Catechesi 79-2005 17100

Mercoledì, 17 ottobre 1990

17100

1. Nel Nuovo Testamento è contenuta la rivelazione circa lo Spirito Santo come Persona, sussistente col Padre e col Figlio nell’unità della Trinità. Ma non è rivelazione con i tratti marcati e precisi di quella riguardante le due prime Persone. L’affermazione di Isaia, secondo cui il nostro è un “Dio nascosto” (
Is 45,15), si può riferire in particolare proprio allo Spirito Santo. Il Figlio, infatti, facendosi uomo, è entrato nella sfera della visibilità sperimentale per quelli che hanno potuto “vedere con i loro occhi e toccare con le loro mani qualcosa del Verbo della vita”, come dice san Giovanni (1Jn 1,1); e la loro testimonianza offre un concreto punto di riferimento anche per le generazioni cristiane successive. Il Padre, a sua volta, pur rimanendo nella sua trascendenza invisibile e ineffabile, si è manifestato nel Figlio. Diceva Gesù: “Chi vede me, vede il Padre” (Jn 14,9). Del resto la “paternità” - anche a livello divino - è abbastanza conoscibile per l’analogia con la paternità umana, che è un riflesso, sia pure imperfetto, di quella increata ed eterna, come dice san Paolo (Ep 3,15).

2. La Persona dello Spirito Santo, invece, è più radicalmente al di là di tutti i nostri mezzi di avvicinamento conoscitivo. Per noi la Terza Persona è un Dio nascosto e invisibile, anche perché ha analogie più fragili in ciò che avviene nel mondo della conoscenza umana. La stessa genesi e spirazione dell’amore, che nell’anima umana è un riflesso dell’Amore increato, non ha la trasparenza dell’atto conoscitivo, che in qualche modo è autocosciente. Di qui il mistero dell’amore, a livello psicologico e teologico, come fa notare san Tommaso. Si spiega così che lo Spirito Santo - come lo stesso amore umano - trovi espressione specialmente nei simboli. Questi indicano il suo dinamismo operativo, ma anche la sua Persona presente nell’azione.

3. Così il simbolo del vento, che è centrale nella Pentecoste, evento fondamentale nella rivelazione dello Spirito Santo: “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano (i discepoli con Maria)” (Ac 2,2).

Il vento viene spesso presentato, nei testi biblici e altrove, come una persona che va e viene. Così fa Gesù nel colloquio con Nicodemo, quando prende l’esempio del vento per parlare della persona dello Spirito Santo: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Jn 3,8). L’azione dello Spirito Santo, per cui si “nasce dallo Spirito” (come avviene nella figliolanza adottiva operata dalla grazia divina) è paragonata al vento. Questa analogia impiegata da Gesù mette in rilievo la totale spontaneità e gratuità di questa azione, per mezzo della quale gli uomini sono resi partecipi della vita di Dio. Il simbolo del vento sembra rendere in modo particolare quel soprannaturale dinamismo, per mezzo del quale Dio stesso si avvicina agli uomini, per trasformarli interiormente, per santificarli e - in certo senso, secondo il linguaggio dei Padri - per divinizzarli.

4. Bisogna aggiungere che dal punto di vista etimologico e linguistico il simbolo del vento è quello più strettamente connesso con lo Spirito. Ne abbiamo già parlato in catechesi precedenti. Qui basti ricordare soltanto il senso della parola “ruah” (Gn 1,2), cioè “il soffio”. Sappiamo che quando Gesù, dopo la risurrezione, appare agli apostoli, “alita” su di loro e dice: “Ricevete lo Spirito Santo” (Jn 20,22-23).

Occorre anche notare che il simbolo del vento, in riferimento esplicito allo Spirito Santo e alla sua azione, appartiene al linguaggio e alla dottrina del Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento il vento, come “uragano”, propriamente è l’espressione dell’ira di Dio (cf. Ez 13,13), mentre il “mormorio di un vento leggero”, parla dell’intimità della sua conversazione con i profeti (cf. 1R 19,12). Lo stesso termine è usato per indicare l’alito vitale, significativo della potenza di Dio, che restituisce la vita agli scheletri umani nella profezia di Ezechiele (Ez 37,9): “Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”. Col Nuovo Testamento il vento diventa dichiaratamente simbolo dell’azione e della presenza dello Spirito Santo.

