Catechesi 79-2005 7107

Mercoledì, 7 ottobre 1987

7107

1. Legato al potere divino di giudicare che, come abbiamo visto nella precedente catechesi, Gesù Cristo si attribuisce e gli evangelisti, specialmente Giovanni, ci fanno conoscere, vi è quello di rimettere i peccati. Abbiamo visto che il potere divino di giudicare ciascuno e tutti - messo in rilievo soprattutto nella descrizione apocalittica del giudizio finale - è profondamente connesso con la volontà divina di salvare l’uomo in Cristo e per Cristo. Il primo momento di attuazione della salvezza è la remissione dei peccati.

Si può dire che la verità rivelata del potere di giudizio ha la sua continuazione in tutto ciò che i Vangeli dicono circa il potere di remissione dei peccati. Questo potere appartiene a Dio solo. Se Gesù Cristo - il Figlio dell’Uomo - ha lo stesso potere, vuol dire che egli è Dio, conforme a ciò che lui stesso ha detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (
Jn 10,30). Infatti Gesù fin dall’inizio della sua missione messianica, non si limita a proclamare la necessità della conversione (“Convertitevi e credete al Vangelo”: Mc 1,15) e a insegnare che il Padre è disposto a perdonare i peccatori pentiti, ma rimette lui stesso i peccati.

2. È proprio in tali momenti che rifulge con maggior chiarezza il potere che Gesù afferma di possedere, attribuendolo al proprio Io senza alcuna esitazione. Egli afferma, ad esempio: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” (Mc 2,10). Lo dice agli scribi presenti a Cafarnao, quando viene a lui condotto un paralitico perché lo guarisca. L’evangelista Marco scrive che Gesù, vedendo la fede degli accompagnatori del paralitico, i quali avevano addirittura praticato un’apertura nel tetto per calare il lettuccio del povero infermo davanti a lui, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2,5). Gli scribi presenti ragionavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?” (Mc 2,7). Gesù, che leggeva nel loro spirito, sembra volerli prendere di petto: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2,8-11). La gente che vide il miracolo, presa da stupore, glorificò Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!” (Mc 2,12).

È comprensibile l’ammirazione per quella straordinaria guarigione, e anche il senso di timore o riverenza che, secondo Matteo, prende la folla dinanzi alla manifestazione di quel potere di guarire dato da Dio agli uomini (cf. Mt 9,8) o, come scrive Luca (Lc 5,26), dinanzi alle cose prodigiose” viste quel giorno. Ma per coloro che riflettono sullo svolgimento del fatto, il miracolo della guarigione appare come la conferma della verità proclamata da Gesù e intuita e contestata dagli scribi: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati”.

3. Si noti anche la precisazione di Gesù circa il suo potere di rimettere i peccati sulla terra: è un potere, cioè, che egli esercita già nella sua vita storica, mentre si muove come “Figlio dell’uomo” nei paesi e sulle strade della Palestina, e non solo nell’ora del giudizio escatologico, dopo la glorificazione della sua umanità. Già sulla terra Gesù è il “Dio con noi”, il Dio-Uomo che rimette i peccati.

Si noti pure come in tutti i casi in cui Gesù parla di remissione dei peccati, i presenti manifestano contestazione e scandalo. Così nel testo dove è descritto l’episodio della peccatrice, che si reca dal Maestro mentre questi siede a mensa in casa del fariseo. Gesù dice alla peccatrice: “Ti sono perdonati i tuoi peccati” (Lc 7,48). È significativa la reazione dei commensali che “cominciarono a dire tra sé: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?”” (Lc 7,49).

4. Anche nell’episodio della donna “sorpresa in flagrante adulterio” e condotta da scribi e farisei al cospetto di Gesù per provocare un suo giudizio in base alla legge di Mosè, troviamo alcuni particolari molto significativi, che l’evangelista Giovanni ha voluto registrare. Già la prima risposta di Gesù agli accusatori della donna: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Jn 8,7), ci fa conoscere la sua considerazione realistica della condizione umana, a cominciare da quella dei suoi interlocutori, che difatti si defilano uno dopo l’altro. Notiamo inoltre la profonda umanità di Gesù nel trattare quella sventurata - della quale certamente disapprova i trascorsi; le raccomanda infatti: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Jn 8,11) -, ma che non schiaccia sotto il peso di una condanna senza appello. Nelle parole di Gesù noi possiamo raccogliere la riaffermazione del suo potere di rimettere i peccati e quindi della trascendenza del suo Io divino, quando avendo chiesto alla donna; “Nessuno ti ha condannata?” e avuto la risposta: “Nessuno, Signore”, dichiara: “Neppure io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Jn 8,10-11). In quel “neppure io” vibra il potere di giudizio e di perdono che il Verbo ha in comunione col Padre e che esercita nella sua incarnazione umana per la salvezza di ciascuno di noi.

5. Ciò che conta per noi tutti in questa economia della salvezza e della remissione dei peccati, è che si ami con tutta l’anima Colui che viene a noi come eterna volontà d’amore e di perdono. Ce lo insegna Gesù stesso quando, sedendo a mensa con i farisei e vedendoli meravigliati per il fatto che egli accetta le pie manifestazioni di venerazione da parte della peccatrice, racconta loro la parabola dei due debitori, dei quali uno doveva al creditore cinquecento denari, l’altro cinquanta, e ad entrambi condona il debito: “Chi dunque di loro lo amerà di più?” (Lc 7,42). Risponde Simone: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Ed egli soggiunse: “Hai giudicato bene . . . Vedi questa donna? . . . Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco ama poco” (cf. Lc 7,42-47).

