Catechesi 79-2005 7128

Mercoledì, 7 dicembre 1988

7128

1. “Tutto è compiuto” (
Jn 19,30). Secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù ha pronunciato queste parole poco prima di spirare. Sono state le ultime. Esse manifestano la sua coscienza d’aver eseguito fino in fondo l’opera per la quale era stato mandato in questo mondo (cf. Jn 17,4). Si badi: non è tanto la coscienza di aver realizzato progetti suoi, quanto di aver eseguito la volontà del Padre nell’ubbidienza spinta fino alla completa immolazione di sé sulla croce. Già solo per questo Gesù morente ci appare come il modello di quella che dovrebbe essere la morte di ogni uomo: la conclusione dell’opera assegnata a ciascuno per il compimento dei disegni divini. Secondo il concetto cristiano della vita e della morte, gli uomini fino al momento della morte sono chiamati a compiere la volontà del Padre, e la morte è l’ultimo atto, quello definitivo e decisivo, del compimento di questa volontà. Gesù ce lo insegna dalla croce.

2. “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” (Lc 23,46). Con queste parole Luca esplicita il contenuto del secondo grido che Gesù emise poco prima di morire (cf. Mc 13,37 Mt 27,50). Nel primo grido egli aveva esclamato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34 Mt 27,46). Queste parole sono completate da quelle altre, che costituiscono il frutto di una riflessione interiore maturata in preghiera. Se per un momento Gesù ha avuto e sofferto la tremenda sensazione di essere abbandonato dal Padre, ora la sua anima reagisce nell’unico modo che, come egli sa bene, si conviene a un uomo, che al tempo stesso è anche il “Figlio prediletto” di Dio: il totale abbandono nelle sue mani.

Gesù esprime questo suo sentimento con parole che appartengono al salmo 31-30: il salmo dell’afflitto che prevede la sua liberazione e ringrazia Dio che sta per operarla: “Mi affido alle tue mani: tu mi riscatti, Signore, Dio fedele” (Ps 31 [30], 6). Gesù nella sua lucida agonia, sta ricordando e balbettando anche qualche versetto di quel salmo, recitato spesse volte durante la sua vita. Ma, stando alla narrazione dell’evangelista, quelle parole sulla bocca di Gesù prendono un valore nuovo.

3. Con l’invocazione “Padre” (“Abbà”), Gesù dà al suo abbandono tra le mani del Padre un accento di fiducia filiale. Gesù muore da figlio. Muore in perfetta conformità al volere del Padre, per la finalità di amore che il Padre gli ha affidato e che il Figlio ben conosce.

Nella prospettiva del salmista l’uomo, colpito dalla sventura e afflitto dal dolore, rimette il suo spirito nelle mani di Dio per sfuggire alla morte che lo minaccia. Gesù, invece, accetta la morte e rimette il suo spirito nelle mani del Padre per attestargli la sua ubbidienza e manifestargli la sua fiducia per una nuova vita. Il suo abbandono è dunque più pieno e più radicale, più audace, più definitivo, più carico di volontà oblativa.

4. Inoltre quest’ultimo grido è un complemento del primo, come abbiamo notato fin da principio. Riprendiamo i due testi e vediamo che cosa risulta dal loro confronto. Anzitutto sotto l’aspetto semplicemente linguistico e quasi semantico.

Il termine “Dio” del salmo 22-21 è ripreso, nel primo grido, come un’invocazione che può significare smarrimento dell’uomo nel proprio nulla dinanzi all’esperienza dell’abbandono da parte di Dio, considerato nella sua trascendenza e quasi sperimentato in uno stato di “separazione” (il “Santo”, l’Eterno, l’Immutabile). Nel successivo grido Gesù ricorre al salmo 31-30, inserendovi l’invocazione a Dio come Padre (“Abbà”), appellativo che gli è abituale e in cui ben si esprime la familiarità di uno scambio di calore paterno e di atteggiamento filiale.

E inoltre: nel primo grido anche Gesù pone un “perché” a Dio, certo con profondo rispetto per la sua volontà, la sua potenza, la sua infinita grandezza, ma senza reprimere il senso di umano sgomento che non può non suscitare una morte come quella. Ora invece, nel secondo grido, vi è l’espressione dell’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre sapiente e benigno, che tutto dispone e regge con amore. Vi è stato un momento di desolazione, nel quale Gesù si è sentito senza appoggio e difesa da parte di tutti, perfino di Dio: un momento tremendo; ma è stato presto superato grazie all’affidamento di sé nelle mani del Padre, la cui presenza amorosa e immediata Gesù avverte nella struttura più profonda del proprio io, giacché egli è nel Padre come il Padre è in lui (cf. Jn 10, 38;14, 10 s), anche sulla croce!

