Catechesi 79-2005 28689

Mercoledì, 28 giugno 1989

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1. “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (
Ac 1,14). Con queste scarne parole l’autore degli Atti degli Apostoli annota la presenza della madre di Cristo nel Cenacolo, nei giorni di preparazione alla Pentecoste.

Ma nella catechesi precedente siamo entrati nel Cenacolo e abbiamo visto che gli apostoli, conformandosi all’ordine ricevuto da Gesù prima della sua dipartita verso il Padre, vi si erano riuniti ed “erano assidui e concordi” nella preghiera. Non da soli, ma con la partecipazione di altri discepoli, uomini e donne. Tra queste persone appartenenti alla comunità originaria di Gerusalemme san Luca, l’autore degli Atti, nomina anche Maria, madre di Cristo. La nomina fra gli altri presenti, senza aggiungere niente di particolare a suo riguardo. Ma si sa che Luca è anche l’evangelista che ha mostrato in modo completo la maternità divina e verginale di Maria, in base alle informazioni da lui attinte con un preciso intento metodologico (cf. Lc 1,1 ss; Ac 1,1 ss.), nelle comunità cristiane, informazioni che almeno indirettamente risalivano alla primissima fonte di ogni dato mariologico: la stessa madre di Gesù. Perciò nella duplice narrazione di Luca, come la venuta al mondo del Figlio di Dio è messa in stretto rapporto con la persona di Maria, così ora è collegata con essa anche la nascita della Chiesa. La semplice constatazione della sua presenza nel Cenacolo della Pentecoste è sufficiente a farci intravedere tutta l’importanza attribuita da Luca a questo particolare.

2. Negli Atti Maria appare come una delle persone partecipanti, in qualità di membro della prima comunità della Chiesa nascente, alla preparazione alla Pentecoste. In base al Vangelo di Luca e ad altri testi del nuovo testamento si è formata una tradizione cristiana sulla presenza di Maria nella Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha riassunto affermando che essa ne è un membro sovraeminente e del tutto singolare (cf. Lumen Gentium LG 53), in quanto madre di Cristo, uomo-Dio e quindi in quanto madre di Dio. I padri conciliari hanno ricordato nel messaggio introduttivo le parole degli Atti degli Apostoli che abbiamo riletto, come se volessero sottolineare che, come Maria era stata presente in quella prima ora della Chiesa, così essi desideravano che lo fosse in quella loro riunione di successori degli apostoli, congregati nella seconda metà del XX secolo in continuità con la comunità del Cenacolo. Radunandosi per i lavori conciliari, anche i padri volevano essere assidui e “concordi nella preghiera . . . con Maria, la madre di Gesù” (cf. Ac 1,14).

3. Già al momento dell’annunciazione Maria aveva sperimentato la venuta dello Spirito Santo. L’angelo Gabriele le aveva detto: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’altissimo; Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Per mezzo di questa discesa dello Spirito Santo in lei, Maria è stata associata in modo unico ed irripetibile al mistero di Cristo. Nell’enciclica Redemptoris Mater ho scritto: “Nel mistero di Cristo essa è presente già “prima della creazione del mondo” (cf. Ep 1,4) come colei che il Padre ha scelto eternamente come Madre del suo Figlio nell’incarnazione - ed insieme al Padre l’ha scelta il Figlio, affidandola eternamente allo Spirito di santità” (Redemptoris Mater RMA 8).

4. Ora nel Cenacolo di Gerusalemme quando mediante gli eventi pasquali il mistero di Cristo sulla terra è giunto al suo compimento, Maria si trova nella comunità dei discepoli per preparare una nuova venuta dello Spirito Santo - e una nuova nascita: la nascita della Chiesa. È vero che lei stessa è già “tempio dello Spirito Santo” (Lumen Gentium LG 53) per la sua pienezza di grazia e la sua maternità divina; ma essa partecipa alle suppliche per la venuta del paraclito, affinché con la sua potenza faccia prorompere nella comunità apostolica lo slancio verso la missione che Gesù Cristo, venendo nel mondo, ha ricevuto dal Padre (cf. Jn 5,36), e, ritornando al Padre, ha trasmesso alla Chiesa (cf. Jn 17,18). Maria, sin dall’inizio, è unita alla Chiesa, come una dei “discepoli” del Figlio, ma nello stesso tempo spicca in tutti i tempi come “figura ed eccellentissimo modello (della Chiesa stessa), nella fede e nella carità” (Lumen Gentium LG 53).