La complessa psicologia del rapporto tra il creditore e il debitore, tra l’amore che ottiene il perdono e il perdono che genera nuovo amore, tra la misura rigorosa del dare e dell’avere e la generosità del cuore grato che tende a dare senza misura, è condensata in queste parole di Gesù che rimangono per noi un invito a prendere il giusto atteggiamento dinanzi al Dio-Uomo che esercita il suo potere divino di rimettere i peccati per salvarci.

6. Poiché siamo tutti in debito con Dio, Gesù inserisce nella preghiera insegnata ai suoi discepoli e trasmessa da loro a tutti i credenti, quella fondamentale richiesta al Padre: “Rimetti a noi i nostri debiti” (Mt 6,12), che nella redazione di Luca suona: “Perdonaci i nostri peccati” (Lc 11,4). Ancora una volta egli vuole inculcarci la verità che soltanto Dio ha il potere di rimettere i peccati (Mc 2,7). Ma nello stesso tempo Gesù esercita questo potere divino in forza dell’altra verità da lui pure insegnata, ossia che il Padre non soltanto “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Jn 5,22), ma gli ha conferito anche il potere di rimettere i peccati. Evidentemente non si tratta di un semplice “ministero” affidato a un puro uomo che lo svolge per mandato divino: il significato delle parole con cui Gesù attribuisce a sé il potere di rimettere i peccati - e di fatto li rimette in tanti casi narrati dai Vangeli - è più forte e più impegnativo per l’intelligenza degli ascoltatori di Cristo, che difatti gli contestano la pretesa di farsi Dio e lo accusano di bestemmia, con tale accanimento da portarlo fino alla morte in croce.

7. Il “ministero” della remissione dei peccati Gesù lo affiderà invece agli apostoli (e ai loro successori), quando si presenterà ad essi dopo la risurrezione: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Jn 20,22-23). Come Figlio dell’Uomo, che si identifica quanto alla persona col Figlio di Dio, Gesù rimette i peccati per virtù propria, comunicatagli dal Padre nel mistero della comunione trinitaria e dell’unione ipostatica; come Figlio dell’uomo che nella sua umana natura soffre e muore per la nostra salvezza, Gesù espia per i nostri peccati e ce ne ottiene la remissione dal Dio Uno e Trino, come Figlio dell’uomo che nella sua missione messianica deve prolungare la sua azione salvifica fino al compimento dei tempi, Gesù conferisce agli apostoli il potere di rimettere i peccati per aiutare gli uomini a vivere in sintonia di fede e di azione con quella eterna volontà del Padre, “ricco di misericordia” (Ep 2,4).

Su questa infinita misericordia del Padre, sul sacrificio di Cristo, Figlio di Dio e dell’uomo che è morto per noi, sull’opera dello Spirito Santo che, mediante il ministero della Chiesa, attua continuamente nel mondo la “remissione dei peccati” (cf. Ioannis Pauli PP. II, Dominum et Vivificantem ), poggia la nostra speranza di salvezza.

Ai fedeli di espressione francese


Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai fedeli giunti dalla Spagna e da alcuni Paesi latinoamericani


Ai connazionali polacchi


Ad alcuni gruppi italiani

Saluto con gioia i pellegrini dell’arcidiocesi di Taranto, venuti a Roma in gran numero per l’Anno Mariano e che questa mattina hanno partecipato nella Basilica di Santa Maria Maggiore ad una solenne concelebrazione in onore della Beata Vergine del Rosario.

Rivolgo uno speciale pensiero all’Arcivescovo, Mons. Guglielmo Motolese, che oggi, nella luce di Maria, stella del cammino cristiano, ricorda il trentacinquesimo della sua consacrazione episcopale.

A tutti voi, cari fratelli e sorelle, alle vostre famiglie e alle vostre comunità, particolarmente ai giovani, agli anziani ed a chi soffre, va il mio augurio di ogni bene e l’Apostolica Benedizione, perché Cristo buon Pastore “ conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene ”.
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Saluto il gruppo dei pescatori di Caorle, in provincia di Venezia. So che tra voi, cari fratelli e sorelle, vi è una particolare devozione per la Madonna dell’Angelo. Mi auguro che in questo Anno Mariano tale devozione possa avere un ulteriore impulso, per la crescita spirituale della vostra terra, ed un cammino più sereno sulla via della pace, della giustizia e del progresso umani e cristiano. Di cuore vi benedico tutti, insieme con i vostri cari.
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Rivolgo altresì un saluto particolare alle socie dell’“International Inner Wheel Club” di Milano. Vi ringrazio per questa visita e, soprattutto, per la vostra benemerita dedizione a favore delle persone meno fortunate; il Signore vene dia merito e ricompensa.

Ai giovani

Mi rivolgo ora a voi, giovani qui presenti, con un cordiale ed affettuoso saluto. Desidero esortarvi alla preghiera, prendendo spunto dalla festa odierna: la festa della Beata Vergine del Rosario ci richiama alla semplice e tanto cara preghiera della tradizione cristiana, che è ricca di significato e capace di guidarci alla contemplazione delle verità divine. Il Rosario fa rivivere i misteri della vita di Cristo nell’intimo dell’anima, mediante la memoria continua della Redenzione e delle sue fasi salienti, nella luce della fede esemplare della Vergine Maria. Vi invito a riflettere con animo aperto e disponibile su questa preghiera e soprattutto a recitarla, specie durante l’Anno Mariano che stiamo celebrando.

