Catechesi 79-2005 25189

Mercoledì, 25 gennaio 1989

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1. In questa catechesi ci mettiamo di fronte alla verità culminante della nostra fede in Cristo, documentata dal nuovo testamento, creduta e vissuta come centrale dalle prime comunità cristiane, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, non mai negletta dai veri cristiani, e oggi ben approfondita, studiata e predicata come parte essenziale del mistero pasquale, insieme con la Croce: ossia la risurrezione di Cristo. Di lui infatti il Simbolo degli apostoli dice che “il terzo giorno risuscitò da morte”; e il Simbolo niceno-costantinopolitano precisa: “Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”.

È un dogma della fede cristiana, che si innesta in un fatto storicamente avvenuto e costatato. Noi cercheremo di investigare “con le ginocchia della mente inchine” il mistero enunciato dal dogma e racchiuso nel fatto, cominciando con l’esame dei testi biblici che lo attestano.

2. La prima e più antica testimonianza scritta sulla risurrezione di Cristo si trova nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi. In essa l’apostolo ricorda ai destinatari della lettera (verso la Pasqua del 57 d.C.): “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (
1Co 15,3-8).

Come si vede, l’Apostolo parla qui della viva tradizione della Risurrezione, della quale egli aveva preso conoscenza dopo la sua conversione alle porte di Damasco (cf. Ac 9,3-18). Durante il suo viaggio a Gerusalemme aveva incontrato l’apostolo Pietro, e anche Giacomo, come viene precisato dalla lettera ai Galati (Ga 1,18 s.), che ora cita come i due principali testimoni del Cristo risorto.

3. È anche da notare che, nel testo citato, san Paolo non solo parla della Risurrezione avvenuta il terzo giorno “secondo le Scritture” (riferimento biblico che già tocca la dimensione teologica del fatto), ma nello stesso tempo fa ricorso ai testimoni, a coloro ai quali Cristo è apparso personalmente. È un segno, tra altri, che la fede della prima comunità dei credenti, espressa da Paolo nella lettera ai Corinzi, è basata sulla testimonianza di uomini concreti, noti ai cristiani e in gran parte ancora viventi in mezzo a loro. Questi “testimoni della risurrezione di Cristo” (cf. Ac 1,22), sono prima di tutto i dodici apostoli, ma non solamente loro: Paolo parla addirittura di oltre cinquecento persone, alle quali Gesù apparve in una sola volta, oltre che a Pietro, a Giacomo e a tutti gli apostoli.

4. Di fronte a questo testo paolino perdono ogni ammissibilità le ipotesi, con cui in diversi modi si è tentato di interpretare la risurrezione di Cristo astraendo dall’ordine fisico, in modo da non riconoscerla come un fatto storico: per esempio l’ipotesi, secondo la quale la risurrezione non sarebbe altro che una specie d’interpretazione dello stato in cui Cristo si trova dopo la morte (stato di vita, e non di morte), oppure l’altra ipotesi che riduce la risurrezione all’influsso che Cristo, dopo la sua morte, non cessò di esercitare - e anzi riprese con nuovo, irresistibile vigore - sui suoi discepoli. Queste ipotesi sembrano implicare una pregiudiziale ripugnanza alla realtà della Risurrezione, considerata solamente come il “prodotto” dell’ambiente, ossia della comunità di Gerusalemme. Né l’interpretazione né il pregiudizio trovano riscontro nei fatti. San Paolo, invece, nel testo citato, ricorre ai testimoni oculari del “fatto”: la sua convinzione sulla Risurrezione di Cristo ha dunque una base sperimentale. È legata a quell’argomento ex factis, che vediamo scelto e seguito dagli apostoli proprio in quella prima comunità di Gerusalemme. Quando infatti si tratta dell’elezione di Mattia, uno dei discepoli più assidui di Gesù, per integrare il numero dei “Dodici” rimasto incompleto per il tradimento e la fine di Giuda Iscariota, gli apostoli richiedono come condizione che colui che verrà eletto non solo sia stato loro “compagno” nel periodo in cui Gesù insegnava ed operava, ma che soprattutto egli possa essere “testimone della sua risurrezione” grazie all’esperienza fatta nei giorni antecedenti il momento in cui Cristo - come essi dicono - “è stato di tra noi assunto in cielo” (Ac 1,22).

