Catechesi 79-2005 25117

Mercoledì, 25 novembre 1987

25117

1. Un testo di sant’Agostino ci offre la chiave per interpretare i miracoli di Cristo come segni del suo potere salvifico: “L’essersi fatto uomo per noi ha giovato alla nostra salvezza assai più dei miracoli che egli ha compiuto tra noi; ed è più importante che l’aver sanato le malattie del corpo destinato a morire” (S. Augustini, In Io. Ev. Tr., 17, 1). In ordine a questa salute dell’anima e alla redenzione del mondo intero Gesù ha compiuto anche i miracoli di ordine corporale. E dunque il tema della presente catechesi è il seguente: mediante i “miracoli, prodigi e segni” che ha compiuto, Gesù Cristo ha manifestato il suo potere di salvare l’uomo dal male che minaccia l’anima immortale e la sua vocazione all’unione con Dio.

2. È ciò che si rivela in modo particolare nella guarigione del paralitico di Cafarnao. Le persone che l’hanno portato, non riuscendo ad entrare attraverso la porta nella casa in cui Gesù insegna, calano il malato attraverso un’apertura del tetto, così che il poveretto viene a trovarsi ai piedi del Maestro. “Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati””. Queste parole suscitano in alcuni dei presenti il sospetto di bestemmia: “Costui bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Quasi in risposta a quelli che avevano pensato così, Gesù si rivolge ai presenti con le parole: “Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti” (cf.
Mc 2,1-12 e anche Mt 9,1-8 Lc 5,18-26 Lc 5,25).

Gesù stesso spiega in questo caso che il miracolo di guarigione del paralitico è segno del potere salvifico per cui egli rimette i peccati. Gesù compie questo segno per manifestare di essere venuto come Salvatore del mondo, che ha come compito principale quello di liberare l’uomo dal male spirituale, il male che separa l’uomo da Dio e impedisce la salvezza in Dio, qual è appunto il peccato.

3. Con la stessa chiave si può spiegare quella categoria speciale dei miracoli di Cristo che è “scacciare i demoni”, “Esci, spirito immondo da quest’uomo!” intima Gesù, secondo il Vangelo di Marco, incontrando un indemoniato nel paese dei Geraseni (Mc 5,8). In quella circostanza assistiamo a un colloquio insolito. Quando quello “spirito immondosi sente minacciato da parte di Cristo, urla contro di lui: “Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”. A sua volta Gesù “gli domandò: “Come ti chiami?”. “Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti”” (cf. Mc 5,7-9). Siamo dunque sul margine di un mondo oscuro, dove giocano fattori fisici e psichici che senza dubbio hanno il loro peso nel causare delle condizioni patologiche in cui si inserisce quella realtà demoniaca, rappresentata e descritta variamente nel linguaggio umano, ma radicalmente ostile a Dio e quindi all’uomo e a Cristo venuto a liberarlo da quel potere maligno. Ma suo malgrado, anche lo “spirito immondo”, in quell’urto con l’altra presenza, prorompe in quella ammissione proveniente da una intelligenza perversa ma lucida: “Figlio del Dio altissimo“!

4. Nel Vangelo di Marco troviamo anche la descrizione dell’avvenimento qualificato abitualmente come guarigione dell’epilettico. Infatti i sintomi riferiti dall’evangelista sono caratteristici anche di questa malattia (“schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce”). Tuttavia il padre dell’epilettico presenta a Gesù il suo figlio come posseduto da uno spirito maligno, il quale lo scuote con convulsioni, lo fa cadere per terra e lui si rotola spumando. Ed è ben possibile che in uno stato di infermità come quello s’infiltri e operi il maligno, ma anche ad ammettere che si tratti di un caso di epilessia, dalla quale Gesù guarisce il ragazzo ritenuto indemoniato da suo padre, resta tuttavia significativo che egli effettui quella guarigione ordinando allo “spirito muto e sordo”: “Esci da lui e non rientrare più” (cf. Mc 9,17-27). È una riaffermazione della sua missione e del suo potere di liberare l’uomo dal male dell’anima fino alle radici.

5. Gesù fa conoscere chiaramente questa sua missione di liberare l’uomo dal male e prima di tutto dal peccato, male spirituale. È una missione che comporta e spiega la sua lotta con lo spirito maligno che è il primo autore del male nella storia dell’uomo. Come leggiamo nei Vangeli, Gesù ripetutamente dichiara che tale è il senso della sua opera e di quella dei suoi apostoli. Così in Luca: “Io vedevo satana cadere dal cielo come folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare” (Lc 10,18-19). E secondo Marco, Gesù dopo aver costituito i Dodici, li manda “a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). Secondo Luca anche i settantadue discepoli, dopo il ritorno dalla loro prima missione, riferiscono a Gesù: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome” (Lc 10,17).

