Catechesi 79-2005 19887

Mercoledì, 19 agosto 1987

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1. Le catechesi su Gesù Cristo trovano il loro nucleo in questo tema centrale che si trae dalla rivelazione: Gesù Cristo, l’uomo nato dalla Vergine Maria, è il Figlio di Dio. Tutti i Vangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento documentano questa fondamentale verità cristiana, che nelle precedenti catechesi abbiamo cercato di illustrare sviluppandone i vari aspetti. La testimonianza evangelica sta alla base del magistero solenne della Chiesa nei Concili, quale si rispecchia nei simboli di fede (prima di tutto in quello niceno-costantinopolitano) e anche, naturalmente, nel costante insegnamento ordinario della Chiesa, nella sua liturgia, nella preghiera e nella vita spirituale da essa promossa e guidata.

2. La verità su Gesù Cristo Figlio di Dio costituisce, nell’autorivelazione di Dio, il punto-chiave mediante il quale si svela l’indicibile mistero di un Dio unico nella santissima Trinità.Infatti, secondo la Lettera agli Ebrei, quando Dio “ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (
He 1,2), ha svelato la realtà della sua vita intima - di quella vita nella quale egli rimane un’assoluta unità nella divinità, e al tempo stesso è Trinità cioè divina comunione di tre Persone. A questa comunione rende direttamente testimonianza il Figlio che “è uscito dal Padre ed è venuto nel mondo” (cf. Jn 16,28). Solamente lui. L’Antico Testamento, quando Dio “aveva . . . parlato per mezzo dei profeti” (He 1,1) non conosceva questo intimo mistero di Dio. Certamente alcuni elementi della rivelazione veterotestamentaria costituivano la preparazione di quella evangelica e tuttavia solo il Figlio poteva introdurci in questo mistero. Poiché “Dio nessuno lo ha mai visto”: nessuno ha conosciuto l’intimo mistero della sua vita. Solamente il Figlio: “il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Jn 1,18).

3. Nel corso delle precedenti catechesi ci è stato dato di considerare i principali aspetti di questa rivelazione, grazie alla quale la verità sulla figliolanza divina di Gesù Cristo ci appare con piena chiarezza. Concludendo ora questo ciclo di meditazioni, è bene ricordare alcuni momenti, in cui, insieme alla verità sulla figliolanza divina del figlio dell’uomo, figlio di Maria, si svela il mistero del Padre e dello Spirito Santo.

Il primo cronologicamente è già il momento dell’annunciazione a Nazaret. Secondo l’angelo, infatti, chi deve nascere dalla Vergine è il Figlio dello Altissimo, il Figlio di Dio. Con queste parole, Dio viene rivelato come Padre e il Figlio di Dio viene presentato come colui che deve nascere per opera dello Spirito Santo (“Lo Spirito Santo scenderà su di te” (Lc 1,35)). Così nella narrazione dell’annunciazione è racchiuso il mistero trinitario: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Tale mistero è presente anche nella teofania avvenuta durante il battesimo di Gesù nel Giordano, allorché il Padre, tramite una voce dall’alto, rende testimonianza al Figlio “prediletto”, ed essa viene accompagnata dallo Spirito “che scende su Gesù sotto forma di una colomba” (Mt 3,16). Questa teofania è quasi una conferma “visiva” delle parole del profeta Isaia, alle quali Gesù ha fatto riferimento a Nazaret, nel dare inizio alla sua attività messianica: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato . . .” (Lc 4,18 cf. Is 61,1).

4. In seguito, durante il ministero, incontriamo le parole con le quali Gesù stesso introduce i suoi ascoltatori nel mistero della divina Trinità, tra le quali c’è la “gioiosa dichiarazione”, che troviamo nei Vangeli di Matteo e di Luca. La diciamo “gioiosa” poiché, come leggiamo nel testo di Luca, “in quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo” (Lc 10,21) e disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,25-27).

Ecco, grazie a questa “esultanza di Gesù nello Spirito Santo”, veniamo introdotti nelle “profondità di Dio” - nelle “profondità” che solo lo Spirito scruta: nell’intima unità della vita di Dio, nell’imperscrutabile comunione delle Persone.

