Catechesi 79-2005 20188

Mercoledì, 20 gennaio 1988

20188

1. “Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (
Jn 17,21).

Così Gesù ha pregato per i suoi discepoli, presenti alla cena, e per tutti coloro che per la loro parola avrebbero creduto in lui. Su questa preghiera si fonda l’intera ricerca della piena unità fra i cristiani.

Il movimento ecumenico, a cui “partecipano coloro che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Cristo Signore e Salvatore” (Unitatis Redintegratio UR 1) trova nella preghiera di Gesù la sua prospettiva ultima e il criterio dell’autentica efficacia missionaria, oggi molto sentita: l’unità come segno e strumento di evangelizzazione del mondo. Il lavoro teologico e pastorale per la ricomposizione della piena unità dei cristiani corrisponde alla volontà stessa di Gesù Cristo. Per questo la Chiesa cattolica vede in esso un compito prioritario, a cui il Concilio Vaticano II ha invitato “sia i fedeli, sia i pastori, ognuno secondo la propria capacità” (Unitatis Redintegratio UR 5).

Data la difficoltà della questione, la cui soluzione “supera le doti e forze umane”, il Concilio ha dichiarato di riporre “tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del padre per noi, e nella forza dello Spirito Santo” (Unitatis Redintegratio UR 24). Il Concilio ha però anche ricordato la parola di san Paolo ai Romani: “E la speranza non inganna” (Rm 5,5).

2. La settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani, che si celebra annualmente in questi giorni oppure in occasione della festa di Pentecoste, vuole inserirsi, con fedeltà e in spirito di obbedienza, nel cuore della preghiera stessa di Gesù al Padre, affinché tutti siano una cosa sola, siano perfetti nell’unità, e siano consacrati nella verità. Questa feconda iniziativa, che per grazia di Dio, viene celebrata sempre più intensamente, è solidamente fondata sulla base di quella fede che è ancora comune.

Essa inoltre manifesta anche l’intento dei cristiani di fare il possibile, ognuno per la sua parte, per camminare insieme verso la piena unità, così come la vuole il Signore stesso.

La nostra fede ci assicura che il Signore è in mezzo a noi (Mt 18,20). Egli, che è “via e verità”, accompagnerà i credenti in lui, come una volta i discepoli di Emmaus (Lc 24,30), fino alla “tavola” dell’Eucaristia, nella ricomposta piena unità della fede. Come quei discepoli, dobbiamo fare questo cammino col cuore “che arde in petto” e ascoltando la spiegazione delle Scritture.

La preghiera ci è, in ciò, di aiuto decisivo. Essa libera dalle preoccupazioni non attinenti al piano di Dio, concentra sull’“unico necessario”, e orienta verso il compimento della volontà divina.

3. In questa settimana di preghiere per l’unità è pure doveroso ringraziare Iddio per il cammino finora compiuto. È vero, l’unità da tutti auspicata non c’è ancora, e permangono serie difficoltà. Ma i rapporti tra i cristiani e il dialogo teologico hanno creato una situazione di fraternità veramente nuova.

La comunione esistente è stata messa nel giusto rilievo e le divergenze sono state puntualizzate con maggiore precisione. Inoltre importanti convergenze sono state faticosamente realizzate su temi che, nel passato, erano fortemente controversi, come il battesimo, la giustificazione, il ministero, l’eucaristia, l’autorità nella Chiesa. Intanto, il dialogo con le Chiese e Comunioni cristiane mondiali prosegue, sorretto dalla speranza che si possa finalmente raggiungere il pieno accordo. Questo processo estremamente delicato esige il sostegno della preghiera di tutti.

Anche nello scorso anno ho avuto la grazia di incontrare, tanto qui a Roma quanto nei paesi visitati, responsabili delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Nonostante la diversità delle situazioni locali, ho potuto costatare che la preoccupazione dell’unità è avvertita con crescente urgenza.

Fra questi incontri come non ricordare particolarmente la recente visita del Patriarca ecumenico Sua Santità Dimitrios I? Abbiamo conversato insieme, abbiamo insieme benedetto i fedeli. Abbiamo voluto fare insieme tutto ciò che la fede ci permetteva di fare. Insieme ci siamo profondamente rattristati di non aver potuto partecipare allo stesso pane e allo stesso calice. Che questa sincera tristezza sia per tutti fonte di nuovo slancio nell’impegno di chiarire e risolvere le difficoltà che permangono sul nostro comune cammino. Nello stesso tempo la profonda gioia causata da questa visita riscaldi il cuore di tutti, incoraggiandoci a proseguire sulla via del Signore col vigore e con la speranza che infonde lo Spirito presente nei nostri cuori.

