Catechesi 79-2005 9987

Mercoledì, 9 settembre 1987

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1. Il ciclo delle catechesi su Gesù Cristo ha come centro la realtà rivelata del Dio-Uomo. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. È la realtà che si esprime coerentemente nella verità dell’unità inscindibile della persona di Cristo. Di questa verità non possiamo trattare in modo disarticolato né, tanto meno, separando un aspetto dall’altro. Tuttavia, a motivo del carattere analitico e progressivo della conoscenza umana, e in parte anche per il modo di proporre questa verità che troviamo nella fonte stessa della rivelazione - innanzitutto la Sacra Scrittura - qui dobbiamo cercare di indicare, in primo luogo, ciò che dimostra la divinità, e quindi ciò che dimostra l’umanità dell’unico Cristo.

2. Gesù Cristo è vero Dio.È Dio-Figlio consustanziale al Padre (e allo Spirito Santo), nell’espressione “Io Sono”, che Gesù Cristo utilizza nei riguardi della propria persona, troviamo un’eco del nome con il quale Dio ha manifestato se stesso parlando a Mosè (cf.
Ex 3,14). Poiché Cristo applica a se medesimo lo stesso “Io Sono” (cf. Jn 13,19), occorre ricordare che questo nome definisce Dio non soltanto quale Assoluto (esistenza in sé dell’Essere per se stesso), ma colui che ha stipulato l’alleanza con Abramo e con la sua discendenza e che, in forza dell’alleanza, manda Mosè a liberare Israele (cioè i discendenti di Abramo) dalla schiavitù di Egitto. Così dunque quell’“Io Sono” contiene in sé anche un significato soteriologico, parla del Dio dell’alleanza che è con l’uomo (come con Israele) per salvarlo. Indirettamente parla dell’Emmanuele (cf. Is 7,14), il “Dio con noi”.

3. L’“Io Sono” di Cristo (soprattutto nel Vangelo di Giovanni) deve essere inteso nello stesso modo. Senza dubbio esso indica la preesistenza divina del Verbo-Figlio (se ne è parlato nella catechesi precedente), ma, nello stesso tempo, richiama il compimento della profezia d’Isaia circa l’Emmanuele, il “Dio con noi”.“Io Sono” significa quindi - sia nel Vangelo di Giovanni sia nei Vangeli sinottici - anche “io sono con voi” (cf. Mt 28,20). “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo” (Jn 16,28) “. . . a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). La verità circa la salvezza (la soteriologia), già presente nell’Antico Testamento nella rivelazione del nome di Dio, viene riconfermata ed espressa fino in fondo dall’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo. Proprio in tale senso “il Figlio dell’uomo” è vero Dio: Figlio della stessa sostanza del Padre, che ha voluto essere “con noi” per salvarci.

4. Queste considerazioni preliminari dobbiamo averle costantemente presenti quando cerchiamo di ricavare dal Vangelo tutto ciò che rivela la divinità di Cristo. Ecco alcuni passi evangelici importanti in questa prospettiva. Innanzitutto l’ultimo colloquio del Maestro con gli apostoli, alla vigilia della passione, quando parla della “casa del Padre”, nella quale egli va a preparare loro un posto (cf. Jn 14,1-3). A Tommaso che gli chiede la via, Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita”, Gesù è la via perché nessuno viene al Padre se non per mezzo di lui. Anzi: chi vede lui, vede il Padre. “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Jn 14,6 Jn 14,9 Jn 14,10).

È abbastanza facile rendersi conto che, in tale contesto, quel proclamarsi “verità” e “vita” equivale a riferire a sé attributi propri dell’Essere divino: Essere-Verità, Essere-Vita.

L’indomani Gesù dirà a Pilato: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Jn 18,37). La testimonianza alla verità può essere resa dall’uomo, ma “essere la verità” è un attributo esclusivamente divino. Quando Gesù, quale vero uomo, rende testimonianza alla verità, tale testimonianza ha la sua sorgente nel fatto che egli stesso “è la verità” nella sussistente verità di Dio: “Io sono . . . la verità”. Perciò egli può anche dire di essere “la luce del mondo”, così che chi lo segue “non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Jn 8,12).