5. Queste parole, riportate da Matteo e da Luca, armonizzano perfettamente con molte affermazioni di Gesù che troviamo nel Vangelo di Giovanni, come abbiamo già visto nelle precedenti catechesi. Su tutte domina l’asserzione di Gesù che svela la sua unità con il Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). Essa viene ripresa e svolta nella preghiera sacerdotale (Jn 17) e in tutto il discorso con cui Gesù nel cenacolo prepara gli apostoli alla sua dipartita nel corso degli eventi pasquali.

6. E proprio qui, nell’ottica di questa “dipartita”, Gesù pronuncia le parole che in modo definitivo rivelano il mistero dello Spirito Santo e il rapporto in cui egli rimane verso il Padre e il Figlio. Il Cristo che dice: “lo sono nel Padre e il Padre è in me”, nello stesso tempo annuncia agli apostoli la venuta dello Spirito Santo e afferma: questo è “lo Spirito di verità che procede dal Padre” (Jn 15,26). Gesù aggiunge che “pregherà il Padre” perché questo Spirito di verità venga dato ai discepoli, perché “rimanga con loro per sempre” come “Consolatore” (cf. Jn 14,16). E assicura gli apostoli: “Il Padre manderà lo Spirito Santo nel mio nome” (cf. Jn 14,26), per “rendermi testimonianza” (cf. Jn 15,26). Tutto ciò, conclude Gesù, avverrà a seguito della sua dipartita durante gli eventi pasquali, mediante la croce e la risurrezione: “quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Jn 16,7).

7. “In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre . . .”, afferma ancora Gesù, ossia per opera dello Spirito Santo si chiarirà pienamente il mistero dell’unità del Padre e del Figlio: “Io nel Padre e il Padre in me”. Tale mistero, infatti, lo può chiarire solo “lo Spirito che scruta le profondità di Dio” (cf. 1Co 2,10), dove nella comunione delle Persone è costituita l’unità della vita divina in Dio. Così si illumina anche il mistero dell’incarnazione del Figlio, in relazione ai credenti e alla Chiesa, ancora per opera dello Spirito Santo. Dice infatti Gesù: “In quel giorno (quando gli apostoli riceveranno lo Spirito di verità) voi saprete (non soltanto) che io sono nel Padre, (ma anche che) voi (siete) in me e io in voi” (Jn 14,20). L’incarnazione è perciò il fondamento della nostra figliolanza divina per mezzo di Cristo, è la base del mistero della Chiesa come corpo di Cristo.

8. Ma qui è importante notare che l’incarnazione, anche se riguarda direttamente il Figlio, è “opera” di Dio uno e trino (Conc. Lat. IV). Lo testimonia già il contenuto stesso dell’annunciazione (cf. Lc 1,26-38). E poi mediante tutto il suo insegnamento, Gesù ci ha messo “davanti orizzonti impervi alla ragione umana” (come leggiamo nella Gaudium et Spes GS 24), quelli della vita intima di Dio Uno nella Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Finalmente, compiuta la sua missione messianica, Gesù, nel lasciare definitivamente gli apostoli, il 40° giorno dopo la risurrezione, adempì sino in fondo ciò che aveva annunciato: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Jn 20,21). Infatti disse loro: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19).

In queste parole conclusive del Vangelo, e prima dell’inizio del cammino della Chiesa nel mondo, Gesù Cristo consegnò ad essa la verità suprema della sua rivelazione: l’indivisibile unità nella Trinità.

E da allora la Chiesa, stupita e adorante, può confessare con l’evangelista Giovanni a conclusione del Prologo del IV vangelo, sempre con intima commozione: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Jn 1,18).

Ai fedeli di espressione linguistica francese


Ad alcuni pellegrini di espressione linguistica inglese

Ai numerosi fedeli di lingua spagnola

Amadísimos hermanos y hermanas,

Ai connazionali polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Sono lieto di rivolgere il mio cordiale saluto a voi sacerdoti della diocesi di Cremona, che avete voluto festeggiare il 40° anniversario di Ordinazione anche con un pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli. Auspico che la permanenza a Roma sia per ciascuno di voi un arricchimento spirituale, così che possiate tornare agli impegni quotidiani col desiderio di meglio servire la Chiesa e di amare sempre più profondamente quanti sono affidati alle vostre cure pastorali.

Carissimi, amministrate con dedizione i misteri di Dio, che danno conforto, grazia e pienezza di vita a quanti li ricevono, e perseverate nella preghiera e nel filiale dialogo con Dio.

Vi accompagno con affetto e, mentre invoco su di voi la protezione di Maria, vi benedico di cuore.