4. È appunto questo l’invito che ci proviene da questa settimana di preghiere incentrata sul tema: “L’amore di Dio scaccia la paura” (1Jn 4,18).

Il tema ci ricorda innanzitutto l’amore di Dio, che è alla base della vita cristiana. La Trinità Santa ci ha amati “prima che il mondo fosse”. Ci è stato inviato il Figlio di Dio, il quale ci ha liberati dalla schiavitù, ci ha chiamati a diventare creature nuove, fatte a sua immagine e somiglianza; ci ha messi in comunione con la propria vita assicurandoci un amore da cui non ci può separare né la vita né la morte.

Se è così, ne consegue l’esigenza dell’amore reciproco. “Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Jn 4,11). L’esperienza ecumenica ci dimostra con sempre maggiore evidenza che il dialogo della carità sostiene l’intero sforzo di riconciliazione. L’amore non soltanto genera il perdono reciproco. Esso libera dal sospetto, dalla paura dell’altro, che anzi rivela come fratello nel Signore.

Il comitato misto, composto da rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio ecumenico delle Chiese, nel proporre questo tema, ha attirato l’attenzione sul fenomeno della paura presente nel mondo di oggi e anche nelle comunità cristiane. La paura è un sentimento che divide, isola ed imprigiona. Ma noi crediamo in colui che ha vinto il mondo, che ha sconfitto la morte, che ha ridato la vita. La ricomposizione dell’unità fra i cristiani, nell’amore e nella verità, sarà anche un segno efficace della speranza per una convivenza migliore nel mondo. Se l’amore è sincero all’interno delle comunità cristiane, esso libera anche dalla paura che l’unità possa trasformarsi in uniformità. L’unità è un bene per tutti. Non soltanto essa sa rispettare gli autentici carismi esistenti, ma li rafforza e li armonizza a vantaggio di tutti.

Nell’amore non c’è timore (cf. 1Jn 4,18). Senza falsi timori dunque e col cuore riscaldato dall’amore di Dio, continuiamo con perseveranza nella preghiera e nelle opportune iniziative in vista della ricomposizione dell’unità fra tutti i cristiani.

Invito ora i presenti a pregare con me per la piena unità di tutti i cristiani.

Ai gruppi francesi

Ai fedeli di lingua inglese


Ai fedeli di lingua castigliana

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai gruppi di lingua italiana

Desidero ora porgere il mio saluto ai Vigili Urbani della città di Nocera Inferiore, qui convenuti con il loro Vescovo, Monsignor Gioacchino Illiano, col sindaco ed alcuni parlamentari della loro terra. Carissimi, vi esprimo il mio cordiale benvenuto ed il compiacimento perché nella festa del vostro patrono, San Sebastiano, avete voluto anche manifestare fraterna riconoscenza verso i Vigili di Roma per l’aiuto generosamente offerto quando, nel 1980, il terremoto colpì la Città di Nocera.

Affido le vostre famiglie e la vostra opera, che è un prezioso servizio per il bene e l’ordine pubblico, alla protezione del Signore.
* * *


Saluto, poi, i membri delle Associazioni Nazionali Venditori Ambulanti di Roma e Parigi, riuniti in questi giorni per trattare i problemi della loro professione.

A tutti il mio cordiale saluto e la mia Benedizione.

Ai giovani

Desidero ora rivolgermi con un caro saluto ai giovani, qui presenti. Ci troviamo nel corso dell’ “Ottavario di Preghiera per l’unità dei Cristiani” e vorrei invitarvi, cari giovani, a prender coscienza dell’importanza di questo avvenimento. Pregate anche voi insieme con la Chiesa e con gli altri fratelli cristiani, affinché tra tutti i discepoli di Cristo possa aversi compiutamente quell’unione fraterna, che Egli ha voluto e stabilito. La mia preghiera e la mia Benedizione vi accompagnano.