Così si manifesta il potere del Figlio dell’uomo sul peccato e sull’autore del peccato. Il nome di Gesù, nel quale anche i demoni sono soggiogati, significa Salvatore. Tuttavia questa sua potenza salvifica avrà il suo adempimento definitivo nel sacrificio della croce. La croce segnerà la vittoria totale su satana e sul peccato, perché questo è il disegno del Padre che il suo Figlio unigenito esegue facendosi uomo: vincere nella debolezza e raggiungere la gloria della risurrezione e della vita attraverso l’umiliazione della croce. Anche in questo fatto paradossale rifulge il suo potere divino, che può giustamente chiamarsi la “potenza della croce”.

6. Fa parte di questa potenza, e appartiene alla missione del Salvatore del mondo manifestata dai “miracoli, prodigi e segni”, anche la vittoria sulla morte, drammatica conseguenza del peccato. La vittoria sul peccato e sulla morte segna la via della missione messianica di Gesù da Nazaret al Calvario. Tra i “segni” che indicano particolarmente il suo cammino verso la vittoria sulla morte, vi sono soprattutto le risurrezioni: “i morti risuscitano” (Mt 11,5), risponde infatti Gesù alla domanda sulla sua messianità rivoltagli dai messaggeri di Giovanni Battista (cf. Mt 11,3). E tra i vari “morti” risuscitati da Gesù, merita un’attenzione particolare Lazzaro di Betania, perché la sua risurrezione è come un “preludio” alla croce e alla risurrezione di Cristo, in cui si compie la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte.

7. L’evangelista Giovanni ci ha lasciato una descrizione particolareggiata dell’avvenimento. A noi basti riferire il momento conclusivo. Gesù chiede di togliere il masso che chiude la tomba (“Togliete la pietra”). Marta, la sorella di Lazzaro osserva che il fratello è già da quattro giorni nel sepolcro e il corpo certamente ha iniziato a decomporsi. Tuttavia Gesù grida a gran voce: “Lazzaro vieni fuori!”. “E il morto uscì”, attesta l’evangelista (cf. Jn 11,38-43). Il fatto suscita la fede in molti dei presenti. Altri invece si recano dai rappresentanti del Sinedrio, per denunciare l’avvenimento. Sommi sacerdoti e farisei ne restano preoccupati, pensano ad una possibile reazione dell’occupante romano (“verranno i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione” (cf. Jn 11,45-48). Proprio allora cadono sul Sinedrio le famose parole di Caifa: “Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. E l’evangelista annota: “Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò”. Di quale profezia si tratta? Ecco, Giovanni ci dà la lettura cristiana di quelle parole, che sono di una dimensione immensa: “Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (cf. Jn 11,49-52).

8. Come si vede, la descrizione di Lazzaro contiene anche indicazioni essenziali riguardanti il significato salvifico di questo miracolo. Sono indicazioni definitive, perché proprio allora viene presa dal Sinedrio la decisione sulla morte di Gesù (cf. Jn 11,53). E sarà la morte redentrice “per la nazione” e “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”: per la salvezza del mondo. Ma Gesù ha già detto che quella morte diventerà pure la vittoria definitiva sulla morte. In occasione della risurrezione di Lazzaro egli ha assicurato a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Jn 11,25-26).

9. Alla fine della nostra catechesi torniamo ancora una volta al testo di sant’Agostino: “Se consideriamo adesso i fatti operati dal Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi, aperti miracolosamente, furono rinchiusi dalla morte, e le membra dei paralitici, sciolte dal miracolo, furono di nuovo immobilizzate dalla morte: tutto ciò che temporalmente fu sanato nel corpo mortale, alla fine fu disfatto; ma l’anima che credette, passò alla vita eterna. Con questo infermo il Signore ha voluto dare un grande segno all’anima che avrebbe creduto, per la cui remissione dei peccati era venuto, e per sanare le cui debolezze egli si era umiliato” (S. Augustini, In Io. Ev. Tr., 17, 1).

Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ad un gruppo di pellegrini giapponesi

Saluto con affetto un gruppo di “Ave Maria pilgrimage tour” proveniente da varie parti del Giappone. Auguro che la vostra visita a Roma porti frutti spirituali a ciascuno di voi e alle vostre famiglie.

Ai pellegrini giunti dalla Spagna e dall’America Latina

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini polacchi


Ad alcuni gruppi italiani

Desidero ora porgere il mio saluto ai rappresentanti della Federazione Nazionale dei Consorzi di bacino Imbrifero Montano, riuniti a Roma per celebrare il 25° anniversario di fondazione. Auspico che il valore della solidarietà orienti sempre il vostro impegno, illustri Signori, così che esso corrisponda efficacemente alle esigenze del bene comune e dello sviluppo.

