Catechesi 79-2005 15119

Mercoledì, 15 novembre 1989

15119

1. Dopo aver riferito il primo discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste, l’autore degli Atti ci informa che i presenti “all’udir tutto questo, si sentirono trafiggere il cuore” (
Ac 2,37). Sono parole eloquenti, che indicano l’azione dello Spirito Santo nelle anime di coloro che ascoltarono da Pietro il primo kerigma apostolico, la sua testimonianza su Cristo crocifisso e risorto, la sua spiegazione dei fatti straordinari avvenuti quel giorno. In particolare, quella prima presentazione pubblica del mistero pasquale aveva raggiunto il centro stesso delle attese degli uomini dell’antica alleanza, quando Pietro aveva detto: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (Ac 2,36).

La discesa dello Spirito Santo, che aveva operato quel giorno anzitutto negli apostoli, adesso operava negli uditori del loro messaggio. Le parole di Pietro avevano raggiunto i cuori, destandovi “la convinzione quanto al peccato”: l’inizio della conversione.

2. Col cuore così compunto, “. . . dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?»” (Ac 2,37). La domanda: “Che cosa dobbiamo fare?” dimostra la disponibilità della volontà. Era la buona predisposizione interiore degli ascoltatori di Pietro che, all’ascolto della sua parola, si erano resi conto che era necessario apportare una svolta nella loro vita. Si rivolsero a Pietro e anche agli altri apostoli, perché sapevano che Pietro aveva parlato e parlava anche a loro nome, e che perciò “gli undici” (cioè tutti gli apostoli) erano testimoni della stessa verità e incaricati della stessa missione. È anche significativo il fatto che essi li chiamarono “fratelli”, facendo eco a Pietro, che aveva parlato con spirito fraterno nel suo discorso, nella cui ultima parte si era rivolto ai presenti con l’appellativo di “fratelli”.

3. Lo stesso Pietro risponde ora alla domanda dei presenti. È una risposta molto semplice, che ben si può definire lapidaria: “Pentitevi” (Ac 2,38). Con questa esortazione Gesù di Nazaret aveva iniziato la sua missione messianica (cf. Mc 1,15). Ora Pietro la ripete nel giorno della Pentecoste, con la potenza dello Spirito di Cristo, che è disceso in lui e negli altri apostoli.

È il passo fondamentale della conversione operata dallo Spirito Santo, come ho sottolineato nell’enciclica Dominum et Vivificantem: “Divenendo “luce dei cuori”, cioè delle coscienze, lo Spirito Santo “convince del peccato”, ossia fa conoscere all’uomo il suo male (= il male da lui commesso), e, nello stesso tempo, lo orienta verso il bene . . . Sotto l’influsso del Consolatore si compie, dunque, quella conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile del perdono dei peccati” (Dominum et Vivificantem DEV 42).

4. “Pentitevi”, sulla bocca di Pietro significa: passate dal rifiuto di Cristo alla fede nel Risorto. La crocifissione era stata l’espressione definitiva del rifiuto di Cristo, sigillato da una morte infame sul Golgota. Ora l’Apostolo esorta i crocifissori di Gesù alla fede nel risorto: “Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte” (Ac 2,24). Ormai la Pentecoste è la conferma della Risurrezione di Cristo.

L’esortazione alla conversione implica soprattutto la fede in Cristo-redentore. La Risurrezione infatti è la rivelazione di quella potenza divina, che per mezzo della crocifissione e morte di Cristo opera la Redenzione dell’uomo, la sua liberazione dal peccato.

Se mediante le parole di Pietro lo Spirito Santo “convince quanto al peccato”, lo fa “in forza della redenzione, operata dal sangue del Figlio dell’uomo . . . La Lettera agli Ebrei dice che questo “sangue purifica la coscienza” (cf. He 9,14). Esso, dunque, per così dire, apre allo Spirito Santo la via verso l’intimo dell’uomo, cioè il santuario delle coscienze umane” (Dominum et Vivificantem DEV 42).

A questo livello di profondità e di interiorità - ci annuncia e attesta Pietro nel suo discorso di Pentecoste - giunge l’azione dello Spirito Santo in forza della Redenzione operata da Cristo.