Agli ammalati

Affido e raccomando la preghiera del Rosario anche a voi, cari malati. Percorrendo con fede i misteri della vita di Cristo, voi potete considerare in quale modo e con quanta dedizione la Vergine Maria consacrò la sua vita al divin Figlio ed alla sua opera, seguendolo sempre fino alla Croce, per condividere con lui la gloria. Potere trovare in questa preghiera mariana conforto, sostegno, luce, nella vostra pena, perché vi sarà dato di capire, guidati dalla Parola di Dio, il significato del cammino della sofferenza che redime. Vi benedico tutti con affetto.

Agli sposi novelli

Un saluto, infine, a voi, sposi novelli. Sull’esempio di Maria siete anche voi chiamati a custodire e far crescere nella vostra casa la fede ricevuta da Cristo. Come la Vergine, meditate e conservate nel vostro cuore i misteri della vita del Cristo, per crescere nella fede e saperla poi donare ai figli. Il vostro è davvero un mistero di fede all’interno della comunità familiare. Adempite questa missione ricorrendo spesso alla preghiera, specialmente a quella del Rosario, e così la vostra casa diverrà immagine di una Chiesa domestica.

Su tutti voi la mia Benedizione.




Mercoledì, 14 ottobre 1987

14107

1. Nei Vangeli troviamo un altro fatto che attesta la coscienza di Gesù di possedere un’autorità divina, e la persuasione che di tale autorità ebbero gli evangelisti e la prima comunità cristiana. Infatti i Sinottici sono concordi nel dire che gli ascoltatori di Gesù “erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (
Mc 1,22 Mt 7,29 Lc 4,32). È un’informazione preziosa che Marco ci dà fin dall’inizio del suo Vangelo. Essa ci attesta che la gente aveva colto subito la differenza tra l’insegnamento di Cristo e quello degli scribi israeliti, e non solo nel modo, ma nella stessa sostanza: gli scribi poggiavano il loro insegnamento sul testo della Legge mosaica, della quale erano interpreti e chiosatori; Gesù non seguiva affatto il metodo di un “insegnante” o di un “commentatore” della Legge antica, ma si comportava come un legislatore e, in definitiva, come uno che aveva autorità sulla Legge. Si noti: gli ascoltatori sapevano bene che si trattava della Legge divina, data da Mosè in forza di in potere che Dio stesso gli aveva concesso come a suo rappresentante e mediatore presso il popolo di Israele.

Gli evangelisti e la prima comunità cristiana che riflettevano su quell’osservazione degli ascoltatori circa l’insegnamento di Gesù, si rendevano conto ancor meglio del suo significato integrale, perché potevano confrontarla con tutto il successivo ministero di Cristo. Per i Sinottici e per i loro lettori era quindi logico il passaggio dall’affermazione di un potere sulla Legge mosaica e su tutto l’Antico Testamento a quella della presenza di un’autorità divina in Cristo. E non solo come in un Inviato o Legato di Dio come era stato nel caso di Mosè: Cristo attribuendosi il potere di completare e interpretare autorevolmente o addirittura di dare in modo nuovo la Legge di Dio, mostrava la sua coscienza di essere “uguale a Dio” (cf. Ph 2,6).

2. Che il potere attribuitosi da Cristo sulla Legge comporti un’autorità divina, lo dimostra il fatto che egli non crea un’altra Legge abolendo l’antica: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto per abolire ma per dare compimento” (Mt 5,17). È chiaro che Dio non potrebbe “abolire” la Legge che egli stesso ha dato. Può invece - come fa Gesù Cristo - chiarire il suo pieno significato, far capire il suo giusto senso, correggere le false interpretazioni e le arbitrarie applicazioni, a cui il popolo e i suoi stessi maestri e dirigenti, cedendo alle debolezze e limitazioni della condizione umana, l’hanno piegata.

Per questo Gesù annunzia, proclama e richiede una “giustizia” superiore a quella degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5,20), la “giustizia” che Dio stesso si è proposto ed esige con l’osservanza fedele della Legge in ordine al “regno dei cieli”. Il Figlio dell’uomo opera dunque come un Dio che ristabilisce ciò che Dio ha voluto e posto una volta per sempre.

3. Difatti della Legge di Dio egli anzitutto proclama: “In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno della legge, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5,18). È una dichiarazione drastica, con la quale Gesù vuole affermare sia l’immutabilità sostanziale della Legge mosaica, sia il compimento messianico che essa riceve nella sua parola. Si tratta di una “pienezza” dell’Antica Legge, che egli, insegnando “come uno che ha autorità” sulla Legge, fa vedere che si manifesta soprattutto nell’amore di Dio e del prossimo. “Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,40). Si tratta di un “compimento” corrispondente allo “spirito” della Legge, che già traspare dalla “lettera” dell’Antico Testamento, che Gesù coglie, sintetizza, e propone con l’autorità di uno che è Signore anche della Legge. I precetti dell’amore, e anche della fede generatrice di speranza nell’opera messianica, che egli aggiunge alla Legge antica esplicitandone il contenuto e sviluppandone le virtualità nascoste, sono pure un compimento.

La sua vita è un modello di questo compimento, sicché Gesù può dire ai suoi discepoli non solo e non tanto: Seguite la mia Legge, ma: Seguite me, imitate me, camminate nella luce che viene da me.

