Figlio del Dio vivente, il Figlio nel senso proprio ed essenziale di questa parola: è “Dio da Dio”.

8. La voce che i tre apostoli odono durante la trasfigurazione sul monte (che la successiva tradizione identifica col monte Tabor), conferma la convinzione espressa da Simon Pietro nei pressi di Cesarea (Mt 16,16). Conferma in un certo senso “dall’esterno” ciò che il Padre ha già “rivelato dal di dentro”. E se ora il Padre conferma la rivelazione interiore sulla figliolanza divina di Cristo: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!” - sembra che egli voglia preparare coloro che hanno già creduto in lui agli eventi della Pasqua che si avvicina: all’umiliante sua morte sulla croce. È significativo che “mentre discendevano dal monte” Gesù abbia ordinato loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti” (Mt 17,9 come pure Mc 9,9 anche,in certa misura Lc 9,21). La teofania sul monte della trasfigurazione del Signore, si trova così in relazione con l’insieme del mistero pasquale di Cristo.

9. In questa scia si può anche intendere il significativo passo del Vangelo di Giovanni (Jn 12,20-28), dove è narrato un fatto che avviene dopo la risurrezione di Lazzaro, quando da una parte aumenta l’ammirazione per Gesù e dall’altra cresce la minaccia nei suoi confronti. Cristo parla allora del chicco di grano che deve morire, per poter produrre molto frutto. E poi significativamente conclude: “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre glorifica il tuo nome”. E “venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!”” (cf. Jn 12,27-28). In questa voce si esprime la risposta del Padre, che conferma le precedenti parole di Gesù: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Jn 12,23).

Il Figlio dell’uomo che si avvicina alla sua “ora” pasquale, è proprio colui del quale la voce dall’alto nel battesimo e nella trasfigurazione proclamava: “il Figlio mio . . . prediletto . . . in cui mi sono compiaciuto . . . l’eletto . . .”. In questa voce era contenuta la testimonianza del Padre sul Figlio. L’autore della Seconda Lettera di Pietro, raccogliendo la testimonianza oculare del capo degli apostoli, scrive a conforto dei cristiani in un momento di aspra persecuzione: “(Gesù Cristo) . . . ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte” (2P 1,16-18).

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai pellegrini polacchi

Ai gruppi di lingua italiana

Desidero ora porgere il mio saluto alle Superiore Maggiori della Congregazione delle Suore dell’Apostolato Cattolico - Pallottine, qui presenti per un loro convegno sull’attuale missione del loro Istituto.
* * *


Saluto con loro anche il gruppo delle Suore Figlie di Sant’Anna, che partecipano al corso annuale di formazione permanente. A tutte il mio compiacimento unito all’auspicio che tali vostre riunioni servano a rinvigorire il fervore della consacrazione ed a dare un nuovo impulso agli impegni delle vostre comunità.
* * *


Il mio pensiero va poi al Presidente ed ai membri del Centro Studi di “ Speleologia scientifica ” che hanno compiuto una spedizione nel cratere del Vesuvio. La loro è stata una missione interessante, quanto rischiosa, per controllare lo stato di attività di quel vulcano. Ora essi si accingono ad una analoga missione sullo Stromboli.

Ad essi va il mio cordiale augurio per un felice successo nelle loro imprese, che mirano a favorire la tutela delle popolazioni presenti nelle zone esposte a rischi.

A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

Un cordiale pensiero desidero rivolgere ai giovani ed alle giovani presenti a questa Udienza: Carissimi! Il vostro pellegrinaggio a Roma, e in particolare alle tombe degli Apostoli e dei Martiri rinvigorisca la vostra fede in Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione. Sia Egli la luce e la via per la vostra giovinezza e per tutta la vostra vita!

Agli ammalati

Un affettuoso saluto va ora ai Fratelli e alle Sorelle colpiti dalla infermità: la vostra presenza è per tutti noi motivo di profonda solidarietà e invito alla riflessione sul senso cristiano della nostra esistenza, posta sotto il dominio del dolore e della malattia. Ma la fede illumina le zone d’ombra di tale mistero per indicarci la strada maestra, nella quale possiamo incontrare e seguire Cristo portando, come Lui, la nostra croce, per essere in tale modo suoi autentici discepoli. Unite le vostre sofferenze alla Passione di Gesù, per partecipare, con Lui, alla sua opera redentrice.