5. Non si può dunque presentare, come fa una certa critica neotestamentaria poco rispettosa dei dati storici, la Risurrezione come un “prodotto” della prima comunità cristiana, quella di Gerusalemme. La verità sulla Risurrezione non è un prodotto della fede degli Apostoli o degli altri discepoli pre o postpasquali. Dai testi risulta piuttosto che la fede “prepasquale” dei seguaci di Cristo è stata sottoposta alla prova radicale della Passione e della morte in Croce del loro maestro. Egli stesso aveva annunziato questa prova, specialmente con le parole rivolte a Simon Pietro quando si era ormai alla soglia dei tragici eventi di Gerusalemme: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede” (Lc 22,31-32). La scossa provocata dalla passione e morte di Cristo fu così grande che i discepoli (almeno alcuni tra di loro) inizialmente non credettero alla notizia della risurrezione. In ogni Vangelo ne troviamo le prove. In particolare Luca ci fa sapere che quando le donne, “tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo (ossia il sepolcro vuoto) agli Undici e a tutti gli altri . . . quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse” (Lc 24,9 Lc 24,11).

6. Del resto l’ipotesi che nella Risurrezione vuol vedere un “prodotto” della fede degli apostoli, è confutata anche da quanto è riferito quando il Risorto “in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”. Essi infatti “credevano di vedere un fantasma”. In quella occasione Gesù stesso dovette vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che “era lui”: “Toccatemi e convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. E poiché essi “ancora non credevano ed erano stupefatti”, Gesù chiese loro di dargli qualcosa da mangiare e “lo mangiò davanti a loro” (cf. Lc 24,36-43).

7. È inoltre ben noto l’episodio di Tommaso, il quale non si trovava con gli altri apostoli quando Gesù venne da loro per la prima volta, entrando nel Cenacolo nonostante che la porta fosse chiusa (cf. Jn 20,19). Quando, al suo rientro, gli altri discepoli gli dissero: “Abbiamo visto il Signore”, Tommaso manifestò meraviglia e incredulità, e ribattè: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato - non crederò”. Dopo otto giorni Gesù venne nuovamente nel Cenacolo, per soddisfare la richiesta di Tommaso “incredulo” e gli disse: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. E quando Tommaso professò la sua fede con le parole “Mio Signore e mio Dio!” Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Jn 20,24-29).

L’esortazione a credere, senza pretendere di vedere ciò che è nascosto nel mistero di Dio e di Cristo, resta sempre valida; ma la difficoltà dell’apostolo Tommaso ad ammettere la Risurrezione senza avere sperimentato personalmente la presenza di Gesù vivente, e poi il suo cedere dinanzi alle prove fornitegli da Gesù stesso, confermano ciò che risulta dai Vangeli circa la resistenza degli apostoli e dei discepoli ad ammettere la Risurrezione. Non ha perciò consistenza l’ipotesi che la Risurrezione sia stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli apostoli. La loro fede nella Risurrezione era nata invece - sotto l’azione della grazia divina - dalla diretta esperienza della realtà del Cristo risorto.

8. È Gesù stesso che dopo la Risurrezione si mette in contatto con i discepoli allo scopo di dar loro il senso della realtà e di dissipare l’opinione (o la paura) che si tratti di un “fantasma”, e quindi di essere vittime di un’illusione. Infatti egli stabilisce con loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso, che abbiamo appena ricordato, ma anche nell’incontro descritto nel Vangelo di Luca, quando Gesù dice ai discepoli sbigottiti: “Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho” (Lc 24,39). Li invita a constatare che il Corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo stesso che è stato martoriato e crocifisso. Quel corpo possiede però al tempo stesso nuove proprietà: è “reso spirituale” e “glorificato”, e quindi non è più sottoposto alle limitazioni consuete agli esseri materiali e perciò ad un corpo umano. (Infatti Gesù entra nel Cenacolo malgrado le porte chiuse, appare e sparisce, ecc.). Ma nello stesso tempo quel corpo è autentico e reale. Nella sua identità materiale sta la dimostrazione della Risurrezione di Cristo.