Agli ammalati

Carissimi malati qui presenti! Il mio affettuoso saluto ed il mio benvenuto a voi, che siete giunti a questa udienza nonostante sacrifici e disagi. Vi esorto ad unire anche le vostre preghiere a quelle di tutti coloro che, in questi giorni, invocano dallo Spirito Santo il dono dell’amore pieno e perfetto tra i cristiani. Le prove che il Signore vi manda, cari fratelli e sorelle, non servono solo alla vostra santificazione, ma anche a quella dei discepoli di Cristo in cerca dell’unità nella verità, nella giustizia e nella pace. Il Signore benedica abbondantemente l’offerta delle vostre preghiere e vi doni, come Egli vorrà, la salute dell’anima e del corpo.

Agli sposi novelli

Ed ora a voi, sposi novelli, un cordiale saluto ed un augurio. Vi auguro che possiate realizzare felicemente nella luce di Dio, il progetto di vita che avete avviato. Voi vi aprite alla Chiesa di domani, alla cristianità di domani. Possiate voi vivere in una realtà cristiana che sia sempre conforme ai desideri del Signore, e perciò più credibile agli occhi del mondo, che tanto ha bisogno della luce di Cristo. Pregate anche voi per l’unità dei Cristiani, sentitevi anche voi partecipi di questo grande progetto d’amore, che corrisponde così profondamente ai desideri del Cuore di Cristo. Possa sempre la vostra vita familiare, allietata dalla fecondità, essere in armonia con quel progetto d’amore, mentre io vi benedico di cuore.




Mercoledì, 27 gennaio 1988

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1. Gesù Cristo vero Dio e vero uomo: è il mistero centrale della nostra fede ed è anche la verità chiave delle nostre catechesi cristologiche. Stamane ci proponiamo di cercare la testimonianza di questa verità nella Sacra Scrittura, specialmente nei Vangeli, e nella Tradizione cristiana.

Abbiamo già visto che, stando ai Vangeli Gesù Cristo si presenta e si fa conoscere come Dio-Figlio, specialmente quando dichiara: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (
Jn 10,30); quando riferisce a se stesso il nome di Dio “Io Sono” (cf. Jn 8,58), e gli attributi divini; quando afferma che gli “è stato dato ogni potere in cielo ed in terra” (Mt 28,18): il potere di giudizio finale su tutti gli uomini e il potere sulla legge (Mt 5,22 Mt 5,28 Mt 5,32 Mt 5,34 Mt 5,39 Mt 5,44) che da Dio prende il suo inizio e la sua forza, e infine il potere di rimettere i peccati (cf. Jn 20,22-23), perché pur avendo ricevuto dal Padre il potere di pronunciare il “giudizio” finale sul mondo (cf. Jn 5,22), egli viene nel mondo “a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).

Per confermare il suo potere divino sulla creazione, Gesù compie i “miracoli”, cioè dei “segni” che testimoniano che insieme con lui è venuto nel mondo il Regno di Dio.

2. Ma questo Gesù che, mediante tutto ciò che “fa e insegna”, rende testimonianza a se stesso come Figlio di Dio, nello stesso tempo si presenta e si fa conoscere come vero uomo. L’intero nuovo testamento e in particolare i Vangeli attestano in modo inequivocabile questa verità, di cui Gesù ha chiarissima la coscienza e che gli Apostoli e gli evangelisti conoscono, riconoscono e trasmettono senza dubbi di sorta. Dobbiamo pertanto dedicare la presente catechesi a raccogliere e a illustrare almeno in un breve abbozzo i dati evangelici su questa verità, sempre in collegamento con quanto abbiamo detto in precedenza su Cristo come vero Dio.

Un tale modo di chiarire la vera umanità del Figlio di Dio è oggi indispensabile, data la diffusa tendenza a vedere e a presentare Gesù solo come uomo: un uomo insolito e straordinario, ma sempre e soltanto un uomo. Questa tendenza caratteristica dei tempi moderni, è in certo modo antitetica a quella che si manifestò sotto varie forme nei primi secoli del cristianesimo e che prese il nome di “docetismo”. Secondo i “doceti” Gesù Cristo era un uomo “apparente”: aveva cioè l’apparenza di un uomo, ma in realtà era soltanto Dio.

Di fronte a queste tendenze opposte, la Chiesa professa e proclama fermamente la verità su Cristo come Dio-uomo: vero Dio e vero uomo; una sola Persona - quella divina del Verbo - sussistente in due nature, quella divina e quella umana, come insegna il catechismo. È un profondo mistero della nostra fede: ma lascia cogliere in sé tante luci.