A tutti la mia Benedizione.
* * *


Un saluto cordiale ed affettuoso va poi agli alunni insigniti del premio “Livio Tempesta”. Si tratta anzitutto degli alunni della scuola elementare di San Fortunato di Todi, i quali hanno voluto dimostrare singolare e affettuosa partecipazione al dolore della loro Insegnante per la perdita del figlio in un tragico incidente; e ci sono poi i ragazzi della Scuola Media “Antonio Rosmini” di Roma, che si sono distinti nell’aiutare con cordiale spontaneità ed amicizia i ragazzi polacchi profughi che hanno frequentato la loro classe durante il periodo di soggiorno nel loro quartiere. Vi ringrazio e mi compiaccio con voi per questi segni di carità e di solidarietà.

Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Rivolgo ora un affettuoso saluto ai giovani presenti.

Inizia tra qualche giorno un nuovo Anno Liturgico e la Chiesa ricomincia ad approfondire i misteri di Cristo, dai tempi in cui Egli era l’atteso di tutti i popoli fino alla sua Pasqua di morte e risurrezione ed alla effusione del Suo Spirito sulla Comunità dei credenti.

Carissimi giovani, vi invito a camminare con la Chiesa per penetrare sempre più intimamente le insondabili ricchezze del Signore. Egli verrà incontro alla vostra ricerca e al vostro desiderio di realizzare progetti duraturi, per darvi la risposta più vera e il sostegno più sicuro. Il tempo che avete dinanzi è prezioso, ed io auspico che voi ne facciate buon uso, mettendone a frutto tutte le occasioni di grazia e di crescita. Vi benedico di cuore.

Anche a voi, carissimi ammalati, il mio cordiale saluto.

Agli ammalati

Mentre siamo ormai rivolti all’Avvento, si rinnova l’interiore desiderio di affinare lo sguardo di fede, che permetta di scoprire le misteriose, ma reali, venute del Signore nella vita di ogni giorno. Lo stato di malattia, nel quale ora vi trovate, può essere senz’altro considerato in questa prospettiva: utilizzatelo pienamente per farne una valida occasione di intima comunione con Lui. la luce e la pace che ne derivano, vi infonderanno coraggio per affrontare con serenità i momenti difficili, e vi offriranno anche diversi motivi di arricchimento spirituale, nella certezza che il Signore ricompensa abbondantemente quanto Gli viene offerto con generosità.

Vi accompagni la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Desidero, infine, esprimere un saluto agli sposi novelli.

Carissimi, con la celebrazione del sacramento del Matrimonio avete coronato il desiderio che vi ha sorretto nel periodo della conoscenza reciproca ed ha orientato le vostre energie ed i vostri sentimenti: formare una famiglia unita ed armoniosa il cui fondamento fosse il Signore. E’ stata e resta una scelta, che va rinnovata quotidianamente, per mantenere alla vostra vita coniugale la freschezza di questi giorni. Il Signore non farà mancare gli aiuti necessari per questo impegno e voi sperimenterete inoltre tutta la bellezza e l’importanza di contribuire, insieme con Lui, alla formazione di un’umanità più buona e più proficua.

A tutti voi i miei fervidi auguri, sostenuti dalla Benedizione Apostolica.
***


Desidero ora rivolgere il mio pensiero a una Nazione molto cara, che è sempre presente al mio cuore.

Nei giorni scorsi i vescovi di Haiti hanno indirizzato un nuovo Messaggio ai loro fedeli e agli uomini di buona volontà, esortandoli ad elevare a Dio le menti e i cuori per implorare, auspice la Vergine santissima, la luce e la forza morale necessarie in un momento così importante per l’avvenire pacifico e democratico della Nazione, mentre il popolo si prepara a scegliere liberamente i propri rappresentanti.

Vi chiedo di unirvi con me nell’invocare da Dio grazie e benedizioni su questo popolo generoso, che ha tanto sofferto. La speciale novena di preghiera e di penitenza indetta dai vescovi, ora in pieno svolgimento in tutte le diocesi haitiane, valga ad ottenere il ritorno a un clima di profonda riconciliazione nazionale, che favorisca l’impegno di tutti nella soluzione dei problemi che incontra il Paese.