9. L’incontro sulla via di Emmaus, riferito nel Vangelo di Luca, è un evento che rende visibile in modo particolarmente evidente come sia maturata nella consapevolezza dei discepoli la persuasione della Risurrezione appunto mediante il contatto col Cristo risorto (cf. Lc 24,15-21). Quei due seguaci di Gesù, che all’inizio del cammino erano “tristi ed abbattuti”, al ricordo di quanto era successo al maestro il giorno della crocifissione e non nascondevano la delusione provata al veder crollare la speranza riposta in lui come messia liberatore (Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele), sperimentano in seguito una totale trasformazione, quando per loro diventa chiaro che lo sconosciuto, col quale hanno parlato, è proprio lo stesso Cristo di prima, e si rendono conto che egli è dunque risorto. Da tutta la narrazione risulta che la certezza della Risurrezione di Gesù aveva fatto di loro quasi degli uomini nuovi. Non solo avevano riacquistato la fede in Cristo, ma erano anche pronti a rendere testimonianza alla verità sulla sua Risurrezione.

Tutti questi elementi del testo evangelico, tra loro convergenti, provano il fatto della Risurrezione, che costituisce il fondamento della fede degli apostoli e della testimonianza, che, come vedremo nelle prossime catechesi, è al centro della loro predicazione.


Ai pellegrini in lingua italiana

Saluto tutti i gruppi di lingua italiana che partecipano a questa Udienza e, in particolare, i membri dell’Associazione Artigiani di Rionero in Vùlture, diocesi di Melfi-Rapolla e Venosa, i quali unitamente al loro Vescovo Mons. Vincenzo Cozzi ed ai Sacerdoti, sono giunti a Roma per confermare la loro scelta di fede da tradurre in programmi di azione e di vita.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

Il mio pensiero va ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli presenti a questa Udienza.

Carissimi, a conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, desidero ricordare la necessità di vivere, ognuno nel proprio stato di vita, le esigenze dell’unità cristiana che ci provengono dal sacramento del battesimo, per il quale formiamo un solo corpo in Cristo, che è il capo.

Sì, miei cari, Cristo opera ancora oggi nei nostri cuori quella riconciliazione che rende visibile l’unità della Chiesa. Consapevoli del dono del battesimo, operiamo, preghiamo e offriamo i nostri sacrifici ogni giorno per l’unità di tutti i credenti in Cristo.

Giovanni Paolo II inaugura questa sera il nuovo ambulatorio odontoiatrico aperto dalla Caritas italiana, ed Affidato alla gestione della Caritas diocesana, nella sede di San Paolo.
L’ambulatorio è l’ultima iniziativa, in ordine di tempo, della Caritas in favore delle migliaia e migliaia di immigrati dal terzo mondo i quali non avendo il permesso di soggiorno, tanto meno un lavoro, sono praticamente privi di una qualsiasi assistenza medica. Con il poliambulatorio aperto dalla Caritas nei pressi della Stazione Termini e la vicina Farmacia, il laboratorio odontoiatrico va a costituire quella che qualcuno ha già definito “La Usl degli immigrati clandestini”, una quantità sempre più grande di persone delle quali non si può continuare a far finta di ignorare l’esistenza.
Prima di lasciare il laboratorio il Papa rivolge ai presenti un breve discorso dicendo tra l’altro.

Questa vostra iniziativa è tanto significativa e non soltanto dal punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista contenuto nella Sollicitudo Rei Socialis, perché è un segno dell’apertura dei cuori verso i nostri fratelli e verso le nostre sorelle che vengono da altri Paesi e qui possono ricevere le dovute cure mediche, specialmente quelle odontoiatriche che si prestano in questo ambulatorio. Voglio ringraziare tutti quanti collaborano a questa iniziativa e lo fanno come volontari. Apprezziamo molto questo volontariato che non si può valutare altrimenti se non come un segno della carità e dell’amore verso i fratelli bisognosi. Ed io nel nome di questi fratelli, nel nome della Chiesa di Roma vi ringrazio e vi auguro anche la prosecuzione di questa attività. Essa dà quei frutti che si vedono poco, di cui si scrive molto poco ma che vengono profondamente annotati nel cuore di Cristo e nel cuore del suo Padre. Come egli ci ha detto suo Padre vede “in abscondito”.