3. Le testimonianze bibliche sulla vera umanità di Gesù Cristo sono numerose e chiare. Vogliamo raccoglierle, per poi spiegarle nelle prossime catechesi.

Il punto di partenza è qui la verità dell’incarnazione: “Et incarnatus est”, professiamo nel Simbolo. Più spiccatamente tale verità è espressa nel Prologo del Vangelo di Giovanni. “E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Jn 1,14). Carne (in greco “sarx”) significa l’uomo nella sua concretezza, comprendente la corporeità, e quindi la precarietà, la debolezza, in un certo senso la caducità. (“Ogni uomo è come l’erba”, leggiamo nel libro di Isaia [ Is 40, 6]).

Gesù Cristo è un uomo in tale significato della parola “carne”.

Questa carne - e quindi la natura umana - Gesù l’ha ricevuta da sua madre, Maria, la Vergine di Nazaret. Se sant’Ignazio di Antiochia chiama Gesù “sarcoforos” (S. Ignatii Antiocheni “Ad Smyrnaeos”, 5), indica delicatamente con questa parola la sua nascita umana da una donna, che gli ha dato la “carne umana”. Aveva già detto san Paolo che “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Ga 4,4).

4. L’evangelista Luca parla di questa nascita da una donna, quando descrive gli avvenimenti della notte di Betlemme: “Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,6-7). Lo stesso evangelista ci fa sapere che, l’ottavo giorno dopo la nascita, il bambino venne sottoposto alla circoncisione rituale e “gli fu messo nome Gesù” (Lc 2,21). Il giorno quarantesimo venne offerto come “primogenito” nel tempio gerosolimitano secondo la legge di Mosè (cf. Lc 2,22-24).

E ancora, che come ogni bambino, anche questo “bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza” (Lc 2,40). “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52).

5. Vediamolo da adulto, quale ce lo presentano più frequentemente i Vangeli. Come vero uomo, uomo di carne (“sarx”), Gesù ha provato la stanchezza, la fame e la sete. Leggiamo: “E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame” (Mt 4,2). E altrove: “Gesù . . . stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo . . . Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: Dammi da bere” (Jn 4,6-7).

Gesù ha dunque un corpo sottoposto alla stanchezza, alla sofferenza, un corpo mortale. Un corpo che alla fine subisce le torture del martirio mediante la flagellazione, l’incoronazione di spine e, infine, la crocifissione.

Durante la terribile agonia, morendo sul legno della croce, Gesù pronuncia quel suo “Ho sete” (Jn 19,28), nel quale è contenuta una ultima, dolente e commovente espressione della verità della sua umanità.

6. Soltanto un vero uomo ha potuto soffrire come ha sofferto Gesù sul Golgota, soltanto un vero uomo ha potuto morire come morì veramente Gesù. Questa morte è stata costatata da molti testimoni oculari, non solo da amici e discepoli, ma, come leggiamo nel Vangelo di Giovanni, dagli stessi soldati, che “venuti da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Jn 19,33-34).

“Nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mori e fu sepolto”: con queste parole del Simbolo degli Apostoli la Chiesa professa la verità della nascita e della morte di Gesù. La verità della risurrezione è attestata subito dopo con le parole: “Il terzo giorno risuscitò da morte”.

7. La risurrezione riconferma, in modo nuovo, che Gesù è vero uomo: se il Verbo per nascere nel tempo “s’è fatto carne”, quando è risorto ha ripreso il proprio corpo di uomo.

Soltanto un vero uomo ha potuto soffrire e morire sulla croce, soltanto un vero uomo ha potuto risorgere. Risorgere vuol dire tornare alla vita nel corpo. Questo corpo può essere trasformato, dotato di nuove qualità e potenze, e alla fine anche glorificato, (come nell’Ascensione di Cristo e nella futura risurrezione dei morti), ma è corpo veramente umano. Infatti Cristo risorto si mette in contatto con gli Apostoli, essi lo vedono, lo guardano, toccano le cicatrici rimaste dopo la crocifissione, e lui non solo parla e si trattiene con loro, ma perfino accetta il loro cibo: “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (Lc 24,42-43). Alla fine Cristo, in questo corpo risuscitato e ormai glorificato, ma sempre corpo di vero uomo, ascende in cielo, per sedere “alla destra del Padre”.