5. Lo ha messo bene in rilievo il Concilio Vaticano II nella costituzione sulla Chiesa, dove leggiamo: “La beata Vergine, per il dono e ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio redentore, e per le sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa: la Madre di Dio è figura (typus) della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine . . . della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo” (Lumen Gentium LG 63).

“Infatti nel mistero della Chiesa . . . - prosegue il Concilio - la beata Vergine Maria è andata innanzi . . . in modo eminente . . . Poiché per la sua fede ed obbedienza generò sulla terra lo stesso Figlio di Dio, senza contatto con uomo, ma adombrata dallo Spirito Santo” (Lumen Gentium LG 63).

La preghiera di Maria nel Cenacolo in preparazione alla Pentecoste ha un significato particolare, proprio a motivo del legame con lo Spirito Santo, che si è instaurato al momento del mistero dell’Incarnazione. Ora questo legame si ripropone, arricchendosi di un nuovo riferimento.

6. Affermando che Maria “è andata innanzi” nell’ordine della fede, la costituzione sembra ricollegarsi alla “beatitudine” udita dalla Vergine di Nazaret durante la visita alla sua parente Elisabetta dopo l’Annunciazione: “Beata colei che ha creduto” (Lc 1,45). L’Evangelista scrive che “Elisabetta fu piena di Spirito Santo” (Lc 1,41), mentre rispondeva al saluto di Maria e pronunciava quelle parole. Anche nel Cenacolo della Pentecoste gerosolimitana, secondo lo stesso Luca, “furono tutti pieni di Spirito Santo” (Ac 2,4). Dunque anche colei che aveva concepito “per opera dello Spirito Santo” (cf. Mt 1,18), ricevette una nuova pienezza di lui. Tutta la sua via di fede, di carità, di perfetta unione con Cristo, da quell’ora della Pentecoste si è congiunta con la via della Chiesa.

La comunità apostolica aveva bisogno della sua presenza e di quell’assiduità nella preghiera insieme con lei, la Madre del Signore. Si può dire che in quella preghiera “con Maria” si intravede una sua particolare mediazione, nata dalla pienezza dei doni dello Spirito Santo. Come sua mistica sposa, Maria ne implorava la venuta sulla Chiesa, nata dal costato di Cristo trafitto sulla Croce, ed ora in procinto di manifestarsi al mondo.

7. Come si vede la breve menzione fatta dall’autore degli Atti degli Apostoli sulla presenza di Maria tra gli apostoli e tutti coloro che “erano assidui nella preghiera” in preparazione alla Pentecoste e alla “effusione” dello Spirito Santo, ha in sé un contenuto estremamente ricco.

Nella costituzione Lumen Gentium il Concilio Vaticano II ha dato espressione a questa ricchezza di contenuto. Secondo l’importante testo conciliare, colei che nel Cenacolo in mezzo ai discepoli era assidua nella preghiera, è la madre del Figlio, predestinato da Dio ad essere “il primogenito tra molti fratelli” (cf. Rm 8,29). Ma il Concilio aggiunge che lei stessa cooperò “alla rigenerazione e formazione” di questi “fratelli” di Cristo, con il suo amore di madre. La Chiesa a sua volta - sin dal giorno della Pentecoste - “con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figlioli concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio” (Lumen Gentium LG 64). La Chiesa dunque, diventando - in questo modo - essa pure madre, guarda alla madre di Cristo come a suo modello. Questo sguardo della Chiesa su Maria ha avuto inizio nel Cenacolo.

Ai fedeli di espressione linguistica francese

Ad un gruppo di visitatori di lingua inglese

Ad un gruppo giapponese di suore dell’Istituto “Miyazaki Caritas”

Sia lodato Gesù Cristo!

CARISSIME SUORE dell Istituto “Miyazaki Caritas”, so che state celebrando il 50° della fondazione del vostro Istituto. Vi auguro di promuovere quotidianamente la vostra attività di carità sotto la protezione della Madonna e secondo lo spirito di Don Bosco, che voi considerate vostro ideale Fondatore.