Mercoledì, 1° febbraio 1989

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1. La professione di fede, che facciamo nel Credo quando proclamiamo che Gesù Cristo “il terzo giorno è risuscitato da morte”, si fonda sui testi evangelici che, a loro volta, ci trasmettono e fanno conoscere la prima predicazione degli apostoli. Da queste fonti risulta che la fede nella Risurrezione è, sin dall’inizio, una convinzione basata su un fatto, su un evento reale, e non un mito o una “concezione”, una idea inventata dagli apostoli o prodotta dalla comunità post-pasquale raccolta intorno agli apostoli a Gerusalemme, per superare insieme con loro il senso di delusione, conseguente alla morte di Cristo in Croce. Dai testi risulta tutto il contrario, e perciò, come ho detto, l’ipotesi ventilata è anche criticamente e storicamente insostenibile. Gli apostoli e i discepoli non hanno inventato la Risurrezione (ed è facile capire che erano del tutto incapaci di un’operazione simile). Non vi è traccia di una loro esaltazione personale o di gruppo, che li abbia portati a congetturare un evento desiderato e atteso e a proiettarlo nell’opinione e nella credenza comune come reale, quasi per contrasto e come compensazione della delusione subita. Non vi è traccia di un processo creativo di ordine psicologico-sociologico-letterario nemmeno nella comunità primitiva o negli autori dei primi secoli. Gli apostoli per primi hanno creduto, non senza forti resistenze, che Cristo era risorto semplicemente perché la Risurrezione fu da loro vissuta come un evento reale, di cui poterono convincersi di persona incontrandosi più volte col Cristo nuovamente vivo, nel corso di quaranta giorni. Le successive generazioni cristiane accettarono quella testimonianza, fidandosi degli apostoli e degli altri discepoli come di testimoni credibili. La fede cristiana nella Risurrezione di Cristo è, dunque, legata a un fatto, che ha una precisa dimensione storica.

2. E tuttavia la Risurrezione è una verità che nella sua dimensione più profonda, appartiene alla Rivelazione divina: essa infatti è stata gradualmente preannunziata da Cristo nel corso della sua attività messianica durante il periodo pre-pasquale. Più volte Gesù esplicitamente predisse che, dopo di aver molto sofferto ed essere stato ucciso, sarebbe risorto. Così, nel Vangelo di Marco, è detto che dopo la proclamazione di Pietro nei pressi di Cesarea di Filippo, Gesù “cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente” (
Mc 8,31-32). Sempre secondo Marco, dopo la trasfigurazione, “mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti” (Mc 9,9). I discepoli restarono perplessi sul significato di quella “risurrezione”, e spostarono la questione, già agitata nel mondo giudaico, sul ritorno di Elia (Mc 9,11): ma Gesù ribadisce l’idea che il Figlio dell’uomo dovrà “soffrire molto ed essere disprezzato” (Mc 9,12). Dopo la guarigione dell’epilettico indemoniato, sulla strada della Galilea percorsa quasi clandestinamente, Gesù riprende ad istruirli: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. “Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni” (Mc 9,31-32). È il secondo annuncio della Passione e della Risurrezione, al quale segue il terzo, quando già si trovano sulla strada di Gerusalemme: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà” (Mc 10,33-34).

3. Siamo qui di fronte ad una previsione e predizione profetica degli avvenimenti, nella quale Gesù esercita la sua funzione di rivelatore, mettendo in relazione la morte e la Risurrezione unificate nella finalità redentiva, e riferendosi al disegno divino, secondo il quale tutto ciò che egli prevede e predice “deve” avvenire. Gesù fa quindi conoscere ai discepoli stupefatti e persino sgomenti qualcosa del mistero teologico che soggiace ai prossimi avvenimenti, come del resto a tutta la sua vita. Altri sprazzi di questo mistero si trovano nella allusione al “segno di Giona” (cf. Mt 12,40), che Gesù fa proprio ed applica ai giorni della sua morte e Risurrezione, e nella sfida ai Giudei sulla “ricostruzione in tre giorni del tempio che verrà distrutto” (cf. Jn 2,19). Giovanni annota che Gesù “parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla Parola detta da Gesù” (Jn 2,20-21). Ancora una volta ci troviamo di fronte al rapporto tra la Risurrezione di Cristo e la sua Parola, ai suoi annunci legati “alle Scritture”.