5. Le parole e le grida di Gesù sulla croce, per essere comprese, devono essere considerate in rapporto a ciò che egli stesso aveva annunciato in precedenza, nelle predizioni della sua morte e nell’insegnamento sul destino dell’uomo in una nuova vita. Per tutti la morte è un passaggio all’esistenza nell’aldilà; per Gesù è, anzi, la premessa della risurrezione che avverrà il terzo giorno. La morte, dunque, ha sempre un carattere di dissoluzione del composto umano, che suscita ripulsa: ma dopo il primo grido, Gesù con grande serenità rimette il suo spirito nelle mani del Padre, in vista della nuova vita e anzi della risurrezione da morte, che segnerà il coronamento del mistero pasquale. Così, dopo tutti i tormenti delle sofferenze fisiche e morali subite, la morte è abbracciata da Gesù come un ingresso nella pace inalterabile di quel “seno del Padre”, verso il quale è stata rivolta tutta la sua vita.

6. Con la sua morte Gesù rivela che alla fine della vita l’uomo non è votato all’immersione nell’oscurita, nel vuoto esistenziale, nella voragine del nulla, ma è invitato all’incontro col Padre, verso il quale si è mosso nel cammino della fede e dell’amore in vita, e nelle cui braccia si è gettato con santo abbandono nell’ora della morte. Un abbandono che, come quello di Gesù, comporta il dono totale di sé da parte di un’anima che accetta di essere spogliata del suo corpo e della vita terrestre, ma che sa di trovare nelle braccia, nel cuore del Padre la nuova vita, partecipazione alla vita stessa di Dio nel mistero trinitario.

7. Attraverso il mistero ineffabile della morte l’anima del Figlio giunge a godere della gloria del Padre nella comunione dello Spirito (amore del Padre e del Figlio). E questa è la “vita eterna”, fatta di conoscenza, di amore, di gioia, di pace infinita.

Di Gesù, l’evangelista Giovanni dice che “rese lo spirito” (Jn 19,30), Matteo che “esalò lo spirito” (Mt 27,50), Marco e Luca che “spirò” (Mc 15,37 Lc 23,46). È l’anima di Gesù che entra nella pienezza della visione beatifica in seno alla Trinità. In questa luce di eternità si può afferrare qualcosa del misterioso rapporto tra l’umanità di Cristo e la Trinità, sfiorato dalla lettera agli Ebrei quando, parlando dell’efficacia salvifica del sangue di Cristo, ben superiore a quella del sangue degli animali offerti nei sacrifici dell’antica alleanza, scrive che nella sua morte Cristo “mediante uno spirito eterno ha offerto se stesso senza macchia a Dio” (He 9,14).

Ai pellegrini di lingua francese


Ai numerosi pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai numerosi fedeli provenienti dalla Spagna e dall’America Latina


Ai fedeli polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

DESIDERO ORA rivolgere un saluto particolare al numeroso gruppo della Diocesi di Avezzano, il quale, guidato dal Vescovo Monsignor Vittorio Terrinoni, si è recato in pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli, in occasione della chiusura dell’Anno Mariano. A voi tutti, cari fratelli, auguro che la Vergine Santa sia sempre la luce della vostra vita e del vostro cammino di fede.
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SALUTO POI cordialmente le Associazioni Cattoliche Operaie della Madonna dell’Arco di Napoli. Questo gruppo ci allieterà con l’esibizione di una “tarantella” in costume, il ballo popolare napoletano.

UN VIVISSIMO AUGURIO anche al diacono Davide Giugia, della diocesi suburbicaria di Porto-Santa Rufina, che oggi verrà ordinato sacerdote. Proviene da una parrocchia in Kosovo in Jugoslavia, e da là è giunto un gruppo di familiari ed amici per festeggiare questo giorno memorabile.
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UN SALUTO ANCHE al giovane Dario Merlino, dell’Istituto Tecnico Commerciale “Carlo Gemellaro” di Catania, premiato come “Alunno più buono d’Italia” dall’Associazione Ex-Alunni Nazareno di Roma, la quale è presente con molti suoi membri. Questa premiazione sia uno stimolo ad amare e praticare le virtù umane e cristiane.
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SALUTO POI con viva cordialità il gruppo di editori di giornali del Canton Ticino, in Svizzera: vi ringrazio, per la vostra presenza ed esprimo il mio apprezzamento per il compito che svolgete al servizio della verità e del bene comune. Mi auguro che il vostro impegno favorisca sempre la causa della giustizia e della dignità dell’uomo.
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DESIDERO SALUTARE cordialmente anche il gruppo dei Soci del Rotary Club di Napoli, accompagnati dai familiari. A voi, il mio augurio per un impegno sempre solerte e fruttuoso a servizio della promozione umana, civile e culturale del Paese.
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UN SALUTO alla Presidenza dell’Associazione Nazionale Bande Italiane Musicali Autonome (ANBIMA), qui presente insieme con le Bande di Prata di Pordenone e di Norcia e col Coro Val Biois di Canale d’Agordo, e con numerosi accompagnatori: essi ci allieteranno con musiche e canti, li ringrazio fin d’ora.
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UN’ESIBIZIONE di musiche e danze ci verrà anche dal gruppo folkloristico “Promessi Sposi” di Oggiono, in provincia di Como. Suoneranno in costumi secenteschi ed useranno caratteristici strumenti musicali.