Con questo auspicio, vi imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad alcuni gruppi di pellegrini di lingua tedesca

Ai numerosi fedeli di lingua spagnola
Ai numerosi fedeli provenienti dal Brasile
Ad alcuni gruppi ungheresi

SONO PRESENTI all’udienza odierna alcuni gruppi ungheresi. Un gruppo è composto di sacerdoti e loro collaboratori della celebre abbazia benedettina di Pannonhalma. Gli altri pellegrini sono arrivati dalla diocesi di Györ, dalla città di Hegyeshalom e da altre parti dell’Ungheria.

Ai connazionali polacchi

Ad un gruppo di latinisti

Ai numerosi fedeli italiani

Sono presenti a questa Udienza tre gruppi di pellegrini italiani, cui desidero porgere il mio benvenuto, con le parole di San Paolo: “Grazia a voi e pace a Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo”. Con questo saluto dell’Apostolo delle Genti, mi rivolgo innanzitutto al Signor Cardinale Giovanni Canestri ed ai giovani sacerdoti diocesani, con i quali egli ha trascorso a Rocca di Papa una settimana di studio e di spiritualità.

Questo incontro mi offre l’occasione per rinnovare l’espressione del mio apprezzamento a Lei, Signor Cardinale, il cui zelo pastorale ho avuto modo di conoscere sin da quando Ella esercitò il suo ministero episcopale nella diocesi di Roma. Ma mi offre pure l’opportunità di rivolgere a voi, sacerdoti della Arcidiocesi di Genova-Bobbio, l’esortazione di essere nel mondo testimoni di Cristo Sacerdote, proclamando la sua lieta verità con la parola e con la vita.
* * *


Saluto, poi le religiose appartenenti alle Congregazioni delle Suore della Purezza di Maria e delle Piccole Sorelle dei Poveri; per esse elevo una preghiera alla Madonna perché ottenga loro quelle grazie di luce e di carità, che le sostengano nella loro generosa e totale consacrazione al Signore.

A tutti imparto la mia confortatrice Benedizione Apostolica.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

È per me una vera gioia il concludere anche il fraterno incontro di quest’oggi con un particolare saluto ai giovani, ai malati ed alle coppie degli sposi novelli.

Carissimi, vi esorto a crescere nella consapevolezza dell’amore incomparabile che ha per ciascuno di voi Gesù Redentore, presente invisibilmente ma realmente nella storia vostra e dell’umanità intera. Rispondete alla sua chiamata, aderendo a Lui con la mente e con il cuore, con tutta la vostra persona. Gesù Cristo, con la vita divina che vi comunica mediante i sacramenti, nutre e custodisce la vostra esistenza in ogni momento, sia esso quello di apertura serena alla vita, o quello di dolorosa assimilazione a lui nell’infermità, o quello di gioiosa santificazione matrimoniale. Egli deve poter vivere nella vostra anima con la grazia vivificante. Sull’esempio degli Apostoli Pietro e Paolo, di cui domani ricorre la festa, ricambiate la condiscendenza del Signore impegnandovi a testimoniare il suo Vangelo con l’esempio della vostra condotta cristiana, coraggiosamente coerente anche a costo di rinunce e sacrifici.

A tutti la mia Benedizione!



Mercoledì, 5 luglio 1989

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1. Dalle catechesi finora dedicate all’articolo dei Simboli della fede sullo Spirito Santo, è possibile rilevare il ricco fondamento biblico della verità pneumatologica. Al contempo, però, dobbiamo anche registrare il differente profilo che, nella Rivelazione divina, questa verità ha in rapporto a quella cristologica. Risulta infatti dai testi sacri che il Figlio eterno, consostanziale al Padre, è la pienezza dell’autorivelazione di Dio nella storia dell’umanità. Divenendo “figlio dell’uomo”, “nato da donna” (cf.
Ga 4,4), egli si è manifestato ed ha agito come vero uomo. Come, tale egli ha pure rivelato definitivamente lo Spirito Santo, annunziandone la venuta e facendone conoscere il rapporto col Padre e col Figlio nella missione salvifica e quindi nel mistero della Trinità. Secondo l’annunzio e la promessa di Gesù, con la venuta del Paraclito prende inizio la Chiesa, corpo di Cristo (cf. 1Co 12,27) e sacramento della sua presenza “con noi fino alla fine del mondo” (cf. Mt 28,20).