4. Il Discorso della montagna, come è riportato da Matteo, è il luogo del Nuovo Testamento dove si vede affermato chiaramente ed esercitato decisamente da Gesù il potere sulla Legge che Israele ha ricevuto da Dio come cardine dell’alleanza. È là che, dopo avere dichiarato il valore perenne della Legge e il dovere di osservarla (Mt 5,18-19), Gesù passa ad affermare la necessità di una “giustizia” superiore a “quella degli scribi e dei farisei”, ossia di una osservanza della Legge animata dal nuovo spirito evangelico di carità e di sincerità.

Le esemplificazioni concrete sono note. La prima consiste nella vittoria sull’ira, il risentimento, il malanimo che si annidano facilmente nel cuore umano, anche quando si può esibire un’esteriore osservanza dei precetti mosaici, tra i quali quello di non uccidere: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5,21-22). La stessa cosa vale per chi avrà offeso un altro con parole ingiuriose, con scherzi e derisioni. È la condanna di ogni cedimento all’istinto dell’avversione, che potenzialmente è già un atto di lesione e persino di uccisione, almeno spirituale, perché viola l’economia dell’amore nei rapporti umani e fa del male agli altri e a questa condanna Gesù intende contrapporre la Legge della carità che purifica e riordina l’uomo fin nei più intimi sentimenti e movimenti del suo spirito. Della fedeltà a questa Legge Gesù fa una condizione indispensabile della stessa pratica religiosa: “Se dunque presenti la tua offerta all’altare e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24). Trattandosi di una legge d’amore, è persino irrilevante chi sia ad avere in cuore qualcosa contro l’altro: l’amore predicato da Gesù parifica e unifica tutti nel volere il bene, nello stabilire o ristabilire l’armonia nei rapporti col prossimo, persino in casi di contese e di procedimenti giudiziari (cf. Mt 5,25).

5. Un’altra esemplificazione di perfezionamento della Legge è quella circa il sesto comandamento del Decalogo, nel quale Mosè proibiva l’adulterio. Con un linguaggio iperbolico e persino paradossale, atto a richiamare l’attenzione e a scuotere lo stato d’animo degli ascoltatori, Gesù annuncia. “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio, ma io vi dico . . .” (Mt 5,27); e condanna anche gli sguardi e i desideri impuri, mentre raccomanda la fuga delle occasioni, il coraggio della mortificazione, la subordinazione di tutti gli atti e i comportamenti alle esigenze della salvezza dell’anima e di tutto l’uomo (cf. Mt 5,29-30).

A questo caso se ne ricollega in certo modo un altro che Gesù affronta subito: “Fu anche detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico . . .” e dichiara decaduta la concessione fatta dall’antica Legge al popolo di Israele “per la durezza del cuore” (cf. Mt 19,8), proibendo anche questa forma di violazione della legge dell’amore in armonia con il ristabilimento della indissolubilità del matrimonio (cf. Mt 19,9).

6. Con lo stesso procedimento Gesù contrappone all’antico divieto di spergiurare, quello di non giurare affatto (Mt 5,33-38), e la ragione che emerge abbastanza chiaramente è ancora fondata nell’amore: non si deve essere increduli o diffidenti col prossimo, quando è abitualmente schietto e leale, e piuttosto occorre da una parte e dall’altra seguire questa legge fondamentale del parlare e dell’agire: “Il vostro linguaggio sia , se è sì; no, se è no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).

7. E ancora: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio..” (Mt 5,38-39), e con linguaggio metaforico Gesù insegna a porgere l’altra guancia, a cedere non solo la tunica ma anche il mantello, a non rispondere con violenza alle angherie altrui, e soprattutto: “Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” (Mt 5,42). Radicale esclusione della legge del taglione nella vita personale del discepolo di Gesù, qualunque sia il dovere della società di difendere i propri membri dai malfattori e di punire i colpevoli di violazione dei diritti dei cittadini e dello stesso Stato.

8. Ed ecco il perfezionamento definitivo, nel quale trovano il centro dinamico tutti gli altri: “Avete inteso che fu detto: Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, affinché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti . . .” (Mt 5,43-45). All’interpretazione volgare dell’antica Legge che identificava il prossimo con l’israelita e anzi col pio israelita, Gesù oppone l’interpretazione autentica del comandamento di Dio e vi aggiunge la dimensione religiosa del riferimento al Padre celeste clemente e misericordioso, che benefica tutti ed è quindi l’esemplare supremo dell’amore universale.

Conclude infatti Gesù: “Siate.. perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Egli chiede ai suoi seguaci la perfezione dell’amore. La nuova legge da lui portata ha la sua sintesi nell’amore. Quest’amore farà superare all’uomo nei suoi rapporti con gli altri la classica contrapposizione amico-nemico, e tenderà dall’interno dei cuori a tradursi in corrispondenti forme di solidarietà sociale e politica, anche istituzionalizzata. Sarà dunque molto ampia, nella storia l’irradiazione del “comandamento nuovo” di Gesù.