5. Analogamente, ciò vale anche dell’altra parola di Gesù: “Io sono. . . la vita” (Jn 14,6). L’uomo, che è una creatura, può “avere” la vita, la può anche “dare”, così come Cristo “dà” la sua vita per la salvezza del mondo ( par.). Quando Gesù parla di questo “dare la vita”, si esprime come vero uomo. Ma egli “è la vita” perché è vero Dio. Lo afferma lui stesso prima di risuscitare Lazzaro, quando dice alla sorella del defunto, Marta: “Io sono la risurrezione e la vita”. Nella risurrezione confermerà definitivamente che la vita che egli ha come Figlio dell’uomo non è soggetta alla morte. Perché egli è la vita, e quindi è Dio. Essendo la Vita, egli può parteciparla anche agli altri: “Chi crede in me, anche se muore vivrà” (Jn 11,25). Cristo può anche divenire - nell’Eucaristia - “il pane della vita” (Jn 6,35 Jn 6,48), “il pane vivo disceso dal cielo” (Jn 6,51). Anche in questo senso Cristo si paragona alla vite, che vivifica i tralci innestati in lui (Jn 15,1), ossia tutti coloro che fanno parte del corpo mistico.

6. A queste espressioni così trasparenti circa il mistero della divinità nascosta nel Figlio dell’uomo, possiamo aggiungerne qualche altra, dove il medesimo concetto è rivestito di immagini già appartenenti all’Antico Testamento e specialmente ai profeti, e che Gesù riferisce a se stesso.

È il caso, ad esempio, dell’immagine del pastore. È ben nota la parabola del buon pastore nella quale Gesù parla di sé e della sua missione salvifica: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Jn 10,11). Nel Libro di Ezechiele leggiamo: “Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura . . . Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo . . . Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata . . . le pascerò con giustizia” (Ez 34,11 Ez 34,15-16). “Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro Dio” (Ez 34,31). Un’immagine simile la troviamo anche in Geremia (Jr 23,3).

7. Parlando di sé come del buon pastore, Cristo indica la sua missione redentrice (“Offro la vita per le pecore”); al tempo stesso, rivolgendosi ad ascoltatori che conoscevano le profezie di Ezechiele e di Geremia, indica abbastanza chiaramente la sua identità con Colui che nell’Antico Testamento aveva parlato di sé come di un pastore premuroso, dichiarando: Io sono il vostro Dio” (Ez 34,31).

Il Dio dell’Antica Alleanza nell’insegnamento dei profeti ha presentato se stesso anche come lo Sposo di Israele, suo popolo. “Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele” ( anche Os 2,21-22). A questa similitudine Gesù fa più volte riferimento nel suo insegnamento (cf. Mc 2,19-20 Mt 25,1-12 Lc 12,36 Jn 3,27-29). Essa sarà successivamente sviluppata da san Paolo che nelle sue lettere presenta Cristo come lo sposo della sua Chiesa (cf. Ep 5,25-29).

8. Tutte queste espressioni, e altre simili, usate da Gesù nel suo insegnamento acquistano tutto il loro significato, se le rileggiamo nel contesto di ciò che egli faceva e diceva.Esse costituiscono delle unità tematiche che, nel ciclo delle presenti catechesi su Gesù Cristo, occorre tenere costantemente legate all’insieme delle meditazioni sull’Uomo-Dio.

Cristo: vero Dio e vero uomo. “Io Sono” come nome di Dio indica l’Essenza divina le cui proprietà o attributi sono: la Verità, la Luce, la Vita, e anche ciò che s’esprime mediante le immagini del Buon Pastore e dello Sposo. Colui che disse di se stesso: “Io sono colui che sono” (Ex 3,14), si presentò anche come il Dio dell’Alleanza, come il creatore e insieme il redentore, come l’Emmanuele: Dio che salva. Tutto questo trova conferma e attuazione nell’incarnazione di Gesù Cristo.

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini e ai visitatori di espressione inglese

Ai fedeli giunti dalla Spagna e da diversi Paesi dell’America Latina


Ai pellegrini di espressione slovena

Agli Eccellentissimi Presuli patrocinatori, in particolare all’Arcivescovo di Gorizia, e ai partecipanti al simposio, organizzato dall’Accademia teologica slovena, la mia Apostolica Benedizione.

Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini di lingua italiana

Desidero rivolgere un affettuoso saluto al folto gruppo parrocchiale di San Giovanni Battista di Campagnano di Roma, guidato al Parroco, Don Renzo Tanturli. Del gruppo fa parte un complesso musicale bandistico che offre la propria prestazione in occasione di feste e manifestazioni religiose.

Esprimo il mio compiacimento per quest’iniziativa, atta a rafforzare uno spirito di fraterna collaborazione e a favorire un cammino di fede sia all’interno del complesso musicale sia nel più vasto raggio della Parrocchia.

Vi auguro, cari fratelli e sorelle, di poter perseguire con entusiasmo in questa vostra attività, che è una vera e propria testimonianza cristiana. Di cuore vi imparto la mia Benedizione.
* * *


Il mio cordiale benvenuto anche al gruppo della Parrocchia di Fortogna di Longarone, guidati dal parroco Don Emilio Zanetti. Questi pellegrini mi hanno portato in dono un Crocifisso ligneo, presso il quale sostai in preghiera in occasione della mia visita al cimitero delle vittime del Vajont.