8. Dunque, vero Dio e vero uomo. Non un uomo apparente, non un “fantasma” (“homo phantasticus”) ma uomo reale. Così l’hanno conosciuto gli Apostoli e il gruppo di credenti che costituì la Chiesa degli inizi. Così ce ne hanno parlato nella loro testimonianza.

Notiamo fin d’ora che, così stando le cose, non vi è in Cristo un’antinomia tra ciò che è “divino” e ciò che è “umano”. Se l’uomo, fin dall’inizio, è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,27 Gn 5,1), e quindi ciò che è “umano” può manifestare anche ciò che è “divino”, quanto più questo ha potuto avvenire in Cristo. Egli ha rivelato la sua divinità mediante l’umanità, mediante una vita autenticamente umana. La sua “umanità” è servita a rivelare la sua “divinità”: la sua persona di Verbo-Figlio.

Nello stesso tempo egli come Dio-Figlio non era, per questo, “meno” uomo. Per rivelarsi come Dio non era costretto a essere “meno” uomo. Anzi: per questo fatto egli era “pienamente” uomo, ossia nell’assunzione della natura umana in unità con la persona divina del Verbo, egli realizzava in pienezza la perfezione umana. E una dimensione antropologica della cristologia, sulla quale dovremo tornare.

Ai gruppi di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai fedeli polacchi

Ai vari gruppi di lingua italiana

Desidero ora porgere il mio saluto ai Signori Ufficiali partecipanti al LXXI corso promosso dal Collegio di Difesa NATO, al Comandante Generale Antoon Everaert, ai Vice Comandanti ed a tutti i collaboratori con l’augurio cordiale che il periodo di permanenza in Italia, oltre a giovare all’approfondimento delle specifiche competenze in vista delle future mansioni, valga a favorire uno stimolante contatto sia con le gloriose vestigia della Roma imperiale, sia con le sempre vive memorie della Roma cristiana, illustrata dal sangue dei martiri e dalla testimonianza di una meravigliosa fioritura di Santi.
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Un cordiale saluto rivolgo poi al folto gruppo di Militari provenienti dalla Scuola di Artiglieria Controaerea di Sabaudia, che sono presenti all’udienza insieme con i Superiori e col Cappellano.

Carissimi, sono lieto di questo incontro che mi consente di esprimervi il mio compiacimento per le iniziative, promosse nella vostra scuola in occasione dell’Anno Mariano. Benedico volentieri la statua lignea della Vergine Santissima che avete portato con voi, con l’intenzione di collocarla poi nella vostra cappella. Amate la Madonna, pregatela, imitatene le virtù. Ella vi sarà sempre vicina per soccorrervi con la sua materna protezione in ogni circostanza della vita. Non passi giorno senza che una preghiera salga dal vostro cuore verso di Lei. È la consegna che lascio a tutti voi con tanto affetto.
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Saluto inoltre il gruppo dei Missionari Oblati di Maria Immacolata convenuti a Roma da varie parti, per un incontro di studio sullo specifico carisma della loro Congregazione. Ad essi l’augurio che il ritorno alle fonti ed allo spirito originario della loro Comunità ravvivi e sostenga la volontà di perseverare nel fervoroso annuncio del Cristo a tutti i popoli.
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Il mio pensiero va poi al numeroso gruppo dei dirigenti, docenti, allievi ed addetti ai servizi del Centro Formazione Professionale “Teresa Gerini”, dell’Istituto Salesiano di Roma, che intendono con questa loro visita sottolineare l’anno centenario di Don Bosco, patrono degli apprendisti.

Cari giovani! A tutti voi l’invito a prepararvi al vostro futuro lavoro con serenità ed impegno irrobustendo al tempo stesso la vostra fede per essere in grado, domani, di testimoniare, secondo gli insegnamenti e gli esempi di Don Bosco, il vostro amore a Cristo e la fedele adesione al suo Vangelo.
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Rivolgo, infine, una parola di ringraziamento e di plauso ai componenti del Circo “Embell-Riva”. Auspico per tutti loro la costante protezione del Signore sulle attività che svolgono, con la viva speranza che nella loro comunità regnino sempre spirito fraterno, armoniosa collaborazione e costante fedeltà a tutti i valori morali che fanno bella e nobile la vita.