Ai giovani

Rivolgo ora un saluto ai giovani, presenti a questa Udienza. Carissimi, uno degli impegni più seri della vostra condizione è quello di farvi un’idea giusta sul significato della persona umana. La fede dice che l’uomo è creato ad immagine di Dio, il quale gli ha comunicato i suoi beni ed ha su di lui dei piani da realizzare.

Il volto della società futura, che da voi prenderà il suo carattere e il suo stile, dipenderà dalla vostra capacità di affermare e garantire una giusta consapevolezza di tutti gli elementi che compongono la persona umana. Vi chiedo dunque di avere sempre una grande stima della visione cristiana dell’uomo. Essa si incentra nel primato dello spirito, senza nulla togliere ai valori della corporeità, ed insegna a scoprire non solo ciò che l’uomo è, ma anche quello che egli deve e può essere. La sincera meditazione sul valore della vostra persona ed il rispetto per la verità intera sull’uomo vi guidino nella realizzazione del vostro avvenire. Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Il mio pensiero si rivolge ora a tutti gli ammalati, presenti a questo incontro. Vi ringrazio per il sentimento di bontà e di fede che vi ha condotto qui, e vi esorto a rivolgere il vostro sguardo al Cristo Crocifisso. Egli è segno ed immagine dell’amore infinito di Dio verso ogni uomo e voi siete testimoni silenziosi, pazienti, eloquenti della bontà di Dio Padre, il quale nella sofferenza del Figlio suo si china verso ogni creatura che soffre. Il dolore non è un motivo per respingere Dio, ma una ragione per cercarlo al fine di trovare in lui conforto e speranza. La fede vi sorregga in queste convinzioni! A voi, ed a coloro che vi assistono, volentieri imparto la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Un cordiale benvenuto, infine, a tutti gli sposi novelli. Il mio augurio è che Dio, autore della vostra unione sacramentale, conservi in voi tale suo dono per tutta la vostra esistenza, così che la vocazione coniugale raggiunga in voi il suo perfetto compimento. Essa consiste nel riconoscere che dall’amore eterno di Dio nasce la forza di un affetto senza fine per gli sposi cristiani, come eterno è l’amore di Cristo e della Chiesa, e che dallo stesso amore di Dio deriva a voi la missione di collaboratori suoi e di Cristo, nella possibilità di generare nuove vite e di formare nuovi cristiani. Il vostro matrimonio sia una testimonianza vigorosa di questo amore e della sua grazia. A tutti voi la mia Benedizione.




Mercoledì, 26 agosto 1987

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1. “Credo . . . in Gesù Cristo, suo (di Dio Padre) unico Figlio, nostro Signore; il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine”. Il ciclo di catechesi su Gesù Cristo, che qui sviluppiamo, fa costante riferimento alla verità espressa dalle parole del Simbolo apostolico, ora citate. Esse ci presentano Cristo quale vero Dio - Figlio del Padre - e, nello stesso tempo, quale vero Uomo, Figlio di Maria Vergine. Le catechesi precedenti ci hanno già consentito di avvicinare questa fondamentale verità della fede. Ora, però, dobbiamo cercare di approfondirne il contenuto essenziale: dobbiamo chiederci che cosa significa vero Dio e vero Uomo. È una realtà, questa, che si svela davanti agli occhi della nostra fede mediante l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo. E dato che essa - come ogni altra verità rivelata - può essere rettamente accolta soltanto mediante la fede, è qui in questione il “rationabile obsequium fidei”, l’ossequio ragionevole della fede. A favorire una simile fede vogliono servire le prossime catechesi, incentrate sul mistero del Dio Uomo.

2. Già in precedenza abbiamo rilevato che Gesù Cristo parlava spesso di sé, utilizzando l’appellativo di “figlio dell’uomo” (cf.
Mt 16,28 Mc 2,28). Tale titolo si collegava con la tradizione messianica dell’Antico Testamento, e nello stesso tempo rispondeva a quella “pedagogia della fede”, a cui Gesù volutamente ricorreva. Egli infatti desiderava che i suoi discepoli e i suoi ascoltatori arrivassero da soli alla scoperta che il “figlio dell’uomo” era insieme il vero Figlio di Dio. Di ciò abbiamo una dimostrazione particolarmente significativa nella professione di Simon Pietro, avvenuta nei dintorni di Cesarea di Filippo, a cui abbiamo già fatto riferimento nelle catechesi precedenti. Gesù provoca con domande gli apostoli e quando Pietro giunge al riconoscimento esplicito della sua identità divina, ne conferma la testimonianza chiamandolo “beato perché né la carne né il sangue gliel’hanno rivelato, ma il Padre” (cf. Mt 16,17). È il Padre, che rende testimonianza al Figlio, perché soltanto lui conosce il Figlio (cf. Mt 11,27).