Mercoledì, 2 dicembre 1987

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1. Non vi è dubbio sul fatto che nei Vangeli i miracoli di Cristo vengono presentati come segni del regno di Dio, che è entrato nella storia dell’uomo e del mondo. “Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto tra voi il regno di Dio”, dice Gesù (
Mt 12,28). Per quante discussioni si vogliano fare e si siano fatte sul tema del miracolo (alle quali del resto hanno risposto gli apologisti cristiani), è certo che non è possibile staccare i “miracoli, i prodigi e segni” attribuiti a Gesù, e persino ai suoi apostoli e discepoli operanti “in suo nome”, dal contesto autentico del Vangelo. Nella predicazione degli apostoli, dalla quale principalmente hanno origine i Vangeli, i primi cristiani sentivano narrare da testimoni oculari quei fatti straordinari, accaduti in tempi vicini e quindi controllabili sotto l’aspetto che possiamo dire critico-storico, sicché non erano sorpresi dal loro inserimento nei vangeli. Qualunque siano state le contestazioni dei tempi successivi, da quelle fonti genuine della vita e dell’insegnamento di Cristo emerge una prima cosa certa: gli apostoli, gli evangelisti e tutta la Chiesa primitiva vedevano in ciascuno di quei miracoli il supremo potere di Cristo sulla natura e sulle sue leggi. Colui che rivela Dio come Padre, Creatore e Signore del creato, quando compie quei miracoli con il proprio potere, rivela se stesso come Figlio consostanziale al Padre e uguale a lui nella signoria sul creato.

2. Alcuni miracoli presentano però anche altri aspetti complementari al significato fondamentale di prova del potere divino del Figlio dell’uomo, in ordine all’economia della salvezza.

Così, parlando del primo “segno” compiuto a Cana di Galilea, l’evangelista Giovanni nota che mediante esso Gesù “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Jn 2,11). Il miracolo è dunque compiuto per una finalità di fede, ma esso avviene durante una festa di nozze. Si può dire perciò che, almeno nell’intenzione dell’evangelista, il “segno” serve a mettere in rilievo tutta l’economia divina dell’alleanza e della grazia che nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento viene spesso espresso con l’immagine del matrimonio. Il miracolo di Cana di Galilea potrebbe dunque essere in relazione con la parabola del banchetto di nozze che un re fece per un suo figlio, e col “regno dei cieli” escatologico che “è simile” proprio a un tale banchetto (cf. Mt 22,2). Il primo miracolo di Gesù potrebbe essere letto come un “segno” di questo regno, soprattutto se si pensa che, non essendo ancora giunta “l’ora di Gesù”, ossia l’ora della sua passione e della sua glorificazione (Jn 2,4 cf. Jn 7,30 Jn 8,20 Jn 12,23 Jn 12,27 Jn 13,1 Jn 17,1), che deve essere preparata dalla predicazione del “Vangelo del regno” (cf. Mt 4,23 Mt 9,35), il miracolo ottenuto con l’intercessione di Maria può essere considerato come un “segno” e un annuncio simbolico di ciò che sta per avvenire.

3. Come un “segno” dell’economia salvifica si lascia leggere ancor più chiaramente il miracolo della moltiplicazione dei pani, avvenuto nei pressi di Cafarnao. Giovanni vi ricollega il discorso tenuto da Gesù il giorno dopo, nel quale insiste sulla necessità di procurarsi “il pane che non perisce” mediante la “fede in colui che mi ha mandato” (Jn 6,29), e parla di se stesso come del pane vero che “dà la vita al mondo” (Jn 6,33) e anzi di colui che dà la sua carne “per la vita del mondo” (Jn 6,51). È chiaro il preannuncio della passione e morte salvifica, non senza riferimento e preparazione all’Eucaristia che doveva essere istituita il giorno prima della sua passione, come sacramento-pane della vita eterna (cf. Jn 6,52-58).

4. A sua volta, la tempesta sedata sul lago di Genesaret può essere riletta come “segno” di una costante presenza di Cristo nella “barca” della Chiesa, che molte volte nel corso della storia viene esposta alla furia dei venti nelle ore di tempesta. Gesù, svegliato dai discepoli, comanda ai venti e al mare e si fa una grande bonaccia. Poi dice loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” (Mc 4,40). In questo, come in altri episodi, si vede la volontà di Gesù di inculcare negli apostoli e nei discepoli la fede nella sua presenza operatrice e protettrice anche nelle ore più tempestose della storia, nelle quali potrebbe infiltrarsi nello spirito il dubbio sulla sua divina assistenza. Di fatto nella omiletica e nella spiritualità cristiana il miracolo è stato spesso interpretato come “segno” della presenza di Gesù e garanzia della fiducia in lui da parte dei cristiani e della Chiesa.