Siano sempre le vostre manifestazioni artistiche improntate a quella bellezza che eleva lo spirito a Dio!

A tutti la mia benedizione.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

È CON PARTICOLARE gioia che ora rivolgo, insieme con il mio benvenuto affettuoso, la mia parola di saluto a voi, giovani, a voi, ammalati, ed a voi, sposi novelli

In questa vigilia della solennità dell’Immacolata Concezione, mi è caro esortarvi a rivolgere - con filiale confidenza - la vostra preghiera a Maria, che l’onnipotenza di Dio preservò da ogni macchia di peccato fin dall’inizio della sua esistenza. Carissimi, domandate alla Beata Vergine Maria di ottenervi il dono della fortezza matura e la grazia di un sereno, fiducioso atteggiamento di abbandono alla Provvidenza. Il “sì” quotidiano a Gesù Redentore, che ha assunto quanto è nostro per donarci quanto è suo, vi renderà suoi generosi collaboratori in ogni circostanza della vita.

Di vero cuore benedico tutti, perché Cristo vi conceda quello che il vostro cuore desidera.




Mercoledì, 14 dicembre 1988

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1. Scrive l’evangelista Marco che, quando Gesù morì, il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (
Mc 15,39). Ciò significa che in quel momento il centurione romano ebbe una lucida intuizione della realtà di Cristo, una iniziale percezione della fondamentale verità di fede.

Il centurione aveva udito i rimproveri e gli insulti rivolti a Gesù dai suoi avversari e, in particolare, le derisioni circa il titolo di Figlio di Dio rivendicato da colui che adesso non poteva scendere dalla croce, né fare alcunché per salvare se stesso.

Guardando il crocifisso, forse già durante l’agonia ma in modo più intenso e più penetrante nel momento della sua morte, e forse, chissà, incontrandosi con il suo sguardo, egli sente che ha ragione Gesù. Sì, Gesù è un uomo, e infatti muore; ma in lui c’è più che un uomo; è un uomo veramente, come ha detto lui stesso, è Figlio di Dio. Quel modo di soffrire e di morire, quel rimettere lo spirito nelle mani del Padre, quell’evidente immolarsi per una causa suprema a cui ha dedicato tutta la sua vita, esercitano un potere misterioso su quel soldato, che forse è giunto al Calvario dopo una lunga avventura militare e spirituale, come qualche scrittore ha immaginato e che in questo senso può rappresentare ogni pagano che cerca qualche testimone e rivelatore di Dio.

2. Il fatto è notevole, anche perché in quell’ora i discepoli di Gesù sono sconcertati e scossi nella loro fede (cf. Mc 14,50 Jn 16,32). Il centurione, invece, proprio in quell’ora inaugura la serie dei pagani che, ben presto, chiederanno di essere ammessi tra i discepoli di quell’uomo nel quale, specialmente dopo la sua risurrezione, riconosceranno il Figlio di Dio, come ci attestano gli Atti degli Apostoli.

Il centurione del calvario non attende la risurrezione: gli basta quella morte, quelle parole e quello sguardo del morente, per giungere a pronunciare il suo atto di fede. Come non vedere in ciò il frutto di un impulso della grazia divina, ottenuto a quel soldato da Cristo salvatore col suo sacrificio?

Il centurione, per parte sua, non ha mancato di porre la condizione indispensabile per ricevere la grazia della fede: l’obiettività, che è la prima forma di lealtà. Egli ha guardato, ha visto, ha ceduto alla realtà dei fatti e per questo gli è stato concesso di credere. Non ha fatto calcoli sui vantaggi dello stare dalla parte del sinedrio, né se ne è lasciato intimidire, come Pilato (cf. Jn 19,8); ha guardato alle persone e alle cose e ha assistito da testimone imparziale alla morte di Gesù. La sua anima in questo era pulita e ben disposta. Perciò è stato colpito dalla forza della verità e ha creduto. Né ha esitato a proclamare che quell’uomo era Figlio di Dio. Era il primo segno della redenzione avvenuta.