3. Tuttavia nonostante la discrezione a cui Gesù s’atteneva in applicazione di quel principio pedagogico di cui s’è parlato, la verità della sua filiazione divina diventava via via più palese, in base a ciò che egli diceva, e particolarmente a ciò che faceva.Ma, mentre per gli uni essa costituiva oggetto di fede, per gli altri era causa di contraddizione e di accusa. Questo si manifestò in forma definitiva durante il processo davanti al Sinedrio. Racconta il Vangelo di Marco (Mc 14,61-62): “Il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, figlio di Dio benedetto?”. Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo””. Nel Vangelo di Luca (Lc 22,70) la domanda è così formulata: “”Tu dunque sei il figlio di Dio?”. Rispose loro: “Lo dite voi stessi: io lo sono””.

4. La reazione dei presenti è concorde: “Ha bestemmiato! . . . avete udito la bestemmia . . . È reo di morte!” (Mt 26,65-66). Questa accusa è, per così dire, frutto di un’interpretazione materiale della legge antica.

Leggiamo infatti nel Libro del Levitico: “Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare” (Lv 24,16). Gesù di Nazaret, che davanti ai rappresentanti ufficiali dell’Antico Testamento dichiara di essere il vero Figlio di Dio, pronuncia - secondo la loro convinzione - una bestemmia. Perciò “è reo di morte” e la condanna viene eseguita, anche se non con la lapidazione secondo la disciplina vetero-testamentaria, ma con la crocifissione, secondo la legislazione romana. Chiamare se stesso “Figlio di Dio” voleva dire “farsi Dio” (cf. Jn 10,33), il che suscitava una protesta radicale da parte dei custodi del monoteismo dell’Antico Testamento.

5. Ciò che alla fine si compì nel processo intentato contro Gesù, in realtà era stato minacciato già prima, come riferiscono i Vangeli, particolarmente quello di Giovanni. Vi leggiamo più di una volta che gli ascoltatori volevano lapidare Gesù, quando ciò che avevano udito dalla sua bocca sembrava loro una bestemmia. Riscontrarono una tale bestemmia, per esempio, nelle sue parole sul tema del Buon Pastore (cf. Jn 10,27 Jn 10,29), e nella conclusione a cui egli giunse in tale circostanza: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). Il racconto evangelico prosegue così: “I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”” (Jn 10,31-33).

6. Analoga fu la reazione a queste altre parole di Gesù: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Jn 8,58). Anche qui Gesù si trovò davanti a una domanda e a un’accusa identica: “Chi pretendi di essere?” (Jn 8,53), e la risposta a tale domanda ebbe come conseguenza la minaccia della lapidazione (Jn 8,59).

È dunque chiaro che, benché Gesù parlasse di se stesso soprattutto come del “figlio dell’uomo”, tuttavia tutto l’insieme di ciò che faceva e insegnava rendeva testimonianza che egli era il Figlio di Dio nel senso letterale della parola: che cioè era con il Padre una cosa sola, e quindi: come il Padre, così anche lui era Dio.Del contenuto univoco di tale testimonianza è prova sia il fatto che egli fu riconosciuto e accolto da alcuni: “molti credettero in lui”: (cf. per esempio Jn 8,30); sia, ancor più, il fatto che trovò in altri un’opposizione radicale, anzi l’accusa di bestemmia con la disposizione a infliggergli la pena, prevista per i bestemmiatori dalla Legge dell’Antico Testamento.

7. Tra le affermazioni di Cristo relative a questo argomento, particolarmente significativa appare l’espressione: “Io Sono”. Il contesto in cui essa viene pronunciata indica che Gesù richiama qui la risposta data a Mosè da Dio stesso, quando gli viene rivolta la domanda circa il suo nome: “Io sono colui che sono . . . Dirai agli Israeliti: Io Sono mi ha mandato a voi” (Ex 3,14). Ora, Cristo si serve della stessa espressione “Io Sono” in contesti molto significativi. Quello di cui s’è parlato, concernente Abramo; “Prima che Abramo fosse, “Io Sono”: ma non solo quello. Così, per esempio: “Se . . . non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati” (Jn 8,24). E ancora: “Quando avrete innalzato il figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono” (Jn 8,28), e inoltre: “Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che “Io Sono” (Jn 13,19).