Vi ringraziamo per tale vostra meritoria disponibilità e ci affidiamo alle vostre preghiere.

Agli sposi novelli

A voi, sposi novelli, che in questi giorni avete consacrato il vostro amore di fronte a dio e alla Chiesa nel sacramento del Matrimonio, rivolgo fervidi voti augurali perché la vostra nascente famiglia sia sempre animata e confortata dalla fede nella Provvidenza divina e dia alle altre comunità familiari un esempio luminoso di autentica vita cristiana, di amore e di solidale apertura verso gli altri.

Su tutti e tutte invoco dal Signore, per la materna intercessione della Vergine Santissima, l’abbondanza dei favori e conforti celesti ed imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 3 giugno 1987

30687

1. Nella precedente catechesi abbiamo mostrato, sulla base dei Vangeli sinottici, come la fede nella figliolanza divina di Cristo si vada formando per rivelazione del Padre nella coscienza dei suoi discepoli e ascoltatori, e prima di tutto nella coscienza degli apostoli. A creare la convinzione che Gesù è il Figlio di Dio nel senso stretto e pieno (non metaforico) di questa parola, contribuisce soprattutto la testimonianza dello stesso Padre, che “rivela” in Cristo il suo Figlio (“il Figlio mio”) tramite le teofanie che ebbero luogo al battesimo nel Giordano e poi durante la trasfigurazione sul monte. Abbiamo pure visto come la rivelazione della verità sulla figliolanza divina di Gesù raggiunga per opera del Padre le menti e i cuori degli apostoli, come appare nelle parole di Gesù a Pietro: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (
Mt 16,17).

2. Alla luce di questa fede nella divina figliolanza di Cristo, fede che dopo la risurrezione acquistò una forza molto maggiore, bisogna leggere tutto il Vangelo di Giovanni, e particolarmente il suo Prologo (Jn 1,1-18). Esso è una singolare sintesi che esprime la fede della Chiesa apostolica: di quella prima generazione di discepoli, alla quale era stato dato di avere contatti con Cristo, sia in modo diretto, sia mediante gli apostoli che parlavano di ciò che avevano personalmente ascoltato e visto e in cui scoprivano l’attuazione di tutto ciò che l’Antico Testamento aveva predetto di lui. Ciò che già era stato rivelato precedentemente, ma in un certo senso era coperto con un velo, ora, alla luce dei fatti di Gesù, e specialmente in base agli eventi pasquali, acquistava trasparenza, diventava chiaro e comprensibile.

In questo modo il Vangelo di Giovanni (che tra i quattro Vangeli è stato scritto per ultimo) costituisce in un certo senso la più completa testimonianza su Cristo come Figlio di Dio - Figlio “consostanziale” al Padre. Lo Spirito Santo, promesso da Gesù agli apostoli, il quale doveva “insegnar loro ogni cosa” (cf. Jn 14,26), permette davvero all’evangelista “di scrutare le profondità di Dio” (cf. 1Co 2,10) e di esprimerle nel testo ispirato del Prologo.

3. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Jn 1,1-3). “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Jn 1,14) . . . “Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Jn 1,10-11). “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Jn 1,12-13). “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Jn 1,18).

4. Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione. Colui che nel tempo “si fece carne” cioè uomo, è dall’eternità il Verbo stesso, cioè il Figlio unigenito: il Dio “che è nel seno del Padre”. È il Figlio “della stessa sostanza del Padre”, è “Dio da Dio”. Dal Padre riceve la pienezza della gloria. Egli è il Verbo “per mezzo del quale tutto è stato fatto”. E perciò tutto quello che esiste deve a lui quel “principio”, di cui parla il Libro della Genesi (cf. Gn 1,1) il principio dell’opera della creazione. Lo stesso eterno Figlio, quando viene nel mondo come “Verbo che si fece carne” porta con sé all’umanità la pienezza “di grazia e di verità”. Porta la pienezza di verità perché istruisce sul Dio vero che “nessuno ha mai visto”. E porta la pienezza di grazia, perché a tutti coloro che lo accolgono, dà la forza di rinascere da Dio: di diventare figli di Dio. Purtroppo, constata l’evangelista, “il mondo non lo riconobbe” e anche se “venne fra la sua gente”, molti “non l’hanno accolto”.