5. Gesù, che va verso i discepoli camminando sulle acque, offre un altro “segno” della sua presenza, e assicura una costante vigilanza sui discepoli e sulla Chiesa. “Coraggio, sono io, non temete”, dice Gesù agli apostoli, che lo avevano preso per un fantasma (cf. Mc 6,49-50 cf. Mt 14,26-27 Jn 6,16-21). Marco fa notare lo stupore degli apostoli “perché non avevano capito il fatto dei pani e il loro cuore era indurito” (Mc 6,52). Matteo riporta la domanda di Pietro che vuole scendere sulle acque per andare incontro a Gesù e registra la sua paura e la sua invocazione di aiuto, quando si sente sprofondare: Gesù lo salva, ma lo rimprovera dolcemente: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,31). Aggiunge pure che “quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio” (Mt 14,33).

6. Le pesche miracolose sono per gli apostoli e per la chiesa i “segni” della fecondità della loro missione se si manterranno profondamente uniti alla potenza salvifica di Cristo (cf. Lc 5,4-10 Jn 21,3-6). Difatti Luca inserisce nella narrazione il fatto di Simon Pietro che si getta alle ginocchia di Gesù esclamando: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8), e la risposta di Gesù: “Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini”(Lc 5,10). Giovanni a sua volta fa seguire alla narrazione della pesca dopo la risurrezione, il mandato di Cristo a Pietro. “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle” (cf. Jn 21,15-17). È un accostamento significativo.

7. Si può dunque dire che i miracoli di Cristo, manifestazione della onnipotenza divina nei riguardi della creazione, che si rivela nel suo potere messianico su uomini e cose, sono nello stesso tempo i “segni” mediante i quali si rivela l’opera divina della salvezza, l’economia salvifica che con Cristo viene introdotta e si attua in modo definitivo nella storia dell’uomo e viene così inscritta in questo mondo visibile, che è pure sempre opera divina. La gente che - così come gli apostoli sul lago - vedendo i “miracoli” di Cristo s’interroga: “Chi è . . . costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?” (Mc 4,41), mediante questi “segni” viene preparata ad accogliere la salvezza offerta all’uomo da Dio nel suo Figlio.

Questo è lo scopo essenziale di tutti i miracoli e segni fatti da Cristo agli occhi dei suoi contemporanei, e di quei miracoli che nel corso della storia saranno compiuti dai suoi apostoli e discepoli in riferimento alla potenza salvifica del suo nome: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (Ac 3,6).

Ai gruppi di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai numerosi pellegrini provenienti dalla Spagna e dai Paesi dell’America Latina


Ai fedeli polacchi


Ai fedeli di lingua italiana

Desidero ora porgere il mio saluto ai rappresentanti dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, venuti a Roma in questo Anno Mariano, con il loro Vescovo Monsignor Ercole Lupinacci, per commemorare il 50° anniversario della fondazione della loro Comunità di rito orientale. Carissimi, vi ringrazio per questa visita che attesta il vostro attaccamento alla Sede di Pietro e la devozione alla Vergine, che nel vostro rito occupa sempre un posto singolare. Vi benedico con affetto.
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Saluto poi il Consiglio di Amministrazione, le Religiose, le allieve e gli allievi infermieri professionali della Casa Sollievo della Sofferenza, che, sotto la guida del Vescovo di Manfredonia, Monsignor Valentino Vailati, e del Sindaco di San Giovanni rotondo sono venuti a restituire la visita che feci loro durante il mio viaggio apostolico in Puglia. Vi ringrazio cari fratelli e sorelle, e vi esorto a tener vivo il modello di pietà e di generosità apostolica di Padre Pio da Pietralcina. Vi benedico di cuore.
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Il mio pensiero va poi ai titolari e lavoratori dell’esercizio cinematografico convenuti con i familiari a Roma per essere premiati in riconoscimento della loro lunga attività. Nel darvi il mio benvenuto, mi è caro esprimere l’auspicio che il potente mezzo di comunicazione sociale, nel quale avete prestato o prestate la vostra opera, sappia farsi veicolo di autentici valori, così da contribuire al vero bene dei cittadini e al progresso della società. A tutti la mia Benedizione.
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Rivolgo, altresì, una parola di cordiale saluto ai professori, al personale ed agli studenti della scuola media statale “Clemente Cardinali” di Velletri, con l’augurio che gli anni di studio servano a formare culturalmente e moralmente gli alunni, preparandoli ad assumere le responsabilità personali e sociali che li attendono. Tutti benedico con affetto.
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Saluto, inoltre, il gruppo di sacerdoti della diocesi di Vittorio Veneto, che sono venuti a Roma per celebrare i 40 anni della loro ordinazione. Carissimi, prego con voi e per voi, chiedendo al Signore di colmare i vostri cuori delle sue consolazioni e di rendere il vostro ministero sempre fecondo di frutti. A voi e alle persone affidate alle vostre cure pastorali la mia affettuosa Benedizione.