4. Ma oltre le parole di Gesù, anche l’attività messianica da lui svolta nel periodo prepasquale mostra il potere sulla vita e sulla morte, di cui egli dispone, e la consapevolezza di questo potere, come la risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,39-42), la risurrezione del giovane di Nain (Lc 7,12-15), e soprattutto la risurrezione di Lazzaro (Jn 11,42-44), che nel quarto Vangelo è presentata come un annuncio e una prefigurazione della risurrezione di Gesù. Nelle parole rivolte a Marta durante quest’ultimo episodio si ha la chiara manifestazione dell’autocoscienza di Gesù circa la sua identità di Signore della vita e della morte e di detentore delle chiavi del mistero della risurrezione: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno” (Jn 11,25-26).

Sono tutte parole ed eventi che contengono in diversi modi la rivelazione della verità sulla Risurrezione nel periodo prepasquale.

5. Nell’ambito degli eventi pasquali, il primo elemento a cui ci troviamo di fronte è il “sepolcro vuoto”. Senza dubbio esso non è di per sé una prova diretta. La mancanza del corpo di Cristo nel sepolcro in cui era stato deposto potrebbe spiegarsi diversamente, come di fatto pensò per un momento Maria di Màgdala quando, vedendo il sepolcro vuoto, suppose che qualcuno avesse sottratto il corpo di Gesù (cf. Jn 20,13). Il sinedrio tentò anzi di far spargere la voce che, mentre i soldati dormivano, il corpo era stato rubato dai discepoli. “Così questa diceria - annota Matteo - si è divulgata fra i giudei fino ad oggi” (Mt 28,12-15).

Ciononostante il “sepolcro vuoto” ha costituito per tutti, amici e nemici, un segno impressionante. Per le persone di buona volontà la sua scoperta è stato il primo passo verso il riconoscimento del “fatto” della Risurrezione come di una verità che non poteva essere rifiutata.

6. Così fu prima di tutto per le donne, che di primo mattino si erano recate al sepolcro per ungere il corpo di Cristo. Furono le prime ad accogliere l’annuncio: “È risorto, non è qui . . . Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro . . .” (Mc 16,7-8). “Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno. Ed esse si ricordarono delle sue parole” (Lc 24,6-8).

Certo le donne erano sconvolte e spaventate (cf. Mc 16,8 Lc 24,5). Nemmeno esse erano disposte ad arrendersi troppo facilmente ad un fatto che, pur predetto da Gesù, era effettivamente al di sopra di ogni possibilità di immaginazione e di invenzione. Ma nella loro sensibilità e finezza intuitiva esse, e specialmente Maria di Magdala, afferrarono la realtà e corsero dagli apostoli per recar loro la lieta notizia.

Il Vangelo di Matteo (Mt 28,8-10) ci informa che lungo la strada Gesù stesso si fece loro incontro, le salutò e rinnovò loro il comando di portare l’annunzio ai fratelli (28, 10). Così le donne furono le prime messaggere della Risurrezione di Cristo, e lo furono per gli stessi apostoli (Lc 24,10). Fatto eloquente circa l’importanza della donna già nei giorni dell’evento pasquale!

7. Tra coloro che ricevettero l’annunzio da Maria di Magdala ci furono Pietro e Giovanni (cf. Jn 20,3-8). Essi si recarono al sepolcro non senza titubanza, tanto più che Maria aveva parlato loro di una sottrazione del corpo di Gesù dal sepolcro (cf. Jn 20,2). Giunti al sepolcro, anch’essi lo trovarono vuoto. Finirono col credere, dopo aver esitato non poco, perché, dice Giovanni, “non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti” (Jn 20,9).

Diciamo la verità: il fatto era strabiliante per quegli uomini che si trovavano dinanzi a cose troppo più grandi di loro. La stessa difficoltà, che le tradizioni dell’evento mostrano nel darne una relazione pienamente coerente, conferma la sua straordinarietà e l’impatto sconvolgente che essa ebbe sull’animo dei fortunati testimoni. Il riferimento “alla Scrittura” è la prova della oscura percezione che essi ebbero di trovarsi di fronte ad un mistero, sul quale solo la Rivelazione poteva fare luce.