9. In questo momento ci preme soprattutto rilevare che nei brani importanti del “Discorso della montagna”, si ripete la contrapposizione: “Avete inteso che fu detto . . . Ma io vi dico”; e questo non per “abolire” la Legge divina dell’antica alleanza, ma per indicarne il “perfetto compimento”, secondo il senso inteso da Dio-Legislatore, che Gesù illumina di luce nuova e spiega in tutto il suo valore realizzativo di nuova vita e generatore di nuova storia: e lo fa attribuendosi un’autorità che è quella stessa del Dio-Legislatore. Si può dire che in quella sua espressione ripetuta sei volte: Io vi dico, risuona l’eco di quell’autodefinizione di Dio, che Gesù si è pure attribuita: “Io Sono” (cf. Jn 8,58).

10. Deve infine essere ricordata la risposta che Gesù diede ai farisei, i quali rimproveravano ai suoi discepoli di strappare le spighe dai campi ricolmi di grano per mangiarle in giorno di sabato, violando così la legge mosaica. Gesù dapprima cita loro l’esempio di Davide e dei suoi compagni che non esitarono a mangiare i “pani dell’offerta” per sfamarsi, e quello dei sacerdoti che in giorno di sabato non osservano la legge del riposo perché svolgono le loro funzioni nel tempio. Poi conclude con due affermazioni perentorie, inaudite per i farisei: “Ora io vi dico che qui c’è qualcosa più grande del tempio . . .”, e: “Il Figlio dell’Uomo è signore anche del sabato” (Mt 12,6 Mt 12,8 cf. Mc 2,27-28). Sono dichiarazioni che rivelano chiaramente la coscienza che Gesù aveva della sua autorità divina. Il definirsi “uno al di sopra del tempio” era un’allusione abbastanza chiara alla sua divina trascendenza. Proclamarsi poi “signore del sabato”, ossia di una Legge data da Dio stesso a Israele, era l’aperta proclamazione della propria autorità come capo del regno messianico e promulgatore della nuova Legge. Non si trattava dunque di semplici deroghe alla legge mosaica, ammesse anche dai rabbini in casi molto ristretti, ma di una reintegrazione, di un completamento e di un rinnovamento che Gesù enuncia come intramontabili: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Ciò che viene da Dio è eterno, come è eterno Dio.

A pellegrinaggi francesi


Ai fedeli di espressione linguistica inglese

Ai numerosi gruppi di pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di espressione linguistica spagnola

Ai connazionali polacchi


Ad alcuni gruppi italiani

Saluto con particolare affetto i Sacerdoti Salesiani, i quali festeggiano il 35° anniversario della loro Ordinazione.

Carissimi, vi esprimo la mia gioia nel vedervi così numerosi, e la mia gratitudine per aver voluto esprimere con la vostra partecipazione a questo incontro la solenne riconferma dell’offerta della vostra vita a Cristo e alla Chiesa, sulle orme di San Giovanni Bosco, fatta 35 anni orsono con la ordinazione sacerdotale.

In questo momento particolare per la vostra vita individuale e per l’intera Famiglia Salesiana, che si appresta a ricordare il primo centenario della morte del vostro Fondatore, vi esorto a ben continuare nel vostro zelante servizio pastorale e ad essere fedeli alle autentiche tradizioni salesiane. Portate alle vostre Parrocchie, istituzioni, Scuole e famiglie il mio saluto beneaugurante e ricevete la mia Benedizione.
* * *


Saluto pure il gruppo di pellegrini appartenenti al movimento della “ Milizia dell’Immacolata ” delle regioni di Campania e della Lucania, come pure i fedeli della Parrocchia dei Ss. Simone Giuda e Callisto di Cornegliano Laudense, in diocesi di Lodi, i quali hanno espresso il desiderio che siano benedette le Statue della Madonna di Lourdes e di Fatima, recate qui dalle due Comunità ecclesiali.

Ben volentieri accolgo tale invito e vi esorto a nutrire verso la Vergine una tenera devozione nel clima proprio dell’Anno Mariano. Uniformate a Lei la vostra vita e lasciatevi attrarre dal suo esempio e dalla sua santità. Sotto la sua protezione rifiorirà nel vostro cuore l’ardore della fede e dello slancio apostolico.

Con la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora la mia parola di saluto e di augurio a voi, giovani.

Carissimi, mentre vi assicuro della mia preghiera che elevo al Signore perché cresca in ciascuno di voi la sapienza del Vangelo, vi esorto a vivere nell’ascolto della Parola di Cristo, nel nutrimento del suo Pane, e nella testimonianza della sua Verità.

La Vergine Maria, che nulla antepose alla generosa adesione a Dio, vi sostenga nell’essere fedeli agli ideali di bene, che lo Spirito suscita nella vostra mente e nel vostro cuore, così che possiate divenire validi costruttori di pace.

Vi sono spiritualmente vicino con la Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Accolgo con gioia e saluto con affetto voi, ammalati.

Carissimi, aprite il vostro animo alla consolante certezza che, mediante la sofferenza, siete efficaci collaboratori di Cristo nel promuovere la crescita nel mondo di un’umanità rinnovata. Accettate le vostre difficoltà di salute con lo stesso amore obbediente di Gesù, che si fece povero e debole per donarci la vita vera e piena.

Diverrete così - come anche il mese missionario di ottobre invita ad essere - generosi testimoni della presenza del risorto, il cui Spirito consolatore fa lieve il dolore, riempie la solitudine e rende maturi figli del Padre.

Mentre invoco su di voi e su quanti vi assistono la materna protezione di Maria, di cuore vi benedico.

Agli sposi novelli

Giunga, infine, la mia parola di benvenuto a voi, sposi novelli. Nel rivolgervi il mio saluto, mi è caro esortarvi a vivere il sacramento nuziale, che di recente avete celebrato, come alleanza di amore ed impegno di vita in comune.