5. La verità contenuta nel Prologo giovanneo è la stessa che troviamo in altri libri del Nuovo Testamento.Così per esempio leggiamo nella Lettera “agli Ebrei” che Dio “in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli” (He 1,2-3).

6. Il Prologo del Vangelo di Giovanni (come per altro verso la Lettera agli Ebrei), esprime dunque sotto forma di allusioni bibliche, il compimento in Cristo di tutto ciò che è stato detto nell’antica alleanza, iniziando dal Libro della Genesi attraverso la legge di Mosè (cf. Jn 1,17) e i profeti fino ai libri sapienziali. L’espressione “il Verbo” (che “in principio era presso Dio”) corrisponde alla parola ebraica “dabar”. Anche se in greco si trova il termine “logos”, tuttavia la matrice è prima di tutto veterotestamentaria. Dall’Antico Testamento mutua contemporaneamente due dimensioni: quella di “hochma” cioè sapienza, intesa come “disegno” di Dio riguardo alla creazione, e quella di “dabar” (logos), intesa come la realizzazione di tale disegno. La coincidenza con la parola “logos”, assunta dalla filosofia greca, ha facilitato a suo tempo l’avvicinamento di queste verità alle menti formate da quella filosofia.

7. Rimanendo ora nell’ambito dell’Antico Testamento precisamente in Isaia leggiamo: la “parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,11). Donde appare che la biblica “dabar-parola” non è solo “parola” ma anche “realizzazione” (atto). Si può dire che già nei libri dell’antica alleanza appare una qualche personificazione del “Verbo” (dabar, logos), come pure della “Sapienza” (sofia).

Leggiamo infatti nel Libro della Sapienza:

(La ) “è iniziata alla scienza di Dio e sceglie le opere sue” (Sg 8,4), e altrove: “Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme . . . Mandala dai cieli santi, dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia che cosa ti è gradito” (Sg 9,9-10).

8. Siamo così assai vicini alle prime parole del Prologo di Giovanni. Ancor più vicini sono quei versetti del Libro della Sapienza che dicono: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale . . . si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando come spada affilata il tuo ordine inesorabile” (Sg 18,14-15). Tuttavia questa “parola” a cui alludono i libri sapienziali, quella sapienza che sin dall’inizio è presso Dio, è considerata in relazione al mondo creato che essa ordina e dirige (cf. Pr Pr 8,22-27). “Il Verbo” nel Vangelo di Giovanni invece non solo è “in principio”, ma è rivelato come tutto rivolto a Dio (pros ton Theon) ed essendo egli stesso Dio!Il Verbo era Dio”. Egli è l’“unigenito Figlio, che è nel seno del Padre” -cioè Dio-Figlio. È in persona la pura espressione di Dio, l’“irradiazione della sua gloria” (cf. He 1,3), “consustanziale al Padre”.

9. Proprio questo Figlio -il Verbo che si fece carne -è colui al quale dà testimonianza Giovanni sul Giordano.Di Giovanni Battista leggiamo nel Prologo: “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce . . .” (Jn 1,6-7). Tale luce è proprio Cristo -come Verbo. Leggiamo ancora nel Prologo: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Jn 1,4). Questa è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Jn 1,9). La luce che “splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Jn 1,5).

Dunque, secondo il Prologo del Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo è Dio, perché Figlio unigenito di Dio Padre. Il Verbo. Egli viene nel mondo come fonte di vita e di santità. Veramente qui siamo al punto centrale e decisivo della nostra professione di fede: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

Ai fedeli di espressione francese

Ad alcuni gruppi di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai numerosi fedeli provenienti dalla Spagna e da alcuni Paesi latinoamericani