8. Ecco però un altro dato da considerare bene: se il “sepolcro vuoto” lasciava a prima vista stupefatti e poteva persino generare un certo sospetto, la graduale conoscenza di questo fatto iniziale, come viene annotato dai Vangeli, finì per condurre alla scoperta della verità della Risurrezione.

In effetti ci viene detto che le donne, e successivamente gli apostoli, si trovarono davanti ad un “segno” particolare: il segno della vittoria sulla morte. Se il sepolcro stesso, chiuso da una pietra pesante, testimoniava la morte, il sepolcro vuoto e la pietra ribaltata davano il primo annuncio che lì era stata sconfitta la morte.

Non può non impressionare la considerazione dello stato d’animo delle tre donne che, avviandosi al sepolcro al levar del sole, dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?” (Mc 16,3), e che poi, giunte al sepolcro, con grande meraviglia, costatarono che “il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande” (Mc 16,4). Secondo il Vangelo di Marco esse trovarono nel sepolcro qualcuno che diede loro l’annunzio della Risurrezione (cf. Mc 16,5): ma esse ebbero paura e, nonostante le rassicurazioni del giovane vestito di bianco, “fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento” (Mc 16,8). Come non capirle? E tuttavia il confronto con i testi paralleli degli altri evangelisti permette di affermare che, pur impaurite, le donne portarono l’annuncio della risurrezione, della quale il “sepolcro vuoto” col masso rotolato via, era stato il primo segno.

9. Per le donne e per gli apostoli la strada aperta dal “segno” si conclude mediante l’incontro col Risorto: allora la percezione ancora timida e incerta diventa convinzione e anzi fede in colui che “è veramente risorto”. Così per le donne, che al vedere Gesù sulla loro strada e al sentirsi salutare da lui, si gettano ai suoi piedi e Lo adorano (cf. Mt 28,9). Così, specialmente, per Maria di Màgdala, che, sentendosi chiamare per nome da Gesù, gli rivolse dapprima l’appellativo consueto: “Rabbunì, Maestro!” (Jn 20,16) e, quando fu da lui illuminata circa il mistero pasquale, corse raggiante a portare l’annuncio ai discepoli: “Ho visto il Signore!” (Jn 20,18). Così per i discepoli riuniti nel Cenacolo, che la sera di quel “primo giorno dopo il sabato”, quando finalmente videro in mezzo a loro Gesù, si sentirono felici per la nuova certezza che era entrata loro in cuore: “Gioirono al vedere il Signore” (cf. Jn 20,19-20).

Il contatto diretto con Cristo sprigiona la scintilla che fa scoccare la fede!


Ai fedeli in lingua italiana

Desidero ora porgere il mio affettuoso saluto ai Padri Cappuccini, che svolgono il loro ministero pastorale tra le religiose. Vi assicuro della mia preghiera, perché il Signore con la sua grazia vi assista sempre nel guidare le anime consacrate sul cammino della perfezione cristiana.
* * *


Saluto poi i pellegrini milanesi, che appartengono al “Volontariato Sostegno Persona” operante nel quartiere di Bruzzano. Sono lieto di manifestarvi il mio compiacimento per la generosa dedizione, con la quale vi siete impegnati a servizio delle persone più deboli e più povere. Auspico che il Redentore vi conceda abbondanti favori ed energie spirituali, per essere perseveranti in codesto servizio tanto meritorio.

Benedico tutti di vero cuore.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

Ed ora un saluto cordiale ed affettuoso per i giovani, i malati, gli sposi novelli

Carissimi! Domani ricorderemo nella liturgia la festa della presentazione del Signore al tempio di Gerusalemme. Da questo mistero emerge un messaggio per tutti: ai giovani Cristo si propone come esempio nell’offerta al Padre, indica con quale generosità occorra rendersi disponibili alla sua chiamata; ai malati, Egli fa scorgere l’importanza di offrire la propria sofferenza per la salvezza del mondo; agli sposi fa meditare il significato dell’atteggiamento religioso della Famiglia di Nazareth, umilmente sottoposta alle prescrizioni della Legge antica, invitando a sempre più generosa adesione alla volontà di Dio ed al servizio.