Tuttavia lo Spirito Santo, consostanziale al Padre e al Figlio, rimane il “Dio nascosto”. Pur operando nella Chiesa e nel mondo, non si manifesta visibilmente, a differenza del Figlio, che assunse la natura umana e si rese simile a noi, sicché i discepoli, durante la sua vita mortale, poterono vederlo e “toccarlo con mano”, lui, il Verbo della vita (cf. 1Jn 1,1).

Invece la conoscenza dello Spirito Santo, fondata sulla fede nella rivelazione di Cristo, non ha a suo conforto la visione di una Persona divina vivente in mezzo a noi in forma umana, ma solo la constatazione degli effetti della sua presenza e della sua operazione in noi e nel mondo. Il punto-chiave per questa conoscenza è l’evento della Pentecoste.

2. Secondo la tradizione religiosa di Israele, la Pentecoste ma originariamente la festa della mietitura. “Tre volte all’anno ogni tuo maschio compaia alla presenza del Signore Dio, Dio d’Israele” (Ex 34,23). La prima volta era per la festa di Pasqua. La seconda per la festa della mietitura. La terza per la festa cosiddetta delle tende.

La “festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di ciò che semini nel campo” (Ex 23,16), era chiamata in greco Pentecoste, poiché veniva celebrata cinquanta giorni dopo la festa di Pasqua. Veniva chiamata anche festa delle settimane, per il fatto che cadeva sette settimane dopo la festa di Pasqua. Separatamente veniva poi celebrata la festa del raccolto, verso la fine dell’anno (cf. Ex 23,16 Ex 34,22). I libri della legge contenevano prescrizioni particolareggiate sulla celebrazione della Pentecoste (cf. Lv 23,15 ss; NM 28,26-31), che in seguito divenne anche la festa della rinnovazione dell’alleanza (cf. 2Ch 15,10-13), come vedremo a suo tempo.

3. La discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e sulla iniziale comunità dei discepoli di Cristo, che nel Cenacolo di Gerusalemme “erano assidui e concordi nella preghiera” insieme con Maria, la madre di Gesù (cf. Ac 1,14) si ricollega al significato veterotestamentario della Pentecoste. Ecco: la festa della mietitura diventa la festa della nuova “messe” di cui è artefice lo Spirito Santo: la messe nello Spirito.

Questa messe è il frutto della semina di Cristo-seminatore. Si ricordino le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni: “Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Jn 4,35). Gesù lasciava capire che gli apostoli avrebbero accolto già dopo la sua morte la messe di questa semina: “Un altro è colui che miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro” (Jn 4,37-38). Dal giorno di Pentecoste, per opera dello Spirito Santo, gli apostoli diventeranno i mietitori della semina di Cristo. “E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete” (Jn 4,36). E veramente già nel giorno di Pentecoste, dopo il primo discorso di Pietro, la messe si è rivelata abbondante perché si convertirono “circa tremila persone” (Ac 2,41), sì da essere motivo di una gioia comune: degli apostoli e del loro Maestro, il divino seminatore.

4. La messe infatti è frutto del suo sacrificio. Se Gesù parla della “fatica” del seminatore, essa consiste soprattutto nella sua Passione e morte sulla Croce. Cristo è quell’“Altro” che ha faticato per questa mietitura. “Un Altro” che ha aperto la via allo Spirito di verità, il quale, sin dal giorno di Pentecoste, comincia ad operare efficacemente per mezzo del kerigma apostolico.

La via è stata aperta mediante l’offerta che Cristo ha fatto di sé sulla Croce: mediante la morte redentrice, confermata dal costato trafitto del Crocifisso. Dal suo cuore, infatti, “subito uscì sangue e acqua” (Jn 19,34), segno della morte fisica. Ma in questo fatto si può vedere anche il compimento delle misteriose parole dette una volta da Gesù nell’ultimo giorno della festa delle tende, circa la venuta dello Spirito Santo: “Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. L’Evangelista commenta: “Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Jn 7,37-39). Come a dire che i credenti avrebbero ricevuto ben più della pioggia implorata nella festa delle tende, attingendo ad una sorgente dalla quale sarebbe venuta veramente l’acqua rigeneratrice di Sion, annunziata dai profeti (cf. Zc Za 14,8 Ez 47,1 s. ).

5. Circa lo Spirito Santo Gesù aveva promesso: “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Jn 16,7). Veramente l’acqua che esce dal costato trafitto di Cristo (cf. Jn 19,34) è il segno di questo “invio”. Sarà un’effusione “abbondante”: addirittura un “fiume di acqua viva”, metafora che esprime una particolare generosità e benevolenza di Dio che si dona all’uomo.