Vi ringrazio di cuore, cari fratelli e sorelle, sia per la vostra presenza, sia per l’omaggio che mi avete consegnato. Ricordo con commozione il mio incontro con voi e la vostra terra, e chiedo al Signore Gesù che vi conceda in abbondanza i doni del suo Spirito per un cammino di fede ricco di serenità e di pace, mentre io v’imparto una larga Benedizione.
* * *


Un pensiero affettuoso va ora ai seminaristi simpatizzanti del Movimento dei Focolari. Provenienti da ogni Paese d’Europa ed anche da altri Continenti, sono riuniti presso Castel Gandolfo per un convegno di spiritualità. Mi compiaccio per questa vostra iniziativa e le auguro ampio successo, “ per la Chiesa e per l’umanità ”, secondo il tema stesso del vostro Congresso. Vi accompagno e vi seguo con la mia Benedizione.
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Un saluto, un augurio ed una parola di compiacimento anche per il gruppo di 30 missionari che stanno frequentando un corso di aggiornamento organizzato dal Pontificio Istituto Missioni Estere. Anche a voi, cari fratelli, va il mio plauso, mentre formulo voti che questo incontro possa offrire alla vostra scelta di vita nuove ragioni e nuovo slancio per un servizio sempre più efficace alla causa del Vangelo e della salvezza dell’uomo. Vi benedico di cuore, insieme con coloro ai quali offrirete la vostra testimonianza.

Ai giovani

Desidero rivolgere un cordiale saluto a voi, giovani presenti a questo incontro, e vi auguro che in questo periodo in cui avete ripreso le normali occupazioni di studio o di lavoro, sappiate realizzare in pienezza il vostro impegno di battezzati, dando una testimonianza di fede e di vita, ispirata alla Persona e al Messaggio di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio e nostro Redentore.

Agli ammalati

Un affettuoso pensiero per voi, carissimi Fratelli e Sorelle, che portate dolorosamente nel vostro corpo il peso della malattia. Siate sereni, siate sicuri che Dio non vi ha dimenticato, non vi ha abbandonato, ma ha costruito e continua a costruire misteriosamente in voi e con voi un progetto di grazia e di amore, per voi e, in particolare, per tanti altri, a Lui solo noti, che han bisogno di purificazione e di riconciliazione. offrite a Lui generosamente la vostra sofferenza fisica e spirituale, unendola a quella di Cristo Crocifisso. A nome della Chiesa vi dico tutta la comune solidarietà e vi chiedo il dono del vostro umile e prezioso “ Fiat ”.

Agli sposi novelli

Fervidi auguri e sincere felicitazioni esprimo a voi tutti, sposi novelli, presenti a questa Udienza, e nel ricordarvi che avete consacrato in questi giorni il vostro reciproco amore dinanzi a Dio e alla Chiesa nel sacramento del Matrimonio, formo voti perché la vostra nascente famiglia sia un’autentica “Chiesa in miniatura”, in cui Dio sia il primo amato e il primo servito. Costruite la vostra vita coniugale sul fondamento della fede, che animi, illumini e orienti le vostre scelte quotidiane. La Madonna Santissima e il suo castissimo Sposo San Giuseppe proteggano sempre il vostro focolare.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Al termine dell'Udienza il Santo Padre parla del pellegrinaggio negli Stati Uniti d'America:





Mercoledì, 23 settembre 1987

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1. Rendiamo grazie al Signore nostro Dio . . .

Oggi desidero, insieme con l’episcopato e con la Chiesa che è negli Stati Uniti d’America, rendere grazie a Dio, Signore nostro, per il servizio che ho potuto compiere nel corso del secondo pellegrinaggio in quel Paese. Ringraziando Dio, ringrazio, nello stesso tempo, gli uomini, i quali in diversi modi hanno dato il loro contributo a questo particolare avvenimento. In primo luogo ringrazio i miei fratelli nell’episcopato, e poi tutti i loro collaboratori ecclesiastici e laici.

Una speciale parola di ringraziamento rivolgo ai presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, alla sua consorte e a tutti i rappresentanti delle autorità federali e di quelle dei singoli Stati per la collaborazione così solerte e discreta. Ringrazio gli organi delle comunicazioni sociali e quelli della sicurezza. Ringrazio inoltre il vicepresidente, George Bush, per il suo saluto alla mia partenza da Detroit.