3. Un’altro segno è registrato da Giovanni, quando scrive che “uno dei soldati con una lancia gli aprì il costato e subito ne uscì sangue ed acqua” (cf. Jn 19,34).

Si noti che Gesù è già morto. È morto prima dei due malfattori crocifissi con lui. Ciò prova l’intensità delle sue sofferenze.

Il colpo di lancia non è pertanto una nuova sofferenza inflitta a Gesù. Serve piuttosto come segno del dono totale che egli ha fatto di se stesso, segno inscritto nella sua stessa carne con la trafittura del costato, e si può dire con l’apertura del suo cuore, manifestazione simbolica di quell’amore per cui Gesù ha dato tutto e continuerà a dar tutto all’umanità.

4. Da quell’apertura del cuore scorrono il sangue e l’acqua. È un fatto che si può spiegare fisiologicamente. Ma l’evangelista la cita per il suo valore simbolico: è un segno e annuncio della fecondità del sacrificio. È tanta l’importanza che l’evangelista vi attribuisce, che, non appena ha narrato l’episodio, aggiunge: “E chi vide ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è vera. Ed egli sa di dire il vero, affinché voi pure crediate” (Mc 19,35). Si appella dunque ad una constatazione diretta, fatta da lui stesso, per sottolineare che si tratta di un evento carico di grande valore significativo circa i motivi e gli effetti del sacrificio di Cristo.

5. Infatti l’evangelista riconosce nell’avvenimento l’adempimento di ciò che era predetto in due testi profetici. Il primo riguarda l’agnello pasquale degli ebrei, al quale “non sarà spezzato alcun osso” (Ex 12,46 NM 9,12 cf. Ps 34,21). Per l’evangelista il Cristo crocifisso è dunque l’agnello pasquale e lo “svenato agnello”, come dice santa Caterina da Siena, l’agnello della nuova alleanza, prefigurato nella pasqua dell’antica legge e “segno efficace” della nuova liberazione non solo di Israele ma di tutta l’umanità dalla schiavitù del peccato.

6. L’altra citazione biblica fatta da Giovanni è un testo oscuro attribuito al profeta Zaccaria, che dice: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Za 12,10). La profezia riguarda la liberazione di Gerusalemme e di Giuda ad opera di un re, per l’avvento del quale la nazione riconosce la sua colpa e si lamenta su colui che essa ha trafitto come si fa su un figlio unico che si è perduto. L’evangelista applica il testo a Gesù trafitto e crocifisso ormai contemplato con amore. Agli sguardi ostili dei nemici, sono succeduti gli sguardi contemplativi e amorosi di coloro che si convertono. Questa possibile interpretazione serve a comprendere la prospettiva teologico-profetica nella quale l’evangelista considera la storia che vede svilupparsi dal cuore aperto di Gesù.

7. Il sangue e l’acqua sono stati variamente interpretati nel loro valore simbolico.

Nel Vangelo di Giovanni è possibile osservare un rapporto tra l’acqua che sgorga dal costato trafitto e l’invito di Gesù nella festa delle Capanne: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Jn 7,37-38 cf. Jn 4,10-14 Ap 22,1). L’evangelista precisa poi che Gesù intendeva parlare dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui (Jn 7,39).

Alcuni hanno interpretato il sangue come simbolo della remissione dei peccati con il sacrificio espiatorio, e l’acqua come simbolo di purificazione.

Altri hanno messo il sangue e l’acqua in relazione con l’Eucaristia e con il Battesimo.

L’evangelista non ha offerto elementi sufficienti per interpretazioni precise. Ma sembra che un’indicazione ci sia data dal suo testo sul costato trafitto, da cui sgorgano sangue e acqua, l’effusione di grazia che proviene dal sacrificio, come egli stesso, fin dall’inizio del suo Vangelo, dice del Verbo incarnato: “Dalla sua pienezza noi tutti ricevemmo e grazia su grazia” (Jn 1,16).

8. Vogliamo concludere osservando che la testimonianza del discepolo prediletto assume tutto il suo senso se pensiamo che questo discepolo aveva appoggiato il suo capo sul petto di Gesù durante l’ultima cena. Ora egli vedeva questo petto squarciato. Perciò sentiva il bisogno di sottolineare il simbolo della carità infinita che egli aveva scoperto in quel cuore, e invitava i lettori del suo Vangelo e tutti i cristiani a contemplare quel cuore “che aveva tanto amato gli uomini”, da darsi in sacrificio per loro.

Ai fedeli di lingua francese


A gruppi di lingua inglese

Ad un gruppo di visitatori di espressione tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai gruppi di fedeli provenienti dalla Polonia

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio particolare saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.