5. Pietro completa così il suo messaggio: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (Ac 2,38). Qui sentiamo l’eco di ciò che Pietro e gli altri apostoli udirono da Gesù dopo la sua Risurrezione, quando “aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare . . .” e nel suo nome saranno predicate a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme” (Lc 24,45-47).

Adeguandosi fedelmente a ciò che Cristo aveva stabilito (cf. Mc 16,16 Mt 28,19), Pietro richiede non solo il “pentimento” ma anche il Battesimo nel nome di Cristo “per la remissione dei . . . peccati” (Ac 2,38). Infatti gli apostoli, il giorno di Pentecoste, sono stati “battezzati in Spirito Santo” (cf. Ac 2,4). Perciò, trasmettendo la fede in Cristo redentore, esortano al Battesimo che è il primo sacramento di questa fede. Poiché esso opera la remissione dei peccati, la fede deve trovare nel Battesimo la propria espressione sacramentale perché l’uomo diventi partecipe del dono dello Spirito Santo.

Questa è la via ordinaria, possiamo dire, della conversione e della grazia. Non è escluso che esistano anche altre vie, poiché “lo Spirito soffia dove vuole” (cf. Jn 3,8) e può compiere l’opera della salvezza mediante la santificazione dell’uomo anche fuori del sacramento quando questo non è possibile. È il mistero dell’incontro fra la grazia divina e l’anima umana: basti per ora, avervi solo accennato, perché ne riparleremo, a Dio piacendo, nelle catechesi sul Battesimo.

6. Nell’enciclica Dominum et Vivificantem mi sono soffermato ad analizzare la vittoria sul peccato riportata dallo Spirito Santo in riferimento all’azione di Cristo redentore. Là ho scritto: “Il convincere del peccato, mediante il ministero dell’annuncio apostolico della Chiesa nascente, viene riferito - sotto l’impulso dello Spirito effuso nella Pentecoste - alla potenza redentrice di Cristo crocifisso e risorto. Così si adempie la promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di Pasqua: “Egli prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Quando dunque, durante l’evento della Pentecoste, Pietro parla del peccato di coloro che “non hanno creduto” ed hanno consegnato ad una morte ignominiosa Gesù di Nazaret, egli rende testimonianza alla vittoria sul peccato: vittoria che si è compiuta, in certo senso, mediante il peccato più grande che l’uomo poteva commettere: l’uccisione di Gesù, Figlio di Dio, consostanziale al Padre! Similmente, la morte del Figlio di Dio vince la morte umana: “Ero mors tua, o mors”, come il peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio “vince” il peccato umano! Quel peccato che si consumò a Gerusalemme il giorno del Venerdì santo - e anche ogni peccato dell’uomo. Infatti, al più grande peccato da parte dell’uomo corrisponde, nel cuore del Redentore, l’oblazione del supremo amore, che supera il male di tutti i peccati degli uomini” (Dominum et Vivificantem DEV 31).

La vittoria è dunque dell’amore! Questa è la verità racchiusa nell’esortazione di Pietro alla conversione mediante il Battesimo.

7. In forza dell’amore vittorioso di Cristo anche la Chiesa nasce nel Battesimo sacramentale per opera dello Spirito Santo il giorno della Pentecoste, quando avvengono le prime conversioni a Cristo.

Leggiamo infatti che “allora quelli che accolsero la sua parola (cioè la verità racchiusa nelle parole di Pietro) furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (Ac 2,41): “si unirono” cioè a coloro che già in precedenza erano “stati battezzati in Spirito Santo”, gli apostoli. Battezzati “con l’acqua e con lo Spirito Santo”, diventano la comunità “dei figli adottivi di Dio” (cf. Rm 8,15). Come “figli nel Figlio” (cf. Ep 1,5) diventano “uno” nel legame di una nuova fratellanza. Mediante l’azione dello Spirito Santo diventano la Chiesa di Cristo.

8. A questo proposito occorre ricordare l’evento riguardante Simon Pietro, che era accaduto sul lago di Genesaret. L’evangelista Luca narra che Gesù “disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano . . . e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore . . .” Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,4-8 Lc 5,10-11).