La Pentecoste di Gerusalemme è la conferma di questa abbondanza divina, promessa e concessa da Cristo mediante lo Spirito.

Le stesse circostanze della festa sembrano avere nella narrazione di Luca un significato simbolico. La discesa del Paraclito avviene, infatti, al compimento della festa. L’espressione adoperata dall’Evangelista accenna a una pienezza. Dice, infatti, “Mentre si riempiva il giorno di Pentecoste . . .” (Ac 2,1). D’altra parte, san Luca riferisce ancora che “tutti insieme si trovavano nello stesso luogo”, il che indica la completezza della comunità radunata: “Tutti insieme”: non soltanto gli apostoli, ma l’intero gruppo originario della Chiesa nascente, uomini e donne, insieme alla Madre di Gesù. È un primo particolare da tener presente. Ma nella descrizione di quell’evento ci sono anche altri particolari che, sempre dal punto di vista della “pienezza”, si rivelano non meno importanti.

Come scrive Luca, “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come il vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano . . . ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo” (Ac 2,2 Ac 2,4). Si noti quell’insistenza sulla pienezza (riempì, furono tutti pieni). È annotazione che può essere messa in rapporto con quanto disse Gesù nell’andare al Padre: “Voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” (Ac 1,5). “Battezzati” vuol dire “immersi” nello Spirito Santo: è ciò che esprime il rito d immersione nell’acqua durante il Battesimo. L’“immersione” e l’“essere pieni” significano la stessa realtà spirituale, operata negli apostoli, e in tutti i presenti nel Cenacolo, dalla discesa dello Spirito Santo.

6. Quell’“essere pieni”, vissuto dalla piccola comunità degli inizi nel giorno di Pentecoste, si può considerare quasi un prolungamento spirituale della pienezza dello Spirito Santo che “abita” in Cristo, nel quale è “ogni pienezza” (cf. Col 1,19). Come leggiamo nell’enciclica Dominum et Vivificantem, tutto “quello che (Gesù) dice del Padre e di sé-Figlio, scaturisce da quella pienezza dello Spirito, che è in lui e che si riversa nel suo cuore, pervade il suo stesso “io”, ispira e vivifica dal profondo la sua azione” (Dominum et Vivificantem DEV 21). Per questo il Vangelo può dire che Gesù “esultò nello Spirito Santo” (Lc 10,21). Così la “pienezza” dello Spirito Santo, che è in Cristo, si è manifestata il giorno di Pentecoste “riempiendo di Spirito Santo” tutti coloro che erano radunati nel Cenacolo. Si è così costituita quella realtà cristico-ecclesiologica a cui allude l’apostolo Paolo: “Avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo” (Col 2,10).

7. Si può aggiungere che lo Spirito Santo nella Pentecoste “diventa il padrone” degli apostoli, dimostrando il suo potere sopra la loro umanità. La manifestazione di questo potere ha il carattere di una pienezza del dono spirituale che si manifesta come potenza dello spirito, potenza della mente, della volontà e del cuore. Scrive infatti san Giovanni che “a colui che Dio ha mandato . . . dà lo Spirito senza misura” (Jn 3,34): ciò vale in primo luogo di Cristo; ma può applicarsi anche agli apostoli, a cui Cristo ha dato lo Spirito, perché a loro volta lo trasmettessero agli altri.

8. Infine rileviamo che nella Pentecoste si sono compiute anche le parole di Ezechiele: “Metterò dentro di voi uno spirito nuovo” (Ez 36,26). E veramente questo “soffio” ha prodotto la gioia dei mietitori, sicché si può dire con Isaia: “Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete” (Is 9,2).

La Pentecoste - antica festa della mietitura - ora si è rivelata nel cuore di Gerusalemme con un senso nuovo, come una particolare “messe” del divino Paraclito. Si è così attuata la profezia di Gioele: “. . . In quei giorni effonderò il mio spirito sopra ogni uomo” (Jl 3,1).

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ad alcuni gruppi di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese


Ai connazionali polacchi


Ad alcuni pellegrini italiani

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al gruppo di religiosi della Confederazione dei Canonici Regolari di Sant’Agostino, convenuti a Roma per un loro congresso.