A tutti il mio cordiale saluto e la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora un saluto particolarmente affettuoso ai ragazzi e alle ragazze, ai giovani e alle giovani, che prendono parte a questa udienza, conferendole una nota gioiosa.

Carissimi, mi è sempre motivo di speranza vedervi in questi incontri settimanali, perché mi offrite viva testimonianza della vostra fede e del vostro impegno ecclesiale. Il Signore vi faccia crescere, come dice di lui adolescente il Vangelo, “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” vi auguro che possiate essere autentici portatori della fede e della carità cristiana in tutti gli ambienti, in cui venite a trovarvi, e che possiate essere costruttori di quella pace vera che viene da Cristo, ma passa per le mani della sua Madre, “Regina della Pace”. Invocatela nei momenti di dissidio interiore: Ella non mancherà di esaudirvi e di indicarvi le soluzioni, perché - come ho detto nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù - Ella è “vostra Madre e Maestra”. Vi benedico tutti di cuore.

Agli ammalati

Anche a voi, miei cari ammalati, che partecipate alle sofferenze redentrici di Cristo, rivolgo il mio saluto e la mia parola di conforto. Ricordatevi sempre che il Signore ha riscattato il dolore, rendendolo salvifico e che, quindi, nessuna lacrima è versata invano e nessun grido si perde nel vuoto. Ma tutto può servire per la redenzione degli uomini, se Vissuto in questa prospettiva soprannaturale. Coraggio, abbiate fiducia: il Signore conta molto su di voi. Vi benedico tutti con profondo affetto.

Agli sposi novelli

Ed infine a voi, sposi novelli, il mio saluto beneaugurante. Con la vostra vita matrimoniale, consacrata davanti all’altare, date esempio di come vada vissuta la comunione familiare nella gioia e nell’armonia; testimoniate con la vostra vita cristiana la nuova Alleanza tra Dio e l’uomo. Il Signore vi conservi nel suo amore! Vi benedico e vi assicuro le mie preghiere.



Mercoledì, 3 febbraio 1988

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1. Gesù Cristo è vero uomo. Continuiamo la catechesi precedente dedicata a questo tema. Si tratta di una verità fondamentale della nostra fede. È fede basata sulla parola di Cristo stesso, confermata dalla testimonianza degli apostoli e discepoli, trasmessa di generazione in generazione nell’insegnamento della Chiesa: “Credimus . . . Deum verum et hominem verum . . . non phantasticum, sed unum et unicum Filium Dei” (Conc. Lugdun. II: Denz.-Schönm.,
DS 852).

Più recentemente la stessa dottrina è ricordata dal Concilio Vaticano II, che ha sottolineato il nuovo rapporto che il Verbo, incarnandosi e facendosi uomo come noi, ha inaugurato con ciascuno e con tutti: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo . . . ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Gaudium et Spes GS 22).

2. Già nella cornice della catechesi precedente abbiamo cercato di far vedere questa “somiglianza” di Cristo con noi, che deriva dal fatto che egli era vero uomo: “Il Verbo si fece carne”, e “carne” (“sarx”) indica proprio l’uomo quale essere corporeo (“sarkikos”), che viene alla luce mediante la nascita “da donna” (cf. Ga 4,4). In questa sua corporeità Gesù di Nazaret, come ogni uomo, ha provato la stanchezza, la fame e la sete. Il suo corpo era passibile, vulnerabile, sensibile al dolore fisico. E proprio in questa carne (“sarx”) egli è stato sottoposto a terribili torture e infine crocifisso: “Fu crocifisso, morì e fu sepolto”.

Il testo conciliare sopracitato completa ancora questa immagine quando dice: “Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et Spes GS 22).

3. Rivolgiamo oggi una particolare attenzione a quest’ultima affermazione, che ci fa entrare nel mondo interno della vita psicologica di Gesù. Egli provava veramente i sentimenti umani: la gioia, la tristezza, lo sdegno, la meraviglia, l’amore. Leggiamo per esempio che “Gesù esultò nello Spirito Santo” (Lc 10,21); che pianse su Gerusalemme: “Alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giornòla via della pace»” (Lc 19,41-42); pianse anche dopo la morte del suo amico Lazzaro: “Quando vide (Maria) piangere e piangere anche i giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l’avete posto?». gli dissero: «Signore vieni a vedere». Gesù scoppiò in pianto” (Jn 11,33-35).