In quell’evento-segno vi era l’annuncio della futura vittoria sul peccato mediante la fede, il pentimento e il Battesimo, predicati da Pietro in nome di Cristo. Quell’annuncio divenne realtà il giorno di Pentecoste, quando fu confermato per opera dello Spirito Santo. Pietro il pescatore e i suoi compagni del lago di Genesaret ritrovarono in questa realtà l’espressione pasquale della potenza di Cristo - e allo stesso tempo il significato della loro missione apostolica. Trovarono l’attuazione dell’annunzio: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”.

Ai fedeli di lingua francese

Ai numerosi pellegrini di espressione inglese

Ai gruppi di espressione tedesca

Ai numerosi fedeli di lingua spagnola


Ai pellegrini di espressione portoghese

Ai fedeli di lingua polacca

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio consueto, cordiale saluto ai giovani, agli ammalati ed alle coppie di sposi novelli, presenti a questa Udienza.

A TUTTI IL MIO benvenuto. Invito, in particolare, i giovani a saper cogliere dai messaggi della cultura e della tecnica ciò che nutre lo spirito ed avvia verso responsabilità sociali positive e generose. Ai malati chiedo di sostenere con la loro sofferenza e preghiera l’impegno della Chiesa per l’Evangelizzazione del mondo. Agli sposi auguro che le loro nuove famiglie siano sempre aperte ai valori dello spirito e della generosità dell’amore vero.

Su tutti scenda la mia affettuosa Benedizione.



Mercoledì, 22 novembre 1989

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1. Come abbiamo visto nel progressivo svolgimento delle catechesi pneumatologiche, nel giorno di Pentecoste lo Spirito Santo si rivela nella sua potenza salvifica. Si rivela come “un altro Paraclito” (cf.
Jn 14,16), che “procede dal Padre” (Jn 15,26), che “il Padre manda nel nome del Figlio” (cf. Jn 14,26). Si rivela come “Qualcuno” distinto dal Padre e dal Figlio, e contemporaneamente ad essi consostanziale. Si rivela per opera del Figlio, anche se rimane invisibile. Si rivela per mezzo della sua potenza con un’azione propria, distinta da quella del Figlio, e nello stesso tempo a lui intimamente unita. Tale è lo Spirito Santo secondo l’annuncio di Cristo il giorno prima della Passione: “Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Jn 16,14); “Non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Jn 16,13).

Il “Parákletos”-Consolatore non sostituisce Cristo, viene dopo di lui, in virtù del suo sacrificio redentivo. Viene perché Cristo possa rimanere nella Chiesa e operare in essa come redentore e Signore.

2. Ho scritto nell’enciclica Dominum et Vivificantem: “Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste . . . nell’economia della salvezza, un intimo legame, per il quale lo Spirito opera nella storia dell’uomo come “un altro consolatore”, assicurando in maniera duratura la trasmissione e l’irradiazione della Buona Novella, rivelata da Gesù di Nazaret. Perciò nello Spirito Santo Paraclito, che nel mistero e nell’azione della Chiesa continua incessantemente la presenza storica del Redentore sulla terra e la sua opera salvifica, risplende la gloria di Cristo, come attestano le successive parole di Giovanni: «Egli (cioè lo Spirito) mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annuncerà»” (Dominum et Vivificantem DEV 7).

3. La verità contenuta in questa promessa di Gesù, nella Pentecoste diventa trasparente: lo Spirito Santo “rivela” pienamente il mistero di Cristo, la sua missione messianica e redentrice. La Chiesa primitiva ha coscienza di questo fatto, come si rileva dal primo kerigma di Pietro e da molti successivi episodi, annotati negli Atti degli Apostoli.