CARISSIMI, apprezzo profondamente la vostra presenza all’Udienza Generale, perché è segno di fede in Cristo, di amore alla Chiesa e di affetto verso il Papa; e vi esprimo la mia riconoscenza per la vostra testimonianza e per le vostre preghiere. Tra pochi giorni si inizia la Novena in preparazione del Santo Natale e colgo volentieri l’occasione per esortarvi a vivere questi giorni con intenso fervore spirituale. Infatti la commemorazione della nascita terrena del Verbo Divino colma i nostri animi di vera gioia, avendo Gesù rivelato il senso della nostra vita e dell’intera storia umana. Il Natale illumini sempre il vostro cammino nel tempo! Il Natale mantenga sempre in tutti accesa l’autentica, indistruttibile Speranza! Insieme con la mia Benedizione, accogliete già fin d’ora i miei auguri più cordiali!




Mercoledì, 21 dicembre 1988

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Carissimi fratelli e sorelle.

1. L’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, ci annuncia, con gioioso entusiasmo, che la “vita - cioè la vita divina, la vita eterna, Dio stesso come vita - si è fatta visibile” (
1Jn 1,2). La vita può essere raggiunta, può essere “veduta” e “toccata”. Questo è il contenuto essenziale del messaggio evangelico, sul quale insiste in modo speciale Giovanni. È il mistero dell’incarnazione. Il mistero del Verbo “che si fa carne”, e viene ad “abitare in mezzo a noi”. E’il mistero del Natale, che festeggeremo tra pochi giorni.

La vita infinita di Dio, vita beata, vita di perfetta pienezza, vita trascendente e soprannaturale, ci viene incontro, si offre a noi, si rende accessibile all’uomo, si propone come possibile, anzi come la piena felicità dell’uomo. Chi mai lo avrebbe potuto pensare? Noi, povere e fragili creature, spesso incapaci di custodire e rispettare la nostra stessa vita fisica e naturale, noi esseri fatti per una vita divina ed eterna? Chi mai avrebbe potuto immaginarlo, se non fosse stato rivelato dall’amore di Dio infinitamente misericordioso?

Eppure questo è il destino dell’uomo. Questa è la sorte fortunata offerta a tutti. Anche ai più miserabili peccatori, anche ai più odiosi spregiatori della vita. Tutti possono ascendere a partecipare della stessa vita divina, poiché così ha voluto, in Cristo, il Padre celeste. Questo è il messaggio cristiano. E questo è il messaggio del Natale.

2. “La vita si è fatta visibile - dice Giovanni (1Jn 1,2) - noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna”. Noi certo oggi, dopo duemila anni dalla presenza fisica di Gesù sulla terra, non possiamo avere la stessa esperienza che di lui hanno avuto Giovanni e gli altri apostoli; eppure anche noi, oggi, possiamo e dobbiamo essere suoi testimoni. E chi è il “testimonio”? È colui che è stato “presente ai fatti”, che ha - per così dire - “visto e toccato” ciò di cui testimonia. Ha avuto una conoscenza diretta, sperimentale.

Ma noi, dopo duemila anni, come possiamo avere una simile conoscenza del Cristo? Come possiamo, quindi, “testimoniarlo”?

Vi sono oggi e vi saranno sempre. fino alla fine del mondo, come sappiamo e come il Concilio ci ricorda, varie forme di presenza del Cristo fra noi: nella liturgia, nella sua Parola, nel sacerdote, nel piccolo, nel povero . . . Occorre saper vedere queste presenze, “aver occhi per vedere ed orecchie per udire”: con una conoscenza diretta che è vera comunione di vita. Comunione di vita con lui. Perché, che cosa è infatti la vita di grazia, la comunione sacramentale, una liturgia veramente partecipata, se non comunione di vita col Cristo? E quale conoscenza migliore di quella che nasce dalla comunione con lui che accogliamo nella fede?

3. Sia dunque, per voi, cari fratelli, il prossimo Natale, un accrescimento di comunione di vita con Cristo. Lasciatevi illuminare docilmente dalla luce della fede. Apritevi con semplicità e fiducia agli insegnamenti del Vangelo e della Chiesa sul Natale. È la verità di questi insegnamenti che vi consentirà di vivere intensamente la realtà del Natale. Vi permetterà, un po’ come per l’apostolo Giovanni, di “vedere e toccare la vita”. Del resto, finché non giungiamo a questo punto, non possiamo ancora ritenerci pienamente discepoli del Signore Gesù. Il nostro cammino resta incompleto e la nostra età spirituale immatura. Non siamo ancora “uomini maturi”, per dirla con san Paolo (1Co 14,20).