5. Altro simbolo: la colomba, che secondo i sinottici e il Vangelo di Giovanni si manifesta in occasione del battesimo di Gesù nel Giordano. Questo simbolo è più adatto di quello del vento per indicare la Persona dello Spirito Santo, perché la colomba è un essere vivente, mentre il vento è solo un fenomeno naturale. Gli evangelisti ne parlano in termini quasi identici. Scrive Matteo (Mt 3,16): “Si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (cioè su Gesù). Similmente Marco (Mc 1,10), Luca (Lc 3,21-22), Giovanni (Jn 1,32). A motivo dell’importanza di questo momento nella vita di Gesù, che riceve in modo visibile l’“investitura messianica”, il simbolo della colomba si è consolidato nelle immagini artistiche, e nella stessa rappresentazione immaginativa del mistero dello Spirito Santo, della sua azione e della sua Persona.

Nell’antico Testamento la colomba era stata messaggera della riconciliazione di Dio con l’umanità ai tempi di Noè. Essa infatti aveva portato a quel patriarca l’annuncio della cessazione del diluvio sulla superficie della terra (cf. Gn 8,9-11).

Nel Nuovo Testamento questa riconciliazione avviene mediante il battesimo, del quale parla Pietro nella sua prima Lettera, mettendolo in riferimento alle “persone . . . salvate per mezzo dell’acqua” nell’arca di Noè (1P 3,20-21). Si può dunque pensare a una anticipazione del simbolo pneumatologico, perché lo Spirito Santo, che è Amore, “versando quest’amore nei cuori degli uomini”, come dice san Paolo (Rm 5,5), è anche il datore della pace, che è dono di Dio.

6. E ancora: l’azione e la Persona dello Spirito Santo sono indicate anche con il simbolo del fuoco. Sappiamo che Giovanni Battista annunciava sul Giordano: “Egli (cioè il Cristo) vi battezzerà in Spirito e fuoco” (Mt 3,11). Il fuoco è fonte di calore e di luce, ma è anche una forza che distrugge. Per questo nei Vangeli si parla di “gettare nel fuoco” l’albero che non porta frutto (Mt 3,10); si parla anche di “bruciare la pula in un fuoco inestinguibile” (Mt 3,12). Il battesimo “in Spirito e fuoco” indica la potenza purificatrice del fuoco: di un fuoco misterioso, che esprime l’esigenza di santità e di purezza di cui lo Spirito di Dio è portatore.

Gesù stesso diceva: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49). In questo caso si tratta del fuoco dell’amore di Dio, di quell’amore che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Quando il giorno di Pentecoste sopra le teste degli apostoli “apparvero lingue come di fuoco”, esse significavano che lo Spirito portava il dono della partecipazione all’amore salvifico di Dio. Un giorno san Tommaso avrebbe detto che la carità - il fuoco portato da Gesù Cristo sulla terra - è “una certa partecipazione dello Spirito Santo”. In questo senso il fuoco è un simbolo dello Spirito Santo, la cui Persona nella Trinità divina è Amore.

A pellegrini di lingua francese

Ad alcuni gruppi di lingua inglese

Ad alcuni gruppi folkloristici provenienti dal Giappone

Gentilissimi componenti dei gruppi di musica e danza tradizionali “Gagaku” e “Bugaku”, vi ringrazio per la vostra esibizione nella musica e nella danza giapponese. La vera arte rasserena il cuore e lo eleva. Auguro a tutti voi di far crescere, con la vostra attività, questi nobili sentimenti in mezzo alla gente.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Ad alcuni gruppi provenienti dalla Germania e dalla Svizzera tedesca

Ai numerosi pellegrini provenienti da paesi di espressione spagnola

A fedeli di lingua portoghese


A connazionali polacchi

Ad alcuni gruppi di fedeli italiani

Saluto ora i pellegrini di lingua italiana, sempre molto numerosi e graditi.