Mentre vi affido alla Madonna, perché quale Madre sollecita vi sia accanto rendendo salto e sicuro il vostro nuovo cammino, auspico che il Dio della perseveranza vi conceda sentimenti di operosa concordia e sempre conforti la vostra quotidiana, reciproca donazione, da Lui purificata e resa santa.

Con la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 28 ottobre 1987

28107

1. Nella nostra ricerca dei segni evangelici rivelatori della coscienza che Cristo aveva della sua divinità, abbiamo sottolineato nella catechesi precedente la richiesta, da lui posta ai suoi discepoli, di aver fede in lui: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (
Jn 14,1): una richiesta che solo Dio può porre. Questa fede Gesù esige quando manifesta una potenza divina che supera tutte le forze della natura, per esempio nella risurrezione di Lazzaro (cf. Jn 11,38-44); la esige anche nell’ora della prova, quale fede nella potenza salvifica della sua croce, come dichiara fin dal colloquio con Nicodemo (cf. Jn 3,14-15); ed è fede nella sua divinità: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Jn 14,9).

La fede si riferisce a una realtà invisibile, che è al di sopra dei sensi e dell’esperienza, e supera i limiti dello stesso intelletto umano (“argumentum non apparentium”; “prova di quelle cose che non si vedono” (cf. He 11,1); si riferisce, come dice san Paolo, a “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo”, ma che Dio ha preparato per coloro che lo amano (cf. 1Co 2,9). Gesù esige una tale fede, quando il giorno precedente la sua morte in croce, umanamente ignominiosa, dice agli apostoli che va a preparare loro un posto nella casa del Padre (cf. Jn 14,2).

2. Queste cose misteriose, questa realtà invisibile, si identifica col Bene infinito di Dio, eterno Amore, sommamente degno di essere amato sopra ogni cosa. Perciò, insieme alla richiesta della fede, Gesù pone il comandamento dell’amore di Dio “al di sopra di ogni cosa”, proprio già dell’Antico Testamento, ma ripetuto e corroborato da Gesù in chiave nuova. È vero che quando risponde alla domanda “Qual è il più grande comandamento della Legge?”, Gesù riporta le parole della Legge mosaica: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37 cf. Dt 6,5). Ma il senso pieno che il comandamento prende sulla bocca di Gesù emerge dal riferimento ad altri elementi del contesto in cui egli si muove e insegna. Senza dubbio egli vuole inculcare che soltanto Dio può e deve essere amato al di sopra di tutto il creato; e soltanto in ordine a Dio può esservi nell’uomo l’esigenza di un amore al di sopra di ogni cosa. Soltanto Dio, in forza di questa esigenza di amore radicale e totale, può chiamare l’uomo perché “lo segua” senza riserve, senza limitazioni, in modo indivisibile, come leggiamo già nell’Antico Testamento: “Seguirete il Signore vostro Dio, osserverete i suoi comandi, lo servirete e gli resterete fedeli” (Dt 13,5). Infatti soltanto Dio “è buono” nel senso assoluto (cf. Mc 10,18 anche Mt 19,17). Soltanto lui “è amore” (1Jn 4,16) per essenza e per definizione. Ma ecco un elemento che appare nuovo e sorprendente nella vita e nell’insegnamento di Cristo.

3. Gesù chiama a seguire lui personalmente. Questa chiamata sta, si può dire, al centro stesso del Vangelo. Da una parte Gesù rivolge questa chiamata, dall’altra sentiamo gli evangelisti parlare di uomini che lo seguono, e anzi, di alcuni di essi che lasciano tutto per seguirlo.

Pensiamo a tutte quelle chiamate di cui ci hanno trasmesso notizie gli evangelisti: “Uno dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt 8,21-22): modo drastico di dire: lascia tutto, subito, per me. Così nella redazione di Matteo. Luca aggiunge la connotazione apostolica di questa vocazione: “Tu va’ e annunzia il regno di Dio” (Lc 9,60). Un’altra volta, passando accanto al banco delle imposte, disse e quasi impose a Matteo, che ci attesta il fatto: “Seguimi. Ed egli si alzò e lo segui” (Mt 9,9 cf. Mc 2,13-14).

Seguire Gesù significa spesso lasciare non solo le occupazioni e recidere i legami che si hanno nel mondo, ma anche staccarsi dalla condizione di agiatezza in cui ci si trova, e anzi dare i propri beni ai poveri. Non tutti si sentono di fare questo strappo radicale: non se la sentì il giovane ricco, che pure fin dalla fanciullezza aveva osservato la Legge e forse cercato seriamente una via di perfezione. Ma “udito questo (cioè l’invito di Gesù), se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze” (Mt 19,22 cf. Mc 10,22). Altri, invece, non solo accettano quel “Seguimi”, ma, come Filippo di Betsaida, sentono il bisogno di comunicare ad altri la loro convinzione di aver trovato il Messia (Jn 1, 43ss.). Lo stesso Simone si sente dire fin dal primo incontro: “Tu ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Jn 1,42). L’evangelista Giovanni annota che Gesù “fissò lo sguardo su di lui”: in quello sguardo intenso vi era il “Seguimi” più forte e accattivante che mai. Ma sembra che Gesù, data la vocazione tutta speciale di Pietro (e forse anche il suo naturale temperamento) voglia far maturare gradualmente la sua capacità di valutare e accettare quell’invito. Il “Seguimi” letterale per Pietro verrà infatti dopo la lavanda dei piedi in occasione dell’ultima cena (cf. Jn 13,36), e poi, in modo definitivo, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade (Jn 21,19).