Nel giorno di Pentecoste è significativo il fatto che Pietro, rispondendo alla domanda dei suoi ascoltatori: “Che cosa dobbiamo fare?”, li esorti: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo” (Ac 2,38). Si sa che Gesù Cristo, inviando gli apostoli in tutto il mondo, aveva ordinato loro di amministrare il Battesimo “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Pietro si fa eco fedele di quella parola del Maestro e il risultato è che, nella circostanza, “circa tremila persone” (Ac 2,41) vengono battezzate “nel nome di Gesù Cristo” (Ac 2,38). Quest’espressione, “nel nome di Gesù Cristo”, rappresenta la chiave per entrare con la fede nella pienezza del mistero trinitario e così diventare possesso di Cristo, come persone a lui consacrate. In questo senso gli Atti parlano dell’invocazione del nome di Gesù per essere salvi (cf. Ac 2,21 Ac 3,16 Ac 4,10-12 Ac 8,16 Ac 10,48 Ac 19,5 Ac 22,16), e san Paolo nelle sue lettere insiste sulla stessa esigenza di ordine salvifico (cf. Rm 6,3 1Co 6,11 Ga 3,27 cf. etiam Jc 2,7). Il Battesimo “nello Spirito Santo”, conferito “nel nome di Cristo”, concretizza il dono trinitario che Gesù stesso promise la sera dell’ultima Cena, quando disse agli apostoli: “Lo Spirito di verità . . . mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Jn 16,13-15).

4. Anche in tutte le azioni compiute dopo la Pentecoste sotto l’influsso dello Spirito Santo, gli apostoli si riferiscono a Cristo, come a ragione, a principio, a potenza operatrice. Così nella guarigione dello storpio incontrato “presso la porta del tempio detta Bella” (Ac 3,2), Pietro gli dice: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (Ac 3,6). Questo segno attira sotto il portico molte persone, e Pietro parla loro, come nel giorno di Pentecoste, del Cristo crocifisso che “Dio . . . ha risuscitato dai morti, e di questo noi siamo testimoni” (Ac 3,15).È la fede in Cristo che ha guarito lo storpio: “Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi” (Ac 3,16).

5. Quando gli apostoli furono convocati per la prima volta davanti al sinedrio, “Pietro, pieno di Spirito Santo”, in presenza dei “capi del popolo e degli anziani” (cf. Ac 4,8) rese ancora una volta testimonianza a Cristo crocifisso e risorto, e concluse la sua risposta ai sinedriti nel modo seguente: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (Ac 4,12). Quando furono “rimessi in libertà”, l’autore degli Atti narra che tornarono “dai loro fratelli” e con essi lodarono il Signore (cf. Ac 4,29-30). Poi ci fu una specie di Pentecoste minore: “Quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza” (Ac 4,31). E anche in seguito, nella prima comunità cristiana e dinanzi al popolo, “con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande stima” (Ac 4,33).

Espressione particolare di questa intrepida testimonianza a Cristo sarà il diacono Stefano, il primo martire, del quale leggiamo, nel racconto della sua morte: “Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui” (Ac 7,55-59).