Ai giovani

Un saluto ora a tutti voi, carissimi giovani! Desidero esortarvi a vivere con spirito di fede, in atteggiamento di cristiana vigilanza, nella preghiera e nelle buone opere, il tempo dell’Avvento appena cominciato. Esso non ci prepara solo alla commemorazione del Natale storico del Cristo, ma ci orienta verso la sua ultima venuta. Sappiamo bene che la nostra vita e quella della società avanzano irresistibilmente verso il loro compimento, verso il giudizio e l’incontro definitivo con Cristo. La coscienza della meta dà significato ai nostri giorni e fa di essi un momento utile per le scelte, e quindi per la salvezza e la redenzione. Cristo che viene vi chiama, dunque, all’impegno di “ redimere il tempo ”, preoccupandovi di costruire il futuro con la precisa volontà di migliorare questo mondo, alla luce del progetto di vita che scaturisce dal Vangelo. Siate vigilanti nel perseguire questo compito, impegnando le vostre energie per adempiere la missione che il Signore vi affida. Di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Carissimi ammalati! Il tempo dell’Avvento è iniziato con una preghiera della Chiesa, piena di speranza: “A te, Signore, elevo l’anima mia. Dio mio, in te confido”. La fiducia è caratteristica peculiare del cristiano, ma, nel tempo dell’Avvento, essa diviene il tema saliente di tutta la comune preghiera. Rinnovate la vostra fiducia: Gesù viene verso di noi come Liberatore e Salvatore; la sua fedeltà non viene mai meno. Vi conforti tale pensiero specialmente nei momenti del dolore e dell’avvilimento. Sappiate sempre ritrovare nel Cristo la vostra forza, e offrite i vostri sacrifici anche perché la venuta del Signore a Natale segni per molti fratelli un momento di conversione. Tutti vi benedico e per tutti voi prego.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli, un saluto affettuoso a tutti voi, con l’augurio cordiale di felicità e di grazia per la vita coniugale che avete da poco iniziato. Il mio auspicio si fonda sulla preghiera, con cui la Chiesa ha iniziato il tempo di Avvento: “ Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al Cristo ”. Le buone opere siano l’impegno costante della vostra vita comune. Sostenetevi l’un l’altro nel cercarle e nel compierle, e date sempre ai vostri figli l’esempio e la testimonianza di atteggiamenti e di fatti ispirati all’esempio santo della vita di Cristo. Con la mia particolare Benedizione.




Mercoledì, 9 dicembre 1987

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1. “Segni” della divina onnipotenza e della potenza salvifica del Figlio dell’uomo, i miracoli di Cristo, narrati dai Vangeli, sono anche la rivelazione dell’amore di Dio verso l’uomo, particolarmente verso l’uomo che soffre, che ha bisogno, che implora guarigione, perdono e pietà. Sono dunque “segni” dell’amore misericordioso proclamato dall’Antico e dal Nuovo Testamento (cf. Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia ). Specialmente la lettura del Vangelo ci fa capire e quasi “sentire” che i miracoli di Gesù hanno la loro sorgente nel cuore amante e misericordioso di Dio, che vive e vibra nel suo stesso cuore umano. Gesù li compie per superare ogni genere di male che esiste nel mondo: il male fisico, il male morale, cioè il peccato, e infine colui che è “padre del peccato” nella storia dell’uomo: satana.

I miracoli sono dunque “per l’uomo”. Sono opere di Gesù che, in armonia con la finalità redentiva della sua missione, ristabiliscono il bene là dove si è annidato il male producendovi disordine e sconquasso. Coloro che li ricevono, che vi assistono, si rendono conto di questo fatto, tanto che secondo Marco, “pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”” (
Mc 7,37).

2. Da un attento studio dei testi evangelici si rileva che nessun altro motivo se non l’amore verso l’uomo, l’amore misericordioso, spiega i “miracoli e segni” del Figlio dell’uomo. Nell’Antico Testamento Elia si è servito del “fuoco dal cielo” per confermare il suo potere di profeta e punire l’incredulità (cf. 2R 1,10). Quando gli apostoli Giacomo e Giovanni hanno cercato di indurre Gesù a punire con “un fuoco dal cielo” un villaggio di samaritani, che aveva rifiutato loro l’ospitalità, egli vietò loro decisamente di formulare una simile richiesta. Precisa l’evangelista che “si voltò e li rimproverò” (Lc 9,55) (molti codici e la Vulgata aggiungono: “Voi non sapete di che spirito siete. Poiché il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini, ma a salvarle”. Nessun miracolo è stato operato da Gesù per punire qualcuno, nemmeno quelli che erano colpevoli.