Per una conoscenza veramente profonda del mistero del Natale, oltre alla fede, occorre la carità, mediante l’esercizio delle buone opere, della giustizia e della misericordia. Solo così potremo avere quella misteriosa “esperienza” della quale parla san Giovanni e che nasce dalla comunione e porta alla comunione. “Quello che abbiamo veduto e udito - dice infatti l’apostolo (1Jn 1,3) - noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”. L’esperienza del Natale nasce dall’amore, è illuminata dall’amore, suscita l’amore e diffonde l’amore.

“La nostra comunione - spiega poi Giovanni (1Jn 1,3) - è col Padre e col Figlio”. Il mistero del Natale è fonte di comunione, perché è comunione con Dio nel suo Figlio Gesù Cristo. “Toccando e vedendo” la vita fatta visibile, passiamo dalla morte alla vita, guariamo dalle nostre malattie, ci riempiamo della vita e possiamo quindi trasmettere la vita.

4. Perché, infine, questa comunione? Ce lo dice ancora Giovanni: “perché la nostra gioia sia perfetta” (cf. 1Jn 1,4). Scopo ed effetto della comunione di vita con Dio e coi fratelli è la vera gioia. Tutti cerchiamo istintivamente la felicità. È in sé una cosa naturale. Ma sappiamo sempre dov’è la vera gioia? Lo sapete voi giovani? Lo sapete voi adulti? Noi cristiani sappiamo dov’è la vera gioia: nella comunione con Dio e con i fratelli. Nell’apertura della nostra mente alla venuta tra noi, nel Natale, del Dio che si fa uomo, che nasce come qualunque altro bambino sulla terra, povero fra i poveri, bisognoso tra i bisognosi.

Il Dio altissimo che si fa piccolissimo. Senza perdere la sua infinita dignità, egli assume e fa sua la nostra infinita miseria, e dietro a questa nasconde, in certo modo, la divinità.

Il mio augurio, cari fratelli, è che anche voi possiate portare in abbondanza questi “frutti di vita eterna”. Lo Spirito Santo, con i suoi doni di sapienza e di intelligenza, vi guidi ad una più profonda conoscenza del mistero natalizio, mistero di luce, di comunione, di gioia nel Signore.

Con la mia apostolica benedizione.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ad un gruppo di pellegrini giapponesi dell’“YBU”

Sia lodato Gesù Cristo!

SALUTO CORDIALMENTE i pellegrini del gruppo di “YBU” (Movimento del Buon Pastore), che festeggia il 25° anniversario della sua fondazione.

Auspico una costante crescita della vostra attività e un buon frutto a questo vostro pellegrinaggio. E, augurandovi un Santo Natale e un sereno Capodanno, vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai numerosi pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai gruppi di pellegrini polacchi

Alla rappresentanza della comunità del Cadore

DESIDERO ORA esprimere un sincero ringraziamento ai rappresentanti della Magnifica Comunità del Cadore, guidati dal Vescovo di Belluno-Feltre, Monsignor Maffeo Ducoli.

A questa Comunità mi sento particolarmente vicino per tanti segni di simpatia ed affetto; essa quest’anno ha offerto l’albero di Natale, che potete ammirare, già preparato per le feste ormai vicine, in Piazza San Pietro.

Ringrazio il Presidente Professor Gian Candido Martin, i rappresentanti delle singole Comunità Montane, i Signori Sindaci e le autorità del Cadore e della Provincia di Belluno, il coro e la Fanfara degli Alpini.

Carissimi fedeli del Cadore, l’albero che avete donato è per me un chiaro ricordo delle vostre meravigliose montagne e dei vostri suggestivi boschi, ma qui è anche il segno della vostra partecipazione ad una tradizione natalizia che rievocherà accanto al presepio, a tutti i pellegrini di San Pietro il mistero di Cristo luce del mondo.

A tutti voi la mia Benedizione, che con riconoscenza estendo anche alla intera popolazione bellunese.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

AI CARI GIOVANI qui presenti, e in particolare agli Alunni e al Corpo docente dell’Istituto tecnico statale “Giovanni Antinori” di Camerino, e a quelli dell’Istituto Internazionale di Istruzione “Giovanni Paolo II” di Ostia Lido, come pure agli ammalati, agli sposi, tutti particolarmente vicini al mio cuore, vorrei suggerire, nella imminenza del Santo Natale, la bella invocazione della liturgia di questi giorni: Vieni, Signore Gesù.

Sì, Gesù sta per venire di nuovo misticamente, a Betlemme, perché il suo amore non si stanca mai di noi. Carissimi giovani, carissimi sposi, vogliatelo con voi sempre, il Signore Gesù, luce e guida della vostra vita. Carissimi ammalati, non perdete mai di vista Gesù, coraggio e forza nel vostro patire. Perciò, seguendo in questi giorni l’invito della Chiesa, ripetete con fede: “Vieni, Signore Gesù”, E Gesù non mancherà di venire a voi con i suoi doni migliori.