Mi auguro, cari fratelli, che i vostri incontri valgano a cementare sempre più la carità fraterna nella comune ricerca della perfezione evangelica, della comunione con Dio e nel servizio generoso all’uomo del nostro tempo.
* * *


Saluto pure i ciclisti del Gruppo Aziendale Siemens Telecomunicazioni, appartenenti all’Associazione Volontari Italiani del Sangue (AVIS). Essi parteciperanno, in questi giorni ad un giro ciclistico a tappe che, partendo da Cassina de’ Pecchi, in arcidiocesi di Milano, raggiungerà lo stabilimento di Marcianise, in diocesi di Caserta.

Carissimi vi auguro di cuore che questa iniziativa, destinata a far conoscere i nobili fini della vostra benemerita Associazione, abbia pieno successo e serva ad incrementare i gesti umanitari in favore di quanti hanno bisogno di plasma.

A tutti voi va la mia affettuosa Benedizione.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Desidero ora rivolgere il mio particolare saluto ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli, convenuti a Roma quali pellegrini, guidati da sincero amore alla Chiesa.

Carissimi, il vostro pellegrinaggio vi ha condotti alle Tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, che gli antichi maestri della fede chiamavano, a ragione, le “Colonne della Chiesa”; e qui, vicino alla loro “Memoria”, voi state incontrando il Vicario di Cristo. In questi giorni sappiate rinsaldare il vostro attaccamento alla Chiesa, pregate per essa per la sua missione di salvezza e di pace. Vi chiedo anche una preghiera per me che, quale Successore di Pietro, ho ricevuto il ministero di guidare la nave della Chiesa nel mare, a volte tempestoso, delle vicende del mondo.

A tutti la mia Benedizione!



Mercoledì, 12 luglio 1989

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1. La nostra conoscenza dello Spirito Santo si basa sugli annunzi che ce ne dà Gesù, soprattutto quando parla della sua dipartita e del suo ritorno al Padre. “Quando me ne sarò andato . . . verrà da voi il Paraclito” (cf.
Jn 16,7). Questa “dipartita” pasquale di Cristo, che avviene mediante la Croce, la Risurrezione e l’Ascensione, trova il suo “coronamento” nella Pentecoste, ossia nella discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, “assidui nella preghiera” nel Cenacolo “insieme alla Madre di Gesù”, (cf. Ac 1,14), e al gruppo di persone che formavano il nucleo della Chiesa originaria.

In quell’evento lo Spirito Santo rimane il Dio “misterioso” (cf. Is 45,15). E tale rimarrà durante tutta la storia della Chiesa e del mondo. Si direbbe che egli è “nascosto” nell’ombra di Cristo, il Figlio Verbo consostanziale al Padre, che in modo visibile “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Jn 1,14).

2. Nell’evento dell’Incarnazione lo Spirito Santo non si manifesta visibilmente - rimane il “Dio velato” - e avvolge Maria nel mistero. Alla Vergine, donna scelta per il decisivo avvicinamento di Dio all’uomo, vien detto dall’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1,35).

Similmente nella Pentecoste lo Spirito Santo “stende la sua ombra” sulla Chiesa nascente, perché sotto il suo soffio essa riceva la forza di “annunziare le grandi opere di Dio” (cf. Ac 2,11). Ciò che nell’Incarnazione era avvenuto nel grembo di Maria, trova ora una sua nuova attuazione. Lo Spirito opera come il “Dio nascosto”, invisibile nella sua persona.

3. E tuttavia la Pentecoste è una teofania, cioè una potente manifestazione divina, completamento della teofania avvenuta sul Sinai dopo che Israele era uscito dalla schiavitù d’Egitto sotto la guida di Mosé. Secondo le tradizioni rabbiniche, la teofania del Sinai ebbe luogo cinquanta giorni dopo la Pasqua dell’esodo, il giorno di Pentecoste.

“Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace; tutto il monte tremava molto” (Ex 19,18). Era stata allora una manifestazione della maestà di Dio, della assoluta trascendenza di “colui che è” (cf. Ex 3,14). Già ai piedi del monte Oreb Mosé aveva udito uscire dall’interno del roveto, che ardeva e non si consumava, quelle parole: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa” (Ex 3,5). Ora ai piedi del Sinai il Signore gli intima: “Scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine” (Ex 19,21).