Ad alcuni pellegrini giunti dal Brasile


Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni pellegrinaggi italiani

Saluto cordialmente i sacerdoti di Torino, che celebrano il XXV anniversario della loro sacra ordinazione. Sono loro vicino in questa tappa importante della loro vita, con la mia preghiera, con i miei auguri e con la mia Benedizione.
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Un saluto caro anche ai giovani seminaristi dei Figli di Don Orione del Santuario dell’Incoronata di Foggia. La Vergine Santa vi sostenga nel vostro cammino e vi prepari a divenire pastori di anime! Con la mia affettuosa Benedizione.
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Saluto poi i numerosi religiosi e religiose presenti: i religiosi Assunzionisti riuniti per il loro Capitolo generale; le suore Collegine della Sacra Famiglia, giunte in pellegrinaggio alla tomba del loro Fondatore, il Cardinale Pietro Marcellino Corradini; le suore dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, provenienti da diciannove Nazioni, per un corso di aggiornamento missionario; il gruppo di religiose “juniores”, delle Suore di Maria Immacolata, giunte da diversi Paesi esteri, e che si stanno preparando ad emettere la professione perpetua; il gruppo di religiosi “ Servi di Nazareth ”.

A tutti voi, cari religiosi e religiose, un affettuoso benvenuto e l’espressione del mio compiacimento per la vostra totale dedizione al Signore nelle forme proprie del carisma di ciascun Istituto. Lo Spirito Santo e l’intercessione della Beata Vergine Maria facciano sempre di voi un “ segno ” dell’umanità futura, un segno di speranza per i cuori assetati di Dio, della sua verità, della sua giustizia, della sua pace. Io vi accompagno con la mia preghiera e la mia Benedizione.
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Una particolare parola desidero riservare ai missionari provenienti da vari Paesi, che sono a Roma per partecipare ad un corso di aggiornamento indetto dagli Istituti Missionari Italiani. Vi auguro buon lavoro e vi benedico di cuore.

Ai giovani

Carissimi giovani, giunga a tutti voi il mio cordiale benvenuto. Abbiamo iniziato il mese di giugno, che nella vostra vita significa mese di esami scolastici e di inizio delle vacanze estive; ma io desidero ricordarvi che è anche il mese dedicato dalla Chiesa alla devozione al Sacro Cuore di Gesù. La vostra giovinezza è bella, è ricca di ideali, è generosa di proposte e di prospettive; ma è anche fragile e insidiata. Siate perciò anche voi devoti del Cuore di Gesù, simbolo del suo amore redentore e misericordioso.

Agli ammalati

Saluto poi con affetto gli ammalati qui presenti e tutti coloro che li accudiscono e li hanno qui accompagnati. Fra questi desidero menzionare il gruppo dell’Istituto Andreoli Borgonovo Val Tidone (Piacenza), coloro che sono accompagnati dal Gruppo di Preghiera di Monte Paolo (Forlì), il gruppo dell’Opera Don Guanella -Riva San Vitale (Svizzera) e in particolare il vasto gruppo guidato dal Centro Don Orione di Monte Mario in Roma, con la partecipazione di rappresentanti dell’Istituto dell’Opera Don Orione di Pescara, Napolil-Ercolano e di Savignano.

Carissimi vi sia di conforto la certezza che attraverso la vostra croce, il Signore realizza il suo disegno di salvezza. In questi giorni di preparazione alla solennità liturgica di Pentecoste, stiamo pregando con particolare intensità lo Spirito Santo per noi stessi, per la Chiesa, per l’intera umanità. Siate anche voi profondamente devoti allo Spirito consolatore, affinché vi doni la sapienza del cuore, la gioiosa conoscenza delle verità eterne, il conforto della divina presenza, la serenità in questa vostra situazione di pazienza e di fiducia. Vi imparto di cuore la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Infine rivolgo il mio fervido saluto a voi, cari sposi novelli. Siete venuti in pellegrinaggio a Roma e sulla tomba di Pietro, il Primo Apostolo, anche per rinnovare i sentimenti della vostra fede cristiana. Vi auguro tanta felicità, nell’amore fedele e generoso, nel senso religioso della vita. Tra pochi giorni inizieremo l’Anno Mariano; pregate anche voi Maria SS. ma, in modo speciale durante questo Anno di grazia, invocando il suo aiuto e imitando le sue virtù. La mia Benedizione vi sia di sostegno nella vostra nuova vita!





Catechesi 79-2005 20587