In particolare rivolgo il mio pensiero alle Piccole Suore Missionarie della Carità, provenienti da vari continenti per un incontro di studio, destinato a verificare e programmare l’impegno che attende la Famiglia religiosa di Don Orione di fronte alla nuova Evangelizzazione. Esprimo il mio compiacimento per tale convegno, che si svolge nell’anniversario della morte del vostro Fondatore e nel 75° di istituzione della Congregazione; auguro a tutti di avere un cuore grande, come quello del beato Orione, il quale conobbe veramente le esigenze della carità e seppe soccorrere ogni uomo, aiutandolo a vivere in una condizione più degna.

Un cordiale saluto, pure, ai membri della Federazione Italiana delle Unioni Diocesane dei sacristi e degli addetti al culto. Vi ringrazio per il servizio che compite affinché la dignità del luogo sacro e lo svolgimento dei riti favoriscano una partecipazione fruttuosa e attiva di tutto il popolo di Dio.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Il mio saluto affettuoso va ora ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. La vostra presenza a questa Udienza mi dà particolare gioia. Vi invito, nell’odierna festa di Sant’Ignazio di Antiochia, Vescovo e Martire, a riscoprire la forza e la consolazione che scaturiscono dal sì totale a Cristo. Quel sì che illuminò di speranza Sant’Ignazio anche di fronte al martirio, continui a riempire di senso tutte le stagioni della vita, anche quelle più segnate dalle difficoltà o dalla malattia.

Quel medesimo sì, pronunciato con Maria, riempia di coraggio voi giovani nel cammino di formazione e vi porti a modificare con amore le condizioni sfavorevoli della vostra esistenza e di quella di chi è più svantaggiato. Ed esprimo le mie felicitazioni al gruppo dei giovani che sono stati premiati con il titolo di “Alfieri del Lavoro”.

Quel sì totale a Cristo illumini le giornate di voi malati, rendendovi missionari col vostro sacrificio e la vostra preghiera.

La forza che proviene da quel sì, infine, spinga voi sposi a rinnovare ogni giorno il dono reciproco, per il bene della vostra nascente famiglia, della società e della Chiesa. Tutti vi benedico.


Appello per la nazione angolana


Un appello alla comunità internazionale affinché tutti si impegnino a porre rapidamente fine al conflitto civile che da tanto tempo insanguina l’Angola è lanciato dal Papa durante l’udienza generale. Queste le sue parole.




Mercoledì, 24 ottobre 1990

24100

1. Nel suo intervento nella sinagoga di Nazaret, all’inizio della vita pubblica, Gesù applica a sé un testo di Isaia che dice: “Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (
Is 61,1 cf. Lc 4,18).

È un altro simbolo che dall’Antico passa al Nuovo Testamento con un significato più preciso e nuovo, come è avvenuto per i simboli del vento, della colomba, del fuoco, dei quali abbiamo visto nelle ultime catechesi il riferimento all’azione e alla Persona dello Spirito Santo. Anche l’unzione con l’olio appartiene alla tradizione dell’Antico Testamento. Ricevevano l’unzione prima di tutto i re, ma anche i sacerdoti e talvolta i profeti. Il simbolo dell’unzione con l’olio doveva esprimere la forza necessaria all’esercizio dell’autorità.

Il testo citato di Isaia sulla “consacrazione con l’unzione” riguarda la forza di natura spirituale necessaria all’adempimento della missione data da Dio a una persona da lui scelta e mandata.

Gesù ci dice che questo eletto di Dio è lui stesso, il Messia: e la pienezza della forza a lui conferita - pienezza dello Spirito Santo - è la sua proprietà di Messia (= Unto del Signore, Cristo).