6. Da queste e da altre narrazioni degli Atti risulta chiaramente che l’insegnamento impartito dagli apostoli sotto l’influsso dello Spirito Santo ha il suo punto di riferimento, la sua chiave di volta in Cristo. Lo Spirito Santo consente agli apostoli e ai loro discepoli di penetrare nella verità del Vangelo annunciato da Cristo, e in particolare nel suo mistero pasquale. Accende in essi l’amore per Cristo sino al sacrificio della vita. Fa sì che la Chiesa realizzi, fin da principio, il Regno portato da Cristo. E questo Regno, sotto l’azione dello Spirito Santo e con la collaborazione degli apostoli, dei loro successori e dell’intera Chiesa, si svilupperà nella storia sino alla fine dei tempi. Non vi è traccia nei Vangeli, negli Atti e nelle lettere degli apostoli di qualsiasi utopismo pneumatologico, per il quale al Regno del Padre (antico testamento) e di Cristo (nuovo testamento) dovrebbe succedere un Regno dello Spirito Santo, rappresentato da pretesi “spirituali” liberi da ogni legge, anche da quella evangelica predicata da Gesù. Come scrive san Tommaso d’Aquino, “l’antica legge non era soltanto del Padre, ma anche del Figlio, poiché l’antica legge prefigurava il Cristo . . . Così pure la nuova legge non è soltanto di Cristo, ma anche dello Spirito Santo, secondo l’espressione paolina: “La legge dello Spirito di vita in Cristo Gesù . . .”. (Rm 8,2). Perciò non c’è da attendere un’altra legge, che sia dello Spirito Santo” (Summa Theologiae, I-II 106,4, ad 3). Furono alcuni medioevali a sognare e a predire, sulla base delle speculazioni apocalittiche del pio monaco calabrese Gioacchino da Fiore (m. 1202), l’avvento di un “terzo regno”, nel quale si sarebbe avverato il rinnovamento universale in preparazione della fine del mondo predetta da Gesù (cf. Mt 24,14). Ma san Tommaso fa ancora notare che “fin dal principio della predicazione evangelica Cristo ha affermato: “Il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Perciò è cosa stoltissima dire che il Vangelo di Cristo non è il Vangelo del Regno” Summa Theologiae, I-II 106,4, ad 4). È uno dei rarissimi casi in cui il santo dottore usò parole severe nel giudicare una opinione erronea, perché nel secolo XIII era viva la polemica suscitata dalle elucubrazioni degli “spirituali”, che abusavano della dottrina gioachimita, e d’altra parte egli percepiva tutta la pericolosità delle pretese di indipendenza e di innovazione fondate sulla presunzione dei “carismi”, a danno della causa del Vangelo e del vero “Regno di Dio”. Perciò richiamava alla necessità della “predicazione del Vangelo in tutto il mondo con pieno successo, cioè con la fondazione della Chiesa in ciascuna nazione. E in tal senso . . . il Vangelo non è stato predicato in tutto il mondo: e la fine del mondo avverrà dopo questa predicazione” (S. Thomae, “Summa Theologiae”, I-II 106,4, ad 4).

Questa linea di pensiero è stata propria della Chiesa fin da principio, in base al kerigma di Pietro e degli altri apostoli, nel quale non vi è nemmeno l’ombra di una dicotomia tra Cristo e lo Spirito Santo, bensì la conferma di quanto Gesù aveva detto del Paraclito nell’ultima Cena: “Egli non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà” (Jn 16,13-14).

7. A questo punto non possiamo non rallegrarci dell’ampio spazio riservato dalla teologia dei nostri fratelli d’Oriente alla riflessione sul rapporto tra Cristo e lo Spirito Santo, rapporto che trova la sua espressione più intima nel Cristo-Pneuma dopo la Risurrezione e la Pentecoste, sulla scia di san Paolo che parlava dell’“ultimo Adamo divenuto spirito datore di vita” (1Co 15,45). È un campo aperto allo studio e alla contemplazione del mistero, che è nello stesso tempo cristologico e trinitario. Nell’enciclica Dominum et Vivificantem è detto: “La suprema e completa autorivelazione di Dio compiutasi in Cristo, testimoniata dalla predicazione degli apostoli, continua a manifestarsi nella Chiesa mediante la missione dell’invisibile consolatore, lo Spirito di verità. Quanto intimamente questa missione sia collegata con la missione di Cristo, quanto pienamente essa attinga a questa missione di Cristo, consolidando e sviluppando nella storia i suoi frutti salvifici, è espresso dal verbo “prendere”: “Prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Quasi a spiegare la parola “prenderà”, mettendo in chiara evidenza l’unità divina e trinitaria della fonte. Gesù aggiunge: “Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Prendendo del “mio”, per ciò stesso egli attingerà a «quello che è del Padre»” Dominum et Vivificantem, DV 7).

Riconosciamolo francamente: questo mistero della presenza trinitaria nell’umanità mediante il Regno di Cristo e dello Spirito è la verità più bella e più letificante che la Chiesa possa donare al mondo.

Ai fedeli di lingua francese



Ai fedeli di lingua inglese


A pellegrini provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

CARISSIMI PELLEGRINI provenienti da varie parti del Giappone, so che nelle vostre comunità cristiane si tiene in grande considerazione la recita del santo Rosario. Vi invito, carissimi, a pregare per la pace del mondo e, in particolare, per il progresso spirituale di ciascuno.

Questo è anche il mio augurio a tutti voi.

Vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua portoghese


Ai gruppi di lingua spagnola



Ai pellegrini polacchi


Ai gruppi italiani

Il mio cordiale pensiero va ora ai numerosi gruppi di lingua italiana, tra i quali sono i Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, detti “Dehoniani”, che sono presenti a Roma per un corso di approfondimento ed aggiornamento del loro delicato compito di formatori del giovani nel loro Istituto; le Suore di Santa Maria della Divina Provvidenza, che si preparano alla professione perpetua: un impegno definitivo nel loro servizio a Cristo ed ai fratelli; un saluto particolare rivolgo pure ai membri dell’Istituto secolare “Cristo Re”, che partecipano ad un corso di esercizi spirituali. A questo benemerito Istituto, nato a Milano nel 1939 per iniziativa del compianto Prof. Giuseppe Lazzati, esprimo l’augurio che possa rendere sempre più incisiva ed efficace la sua presenza laicale cristiana nel mondo.
* * *


Infine un cordiale pensiero ed un caldo augurio ai redattori del periodico cattolico forlivese “Il Momento”, che ricorda il settantesimo anniversario della sua istituzione. Vi esprimo le mie felicitazioni per la lunga testimonianza culturale, sociale e religiosa che il vostro giornale ha saputo dare in questi anni; vi esprimo anche e soprattutto fervidi auguri perché possiate ben continuare il vostro prezioso lavoro di informazione e di formazione cristiana.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo, come di consueto, il mio saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, presenti in questa udienza.

Carissimi, desidero attirare la vostra attenzione sull’amabile santa romana Cecilia, di cui oggi ricordare la memoria liturgica. È importante conoscere la personalità dei Santi per poterli imitare ed invocare.

Ella che, nel fiore dei suoi giovani anni, seppe sostenere dure prove per restare fedele ai suoi impegni col Signore, è per voi, ragazzi e ragazze, un chiaro esempio di coerenza e di fortezza d’animo nelle difficoltà, che potrete incontrare nel vostro cammino di fede.

Per voi, ammalati, la serenità con la quale la Santa affrontò il martirio cruento sia di sostegno e di incoraggiamento nei momenti difficili della vostra vita.

Infine, il tenero amore che Ella nutrì per lo sposo Valeriano e lo zelo, col quale si prodigò per condurlo alla fede e alla totale conversione a Cristo, sono esempi meravigliosi che devono distinguere la vita cristiana di voi, sposi novelli, che intendete porre la vostra famiglia sotto la protezione di Dio.

A tutti imparto la mia Benedizione.



Mercoledì, 29 novembre 1989

29119

1. La venuta dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste è un evento unico, che però non si esaurisce in se stesso. È invece l’inizio di un processo duraturo, del quale solo le prime fasi sono annotate negli Atti degli Apostoli. Riguardano prima di tutto la vita della Chiesa a Gerusalemme, dove gli apostoli, dopo aver reso testimonianza a Cristo e allo Spirito e ottenuto le prime conversioni, dovettero difendere il diritto all’esistenza della prima comunità dei discepoli e seguaci di Cristo di fronte al sinedrio. Gli Atti ci dicono che anche di fronte agli anziani, gli apostoli vennero assistiti dalla stessa forza ricevuta nella Pentecoste: furono “pieni di Spirito Santo” (cf. es gr
Ac 4,8).

Questa forza dello Spirito si manifesta operante in alcuni momenti e aspetti della vita della comunità gerosolimitana, della quale gli Atti fanno una particolare menzione.

2. Riassumiamoli succintamente, cominciando dalla preghiera unanime in cui la comunità si raccoglie quando gli apostoli, di ritorno dal sinedrio, riferirono ai “fratelli” quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani: “Tutti insieme levarono la loro voce a Dio . . .” (Ac 4,24). Nella bella preghiera riportata da Luca, gli oranti riconoscono il disegno divino nella persecuzione, ricordando come Dio ha parlato “per mezzo dello Spirito Santo” (Ac 4,25), e riferiscono le parole del Salmo 2 (Ps 2,1-2) sulle ostilità scatenate dai re e popoli della terra “contro il Signore e contro il suo Cristo”, applicandole alla morte di Gesù: “Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Pilato con le genti e i popoli d’Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse. Ed ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola” (Ac 4,25-30).