A voi e ai vostri Cari la mia Benedizione.




Mercoledì, 28 dicembre 1988

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Carissimi fratelli e sorelle!

1. In questa udienza generale, che è l’ultima dell’anno, viene spontaneo riflettere, alla luce del Natale, sul significato dell’anno che finisce.

Viviamo ancora nell’atmosfera mistica e solenne del grande mistero, che abbiamo celebrato con gioia e commozione, rivivendo la nascita del Redentore nella povertà e nel silenzio della grotta di Betlemme. Ci siamo inginocchiati con fede davanti al presepio, adorando in quel bambino la maestà infinita di Dio.

Il Natale è festa essenzialmente religiosa e cristiana, perché da quell’umile mangiatoia, in cui è deposto, si rivela lo stesso Figlio di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza. Egli è il Verbo divino, l’ineffabile Parola in cui Dio esprime se stesso, la seconda Persona della Santissima Trinità, che nel seno verginale di Maria si è incarnata, come scrive san Giovanni nel prologo del quarto Vangelo: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio . . . E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (
Jn 1,1 Jn 1,14). Così pure l’autore della lettera agli Ebrei scrive: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio . . . che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola” (He 1,1-3).

Giustamente perciò il Natale è chiamato anche la “Festa della Luce”, perché Gesù è la verità che nasce a Betlemme per essere la “Luce” del mondo. San Paolo dice che egli è l’immagine del “Dio invisibile”, che ci “ha liberati dal potere delle tenebre” (cf. Col 1,13-15). Il Concilio Vaticano II, per parte sua, dopo aver rilevato che l’uomo con i suoi drammatici interrogativi “rimane a se stesso un problema insoluto, confusamente percepito”, afferma che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo . . . Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes GS 21 Gaudium et Spes GS 22).

Ed è proprio il messaggio del Natale che getta luce sul fatto temporale, ma anche profondamente esistenziale, che è la fine dell’anno.

2. La prima riflessione suscitata dal passaggio da un anno all’altro è quella dello scorrere inesorabile del tempo: i giorni spingono i giorni, le settimane si susseguono a ritmo inarrestabile, un mese subentra quasi impercettibilmente all’altro, e ci troviamo in mano un nuovo calendario. La nostra vita si consuma; i nostri anni se ne vanno . . . E dove? Dove sfocia questo tempo, che trascina inesorabilmente la storia umana e la personale esistenza di ciascuno? Ecco dove il Natale spande già la sua prima e meravigliosa luce: la storia umana non è un labirinto assurdo e la nostra esistenza non va verso la morte e il nulla.

Gesù con la sua divina e infallibile Parola ci dice che Dio ha creato l’uomo per amore e che da lui attende durante l’esistenza terrena una risposta d’amore, per farlo poi partecipe, oltre il tempo, del suo eterno amore. Passano gli anni uno dopo l’altro ed anche quello che stiamo vivendo volge ormai al suo termine. Dalla Sacra Scrittura sappiamo però che “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (He 13,14). “La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Ph 3,20-21). Certamente ognuno deve impegnarsi fattivamente nella costruzione della città terrena, compiendo il proprio lavoro e trafficando i propri talenti. Ma deve farlo ricordando sempre che “quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli” (2Co 5,1). Anzi, possiamo dire che nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, tutto avviene affinché possiamo anelare a Dio, nostro bene assoluto, e sentire la nostalgia del paradiso, per cui unicamente siamo stati creati.

3. Una seconda riflessione di fine d’anno nasce dal ricordo del passato; i mass-media ricordano e sintetizzano in questi giorni gli avvenimenti salienti del periodo trascorso. È facile, riandando alle vicende personali o pubbliche dell’anno passato, sentirsi invadere da un senso di smarrimento e di amarezza, per le tante miserie umane e le tante sofferenze che la cronaca quotidiana ha portato alla nostra conoscenza . . . Pensiamo soltanto, in questo momento, alla recente tragedia del terremoto in Armenia ed anche a certe situazioni che hanno rattristato la Chiesa. Ebbene, anche e soprattutto per questi avvenimenti dolorosi, il Natale sprigiona la sua luce soprannaturale, portando la consolazione della verità e il dono della pace interiore. Gesù infatti dice: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11,28-29). Dio è misericordia infinita e non abbandona nessuno; qualunque cosa sia avvenuta o dovrà avvenire, abbandoniamoci al suo amore di Padre! Quanto poi alla Chiesa, ricordiamo ciò che sant’Ambrogio scriveva ai suoi tempi: “Fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l’infuriare del mare in tempesta. È battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza, dove accogliere chi è affaticato” (S. Ambrosii “Epist. 2”, 1-2).