3. Significativo a questo riguardo è il particolare collegato con l’arresto di Gesù nel giardino del Getsemani. Pietro era disposto a difendere il Maestro con la spada, e perfino “colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco” (Jn 18,10). Ma Gesù gli vietò di impugnare la spada. Anzi, “toccandogli l’orecchio, lo guarì” (Lc 22,51). È una riprova che Gesù non si serve della facoltà di fare i miracoli per la propria difesa.E confida ai suoi che non prega il Padre perché gli dia “più di dodici legioni di angeli” (cf. Mt 26,53) per salvarlo dai nemici che incalzano. Tutto ciò che egli fa, anche nel compiere i miracoli, lo fa in stretta unione con il Padre. Lo fa a motivo del regno di Dio e della salvezza dell’uomo. Lo fa per amore.

4. Per questo, già all’inizio della sua missione messianica, rifiuta tutte le “proposte” di miracolo presentate dal Tentatore, a cominciare da quella del cambiamento dei sassi in pane (cf. Mt 4,3-4). La potenza di Messia gli è data non per degli scopi appariscenti, o a servizio della vanagloria. Colui che è venuto “per rendere testimonianza alla verità” (Jn 18,37), che anzi è “la verità” (cf. Jn 14,6), opera sempre in assoluta conformità con la sua missione salvifica. Tutti i suoi “miracoli e segni” esprimono questa conformità, nel quadro del “mistero messianico” del Dio che si è quasi nascosto nella natura di un Figlio dell’uomo, come mostrano i Vangeli, specialmente quello di Marco. Se nei miracoli vi è quasi sempre un lampeggiamento del potere divino, che i discepoli e la gente a volte afferrano, tanto che riconoscono ed esaltano in Cristo il “Figlio di Dio”, vi si scopre altrettanto la bontà, la schiettezza e la semplicità, che sono le doti più visibili del “Figlio dell’uomo”.

5. Nel modo stesso di compiere i miracoli si nota la grande semplicità e si potrebbe dire umiltà, garbo, delicatezza di tratto di Gesù. Quanto ci fanno pensare, da questo punto di vista, le parole che hanno accompagnato la risurrezione della figlia di Giairo: “La bambina non è morta, ma dorme” (Mc 5,39), come a voler “smorzare” il significato di quanto stava per fare. E poi: “raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo” (Mc 5,43). Così fece anche in altri casi, per esempio dopo la guarigione di un sordomuto (Mc 7,36), e dopo la professione di fede di Pietro (Mc 8,29-30).

Per guarire il sordomuto è significativo che Gesù l’abbia portato “in disparte lontano dalla folla”. Ivi “guardando . . . verso il cielo, emise un sospiro”. Questo “sospiro” sembra essere un segno di compassione e, nello stesso tempo, una preghiera.La parola “Effatà” (“Apriti!”) fa sì che si aprano “gli orecchi” e si sciolga “il nodo della lingua” del sordomuto (cf. Mc 7,33-35).

6. Se alcuni dei suoi miracoli Gesù li compie in giorno di sabato, lo fa non per violare il carattere sacro del giorno dedicato a Dio, ma per dimostrare che questo giorno santo è segnato in modo particolare dall’operare salvifico di Dio. “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (Jn 5,17). E quest’operare è per il bene dell’uomo, quindi non è contrario alla santità del sabato, ma la mette in rilievo: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 2,27-28).

7. Se si accetta la narrazione evangelica dei miracoli di Gesù - e non c’è motivo per non accettarla, salvo il pregiudizio contro il soprannaturale -, non si può mettere in dubbio un’unica logica, che lega tutti quei “segni” facendoli derivare dall’economia salvifica di Dio: essi servono alla rivelazione del suo amore per noi, di quell’amore misericordioso che con il bene vince il male, come dimostra la stessa presenza e azione di Gesù Cristo nel mondo. In quanto inseriti in questa economia, i “miracoli e segni” sono oggetto della nostra fede nel piano di salvezza di Dio e nel mistero della redenzione operata da Cristo.

Come fatti, essi appartengono alla storia evangelica, le cui narrazioni sono attendibili come e più di quelle contenute in altre opere storiche. È chiaro che il vero ostacolo ad accettarle come dati sia di storia sia di fede è il pregiudizio antisoprannaturale al quale abbiamo accennato; quello di chi vorrebbe limitare la potenza di Dio o restringerla all’ordine naturale delle cose, quasi per una auto-obbligazione di Dio a stare alle sue leggi. Ma questa concezione urta con la più elementare idea filosofica e teologica di Dio, Essere infinito, sussistente e onnipotente, che non ha limiti se non nel non-essere e quindi nell’assurdo.