2. Negli Atti degli apostoli, Pietro accenna similmente all’unzione ricevuta da Gesù, quando ricorda “come Dio consacrò con l’unzione di Spirito Santo e di forza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” (Ac 10,38). Come l’olio penetra il legno o altre materie, così lo Spirito Santo pervade tutto l’essere del Messia-Gesù, conferendogli la potenza salvifica di curare i corpi e le anime. Per mezzo di questa unzione con lo Spirito Santo, il Padre ha operato la consacrazione messianica del Figlio.

3. La partecipazione all’unzione dell’umanità di Cristo in Spirito Santo passa su tutti coloro che lo accolgono nella fede e nell’amore. Essa avviene a livello sacramentale nelle unzioni con l’olio, il cui rito fa parte della liturgia della Chiesa, specialmente nel battesimo e nella cresima. Come scrive san Giovanni nella sua prima Lettera, essi hanno “l’unzione ricevuta dal Santo”, ed essa “rimane”, in loro. Quest’unzione costituisce la fonte della conoscenza: “Avete l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza”, così che “non avete bisogno che alcuno vi ammaestri . . . la sua unzione vi insegna ogni cosa” (1Jn 2,20 1Jn 2,27).

In questo modo si adempie la promessa fatta da Gesù agli apostoli: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” (Ac 1,8).

Nello Spirito, dunque, è la fonte della conoscenza e della scienza, in lui la sorgente della forza necessaria per rendere testimonianza alla verità divina. Nello Spirito è anche l’origine di quel soprannaturale “senso della fede” che, secondo il Concilio Vaticano II (Lumen gentium LG 12), è l’eredità del popolo di Dio, secondo quanto dice san Giovanni: “Tutti avete la scienza” (1Jn 2,20).

4. Anche il simbolo dell’acqua appare spesso già nell’Antico Testamento. Presa in modo molto generico, l’acqua simboleggia la vita elargita da Dio alla natura e agli uomini. Leggiamo in Isaia: “Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in sorgenti” (Is 41,18): è un’allusione all’influenza vivificante dell’acqua. Il profeta applica questo simbolo allo Spirito, mettendo in parallelo acqua e Spirito di Dio, quando proclama quest’oracolo: “Io farò scorrere acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido; spanderò il mio Spirito sulla tua discendenza . . . cresceranno come erba in mezzo all’acqua . . .” (Is 44,3-4). Così viene indicata la potenza vivificante dello Spirito, simboleggiata dalla potenza vivificante delle acque.

Inoltre, l’acqua libera la terra dalla siccità (cf. 1R 18,41-45). L’acqua serve anche a soddisfare la sete dell’uomo e degli animali. La sete d’acqua viene presa come similitudine della sete di Dio, come si legge nel libro dei Salmi: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Ps 42,2-3).

L’acqua è infine il simbolo della purificazione, come si legge in Ezechiele: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli” (Ez 36,25). Lo stesso Profeta annuncia la potenza vivificante dell’acqua in una suggestiva visione: “Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente . . . Mi disse: «Queste acque escono di nuovo nella regione orientale, scendono nell’Araba ed entrano nel mare: sboccate in mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà . . .»” (Ez 47,1 Ez 47,8-9).

5. Nel Nuovo Testamento la potenza purificatrice e vivificante dell’acqua serve per il rito del battesimo già con Giovanni, che sul Giordano amministrava il battesimo di penitenza (cf. Jn 1,33). Ma sarà Gesù a presentare l’acqua come simbolo dello Spirito Santo, quando in un giorno di festa esclamerà davanti alla folla: «Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, “fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno»”. E l’evangelista commenta: “Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Jn 7,37-39).

Con queste parole si spiega anche tutto ciò che Gesù dice alla samaritana sull’acqua viva, sull’acqua che viene data da lui stesso. Quest’acqua diventa nell’uomo “sorgente di acqua zampillante per la vita eterna” (Jn 4,10 Jn 4,14).