4. La teofania della Pentecoste è il punto di arrivo della serie di manifestazioni, con cui Dio si è fatto progressivamente conoscere dall’uomo. Con essa raggiunge il culmine quell’autorivelazione di Dio, mediante la quale egli ha voluto infondere nel suo popolo la fede nella sua maestà e trascendenza e, al contempo, nella sua presenza immanente di “Emmanuele”, di “Dio con noi”.

Nella Pentecoste si ha una teofania che, con Maria, tocca direttamente tutta la Chiesa nel suo nucleo iniziale, compiendo così il lungo processo cominciato nell’antica alleanza. Se analizziamo i particolari dell’evento del Cenacolo, annotati negli Atti degli Apostoli (Ac 2,1-13), vi troviamo diversi elementi che richiamano le teofanie precedenti, soprattutto quella del Sinai, che Luca sembra aver presente nel descrivere la discesa dello Spirito Santo. La teofania del Cenacolo, secondo la descrizione di Luca, avviene infatti mediante fenomeni somiglianti a quelli del Sinai: “Mentre si svolgeva il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (Ac 2,1-4).

Si tratta di tre elementi - il rombo del vento, le lingue di fuoco, il carisma del linguaggio - ricchi di un valore simbolico, che occorre tener presente. Alla loro luce si comprende meglio che cosa l’autore degli Atti intenda dire quando afferma che i presenti nel Cenacolo “furono tutti pieni di Spirito Santo”.

5. “Un rombo come di vento che si abbatte gagliardo”. Dal punto di vista linguistico qui affiora l’affinità tra il vento (il soffio) e lo “spirito”. In ebraico, come in greco, il “vento” è l’omonimo dello “spirito”: “ruah - pneuma”. Leggiamo nel libro della Genesi (Gn 1,2); “Lo spirito (ruah) di Dio aleggiava sulle acque”, e nel Vangelo di Giovanni: “il vento (pneuma) soffia dove vuole” (Jn 3,8).

Il forte vento nella Bibbia “annuncia” la presenza di Dio. È il segno di una teofania. “Si librò sulle ali del vento” - leggiamo nel secondo libro di Samuele (2S 22,11). “Ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinio di fuoco”: è la teofania descritta all’inizio del libro del profeta Ezechiele (Ez 1,4). In particolare, il soffio del vento è l’espressione della potenza divina, che trae dal caos l’ordine della creazione (cf. Gn 1,2). È anche l’espressione della libertà dello Spirito: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va” (Jn 3,8).

“Un rombo come di vento che si abbatte gagliardo” è il primo elemento della teofania della Pentecoste, manifestazione della potenza divina operante nello Spirito Santo.

6. Il secondo elemento è il fuoco: “Apparvero loro lingue come di fuoco” (Ac 2,3).

Il fuoco è sempre presente nelle teofanie dell’antico testamento: così in occasione dell’alleanza stretta da Dio con Abramo (cf. Gn 15,17); così pure nel roveto che ardeva senza consumarsi quando il Signore si manifestò a Mosé (cf. Ex 3,2); così ancora nella colonna di fuoco, che guidava di notte Israele lungo il cammino nel deserto (cf. Ex 13,21-22). Il fuoco è presente, in particolare nella teofania del monte Sinai (cf. Ex 19,18), e inoltre nelle teofanie escatologiche, descritte dai profeti (cf. Is 4,5 Is 64,1 Da 7,9 etc. ). Il fuoco simboleggia, dunque, la presenza di Dio. La Sacra Scrittura afferma più volte che “il nostro Dio è un fuoco divoratore” (He 12,29, Dt 4,24 Dt 9,3). Nei riti di olocausto ciò che più contava non era la distruzione dell’oggetto offerto, ma il “soave profumo” che simboleggia “l’elevarsi” dell’offerta verso Dio, mentre il fuoco, chiamato anche “ministro di Dio” (cf. Ps 104,4) simboleggiava la purificazione dell’uomo dal peccato, così come l’argento è “purificato” e l’oro è “provato” nel fuoco (cf. Zc Za 13,8-9).

Nella teofania della Pentecoste vi è il simbolo delle lingue di fuoco, che si posano su ognuno dei presenti nel Cenacolo. Se il fuoco simboleggia la presenza di Dio, le lingue di fuoco che si dividono sulle teste, sembrano indicare la “discesa” di Dio - Spirito Santo sui presenti, il suo donarsi a ciascuno di loro per la loro missione.