A conclusione di questa catechesi viene spontaneo notare che questa infinità nell’essere e nella potenza è anche infinità nell’amore, come dimostrano i miracoli inseriti nell’economia dell’incarnazione e della redenzione, quali “segni” dell’amore misericordioso con cui Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio “per noi uomini e per la nostra salvezza”, generoso con noi fino alla morte. “Sic dilexit”! (Jn 3,16).

Ad un amore tanto grande non manchi la risposta generosa della nostra gratitudine, tradotta nella testimonianza coerente dei fatti.

Ai fedeli di lingua francese

A diversi gruppi di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai connazionali polacchi

[ . . .]

Ai giovani

Carissimi giovani! A voi tutti il mio saluto cordiale. Grazie per la vostra festosa e allegra presenza.

Il mio benvenuto si rivolge in particolare agli alunni e alle alunne di alcuni Istituti scolastici, qui convenuti con una rappresentanza più numerosa: gli alunni, in primo luogo, dell’Istituto Tecnico Commerciale “Matteucci”; quelli poi del “Collegio Nazareno”, presenti all’udienza insieme con il loro compagno Walter Francescone, insignito di uno speciale premio della bontà; gli alunni inoltre dell’Istituto “San Francesco di Sales” nel 50° anniversario di fondazione; e infine le alunne dell’Istituto di Nazaret, che celebrano quest’anno il centenario di fondazione della loro scuola, avviata nell’anno 1887 dalla Congregazione delle Religiose di Nazaret, che erano state da poco chiamate a Roma per svolgervi il loro apostolato, ispirato all’imitazione della vita povera, umile e nascosta di Gesù a Nazaret! Cari studenti e studentesse, mi rallegro con voi per il cammino di crescita che state compiendo nella vostra formazione umana, culturale e religiosa, sotto la guida esperta delle vostre educatrici e dei vostri educatori. Auguro che la luce della fede possa essere per tutti voi una guida sicura nei difficili sentieri della vita.

Desidero oggi richiamare la vostra attenzione sul periodo liturgico che stiamo vivendo, quello dell’Avvento. È un periodo molto congeniale con la vostra età, che è tutta protesa verso l’attesa del futuro. L’Avvento è precisamente un tempo di attesa dell’avverarsi di quell’evento decisivo per la storia umana che è la nascita del Salvatore. Gesù, in realtà, è già nato molti anni fa. Egli però desidera rinascere nella vita di ciascuno per arricchirla dei doni della grazia e dell’amore.

Vi invito perciò, cari giovani, a valorizzare questo tempo privilegiato dell’Avvento, nel quale ricordiamo l’inizio dell’umanità nuova, che ha il suo capostipite nel Figlio stesso di Dio. Impegnatevi a rinnovarvi dentro di voi, per disporvi ad incontrare Cristo nel mistero del Natale con lo stesso cuore puro e ardente con cui lo accolse Maria tra le sue braccia. La Madonna ci precede nel cammino della fede. Camminate con lei, sforzandovi di imitarne le virtù e invocandola con più insistenza nella preghiera quotidiana. Sarà lei stessa a condurvi verso un’esperienza più intima e profonda del suo Figlio Gesù.

E non dimenticate che la purificazione del cuore passa attraverso il pentimento del peccato, il distacco da se stessi, la bontà verso i fratelli. È lo stesso sant’Agostino a ricordarci che “l’offerta più gradita a Dio sono misericordia, confessione, pace e carità”.

Con questi sentimenti auguro a tutti un buon Avvento in preparazione di un Natale ricco di gioia e di pace.

A tutti la mia benedizione.

Agli ammalati

Rivolgo il mio affettuoso saluto a voi, ammalati, e vi esorto, carissimi ad offrire a Dio Padre ogni momento della vita quotidiana, con i suoi dolori e le sue sofferenze.

Come Maria, Vergine senza macchia, abbandonatevi alla volontà di Dio, accettando quanto Egli vi domanda col suo amore esigente. In tal modo sarete più vicini al Salvatore, fonte della serenità e della pace, e contribuirete efficacemente a santificare il mondo.

Mentre su di voi, e su quanti vi assistono con premura e dedizione, invoco l’abbondanza delle grazie e delle consolazioni divine, a tutti di cuore imparto la Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

Giunga ora la mia parola di saluto a voi, giovani sposi. Mi è veramente gradito ringraziare il Signore perché, consacrando la vostra unione, vi ha concesso il dono, ed il compito, di amarvi in Lui.

La Madonna vi ottenga la grazia di un’umile e devota sapienza, la quale consente di comprendere il disegno di Dio sulla vita e dona l’energia spirituale per realizzarlo.

Vi sostenga in questo nuovo cammino la mia spirituale vicinanza, mentre a tutti imparto la Benedizione Apostolica, che porterete ai vostri genitori ed alle persone care,





Catechesi 79-2005 25117