6. Sono tutte espressioni della verità rivelata da Gesù sullo Spirito Santo, di cui è simbolo l’“acqua viva”, e che nel sacramento del battesimo si tradurrà nella realtà della nascita dallo Spirito Santo. Qui confluiscono anche molti altri passi dell’Antico Testamento, come quello sull’acqua che Mosè, per ordine di Dio, fece uscire dalla roccia (cf. Ex 17,5-7 Ps 77,16), e l’altro sulla sorgente accessibile alla casa di Davide . . . per lavare il peccato e l’impurità (cf. Zc Za 13,1 Za 14,8); mentre il coronamento di tutti questi testi si troverà nelle parole dell’Apocalisse sul fiume d’acqua viva, limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita . . . Le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni . . . (Ap 22,1-2). Secondo gli esegeti, le acque vive e vivificanti simboleggiano lo Spirito, come lo stesso Giovanni ripete più volte nel suo Vangelo (cf. Jn 4,10-14 Jn 7,37-38). In questa visione dell’Apocalisse si intravede la stessa Trinità. È anche significativo quel riferimento al risanamento delle nazioni mediante le foglie dell’albero, alimentato dall’acqua viva e salubre dello Spirito.

Se il popolo di Dio “beve questa bevanda spirituale”, secondo san Paolo, è come Israele nel deserto, che attingeva “da una roccia che era il Cristo” (1Co 10,1-4). Dal suo fianco trafitto sulla croce “uscì sangue e acqua” (Jn 19,34), in segno della finalità redentrice della morte, subita per la salvezza del mondo. Frutto di questa morte redentrice è il dono dello Spirito Santo, da lui concesso in abbondanza alla sua Chiesa.

Davvero “sorgenti d’acqua viva sono uscite dall’interno” del mistero pasquale di Cristo, divenendo, nelle anime degli uomini, come dono dello Spirito Santo, “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Jn 4,14). Questo dono proviene da un Donatore ben discernibile nelle parole di Cristo e dei suoi apostoli: la Terza Persona della Trinità.

A 4.000 pellegrini di lingua tedesca


Ai connazionali polacchi

Ai pellegrini di lingua francese


Ai gruppi di lingua inglese

Ad alcuni pellegrini venuti dal Giappone

Carissimi giovani di Miyagi!

Sono molto lieto della vostra visita. Vi benedico perché possiate realizzare il fine del vostro viaggio approfondendo l’amicizia con i giovani del mondo nello spirito di Hasekura Tsunenaga. Deo gratias!

Ai presenti di lingua spagnola



Ai fedeli di lingua portoghese

Ai giovani dell’Unione Latina

Ai gruppi provenienti da diverse Diocesi italiane

Rivolgo ora il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, ed anzitutto ai numerosi fedeli dell’Arcidiocesi di Otranto, qui accompagnati dal loro Arcivescovo Monsignor Vincenzo Franco. Cari fedeli, sono lieto di questo incontro, che vuole essere la restituzione della visita pastorale che ebbi la gioia di compiere dieci anni fa nella vostra Comunità cristiana otrantina. Formulo cordiali voti che il cammino della vostra Chiesa particolare, che voi rappresentate, sia sempre confortato dalla grazia e dalla crescita della fede.

Il mio pensiero va poi ai marinai dell’Accademia Navale di Livorno, ai quali esprimo i miei auguri per il loro avvenire. Invoco su tutte le loro attività la protezione della Vergine Maria, invocata con il titolo di “Maris stella”.

Benedico volentieri la fiaccola che i fedeli di Sovico, in Arcidiocesi di Milano, hanno recato qui per l’annuale marcia della fede, in occasione delle feste patronali dei Santi Simone e Giuda. Benedico anche l’intera Comunità parrocchiale, invitando tutti ad essere luce del mondo con l’annuncio della parola di Cristo.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi è caro salutare i giovani, i malati e le coppie di sposi novelli. Carissimi, invito ciascuno di voi ad unirvi alla mia preghiera per la Chiesa e per la dilatazione del Regno di Dio. In questo mese di ottobre incrementate il vostro impegno missionario, che deve essere il segno distintivo di ogni cristiano. Spinti da questo ideale evangelico conducete una vita che sia di esempio a tutti. Misurate le vostre esigenze e quelle di chi vi è prossimo con il metro della stessa carità, con la quale il Redentore condivide e sostiene la speranza di voi giovani, la sofferenza di voi malati, l’amore casto e reciproco di voi sposi novelli. A tutti imparto la mia Benedizione.