Questo “Io Sono” si trova pure in altri luoghi, presenti nei Vangeli sinottici (per esempio Mt 28,20 Lc 24,39); ma nelle affermazioni citate sopra l’uso del nome di Dio, proprio del Libro dell’Esodo, appare particolarmente limpido e fermo. Cristo parla della sua “elevazione” pasquale mediante la croce e la successiva risurrezione: “Allora saprete che Io Sono”. Il che vuol dire: allora risulterà pienamente che io sono colui al quale compete il nome di Dio. Con tale espressione perciò Gesù indica di essere il vero Dio. E ancora prima della passione egli prega il Padre così: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Jn 17,10) che è un altro modo per affermare: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30).

Davanti a Cristo, Verbo di Dio incarnato, uniamoci anche noi a Pietro e ripetiamo con lo stesso trasporto di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16)

Ai fedeli di lingua francese

A numerosi gruppi di fedeli di espressione linguistica inglese

Ad un gruppo di studentesse giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissime studentesse del collegio “Junshin” di Nagasaki, il vostro collegio e la vostra città hanno un particolare legame con la Madonna.

Imitate la Madonna.

Invoco su di voi la protezione della Madre di Gesù e vi auguro di diventare, con il suo aiuto, “pure di cuore”, come dice lo stesso nome del vostro collegio “Junshin” (cuore puro).

Con questo auspicio vi imparto con affetto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad un gruppo di fedeli tedeschi

Ai numerosi fedeli di espressione spagnola

Ai gruppi di lingua portoghese


Ai diversi gruppi di lingua italiana

Desidero ora rivolgere un cordiale saluto e benvenuto al gruppo dei seminaristi di Bergamo, accompagnati dai loro superiori, da alcuni assistenti e dai familiari. Già altre volte mi sono incontrato con i seminaristi di quella città! Vi ringrazio per la vostra assiduità e per l’affetto che portate al Papa. Possa questa visita alla Tomba di Pietro accrescere le vostre convinzioni di fede ed accendere ancor più il vostro entusiasmo per la causa del Vangelo, mentre io di cuore vi benedico.
* * *


Un caro saluto rivolgo anche al gruppo di Religiose, in maggioranza italiane ma anche straniere, che stanno partecipando, qui a Roma, alla Settimana biblica nazionale organizzata dall’Associazione Biblica Italiana. Mi compiaccio, care Sorelle, dell’iniziativa, mentre mi auguro che essa possa validamente aiutarvi ad approfondire il pensiero di S. Paolo, conforme al tema del vostro incontro. Il grande Apostolo vi renda partecipi del suo zelo, del suo coraggio, del suo spirito di servizio alla causa di Cristo e della Chiesa. Io vi accompagno con la mia Benedizione.
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Un cordiale saluto anche al gruppo folkloristico “Ballo Pantomina della Cordella” di Petralia Sottana, in provincia di Palermo, presente a Roma per partecipare all’inaugurazione dei campionati mondiali di atletica leggera. Nella gioia delle vostre danze, voi volete certamente esprimere la vostra gratitudine alla Natura, così generosa di doni per la vita dell’uomo. Il vostro “grazie” giunga fino a Dio, Autore della Natura, che con tanta sapienza l’ha creata e l’ha ordinata per la felicità dell’uomo! Vi benedico di cuore.
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Un caro saluto ed un augurio ai rappresentanti del “Gruppo Sportivo Toccalmatto” di Fontanellato, in provincia di Parma, qui venuti per ricevere da me la fiaccola, che porteranno a piedi fino al locale Santuario della Madonna del Rosario, del quale era tanto devoto il Cardinal Ferrari. Carissimi, il vostro bel gesto è stato ispirato da quel grande servitore della Chiesa; vi ringrazio del pensiero, e anche per l’immagine della Madonna, che mi avete donato, mentre benedico di cuore la vostra iniziativa.