4. Senza dubbio Pietro e gli altri apostoli - meno Giuda - intendono e accettano la chiamata a seguire Gesù come una donazione totale di sé e delle cose loro alla causa dell’annuncio del regno di Dio. Essi stessi ricorderanno a Gesù, per bocca di Pietro: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mt 19,27). Luca sviluppa: “tutte le nostre cose” (Lc 18,28). E Gesù stesso sembra voler precisare di quali “cose” si tratta, quando risponde a Pietro: “in verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà” (Lc 18,29-30).

In Matteo (Mt 19,29) viene specificato anche l’abbandono di sorelle, madre, campi “per il mio nome”, chi lo avrà fatto, promette Gesù, “riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

In Marco un’ulteriore specificazione sull’abbandono di tutte quelle cose “a causa mia e a causa del Vangelo” e sulla ricompensa: “Già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” (Mc 10,29-30).

Senza preoccuparci per ora del linguaggio figurato usato da Gesù, ci chiediamo: Chi è costui che chiama a seguirlo e promette a chi lo segue di dargli tanti premi e persino la “vita eterna”? Può un semplice figlio dell’uomo promettere tanto, ed essere creduto e seguito, e avere tanta presa non solo su quei discepoli felici, ma su migliaia e milioni di uomini in tutti i secoli?

5. In realtà quei discepoli ricordarono bene l’autorità con cui Gesù li aveva chiamati a seguirlo, non esitando a chiedere loro una radicalità di dedizione, espressa in termini che potevano apparire paradossali, come quando diceva di essere venuto a portare “non la pace ma una spada”, e cioè a creare separazioni e divisioni nelle stesse famiglie per seguirlo, e poi sentenziava: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,37-38). Ancora più vigorosa e quasi dura la formulazione di Luca: “Se uno viene a me e non odia (ebraismo per dire: non si distacca da) suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26).

Dinanzi a queste espressioni di Gesù non si può non riflettere sull’altezza e arduità della vocazione cristiana. Senza dubbio le forme concrete di sequela di Cristo sono da lui stesso graduate secondo le condizioni, le possibilità, le missioni, i carismi delle persone e dei ceti. Le parole di Gesù, come dice egli stesso, sono “spirito e vita” (cf. Jn 6,63), e non si può pretendere di materializzarle in modo identico per tutti. Ma secondo san Tommaso d’Aquino la richiesta evangelica di rinunce eroiche, come quelle dei consigli evangelici di povertà, castità e rinnegamento di sé per seguire Gesù - e lo stesso si può dire dell’oblazione di sé al martirio piuttosto che tradire la fede e la sequela di Cristo - impegna tutti “secundum praeparationem animi” (cf. S. Thomae, Summa Theologiae; II-II 184,7, ad 1), ossia quanto a disponibilità dello spirito a compiere ciò che è richiesto qualora vi si fosse chiamati, e quindi comportano per tutti un distacco inferiore, un’oblatività, un’autodonazione a Cristo, senza cui non vi è un vero spirito evangelico.

6. Dallo stesso Vangelo risulta che ci sono delle vocazioni particolari, dipendenti da una scelta di Cristo: come quella degli apostoli e di molti discepoli indicata abbastanza chiaramente da Marco quando scrive: “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con lui . . .” (Mc 3,13-14). Gesù stesso, secondo Giovanni, nel discorso finale dice agli apostoli: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi . . .” (Jn 15,16).

Non risulta che egli abbia definitivamente condannato chi non accettò di seguirlo su una via li totale dedizione alla causa del Vangelo (cf. il caso del giovane ricco) (Mc 10,17-27). V’è un di più che chiama in causa la libera generosità del singolo. È certo però che la vocazione alla fede e all’amore cristiano è universale e obbligante: fede nella parola di Gesù, amore a Dio sopra ogni cosa e al prossimo come se stessi, anche perché “chi . . . non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Jn 4,20).

7. Nello stabilire l’esigenza della risposta alla vocazione a seguirlo, Gesù non nasconde a nessuno che la sua sequela costa sacrificio, a volte anche il sacrificio supremo. Dice infatti ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà . . .” (Mt 16,24-25).

Marco sottolinea che con i discepoli Gesù aveva convocato anche la folla e a tutti parlò del rinnegamento richiesto a chi vuole seguirlo, dell’assunzione della croce e della perdita della vita “per causa mia e del vangelo” (Mc 8,34-35). E ciò dopo aver parlato della sua prossima passione e morte! (cf. Mc 8,31-32).

8. Nello stesso tempo, però, Gesù proclama la beatitudine di coloro che sono perseguitati “a causa del Figlio dell’uomo” (Lc 6,22): “Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,12).

E noi ancora una volta ci chiediamo: Chi è costui che chiama autorevolmente a seguirlo, preannuncia odio, insulti e persecuzioni di ogni genere (cf. Lc 6,22), e promette “ricompensa nei cieli”? Solo un figlio dell’uomo che aveva la coscienza di essere Figlio di Dio poteva parlare così. In tale senso lo intesero gli apostoli e i discepoli, che ci trasmisero la sua rivelazione e il suo messaggio. In tale senso vogliamo intenderlo anche noi, ripetendogli con l’apostolo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”.