Mercoledì, 31 ottobre 1990

31100

1. “Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti”. Con queste parole il simbolo niceno-costantinopolitano determina la fede della Chiesa nello Spirito Santo, riconosciuto come vero Dio, col Padre e col Figlio, nell’unità trinitaria della divinità. Si tratta di un articolo di fede, formulato dal I Concilio di Costantinopoli (381), forse sulla base di un testo preesistente, come completamento del simbolo di Nicea (325) (cf. Denz.
DS 150).

Questa fede della Chiesa è continuamente ripetuta nella liturgia, che è a suo modo non solo una professione, ma una testimonianza di fede. Così avviene, ad esempio, nella dossologia trinitaria che, di regola, conclude le preghiere liturgiche: “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo”. Così nelle preghiere di intercessione rivolte al Padre, “per Cristo, nostro Signore, che con te (il Padre) vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, Dio per tutti i secoli dei secoli”.

Anche l’inno “Gloria a Dio nell’alto dei cieli” possiede una struttura trinitaria: esso ci fa celebrare la gloria di Dio e del Figlio insieme allo Spirito Santo: “. . . Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre”.

2. Questa fede della Chiesa ha origine e si fonda sulla rivelazione divina. Dio si è definitivamente rivelato come Padre in Gesù Cristo, Figlio consostanziale, che per opera dello Spirito Santo si è fatto uomo, nascendo dalla Vergine Maria. Per mezzo del Figlio è stato rivelato lo Spirito Santo. Il Dio unico si è rivelato come Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. L’ultima parola del Figlio, inviato nel mondo dal Padre, è la raccomandazione data agli apostoli di “ammaestrare tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Abbiamo visto nelle catechesi precedenti i momenti della rivelazione dello Spirito Santo e della Trinità nell’insegnamento di Gesù Cristo.

3. Abbiamo pure visto che Gesù Cristo rivelava lo Spirito Santo mentre compiva la sua missione messianica, nella quale dichiarava di agire “con la potenza dello Spirito di Dio” (per esempio nello scacciare i demoni) (cf. Mt 12,28). Ma si direbbe che tale rivelazione si concentra e condensa sulla fine della sua missione, unitamente all’annuncio del ritorno al Padre. Lo Spirito Santo sarà - dopo la sua dipartita - “un nuovo Consolatore”. Sarà lui, “Spirito di verità”, che guiderà gli apostoli e la Chiesa attraverso la storia: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce”. Egli, che verrà dal Padre nel nome di Cristo, “vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Jn 14,16-17 Jn 14,26). E ancora: “Quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio” (Jn 16,8). Questa è la promessa, questo è si può dire il testamento che, insieme a quello sulla carità e sull’Eucaristia, Gesù lascia ai suoi nell’ultima cena.

4. Dopo la morte, la risurrezione e l’ascensione di Cristo, la Pentecoste fu il compimento del suo annunzio, per ciò che riguardava gli apostoli, e l’inizio della sua azione lungo le generazioni che si sarebbero succedute nei secoli, poiché lo Spirito Santo doveva rimanere con la Chiesa “per sempre” (Jn 14,16). Abbiamo parlato ampiamente di questo nelle catechesi precedenti.

Quella fondamentale storia della Chiesa delle origini, che è il libro degli Atti, ci dice che gli apostoli furono “pieni di Spirito Santo” e “annunziavano la parola di Dio con franchezza” (Ac 2,4 Ac 4,31). Ci dice pure che, già nei tempi apostolici, “il mondo” opponeva resistenza all’opera non soltanto degli apostoli, ma del Protagonista invisibile che agiva in loro, come essi rimproveravano ai loro persecutori: “Voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo” (Ac 7,51). Ciò sarebbe avvenuto anche nelle successive epoche della storia. La resistenza può giungere fino alla misura di un particolare peccato, chiamato da Gesù “bestemmia contro lo Spirito Santo”, della quale egli stesso aggiunge che è un peccato che non sarà perdonato (cf. Mt 12,31 Lc 12,10).