Ai giovani

Carissimi giovani! Tra pochi giorni è la festa di Sant’Agostino, che immagino già conosciate, forse per averlo studiato a scuola. Di lui abbiamo celebrato, quest’anno, il sedicesimo centenario della conversione. Egli è un grande maestro, una grande guida per voi giovani. Con quanta sincerità egli ha vissuto il problema fondamentale della gioventù: qual è il senso della vita? Qual è il senso della mia vita? Ed ha capito che è la Verità assoluta che è Cristo. E una volta compreso questo, egli si dette tutto, con coraggio e coerenza, alla ricerca di questa Verità: Verità da vivere, da sperimentare, da diffondere tra gli uomini. Sant’Agostino sia anche per voi, cari giovai, un fratello che vi guida sul cammino della vita! Con la mia affettuosa Benedizione.

Agli ammalati

Carissimi ammalati qui presenti! Grazie per essere venuti, nonostante vari disagi. In tal modo date prova di grande fede e di grande amore. Grazie di cuore. Anche a voi vorrei ricordare la grande figura di Sant’Agostino. Quant’era largo e generoso il suo cuore di Vescovo! quanto sensibile alle pene più profonde dell’animo e dello spirito! E con quale suadente eloquenza egli, nei suoi insegnamenti, trasmise la luce della divina Parola che illumina, conforta, consola. Egli, dal cielo, interceda per voi, cari malati, mentre io di tutto cuore vi benedico e vi seguo nella preghiera.

Agli sposi novelli

A voi, ora, cari sposi novelli, un cordiale saluto ed un sentito benvenuto. Pure a voi può dire molto il grande Santo d’Ippona, che così profondamente ha sentito vibrare nel suo cuore tutte le corde dell’affettività umana e, con un lavoro costante su se stesso, sorretto dalla grazia divina, ha saputo così bene purificare quest’affettività nella luce della carità verso Dio e il prossimo! L’esperienza d’amore, che da poco avete intrapreso nella luce della fede, potrà trarre grande giovamento dall’ascolto e dall’intercessione di questo grande Santo. Vi accompagno con la mia Benedizione.
***


Seguo con somma apprensione e vivo turbamento le notizie che stanno giungendo da Porto Azzurro circa quanto avviene in quel carcere. Mi è anche pervenuta un’angosciata richiesta a nome di quella popolazione, perché sia garantita la vita degli ostaggi.

Prego anzitutto il Signore affinché tocchi il cuore di quanti hanno nelle loro mani la sorte di tante persone, e, di conseguenza, anche delle loro famiglie. Soltanto Dio è padrone della vita umana!

Confido che prevalga alfine la voce della coscienza, la bontà comune, il senso di umanità che non dovrebbe abbandonare mai nessun cuore umano, nemmeno in momenti così drammatici e convulsi. Lo chiedo nel nome di Dio, al quale vi prego di unire la vostra alla mia supplica.




Mercoledì, 2 settembre 1987

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1. Nella catechesi precedente abbiamo rivolto particolare attenzione a quelle affermazioni, in cui Cristo parla di sé adoperando l’espressione “Io Sono”. Il contesto in cui tali affermazioni compaiono, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, ci permette di pensare che, nel ricorrere a detta espressione, Gesù fa riferimento al Nome con cui il Dio dell’antica alleanza qualifica se stesso dinanzi a Mosè, al momento di affidargli la missione a cui è chiamato: “Io sono colui che sono . . . Dirai agli Israeliti: Io Sono mi ha mandato a voi” (
Ex 3,14).

Gesù parla di sé in questo modo, per esempio nell’ambito della discussione su Abramo: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Jn 8,58). Già quest’espressione ci permette di comprendere che “il Figlio dell’uomo” rende testimonianza alla sua divina preesistenza.E una tale affermazione non è isolata.

2. Più di una volta Cristo parla del mistero della sua Persona, e l’espressione più sintetica sembra essere questa: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre” (Jn 16,28). Gesù rivolge queste parole agli apostoli nel discorso d’addio alla vigilia degli avvenimenti pasquali. Esse indicano chiaramente che prima di “venire” nel mondo, Cristo “era” presso il Padre come Figlio. Indicano quindi la sua preesistenza in Dio. Gesù fa capire chiaramente che la sua esistenza terrena non può essere separata da tale preesistenza in Dio. Senza di essa la sua realtà personale non può essere correttamente intesa.