2. L’evento di una visita come questa merita un’attenta analisi da molteplici angolature. Nel quadro di un breve discorso si possono mettere in rilievo appena gli elementi principali di questo pellegrinaggio papale nei vasti spazi degli Stati Uniti. La visita precedente, svoltasi nell’anno 1979, riguardò la parte nord-est e centrale del Paese.Questa volta il cammino si è diretto soprattutto attraverso le regioni del sud e dell’ovest americano. Le tappe sono state successivamente: Miami (Florida), Columbia (Sud Carolina), New Orleans (Louisiana), San Antonio (Texas), Phoenix (Arizona), e poi lungo la costa del Pacifico: Los Angeles, Monterey, San Francisco (California), per concludere infine a nord-est con la sosta a Detroit (Michigan). Dappertutto, al centro della visita è stata la liturgia eucaristica: la santa Messa costituiva l’incontro principale con la Chiesa locale (tranne che a Columbia, dove l’incontro ebbe il carattere della comune preghiera ecumenica). Occorre sottolineare l’eccellente preparazione liturgica, che si è manifestata particolarmente nella perfezione dei canti e nella matura partecipazione di tutta l’assemblea.

3. Uno sguardo complessivo all’insieme della visita mi induce a rivolgere l’attenzione al multiforme pluralismo, che si è reso evidente durante questo viaggio. Innanzitutto il pluralismo etnico. La parte sud-ovest degli Stati Uniti ha legami particolari col mondo Ispanico. Dalle terre del continente latinoamericano, infatti, partì la prima evangelizzazione, che ha lasciato traccia di sé fino ai giorni nostri nei nomi delle principali città e dei centri ecclesiastici (per esempio: San Antonio, Los Angeles, San Francisco, e tanti altri). Oggi tale presenza etnica si mette in evidenza con una forza nuova - portando nello stesso tempo in primo piano anche elementi della religiosità e della devozione caratteristiche dell’America Latina.

L’eredità francese si manifesta principalmente a New Orleans (e nell’intero Stato della Louisiana).

4. Quando si parla degli elementi etnici, non è possibile dimenticare gli abitanti originari dell’America (i nativi americani), gli Indios. Non è nemmeno possibile dimenticare i Negri, un tempo portati lì dall’Africa come schiavi. Oggi essi costituiscono un notevole gruppo etnico nel “mosaico” della società americana.

Nel contesto di questa visita mi è stato dato di incontrarmi distintamente con i singoli gruppi menzionati. Sulla Costa Occidentale si notano particolarmente i gruppi di origine asiatica.La loro presenza nella Chiesa e nella liturgia è ormai ben visibile.

Invece nella parte Orientale dominano i discendenti delle emigrazioni etniche e tra di essi i figli della numerosa emigrazione polacca, con i quali ho potuto incontrarmi a Detroit.

5. Dentro il pluralismo etnico degli Stati Uniti, si sviluppa da generazioni il pluralismo confessionale (religioso). La Chiesa cattolica costituisce circa il 23 per cento dell’insieme degli americani (oltre 50 milioni). Accanto ad essa, l’insieme della cristianità negli Stati Uniti è costituito dalle altre numerose Chiese e comunità cristiane.

Il dialogo ecumenico e la collaborazione sono molto vivi (tranne che con alcune comunità estremiste e con le sette). Una manifestazione dello spirito che vivifica questa collaborazione è stato l’incontro che ebbe luogo a Columbia, e la comune preghiera, durante la quale ho pronunciato un’omelia dedicata alla famiglia cristiana.

6. Vivi sono anche i contatti con le religioni non cristiane che provengono dall’Asia (Buddismo e Induismo), prima di tutto a Los Angeles e a San Francisco. E ivi ha avuto luogo l’incontro con i rappresentanti di queste religioni, come anche con quelli dell’Islam e del Giudaismo.

La comunità israelitica negli Stati Uniti è molto numerosa ed esercita un grande influsso. Si deve ricordare come uno dei momenti più importanti della visita l’incontro che, secondo il programma, si è svolto all’inizio del pellegrinaggio nella città di Miami e che costituisce un nuovo importante passo sulla via del dialogo tra la Chiesa e il Giudaismo, nello spirito della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate.

7. Debbo riservare parole di speciale riconoscimento per il modo, in cui la Chiesa che è negli Stati Uniti e particolarmente i suoi Pastori hanno accolto questa visita. Essa non si è risolta soltanto in un incontro liturgico durante la santa Messa (la quale tuttavia ha sempre avuto, com’è ovvio, un posto centrale e solenne), ma si è articolata anche in incontri aventi carattere, si potrebbe dire, “di lavoro”, che hanno fatto vedere come la Chiesa in America svolge la sua attività nei diversi settori della missione che le è propria.