Come Gesù ha predetto e promesso, lo Spirito Santo è stato nella Chiesa delle origini e continua ad essere nella Chiesa di ogni tempo il Datore di tutti i doni divini (“Dator munerum”, come lo invoca la sequenza di Pentecoste): sia di quelli destinati direttamente alla santificazione personale, sia di quelli concessi agli uni per il giovamento degli altri (come certi carismi). “Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole” (1Co 12,11). Anche i “doni gerarchici”, come possiamo chiamarli col Concilio Vaticano II (Lumen gentium LG 4), che sono indispensabili alla guida della Chiesa, provengono da lui (cf. Ac 20,28).

5. In base alla rivelazione fatta da Gesù e trasmessa dagli apostoli, il simbolo professa la fede nello Spirito Santo, del quale dice che è “Signore”, come è Signore il Verbo, che ha assunto una carne umana: “Tu solus Dominus . . . cum Sancto Spiritu”. Aggiunge anche che lo Spirito dà la vita. Soltanto Dio può concedere la vita all’uomo. Lo Spirito Santo è Dio. E in quanto Dio, lo Spirito è l’autore della vita dell’uomo: della vita “nuova” ed “eterna” portata da Gesù, ma anche dell’esistenza in tutte le sue forme: dell’uomo e di tutte le cose (“Creator Spiritus”).

Questa verità di fede è stata formulata nel simbolo niceno-costantinopolitano, perché ritenuta e accettata come rivelata da Dio mediante Gesù Cristo e appartenente al “deposito della rivelazione” trasmesso dagli apostoli alle prime comunità, dalle quali passò nel costante insegnamento dei Padri della Chiesa. Storicamente, si può dire che l’articolo venne aggiunto al simbolo di Nicea dal I Concilio di Costantinopoli, che doveva affrontare alcuni negatori della divinità dello Spirito Santo, come altri - e specialmente gli ariani - combattevano la divinità del Figlio-Verbo, Cristo. In entrambi i casi si avevano delle menti quasi smarrite nella loro pretesa razionalistica dinanzi al mistero della Trinità! Gli oppositori della divinità dello Spirito Santo venivano chiamati “pneumatomachi” (= combattenti con lo Spirito) oppure “macedoniani” (dal nome di Macedonio, loro capofila). A queste opinioni errate, si opponevano con la loro autorità i grandi Padri, tra i quali Atanasio († 375), che specialmente nella sua Lettera a Serapione (I, 28-30) affermava l’eguaglianza dello Spirito Santo con le altre due divine Persone nell’unità della Trinità. E lo faceva in base all’“antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s’intende che il Signore ci ha consegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i Padri hanno conservato . . .” (cf. PL 26, 594-595).

Quei Padri, che valutavano in tutta la sua estensione e in tutto il suo significato la rivelazione contenuta nella Sacra Scrittura, non solo difendevano la nozione genuina e completa della Trinità, ma facevano anche notare che, negando allo Spirito Santo la divinità, verrebbe cancellata l’elevazione dell’uomo alla partecipazione alla vita di Dio - cioè la sua “divinizzazione” mediante la grazia - che secondo il Vangelo è opera dello Spirito Santo. Soltanto Colui che è Dio egli stesso può operare la partecipazione alla vita divina. Ed è proprio lo Spirito Santo che “dà la vita”, secondo le parole di Gesù stesso (cf. Jn 6,63).

6. Occorre aggiungere che la fede nello Spirito Santo come Persona divina, professata nel simbolo niceno-costantinopolitano, è stata più volte confermata dal magistero solenne della Chiesa. Lo provano, ad esempio, i canoni del sinodo romano del 382, pubblicati da Papa Damaso I, nei quali leggiamo che lo Spirito Santo “è della sostanza divina ed è veramente Dio”, e che, “come il Figlio e il Padre, così anche lo Spirito Santo tutto può e tutto conosce ed è onnipresente” (DS 168-169).