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di lingua inglese

Ai numerosi gruppi di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi


Ai pellegrini italiani

Un cordiale saluto desidero ora rivolgere al Presidente e ai Membri dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), che celebrano in questi giorni il 40° di fondazione.

In questa felice circostanza voglio esprimervi il mio compiacimento per quanto in questi anni la vostra benemerita Associazione ha operato in Italia e all’estero al fine di assicurare assistenza e tutela alle famiglie degli emigrati, cercando di approfondire e risolvere i vari problemi di carattere umano e sociale che coinvolgono coloro che, per diversi motivi, sono costretti a cercar lavoro fuori della propria patria.

Continuate con impegno e generosità in questa strada di instancabile dedizione, illuminati e confortati dal messaggio di amore e di fratellanza universali, predicato e realizzato da Cristo.

Con la mia Benedizione.
* * *


Un particolare pensiero va pure ai partecipanti alle Assise Internazionali della Vite e del Vino, nonché all’Assemblea dei Delegati ufficiali dell’“ Office International de la Vigne et du Vin ” (OIV), che si tengono in questi giorni a Roma.

Vorrei ricordare in questa occasione l’incontro che i partecipanti al VII Congresso Internazionale della Vite e del Vino ebbero il 16 settembre 1953 con il mio Predecessore Pio XII, e quanto Egli disse loro.

Anch’io auguro ai vostri lavori i più fecondi risultati e al vostro soggiorno nella città di Roma un posto privilegiato nei vostri migliori ricordi.

A voi e a tutti coloro che vi sono cari la mia Apostolica Benedizione.

A Sacerdoti vietnamiti

Desidero ora salutare cordialmente un gruppo di sacerdoti, vietnamiti che esercitano il loro ministero tra i loro compatrioti cattolici dispersi nei diversi paesi del mondo.

Vi trovate a Roma per una breve ma intensa sessione di lavoro per studiare i diversi aspetti del vostro apostolato e di rendere più efficace l’evangelizzazione delle vostre comunità.

Cari fratelli nel sacerdozio, desidero dirvi con quale interesse seguo i vostri sforzi e come gioisco nei vedervi così profondamente impegnati in questo campo essenziale. Vi incoraggio a proseguire il lavoro intrapreso per il bene spirituale dei vostri fratelli dei quali ho potuto apprezzare, nel corso dei miei viaggi apostolici, la fede e la pietà sincere.

Il Sinodo dei vescovi che sta per terminare i suoi lavori e che studia con attenzione l’attività dei laici nella Chiesa e nel mondo, riveste indubbiamente per voi un significato speciale. A questo proposito, vorrei sottolineare due esigenze:

Le famiglie vietnamite, comprese quelle delle diaspore, devono essere scuola di fede, luoghi di preghiera, di formazione umana e di spirito apostolico.

Le vocazioni sacerdotali e religiose devono costituire una priorità nelle vostre preoccupazioni pastorali.

Cari fratelli nel sacerdozio, affido di cuore voi e il vostro popolo alla materna protezione della Vergine Maria, teneramente venerata dai cattolici vietnamiti. Che vi aiuti a vivere nella speranza con coraggio.

Ai giovani

Ed ora rivolgo il mio saluto ai ragazzi e giovani, presenti a questa udienza.

Carissimi, a conclusione di un mese in cui la Chiesa ha additato a noi fedeli numerosi modelli di perfezione, e nell’imminenza della celebrazione della festività di tutti i Santi, vi invito a guardare a questa immensa schiera di campioni che si presentano a noi come segno profetico della vita futura, la quale ha la sua fase di attuazione nell’impegno e nella testimonianza cristiana della vita terrena.

Fra di essi non mancano figure esemplari e luminose di ragazzi e giovani, che non hanno esitato a dare la loro adesione incondizionata alla chiamata di Cristo; i giovani che hanno scritto pagine veramente suggestive di generosità e di coerenza.

A voi il compito di leggerle e di scriverne di nuove.

Io per voi prego, e di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Con affetto particolare mi rivolgo anche a voi, carissimi ammalati, che portate a tutti noi il dono incommensurabile della vostra fede e del vostro coraggio. In special modo desidero rivolgermi a voi del Centro pro Handicappati di Mesagne, in provincia di brindisi, ed ai membri dell’Associazione Solidarietà Umana di tale località.

Siate felici di vivere, nonostante la pesante croce della sofferenza che grava sulla carne e spesso ancor più sul cuore.

Cristo si presenta a voi nel modello del crocefisso che vi aiuta a salire il vostro calvario quotidiano, e vi predilige, perché con lui voi collaborate a redimere il mondo.

Anch’io vi sono ogni giorno vicino con la preghiera, e vi benedico.

Agli sposi novelli

Sono infine lieto di salutare e di esprimere auguri e felicitazioni a voi, sposi novelli, che avete voluto iniziare il vostro cammino di coppia venendo ad attingere qui, alle Memorie di Pietro e di Paolo, la forza per vivere con gioiosa coerenza gli impegni del sacramento da poco ricevuto.

Voi siete ora collocati nella comunità cristiana e nel mondo come testimoni privilegiati dell’amore di Dio.

Che la vostra vita proponga a tutti un messaggio di trasparenza, di fedeltà, di reciproco fecondo ed incondizionato amore.

Portate nella vostra nuova casa anche la mia Benedizione.




Catechesi 79-2005 7107