Il Signore Gesù, presentato nel Tempio e proclamato dallo Spirito Santo gloria di Israele e luce dei popoli, guidi il cammino di tutti voi nella missione che vi attende sostenga le vostre fatiche e vi doni la gioia della sua presenza.



Mercoledì, 8 febbraio 1989

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Fratelli carissimi.

1. Oggi, mercoledì delle ceneri, inizia la “Quaresima”, che, di tappa in tappa, ci porterà fino alla santa Pasqua. Questo giorno prende nome dal rito austero e significativo della “imposizione delle ceneri”.

Già nella storia dell’antico popolo di Israele, il cospargersi il capo di cenere voleva significare la coscienza della propria fragilità e la conseguente confidenza nel possente aiuto che viene da Dio (cf. Gdt
Jdt 4,11 1M 3,47). La Chiesa, nuovo Popolo di Dio, erede del popolo dell’antica alleanza, si è ispirata a questo rito, come a simbolo esteriore della nostra volontà di riconoscerci deboli e peccatori, e bisognosi del perdono e della misericordia del Padre celeste.

La liturgia oggi ci ricorda, con un’espressione severa, tratta dal libro della Genesi (cf. Gn 3,19), che noi, creature umane, “siamo polvere ed in polvere torneremo”, mentre Abramo, parlando con Dio, riconosce di essere “polvere e cenere” (Gn 18,27). Che vuol dire ciò? Non sappiamo forse, dalla medesima Sacra Scrittura, che l’uomo è creato “ad immagine di Dio” (Gn 1,27), il quale lo ha fatto “poco meno degli angeli” (Ps 8,6).

2. È proprio qui l’apparente paradosso della nostra condizione umana: dell’uomo che cristianamente Pascal ha chiamato “grandezza e miseria”! Vi è in noi, certamente, l’immagine di Dio, ma purtroppo essa è sfigurata dal peccato! Occorre restaurarla, occorre ripristinarla, occorre salvarla. Ecco tutto il senso della Redenzione di Cristo, ecco tutto il dovere della nostra vita cristiana. Ecco il senso di questo “tempo forte” dell’anno liturgico, che deve consistere anzitutto in una purificazione interiore, in una purificazione del “cuore”, come dice Gesù. Purificazione dei pensieri, delle intenzioni, della volontà, dei sentimenti, degli affetti, dei desideri, delle passioni, di tutto, insomma, il nostro mondo interiore, affinché il nostro atteggiamento esterno sia veramente sincero e non frutto di quella ipocrisia e di quel desiderio di “gloria umana”, contro i quali Gesù si è mostrato così severo.

La tentazione sottile, per noi cristiani, è quella di apparire cristiani anziché esserlo veramente, scendendo a patti con le ideologie e con le mode di questo mondo, perché a volte vogliamo piacere più agli uomini che a Dio. Oh, certamente, come ci dice il Maestro divino, noi dobbiamo compiere le nostre opere buone “davanti agli uomini” (Mt 5,16), e studiare ogni mezzo per rendere credibile ed attraente la nostra testimonianza, ma sempre con l’intenzione che gli uomini non concentrino l’attenzione su di noi, ma che, attraverso di noi, essi scoprano Dio e giungano a lui. Per ottenere questo, è necessario sforzarci di essere strumenti docili nelle mani del Signore: cosa impossibile senza un impegno costante - non importa se faticoso - per un’autentica purificazione interiore, che sola può dare alle nostre opere esterne il senso che ad esse Dio vuol dare, quello, cioè, di essere segni della sua bontà e della sua misericordia.

3. La Quaresima è, poi, un richiamo speciale a riconoscere, nella nostra vita, il primato a Dio, al soprannaturale, alla vita della grazia. La creatura, per quanto nobile e preziosa, non può, non deve mai esser posta alla pari del Creatore, occupare il suo posto o addirittura essere a lui preferita. Egli infatti, come dice la Scrittura, è un Dio “geloso”. Egli solo dev’essere al vertice di tutti i nostri interessi, ed ha tutto il diritto di esigerlo, appunto perché è il nostro creatore e salvatore.