La formula sintetica del simbolo della fede del 381, che dello Spirito Santo come Dio dice che è “Signore” come il Padre e il Figlio, è logica nell’aggiungere che, “ugualmente al Padre e al Figlio, è adorato e glorificato”. Se lo Spirito Santo è Colui che “dà la vita”, ossia che possiede col Padre e col Figlio la potenza creatrice, e in particolare la potenza santificatrice e vivificatrice nell’ordine soprannaturale della grazia, potenza che viene anzi attribuita alla sua Persona, è giusto che sia adorato e glorificato come le prime due Persone della Trinità, dalle quali procede come termine del loro eterno amore, in perfetta eguaglianza e unità di sostanza.

7. Il simbolo attribuisce ancora a questa Terza Persona della Trinità, in modo tutto particolare, di essere l’autore divino della profezia: “Egli è Colui «che ha parlato per mezzo dei profeti»”. Così viene riconosciuta l’origine dell’ispirazione dei profeti dell’Antico Testamento, cominciando da Mosè (cf. Dt 34,10) e fino a Malachia, i quali ci hanno lasciato per iscritto le istruzioni divine. Sono stati ispirati dallo Spirito Santo. Lo diceva di se stesso Davide (2S 22,2), che era anche lui “profeta” (Ac 2,30); lo diceva Ezechiele (Ez 11,5). Nel suo primo discorso, Pietro espresse questa fede, affermando che “lo Spirito Santo aveva parlato per bocca di Davide” (Ac 1,16) e similmente si esprime l’autore della lettera agli Ebrei (He 3,7 He 10,15). Con gratitudine profonda, la Chiesa riceve le Scritture profetiche come un dono prezioso dello Spirito Santo, il quale si è manifestato così presente e operante sin dagli inizi della storia della salvezza.



Ai numerosi fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua francese


Ai pellegrini di lingua inglese

Ai numerosi fedeli venuti dal Giappone

Deo gratias!

Carissimi componenti dei gruppi di “Ignazio di Loyola” e della Parrocchia di Kobe.

Vi ringrazio della vostra visita e vi auguro che il vostro pellegrinaggio a Roma fortifichi la vostra fede.

Vi benedico insieme alla vostra Nazione e alla vostra Chiesa Giapponese.

Deo gratias!

Ai numerosi pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai pellegrini polacchi


Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora un affettuoso saluto ai vari gruppi di pellegrini italiani; saluto, in particolare, gli ammalati, i giovani e gli sposi novelli. La solennità di Tutti i Santi e la commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, che celebreremo nei prossimi giorni, ci offrono l’opportunità di riflettere, ancora una volta, sull’autentico valore dell’esistenza terrena. La nostra vita è un breve pellegrinaggio verso la patria definitiva, il Cielo, dove ci attendono, nella gloria di Dio, i Santi, nostri fratelli nella fede, che hanno perseverato, qui in terra, nell’amore e nella speranza. Queste ricorrenze, tanto sentite dalla pietà popolare, ci invitano, innanzitutto, ad invocare i Santi perché ci incoraggino a seguire generosamente il Vangelo e ci sostengano nella lotta contro il male. Ci suggeriscono, inoltre, di ricordare i nostri defunti e di pregare per loro, alimentando, allo stesso tempo, in noi la speranza di incontrarli nuovamente nel Signore.

Questi giorni di riflessione e di preghiera siano di grande conforto specialmente per voi, cari ammalati, associati, in maniera profonda, mistero della passione di Cristo. Per voi, cari giovani, costituiscano un invito ad imitare l’eroismo dei Santi, rimasti fedeli alla chiamata divina sino alla morte. Auguro a voi, cari sposi novelli, che possiate trarre da queste celebrazioni un’occasione propizia per comprendere sempre meglio che siete chiamati a testimoniare con la vostra reciproca fedeltà l’amore infinito con cui Iddio circonda ogni uomo. A tutti imparto la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 17100