4. I sentimenti di tristezza raggiungono in Gesù una particolare intensità nel momento del Getsemani. Leggiamo: “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: La mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14,33-34 cf. anche Mt 26,37). In Luca leggiamo: “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Lc 22,44). Un fatto di ordine psicofisico che attesta a sua volta la realtà umana di Gesù.

5. Leggiamo anche dello sdegno di Gesù. Così, quando gli si presenta per essere guarito un uomo dalla mano inaridita, ed è in giorno di sabato, Gesù, prima pone ai presenti la domanda: “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla? Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: Stendi la mano! La stese e la sua mano fu risanata” (Mc 3,5).

Parimenti nell’episodio dei venditori scacciati dal tempio. Scrive Matteo che “scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: la Scrittura dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri” (Mt 21,12-13 cf. Mc 11,15).

6. Altrove leggiamo che Gesù “si meraviglia”: “Si meravigliava della loro incredulità (Mc 6,6). Oppure che prova ammirazione. Così quando dice: “Guardate i gigli, come crescono . . . neanche Salomone nella sua gloria, vestiva come uno di loro” (Lc 12,27). Ammira anche la fede della donna Cananea: “Donna, davvero grande è la tua fede” (Mt 15,28).

7. Soprattutto ci risulta dai Vangeli che Gesù ha amato. Leggiamo che durante il colloquio con il giovane venuto a chiedere che cosa doveva fare per entrare nel Regno dei cieli, “Gesù, fissatolo, lo amò (Mc 10,21). L’evangelista Giovanni scrive che “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro” (Jn 11,5), e chiama se stesso “il discepolo . . . che Gesù amava” (Jn 13,23).

Gesù amava i bambini: “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse . . . E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva” (Mc 10,13-16). E quando ha proclamato il comandamento dell’amore, si è richiamato a questo amore con cui egli stesso ha amato: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Jn 15,12).

8. L’ora della passione, specialmente l’agonia sulla croce, costituisce si può dire, uno zenit dell’amore con cui Gesù “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Jn 13,1). “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Jn 15,13). Contemporaneamente questo è anche lo zenit della tristezza e dell’abbandono che egli ha provato nella sua vita terrena. Una espressione penetrante di questo abbandono rimarranno per sempre le parole: “Eloì, Eloì lema sabactàni? . . . Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Sono parole che Gesù attinge al Salmo 22 (Ps 22,2). e con le quali esprime il supremo strazio della sua anima e del suo corpo, comprendente la misteriosa sensazione di un momentaneo abbandono da parte di Dio. La punta più drammaticamente lacerante di tutta la Passione!

9. Così dunque Gesù è divenuto veramente simile agli uomini, assumendo la condizione di servo, come proclama la lettera ai Filippesi (cf. Ph 2,7). Ma la lettera agli Ebrei, parlando di lui come di “sommo sacerdote dei beni futuri” (He 9,11), conferma e precisa che questo non è un “sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo lui stesso provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato” (cf. He 4,15). Veramente egli “non aveva conosciuto il peccato”, anche se san Paolo dirà che “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Co 5,21).

Lo stesso Gesù potè lanciare la sfida: “Chi di voi può convincermi di peccato?” (Jn 8,46). Ed ecco la fede della Chiesa: “Sine peccato conceptus, natus et mortuus”. Lo proclama in armonia con tutta la Tradizione, il Concilio Fiorentino (Conc. Floren. “Decr. pro Iacob.”: Denz.-Schönm., DS 1347): Gesù “è stato concepito, è nato e morto senza peccato”. Egli è l’uomo veramente giusto e santo.

10. Ripetiamo col nuovo testamento, col Simbolo e col Concilio: “Gesù Cristo si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (cf. He 4,15). E proprio grazie a una tale somiglianza: “Cristo, che è il nuovo Adamo . . . svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes GS 22).

Si può dire che mediante una tale constatazione il Concilio Vaticano II dà, ancora una volta, la risposta alla domanda fondamentale che forma il titolo del celebre trattato di sant’Anselmo: “Cur Deus homo?” È una domanda dell’intelletto che approfondisce il mistero del Dio Figlio, che divenne un uomo vero “per noi uomini e per la nostra salvezza”, come professiamo nel Simbolo della fede niceno-costantinopolitano.