3. Espressioni simili sono numerose. Quando Gesù accenna alla sua venuta dal Padre nel mondo, le sue parole fanno di solito riferimento alla sua preesistenza divina. Questo è particolarmente chiaro nel Vangelo di Giovanni. Gesù dice davanti a Pilato: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Jn 18,37); e forse non è senza importanza il fatto che Pilato Gli chieda più tardi: “Di dove sei?” (Jn 19,9). E prima ancora leggiamo: “La mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado” (Jn 8,14). A proposito di quel “di dove sei?” nel colloquio notturno con Nicodemo possiamo udire una significativa dichiarazione: “Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Jn 3,13). Questa “venuta” dal cielo, dal Padre, indica la “preesistenza” divina di Cristo anche in relazione alla sua “dipartita”: “E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” - domanda Gesù nel contesto del “discorso eucaristico” nei pressi di Cafarnao (cf. Jn 6,62).

4. L’intera esistenza terrena di Gesù come Messia risulta da quel “prima” e ad esso si riconnette come a una “dimensione” fondamentale secondo la quale il Figlio è “una cosa sola” con il Padre. Quanto eloquenti sono da questo punto di vista le parole della “preghiera sacerdotale” nel cenacolo: “Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Jn 17,4-5).

Anche nei Vangeli sinottici si parla in molti luoghi della “venuta” del Figlio dell’uomo per la salvezza del mondo (cf. ad esempio Lc 19,10 Mc 10,45 Mt 20,28); tuttavia i testi di Giovanni contengono un riferimento particolarmente chiaro alla preesistenza di Cristo.

5. La sintesi più piena di questa verità è contenuta nel Prologo del quarto Vangelo. Si può dire che in tale testo la verità sulla preesistenza divina del Figlio dell’uomo acquista un’ulteriore esplicitazione, quella in certo senso definitiva: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui . . . In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Jn 1,1-5).

In queste frasi l’evangelista conferma ciò che Gesù diceva di se stesso, quando dichiarava: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo” (Jn 16,28), oppure quando pregava perché il Padre lo glorificasse con quella gloria che egli aveva preso di lui prima che il mondo fosse (cf. Jn 17,5). Nello stesso tempo la preesistenza del Figlio nel Padre si collega strettamente con la rivelazione del mistero trinitario di Dio: il Figlio è l’eterno Verbo, è “Dio da Dio”, della stessa sostanza del Padre (come si esprimerà il Concilio di Nicea nel Simbolo della fede). La formula conciliare riflette precisamente il Prologo di Giovanni: “Il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Affermare la preesistenza di Cristo nel Padre equivale a riconoscerne la Divinità. Alla sua sostanza, così come alla sostanza del Padre, appartiene l’eternità. È ciò che viene indicato col riferimento alla preesistenza eterna nel Padre.

6. Il Prologo di Giovanni, mediante la rivelazione della verità sul Verbo, ivi contenuta, costituisce come il definitivo completamento di ciò che già l’Antico Testamento aveva detto della Sapienza. Si vedano, ad esempio, le seguenti affermazioni: “Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò; per tutta l’eternità non verrò meno” (Si 24,9), “Il mio creatore mi fece piantare la tenda e mi disse: fissa la tenda in Giacobbe” (Si 24,8). La Sapienza, di cui parla l’Antico Testamento, è una creatura e nello stesso tempo ha attributi che la mettono al di sopra dell’intero creato: “Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova” (Sg 7,27).

La verità sul Verbo, contenuta nel Prologo di Giovanni, riconferma in un certo senso la rivelazione circa la sapienza presente nell’Antico Testamento, e in pari tempo la trascende in modo definitivo. Il Verbo non soltanto “è presso Dio”, ma “è Dio”. Venendo in questo mondo nella persona di Gesù Cristo, il Verbo “venne fra la sua gente”, poiché “il mondo fu fatto per mezzo di lui” (cf. Jn 1,10-11). Venne tra “i suoi” perché è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (cf. Jn 1,9). L’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo consiste in questa “venuta” nel mondo del Verbo, che è l’eterno Figlio.

7. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Jn 1,14). Diciamolo ancora una volta: il Prologo di Giovanni è l’eco eterna delle parole con cui Gesù dice: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo” (Jn 16,28), e di quelle con cui prega che il Padre lo glorifichi con quella gloria che Egli aveva presso di lui prima che il mondo fosse (cf. Jn 17,5). L’Evangelista ha davanti agli occhi la rivelazione veterotestamentaria circa la Sapienza, e nello stesso tempo l’intero avvenimento pasquale: la dipartita mediante la croce e la risurrezione, in cui la verità su Cristo, Figlio dell’uomo e vero Dio, si è resa completamente chiara a quanti sono stati i suoi testimoni oculari.