In primo luogo occorre nominare qui l’incontro con la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che ha consentito di toccare i problemi nevralgici, sia dottrinali che pastorali, della vita della Chiesa in quella società grande e differenziata che forma gli Stati Uniti.

8. Simili cose debbono dirsi degli incontri, programmati e svoltisi nello stesso spirito, con i sacerdoti e con i religiosi e le religiose, come anche con il laicato. Poi gli incontri “di lavoro” con i rappresentanti delle strutture educative e delle scuole - dalle scuole elementari fino alle università - con i rappresentanti delle istituzioni caritative, tra le quali si distingue la rete, molto sviluppata negli Stati Uniti, degli ospedali cattolici: da tutto l’insieme è emersa un’immagine del lavoro svolto e dei risultati raggiunti dal cattolicesimo americano nell’arco di quasi due secoli di attività della Chiesa (tra cinque anni, nel 1992, avrà luogo il 200° anniversario dell’istituzione della gerarchia cattolica negli Stati Uniti).

Vorrei ancora ricordare l’incontro con i giovani e quello, a Hollywood, col mondo delle comunicazioni sociali e del cinema.

9. La visita ha avuto luogo in questo 1957, anno in cui gli Stati Uniti celebrano il 200° anniversario della proclamazione della Costituzione. Essa ha un significato fondamentale non soltanto per lo sviluppo della società e degli Stati americani, dell’economia e della cultura, ma anche per lo sviluppo della Chiesa in quel grande Paese. Uno dei principi affermati nella Carta costituzionale è quello della libertà religiosa, grazie alla quale - il regime di separazione tra Chiesa e Stato - si è realizzato un crescente sviluppo nei vari campi della vita ecclesiastica.

10. Questo fatto ha trovato il suo riflesso adeguato nel contesto della recente visita, la quale ha dimostrato, tra le altre cose, un profondo legame del cattolicesimo statunitense con la Chiesa universale, mediante la sincera comunione col centro apostolico di essa, costituito dalla Chiesa di Roma.

Il vescovo di Roma ringrazia l’intera società americana, e in particolare la Chiesa che vive in quel Continente, per la cordiale ospitalità. E contemporaneamente le augura una fruttuosa evangelizzazione, adeguata ai bisogni della società contemporanea, che è caratterizzata da elevate conquiste nel campo della cultura materiale, della civilizzazione, in particolare nel campo dell’organizzazione, della scienza e della tecnica. Si può dire che, in un tale contesto, l’evangelizzazione esige una “inculturazione” sempre più matura.

11. Nello stesso tempo non è possibile dimenticare la parabola evangelica che ci mette davanti agli occhi la figura del ricco epulone e di Lazzaro. La Chiesa e il cristianesimo nell’America devono avere una profonda coscienza della sfida che il mondo contemporaneo pone attraverso la divisione in un Nord ricco (i paesi in pieno sviluppo) e in un Sud sottosviluppato (il così detto terzo mondo). Nel nome del Vangelo la Chiesa e il cristianesimo debbono farsi eco costante di questa sfida. E insieme debbono cercare le opportune soluzioni. La Chiesa universale, che unisce gli uomini e i popoli nella dimensione dell’intero globo terrestre, desidera intraprendere con rinnovata lena questo servizio.

12. A conclusione del viaggio in America mi è stato dato di completare la visita a Fort Simpson, che a causa delle avverse condizioni atmosferiche non potei raggiungere tre anni fa, nel corso del mio soggiorno in Canada. Ho potuto così incontrare la Comunità degli Indios, degli Inuit e dei Metis, residenti nel Nord del Canada.

Raccomando allo Spirito Santo quegli abitanti più antichi del Continente nord-americano, i quali hanno dato un’importanza così grande a questa visita. La divina Provvidenza conceda loro di vivere conservando la piena dignità di figli di Dio e di cittadini di quel grande Paese, con uguali diritti e doveri.

Ai fedeli di lingua francese


Ai fedeli di espressione linguistica inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese


Al gruppo di fedeli polacchi


Alle capitolari della Congregazione delle Suore Serve dei Poveri

Rivolgo ora un caro saluto alle Suore Serve dei poveri di Roma, riunite in Capitolo generale per eleggere il nuovo governo dell’Istituto e per promuovere una sempre maggiore fedeltà al carisma del Fondatore, il Beato Giacomo Cusmano, vivo segno, tra gli uomini, dell’amore misericordioso del Cuore del Verbo incarnato.

Auguro ai vostri lavori, care Sorelle, di raggiungere felicemente gli obiettivi che vi siete prefissi, per un vostro servizio nella Chiesa e nel mondo sempre più ricco di frutti, a gloria del Padre celeste. Io vi sono vicino con la mia affettuosa Benedizione.