Cristo ha rivelato “pienamente” l’uomo all’uomo proprio per il fatto che egli “non aveva conosciuto peccato”. Poiché il peccato non è in alcun modo un arricchimento dell’uomo. Tutto al contrario: lo deprezza, lo diminuisce, lo priva della pienezza che gli è propria (cf. Gaudium et Spes GS 13).

Il ricupero, la salvezza dell’uomo decaduto è la fondamentale risposta alla domanda sul perché dell’incarnazione.

Ai fedeli di espressione inglese


Ad alcuni gruppi di fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli provenienti da aree di espressione spagnola

Ad un gruppo di polacchi

Ad alcuni fedeli di espressione italiana

Desidero ora rivolgere un cordiale saluto ed un augurio ai partecipanti al corso di spiritualità ignaziana, organizzato dai Padri Gesuiti di Roma. A questo “corso ignaziano” sono convenuti Religiosi e Religiose dai cinque continenti per approfondire gli insegnamenti del grande Santo spagnolo, soprattutto in vista di una miglior preparazione al servizio della direzione e della formazione spirituale.

Non posso che esprimere il mio compiacimento, cari fratelli e sorelle, per questa iniziativa che ogni anno si ripete, e dalla quale è legittimo attendersi sempre nuovi incrementi ed aggiornamenti circa i metodi così delicati ed importanti della guida delle anime. Uno dei compiti del Sacerdote, e non solo di lui, è quello di aiutare il fratello nel discernimento della volontà di Dio, affinché il sentiero della vita conduca concretamente ed efficacemente al Regno di Dio. La regola aurea per questo discernimento è certamente il Vangelo; ma i Santi ci aiutano a vivere la Parola di Cristo applicandola ad ogni circostanza della nostra vita quotidiana. E Sant’Ignazio è uno di questi Maestri.

Auguro a tutti voi, pertanto, di trarre il massimo profitto da questi giorni intensi e ricchi di spunti di riflessione, onde poi svolgere ancor meglio i compiti formativi ed educativi che vi sono o vi saranno affidati. Vi accompagna la mia affettuosa Benedizione.

Ai giovani

Cari giovani, ieri abbiamo celebrato la memoria della Presentazione di Gesù al tempio per le mani della Vergine Maria: Ella presentò a Dio il fanciullo Gesù; in lui eravamo tutti noi! Cari giovani! La Regina del cielo vi presenta a Dio; mettete la vostra vita nelle sue mani! Come il fanciullo Gesù cresceva, sotto gli occhi di Lei, in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini, così voi con l’aiuto di Maria, vostra dolcissima Madre, crescete non solo intellettualmente e fisicamente, ma soprattutto anche nella fede, nella speranza, nella carità. Vi benedico con affetto.

Agli ammalati

Cari ammalati, la Madre celeste vi presenta al Signore con particolare affetto, perché voi siete le membra doloranti della Chiesa e dell’umanità. Ella vi ama di più, perché la provvidenza vi ha predestinato ad essere più rassomiglianti al suo Figlio nel dolore e nell’infermità. Come Maria ha accolto, in tale oblazione, la spada che Simeone le profetizzò mentre Ella presentava Gesù al tempio, così voi sappiate accettare dalle mani di Dio con rassegnazione, anzi con gioia, tutte le sofferenze che Egli permette per voi. La Madonna allevi le vostre sofferenze. Vi benedico di cuore!

Agli sposi novelli

Cari sposi novelli, per voi una raccomandazione mi scaturisce dal cuore: vogliatevi bene nel Signore! Dinanzi alla superficialità e all’improvvisazione, che oggi specialmente minacciano tanti matrimoni, c’è bisogno di vero amore. La sorgente di ogni autentico amore è in Dio, perché - come proclama l’apostolo Giovanni - “Dio è amore” Abbiate in voi quell’amore vero e profondo che con il passare del tempo si rafforza e si cementa, perché dove c’è amore, c’è Dio. La Sacra Famiglia vi sia di modello e di esempio. Alimentate la fiamma accesa dal Sacramento, fate vivere la grazia di Cristo che con esso vi è stata elargita, la quale porterà nella vostra casa la pace che viene da Dio. La mia Benedizione sia per voi pegno dei doni celesti!






Catechesi 79-2005 20188