4. Infine, la luce del Natale illumina anche il passaggio al nuovo anno. A Betlemme infatti - come dice l’evangelista Giovanni - è venuta “la luce vera, quella che illumina ogni uomo . . . E dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Il Natale ci esorta e ci stimola ad avere fiducia e coraggio nel compiere il bene, nel testimoniare la fede cristiana con l’integrità della dottrina e la coerenza di vita, nell’impegnarci nell’opera della personale santificazione, alzando sempre lo sguardo dal tempo all’eternità: “O giorno luminosissimo dell’eternità - esclama l’autore dell’Imitazione di Cristo -, che la notte non oscura, ma che la somma verità fa sempre risplendere: giorno sempre lieto, sempre sicuro e che mai subisce cambiamenti!” (L. III, cap. 48, n. 1).

5. Carissimi! La luce del Natale illumini e accompagni ognuno di voi, nel vostro lavoro, nei vostri impegni, nella dedizione alle vostre famiglie, durante tutto l’anno nuovo, che stiamo per cominciare, e per il quale vi porgo i miei più cordiali auguri. Maria santissima, alla quale abbiamo consacrato un anno intero di particolare meditazione e di più intensa devozione, vi assista e vi ispiri col fascino del suo esempio e con la tenerezza del suo amore materno!

Ai fedeli di lingua francese

A pellegrinaggi provenienti da aree di lingua inglese

Ai fedeli di espressione linguistica tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai connazionali polacchi

Ai numerosi fedeli di lingua italiana

DESIDERO ORA porgere il mio saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana, ed in particolare ai giovani universitari della FUCI, ai membri del Cenacolo di La Spezia, accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Siro Silvestri, ed al numerosi gruppi di ragazzi e di giovani provenienti da molte diocesi e parrocchie d’Italia.
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IL MIO PENSIERO va poi a due gruppi di Religiose: le suore Cistercensi della Carità, che si dedicano specialmente alla gioventù abbandonata, e le suore della Provincia italiana dell’Istituto della Beata Vergine Maria - più noto con il nome di “Dame inglesi” di Madre Mary Ward - convenute a Roma per un corso di approfondimento della loro specifica spiritualità. Assicuro a tutte un ricordo nella preghiera, mentre invoco la speciale protezione del divin Salvatore sulle loro opere.
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INFINE UN CORDIALE e riconoscente saluto ai componenti, gli accompagnatori ed organizzatori del Piccolo Coro dell’Antonianum di Bologna. L’organizzazione, ben nota per le sue iniziative musicali e per l’educazione alla musica dei bambini e dei ragazzi, compie quest’anno il 25° anno di fondazione. Per la circostanza il Centro Numismatico Internazionale, qui rappresentato da un gruppo di componenti, guidato dal Procuratore Generale, ha coniato una speciale medaglia.

Carissimi, mi compiaccio per le vostre iniziative, che rispondono tanto bene alle esigenze dell’animo umano, e che sono bene accette da tante famiglie. Esse sono spesso ispirate ai temi religiosi, come dimostra il canto del “Magnificat”, che eseguirete per la prima volta al termine di questa Udienza.

Su tutti invoco la protezione del Signore, ed auspico che il mistero del Natale fortifichi la vostra fede, sostenga il vostro cammino e porti la pace divina nelle coscienze.

Con questi pensieri impartisco a voi la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

SALUTO ORA, come di consueto, i giovani, gli ammalati e gli sposi che prendono parte a questa udienza. Mentre ringrazio tutti voi per aver voluto inserire l’incontro col Papa in questi giorni tanto ricchi di suggestioni spirituali, vi esorto a lasciarvi prendere pienamente dall’atmosfera soffusa di gioia, che è propria del tempo natalizio. Fermatevi con animo colmo di gratitudine davanti al Neonato Redentore, in ideale compagnia dei Pastori, dei Magi e, soprattutto, della Vergine Madre. Sappiamo che in quel fragile essere umano ci si fa incontro la Parola eterna di Dio, la Sapienza increata che regge l’universo. Egli è la luce “che splende nelle tenebre”. Ogniqualvolta vi sentite avvolti dalle tenebre delle difficoltà a causa della malattia, delle incomprensioni o della mancanza di accoglienza nella società, ricordatevi che il Signore, il quale con la sua luce ha fugato per sempre le tenebre dello scoraggiamento e dello smarrimento, sarà il vostro aiuto e il vostro sostegno.

Lasciatevi prendere dalla sua luce e vivete nello spirito, che viene dalla grotta di Betlemme.






Catechesi 79-2005 7128