Ai giovani

Mi rivolgo ora a voi, giovani e ragazzi, che affollate ed animate col vostro entusiasmo questa piazza. Vi esprimo il mio cordiale saluto, augurandovi di vivere sempre nella gioia e nella speranza cristiane. Vi raccomando di orientare verso il bene le vostre energie giovanili e i vostri propositi per il futuro. Sappiate rischiare il vostro cammino alla luce del Vangelo, luce vera che non conosce tramonto. Vivete coerentemente la vostra fede ed impegnatevi a promuovere nella società i valori spirituali, capaci di dare senso all’esistenza. Vi sostenga e vi accompagni la mia Benedizione.

Agli ammalati

Anche a voi, cari ammalati, che partecipate a questo incontro settimanale, voglio rivolgere una parola di affetto e di incoraggiamento. Se saprete bene indirizzare le vostre sofferenze, esse non resteranno senza frutto, ma saranno molto preziose perché contribuiranno all’opera della redenzione del mondo, per la quale il Signore si è assoggettato alla passione. Riflettete su queste grandi realtà della nostra fede: esse ancorché non eliminano il dolore, me rivelano tutto il valore salvifico e lo rendono così più sopportabile. Vi sia di consolazione e conforto la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Un saluto, infine, a voi, sposi novelli, insieme con l’augurio che possiate dare inizio al vostro focolare nella gioia e nella serenità proprie della fede cristiana. Il vostro amore non cessi mai di attingere a quell’amore col quale Cristo ha amato ad ama la Chiesa. In questo modo il vostro reciproco amore non si esaurirà mai e non resterete delusi. Ma sarete sempre felici, perché il Signore “ edificherà la casa ” con voi e veglierà sul vostro cammino a due, intrapreso davanti all’altare. Vi benedico e vi accompagno con la mia preghiera.
***


Il 24 settembre 787 si apriva il secondo Concilio di Nicea. Come non ricordare l’anniversario di un avvenimento tanto importante? Il Concilio doveva infatti assicurare il trionfo della vera fede per quanto si riferisce al culto dei santi e al culto delle icone.

Proclamando la legittimità del culto delle icone, quel Concilio traeva una nuova conseguenza dalla nostra fede nella realtà dell’incarnazione del Verbo di Dio. Fu il risultato di lunghi anni di stretta collaborazione tra la Chiesa di Roma e tutti coloro che, a Costantinopoli, lottavano e soffrivano per l’ortodossia. Questo anniversario è, pertanto, anche un programma e un incoraggiamento nel nostro cammino verso l’unità ritrovata.

Tra alcuni giorni, e per sottolineare tale anniversario, avrà luogo a Istanbul tra cattolici ed ortodossi un simposio storico-teologico. D’altra parte, non è forse significativo il fatto che, in quest’anno anniversario, mi appresto a ricevere con gioia la visita, all’inizio del prossimo dicembre, del patriarca ecumenico, sua santità Dimitrios I? Il Signore moltiplica i segni che ci indicano la strada da percorrere. Chiediamogli di guidarci e di affrettare il nostro progresso verso questa meta tanto desiderata.




Mercoledì, 30 settembre 1987

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1. Dio è il giudice dei vivi e dei morti. Il giudice ultimo. Il giudice di tutti.

Già nella catechesi che precede la discesa dello Spirito Santo sui pagani san Pietro proclama di Cristo: “Egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio” (
Ac 10,42). Questo divino potere (“exousía”) è, già nell’insegnamento di Cristo, collegato col Figlio dell’uomo. Il noto testo sul giudizio finale nel Vangelo di Matteo inizia con le parole: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri” (Mt 25,31-33). Il testo parla poi dello svolgimento del processo e preannuncia la sentenza, quella di approvazione: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34); e quella di condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt 25,41).

2. Gesù Cristo, che è Figlio dell’uomo, è nello stesso tempo vero Dio perché ha il potere divino di giudicare le opere e le coscienze umane, e questo potere è definitivo e universale. Egli stesso spiega perché proprio lui ha questo potere dicendo: “Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre” (Jn 5,22-23).