8. In stretto rapporto con la rivelazione del Verbo, cioè con la divina preesistenza di Cristo, trova pure conferma la verità sull’Emmanuele.Questa parola - che nella traduzione letterale significa “Dio con noi” - esprime una presenza particolare e personale di Dio nel mondo. Quell’“Io sono” di Cristo manifesta proprio questa presenza già preannunziata da Isaia (cf. Is 7,14), proclamata sulla scia del profeta nel Vangelo di Matteo (cf. Mt 1,23), e confermata nel Prologo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Jn 1,14). Il linguaggio degli evangelisti è multiforme, ma la verità che essi esprimono è la stessa. Nei sinottici Gesù pronuncia il suo “io sono con voi” particolarmente nei momenti difficili (come per esempio: Mt 14,27 Mc 6,50 Jn 6,20), in occasione della tempesta sedata, come pure nella prospettiva della missione apostolica della Chiesa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

9. L’espressione di Cristo: “Sono uscito dal Padre e sono nel mondo” (Jn 16,28) contiene un significato salvifico, soteriologico. Tutti gli evangelisti lo manifestano. Il Prologo di Giovanni lo esprime nelle parole: “A quanti . . . l’hanno accolto (il Verbo), ha dato potere di diventare figli di Dio”, la possibilità cioè di essere generati da Dio (cf. Jn 1,12-13).

Questa è la verità centrale di tutta la soteriologia cristiana, organicamente connessa con la realtà rivelata del Dio-Uomo. Dio si fece uomo, affinché l’uomo potesse partecipare realmente della vita di Dio, potesse anzi diventare, in un certo senso, Dio egli stesso. Già gli antichi Padri della Chiesa hanno avuto di ciò chiara coscienza. Basti ricordare sant’Ireneo, il quale, esortando a seguire Cristo, unico maestro vero e sicuro, affermava. “Per l’immenso suo amore egli s’è fatto ciò che noi siamo, per dare a noi la possibilità di essere ciò che è lui” (cf. S. Irenaei, Adversus haereses, V, Praef.: PG 7,1120).

Questa verità ci apre orizzonti sconfinati, nei quali situare l’espressione concreta della nostra vita cristiana, alla luce della fede in Cristo, Figlio di Dio, Verbo del Padre.

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini e ai visitatori di espressione inglese


Ai numerosi fedeli giunti dalla Spagna e da diversi Paesi dell’America Latina

Ai fedeli polacchi

Ai giovani

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana e in particolare al gruppo dei ciclisti lodigiani venuti a Roma in bicicletta. Saluto poi tutti i giovani qui presenti specialmente gli studenti, ai quali desidero oggi dirigere una parola di incoraggiamento a riprendere con entusiasmo l’impegno del lavoro scolastico, dopo le vacanze estive. Il periodo dedicato allo studio è un tempo prezioso e unico per la formazione dell’intelligenza, della volontà e del cuore. Approfittatene con la vostra consueta generosità, e il Signore vi benedirà in abbondanza.

Agli ammalati

Il mio affettuoso benvenuto giunga anche a voi, Fratelli ammalati, qui venuti per dare in pubblico una testimonianza del valore della sofferenza ai fini della salvezza indicata dal Vangelo. L’offerta del dolore a Gesù ha, infatti, il valore di un’attività missionaria, perché vi permette di aiutare la Chiesa nella sua difficile e alta missione di diffondere nelle menti e nei cuori la verità e la vita di Cristo Salvatore. Vi ringrazio per questa partecipazione e vi benedico di cuore.

Agli sposi novelli

Infine, una parola di saluto a voi, sposi novelli, che, in questi primi giorni di vita in comune, sentite il bisogno d’invocare dal Signore la forza di camminare insieme per realizzare l’ideale della famiglia cristiana, nella condivisione delle speranze, delle preoccupazioni e dei dolori. Il matrimonio, santificato nel nome di Cristo, vissuto secondo la sua legge è, nonostante i sacrifici, sorgente feconda e inesauribile di gioia. Il Signore vi benedica largamente.





Catechesi 79-2005 19887