Il pericolo per noi cristiani non è tanto quello di un rifiuto esplicito di Dio - cosa che sarebbe in troppo chiaro contrasto con la nostra fede -, ma è quello di non riconoscergli sempre l’assoluto primato che gli spetta, al vertice di tutti i valori, come fine e fondamento trascendente di tutto il resto. Il rischio, per noi cristiani, è quello di “servire due padroni” (Mt 6,24): adorare, sì, il Signore, ma assolutizzare, nello stesso tempo, anche la creatura. Questo dualismo è evidentemente offensivo per il Signore e crea nella nostra vita incoerenze ed ipocrisie. Crea una profonda lacerazione interiore. Crediamo forse, con tale modo di agire, di aver maggior successo, ma in realtà finiamo per metterci in inestricabili contraddizioni.

4. La Quaresima è, infine, un richiamo alla linearità, alla coerenza, all’ordine interiore. Dio dev’essere al suo posto, cioè al primo. E la creatura - anche se nobilissima, come la creatura umana - dev’essere al secondo. E solo così, del resto, si ha la vera esaltazione dell’uomo. L’uomo è grande solo quando serve Dio. Se vuol mettersi alla pari di lui o addirittura eliminarlo dall’orizzonte del suo pensiero, proprio quello è il momento in cui l’uomo nega se stesso, perché si stacca dal Principio trascendente della sua perfezione e della sua stessa esistenza. Può forse vivere un tralcio staccato dalla vite? Così l’uomo non soggetto a Dio o che esclude Dio dalla propria vita, crede forse di affermare se stesso, ma in realtà è condannato alla morte dello spirito. E ciò si vede dagli stessi risultati pratici di quelle ideologie che esaltano l’uomo negando a Dio l’assoluto primato su tutte le cose e sull’uomo stesso.

5. Il periodo liturgico penitenziale che oggi inizia sia per noi occasione per un esame di coscienza: sono troppo preoccupato di ricevere gloria dagli uomini e poco curante invece di quella che viene da Dio? Sono troppo attaccato alle creature, dimenticando il primato di Dio nella mia vita e nella mia esistenza? Do più ascolto alle ideologie, spesso fascinose, di questo mondo, più che agli insegnamenti, austeri ma salvifici, del Vangelo e della Chiesa? Sono un cristiano coerente, oppure, accanto a Dio, nella mia vita, ci sono “altri dèi”? È veramente Dio al vertice di tutti i miei valori, oppure, nella mia vita ci sono cose o attività che si sottraggono al suo dominio, che a lui non sono ordinate?

Ecco, cari fratelli e sorelle, alcune domande che possono servirci per il nostro esame di coscienza al principio della Quaresima, perché il cammino che inizia possa essere fruttuoso, e non si risolva in una mera celebrazione esteriore. Rinnoviamo il nostro impegno per una profonda vita cristiana, attuata con tutto il nostro fervore, e donata sinceramente al Signore. Non resteremo delusi.



Ad alcuni fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIMI FEDELI giapponesi, componenti del “Gruppo Ave Maria”, voi state facendo il vostro pellegrinaggio sotto la protezione della Madonna. Ebbene, io desidero e prego che la Madre di Dio e di tutti noi, vi assista durante questo pellegrinaggio e per tutta la vostra vita.

Con questo augurio vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!


Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

Desidero ora rivolgere il mio saluto affettuoso a voi, giovani, a voi, sposi novelli, ed a voi, cari malati.

Confido che il pellegrinaggio a Roma rinsaldi nella fede e doni luce spirituale a ciascuno di voi, affinché prendiate sempre maggiore coscienza della responsabilità, che avete in questo decisivo momento della vostra esistenza.

In tal modo sia l’aprirsi alla maturità della vita in Cristo, sia l’aver da poco iniziato un nucleo familiare con la celebrazione del sacramento nuziale, che eleva e santifica l’amore umano ponendolo per sempre in Dio, sia l’accettare il dolore come prova e come vocazione diverranno mediante voi, cari fratelli e sorelle, una testimonianza di quanto è bello e grande, vero e lieto il Vangelo del Redentore.

Mentre vi affido a Maria, “Madre della Speranza”, di vero cuore vi benedico tutti, affinché siate ricolmi di bontà e di grazia, di consolazione e di forza.





Catechesi 79-2005 25189