Questo potere è collegato da Gesù con la facoltà di dare la vita. “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole” (Jn 5,21). “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso; e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo” (Jn 5,26-27). Dunque, secondo questa asserzione di Gesù, il potere divino di giudicare è stato legato alla missione di Cristo, quale Salvatore, quale Redentore del mondo. E il giudicare stesso appartiene all’opera della salvezza, all’ordine della salvezza: è un atto salvifico definitivo. Infatti lo scopo del giudizio è la partecipazione piena alla vita divina come ultimo dono fatto all’uomo: il compimento definitivo della sua eterna vocazione. Nello stesso tempo il potere di giudicare si collega con la rivelazione esteriore della gloria del Padre nel suo Figlio come Redentore dell’uomo. “Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo . . . e renderà a ciascuno secondo le sue azioni” (Mt 16,27). L’ordine della giustizia è stato iscritto, fin dall’inizio, nell’ordine della grazia. Il giudizio finale deve essere la riconferma definitiva di questo legame: Gesù dice chiaramente che “i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre” (Mt 13,43), ma non meno chiaramente annunzia anche il rigetto di quelli che hanno operato l’iniquità (cf. Mt 7,23).

Infatti, come risulta dalla parabola dei talenti (Mt 25,14-30) la misura del giudizio sarà la collaborazione con il dono ricevuto da Dio, collaborazione con la grazia oppure rifiuto di essa.

3. Il potere divino di giudicare tutti e ciascuno appartiene al Figlio dell’uomo. Il testo classico nel Vangelo di Matteo (cf. Mt 25,31-46) mette in particolare rilievo il fatto che Cristo esercita questo potere non soltanto come Dio-Figlio, ma anche come Uomo, Lo esercita - e pronunzia le sentenze - nel nome della solidarietà con ogni uomo, che dagli altri riceve il bene oppure il male: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35), oppure “ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare” (Mt 25,42). Una “materia” fondamentale del giudizio sono le opere di carità nei riguardi dell’uomo-prossimo. Cristo s’identifica proprio con questo prossimo. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40); “Ogni volta che non l’avete fatto . . . non l’avete fatto a me” (Mt 25,45).

Secondo questo testo di Matteo, ognuno sarà giudicato soprattutto sull’amore. Ma non c’è dubbio che gli uomini saranno giudicati anche sulla loro fede: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio” (Lc 12,8). Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre” (Lc 9,26 cf. anche Mc 8,38).

4. Dal Vangelo apprendiamo dunque questa verità - che è una delle fondamentali verità della fede - cioè che Dio è giudice di tutti gli uomini in modo definitivo e universale, e che questo potere è stato rimesso dal Padre al Figlio (cf. Jn 5,22) in stretto rapporto con la sua missione di salvezza. Lo attestano in modo particolarmente eloquente le parole pronunziate da Gesù durante il colloquio notturno con Nicodemo: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Jn 3,17).

Se è vero che Cristo, come ci risulta specialmente dai Sinottici, è giudice nel senso escatologico, lo è altrettanto che il potere divino di giudicare viene messo in connessione con la volontà salvifica di Dio, che si manifesta nell’intera missione messianica di Cristo, come viene sottolineato specialmente da Giovanni: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano (e quelli che vedono diventino ciechi)” (Jn 9,39). “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno: perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il Mondo” (Jn 12,47).

5. Senza dubbio, Cristo è e si presenta soprattutto come Salvatore. Non ritiene sua missione giudicare gli uomini secondo principi solamente umani (cf. Jn 8,15). Egli è, prima di tutto, Colui che insegna la via della salvezza e non l’accusatore dei colpevoli. “Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c’è già chi vi accusa, Mosè . . . perché di me egli ha scritto” (Jn 5,45-46). In che cosa consiste quindi il giudizio? Gesù risponde: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Jn 3,19).

6. Occorre, quindi, dire che, dinanzi a questa Luce che è Dio rivelato in Cristo, dinanzi a tale Verità, in certo senso le stesse opere giudicano ciascuno. La volontà di salvare l’uomo da parte di Dio ha la sua manifestazione definitiva nella parola e nell’opera di Cristo, nell’intero Vangelo fino al mistero pasquale della croce e della risurrezione. Essa diventa, nello stesso tempo, il fondamento più profondo, per così dire, il criterio centrale del giudizio sulle opere e coscienze umane. Soprattutto in questo senso “il Padre . . . ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Jn 5,22), offrendo in lui a ogni uomo la possibilità di salvezza.

7. In questo stesso senso, purtroppo, l’uomo è già stato condannato, quando rifiuta la possibilità che gli è offerta: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (Jn 3,18). Non credere vuol dire propriamente: rifiutare la salvezza offerta all’uomo in Cristo (“Non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”) (Jn 3,18). È la stessa verità adombrata nella profezia del vecchio Simeone, riportata nel Vangelo di Luca, quando annunciava di Cristo: “Egli è per la rovina e la risurrezione di molti in Israele” (Lc 2,34). Lo stesso si può dire dell’accenno alla “pietra scartata dai costruttori” (cf. Lc 20,17-18).