7. Il donarsi dello Spirito, fuoco di Dio, prende una forma particolare, quella di “lingue” il cui significato viene subito precisato, quando l’autore aggiunge: “Cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (Ac 2,4). Le parole che provengono dallo Spirito Santo sono “come un fuoco” (cf. Jr 5,14 Jr 23,29), hanno un’efficacia che le semplici parole umane non possiedono. In questo terzo elemento della teofania della Pentecoste, Dio-Spirito Santo, donandosi agli uomini, opera in loro un effetto che è nello stesso tempo reale e simbolico. È reale in quanto fenomeno concernente la lingua come facoltà del linguaggio, naturale proprietà dell’uomo. È però anche simbolico perché le persone, che sono “di Galilea” e quindi in grado di servirsi della lingua o dialetto della propria regione, parlano invece “in altre lingue”, così che, nella moltitudine radunatasi ben presto intorno al Cenacolo, ciascuno ode “la propria lingua”, benché vi fossero in essa rappresentanti di diversi popoli (cf. Ac 2,6).

Questo simbolismo della “moltiplicazione delle lingue” è pieno di significato. Secondo la Bibbia la diversità delle lingue era il segno della molteplicità dei popoli e delle nazioni, e anzi della loro dispersione in seguito alla costruzione della torre di Babele (cf. Gn 11,5-9), quando l’unica lingua comune e da tutti compresa si disgregò in molte lingue, reciprocamente incomprensibili. Ora al simbolismo della torre di Babele succede quello delle lingue di Pentecoste, che indica l’opposto di quella “confusione delle lingue”. Si direbbe che le molte lingue incomprensibili hanno preso la loro specificità, o almeno hanno cessato di essere simbolo di divisione, cedendo il posto alla nuova opera dello Spirito Santo che mediante gli apostoli e la Chiesa porta all’unità spirituale genti di origini, lingue e culture diverse, in vista della perfetta comunione in Dio annunciata e invocata da Gesù (cf. Jn 17,11 Jn 17,21-22).

8. Concludiamo con le parole del Concilio Vaticano II nella costituzione sulla divina Rivelazione: “Cristo . . . manifestò con opere e parole il Padre suo e Se stesso e portò a compimento l’opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, e l’invio dello Spirito Santo. Sollevato in alto attira tutti a sé (cf. Jn 12,32), Lui, che solo ha parole di vita eterna (cf. Jn 6,68). Ma questo mistero non fu palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli suoi e ai profeti nello Spirito Santo (cf. Ep 3,4-6), affinché predicassero l’Evangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo e Signore e congregassero la Chiesa” (Dei Verbum DV 17). Questa è la grande opera dello Spirito Santo e della Chiesa nei cuori e nella storia.

Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di espressione inglese



Ad un pellegrinaggio giapponese

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIMI PELLEGRINI provenienti da ogni parte del Giappone, il frutto del vostro pellegrinaggio in Terra Santa, qui a Roma e ad Assisi, rimanga nella vostra vita quotidiana. Auspico pure che questo frutto, per intercessione della Madonna, contribuisca alla diffusione del Regno di Dio.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di espressione spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese


Ad un gruppo di pellegrini ungheresi

È PRESENTE NELL’ODIERNA udienza generale un gruppo di pellegrini ungheresi provenienti dalla città di Budapest e dalle altre località della diocesi di Esztergom.

Ai fedeli polacchi


Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli

Rivolgo ora un cordiale saluto ai gruppi di giovani, di malati e di sposi novelli, qui presenti. A voi, cari giovani, auguro che sia consentito un sereno riposo dopo gli impegni scolastici e che possiate profittare delle vacanze estive per ritemprare lo spirito anche con la lettura di qualche buon libro. A voi, prediletti ammalati, auguro che il Signore non faccia mancare, in questo periodo di ferie, tutte quelle amorevoli cure di cui avete bisogno e alle quali avete diritto: vi sia di conforto la presenza benefica, accanto a voi, di cuori generosi e premurosi. E a voi, sposi novelli, che avete reso santo e forte il vostro amore col sacramento del matrimonio, auguro di vivere nella gioia l’unione delle vostre vite, e maturare e rafforzarvi sempre più nella donazione reciproca per poter affrontare serenamente eventuali difficoltà. Tutti vi benedico di cuore.





Catechesi 79-2005 28689