8. È però certezza di fede che “il Padre . . . ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Jn 5,22). Ora, se il potere divino di giudicare appartiene a Cristo, è segno che lui - il Figlio dell’uomo - è vero Dio, perché solo a Dio appartiene il giudizio. E poiché questo potere di giudizio è profondamente unito alla volontà di salvezza, come ci risulta dal Vangelo, esso è una nuova rivelazione del Dio dell’alleanza, che viene agli uomini come Emmanuele, per liberarli dalla schiavitù del male. È la rivelazione cristiana del Dio che è Amore.

Resta così corretto quel modo troppo umano di concepire il giudizio di Dio, visto come fredda giustizia soltanto, se non addirittura come vendetta. In realtà tale espressione, che è di chiara derivazione biblica, appare come l’ultimo anello dell’amore di Dio, Dio giudica perché ama e in vista dell’amore. Il giudizio che il Padre affida al Cristo è secondo la misura dell’amore del Padre e della nostra libertà.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola


A pellegrini di lingua portoghese

Ai connazionali polacchi

A numerosi gruppi di pellegrini italiani

Saluto con viva cordialità il gruppo dell’Istituto Artigianelli di Brescia, giunto in pellegrinaggio alla Sede di Pietro in occasione del centenario di fondazione ad opera del venerabile Padre Giovanni Battista Piamarta a favore dei giovani bisognosi del mondo del lavoro.

La vostra Opera, cari fratelli, è presente anche in Brasile ed in Cile, ed alcuni di voi, compresa una banda musicale composta di ragazzi, provengono anche da quelle parti. Grazie per la vostra visita, e tanti auguri affinché il bene che fate a favore della gioventù possa estendersi sempre più. Di cuore vi benedico.
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Un caro saluto anche al gruppo della parrocchia romana di Santa Galla, che tra pochi giorni festeggerà la festa patronale inaugurando una cappella dedicata a Maria “Romanae Portus securitatis”. In questa cappella sarà posta un’immagine della Vergine, che io ben volentieri benedico, come pure benedico tutti voi, cari fratelli, chiedendo alla Madre di Dio che vi ottenga in abbondanza le grazie celesti.
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Saluto, inoltre, i pellegrini provenienti dalla parrocchia di San Pietro a Mezzana in diocesi di Prato. Hanno portato una statua della Madonna, da destinare alla nuova chiesa parrocchiale. Mi hanno chiesto di benedirla, ed io ben volentieri accetto la richiesta, esprimendo il voto che la protezione della Vergine sia loro particolarmente presente durante il prossimo mese di ottobre a Lei dedicato, e durante il quale si svolgeranno le Sante Missioni. Benedico tutti di cuore.
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Un cordiale saluto al gruppo di Radiotelepace di Cerna, in Provincia di Verona. Con le offerte raccolte tra migliaia di ascoltatori questa benemerita Associazione ha acquistato un “ monitor ”, una sofisticata apparecchiatura medica, destinata all’Ospedale di Nazaret.

Benedico di cuore la vostra iniziativa, auspicando ogni bene.

Ai giovani

Rivolgo il mio cordiale saluto ai giovani presenti. Carissimi, alla vigilia dell’apertura del Sinodo dei Vescovi, desidero esortarvi a seguire la celebrazione di tale evento ecclesiale con particolare attenzione. Il vostro impegno può attingere molto dalla riflessione che si dedicherà alla vocazione ed alla missione dei laici a vent’anni dal Concilio Vaticano II, il quale, per venire attuato in tutta la sua pienezza, ha bisogno di persone formate ai suoi insegnamenti ed alle sue indicazioni, di sempre fresche e generose energie, cioè anche di voi, giovani. In unione con Maria, invocate lo Spirito Santo perché vi riempia dei suoi doni e così essere esecutori pronti e fedeli di quanto Egli vi ispirerà. Vi benedico uno per uno.

Agli ammalati

Anche a voi, carissimi ammalati, porgo il mio affettuoso saluto. Inizia domani il mese di ottobre, dedicato dalla pietà del popolo cristiano al S. Rosario. Da questa semplice e meravigliosa preghiera sappiate attingere forza e conforto.

Carissimi ammalati, vi invito a voler sostenere i lavori del Sinodo con la recita quotidiana del S. Rosario e con l’offerta delle sofferenze al Signore. Ciò attirerà certamente sull’Assemblea dei Vescovi i divini favori e non sarà poco il vostro merito per questo sostegno silenzioso, ma importantissimo. Vi sia di incoraggiamento l’Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

Un saluto ed un augurio alle coppie di sposi novelli. Carissimi, fate in modo che la vostra famiglia sia una “Chiesa domestica” in cui si vive in unione con Dio, nella serenità e nella pace.

Vi accompagni la mia Benedizione.                                                                                     



Catechesi 79-2005 9987