È una preghiera piena di fede e di abbandono in Dio, alla fine della quale si ha una nuova manifestazione dello Spirito e quasi un nuovo evento della Pentecoste.

3. “Quand’ebbero terminato la preghiera il luogo in cui erano radunati tremò” (Ac 4,31). Si ha dunque una nuova manifestazione sensibile della potenza dello Spirito Santo, come era avvenuto nella prima Pentecoste. Anche l’accenno al luogo in cui la comunità è riunita conferma l’analogia col Cenacolo, e significa che lo Spirito Santo vuole coinvolgere tutta la comunità con la sua azione trasformante. Allora “tutti furono pieni di Spirito Santo”: non solo gli apostoli che hanno affrontato i capi del popolo ma tutti i “fratelli” (Ac 4,23) riuniti con loro, che sono il nucleo centrale e più rappresentativo della prima comunità. Col nuovo entusiasmo suscitato dalla nuova “pienezza” dello Spirito Santo, - dicono gli Atti - “annunziavano la parola di Dio con franchezza” (Ac 4,31). Era l’esaudimento della preghiera che avevano rivolto al Signore: “Concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola” (Ac 4,29).

La “piccola” Pentecoste segna dunque un nuovo inizio della missione evangelizzatrice dopo il giudizio e l’incarcerazione degli apostoli da parte del sinedrio. La forza dello Spirito Santo si manifesta specialmente nella franchezza, che già i sinedriti avevano notato in Pietro e Giovanni, non senza rimanere stupiti “considerando che erano senza istruzione e popolani” e “riconoscendoli per coloro che erano stati con Gesù” (Ac 4,13). Ora gli Atti sottolineano di nuovo che “pieni di Spirito Santo annunziavano la parola di Dio con franchezza”.

4. Anche tutta la vita della comunità primitiva di Gerusalemme porta i segni dello Spirito Santo, che ne è la guida e l’animatore invisibile. La visione d’insieme che ne dà Luca, ci consente di vedere in quella comunità quasi il tipo delle comunità cristiane formate nei secoli, da quelle parrocchiali a quelle religiose, nelle quali il frutto della “pienezza dello Spirito Santo” si concretizza in alcune forme fondamentali di organizzazione, in parte codificate nello stesso diritto della Chiesa.

Sono principalmente le seguenti: la “comunione” (koinonia) nella fraternità e nell’amore (cf. Ac 2,42), sicché si poteva dire di quei cristiani che erano “un cuore solo e un’anima sola” (Ac 4,32); lo spirito comunitario nella consegna dei beni agli apostoli per la distribuzione a ciascuno secondo il bisogno (Ac 4,34-37) o nel loro uso quando se ne conservava la proprietà, sicché “nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva” (Ac 4,32 cf. Ac 2,44-45 Ac 4,34-37); la comunione nell’ascoltare assiduamente l’insegnamento degli apostoli (Ac 2,42) e la loro “testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (Ac 4,33); la comunione nella “frazione del pane” (Ac 2,42), ossia nel pasto in comune secondo l’uso giudaico, nel quale però per i cristiani si inseriva il rito eucaristico (cf. 1Co 10,16 1Co 11,24 Lc 22,19 Lc 24,35); la comunione nella preghiera (Ac 2,42 Ac 2,46-47). La Parola di Dio, l’Eucaristia, la preghiera, la carità fraterna, erano dunque il quadrilatero entro il quale viveva, cresceva e si irrobustiva la comunità.

5. Da parte loro gli apostoli “con grande forza rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (Ac 4,33), e compivano “molti miracoli e prodigi” (Ac 5,12), come avevano chiesto nella preghiera del Cenacolo: “Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù” (Ac 4,30). Erano segni della presenza e dell’azione dello Spirito Santo, a cui era riferita tutta la vita della comunità. Anche la colpa di Anania e Saffira, che finsero di portare agli apostoli e alla comunità l’intero prezzo di un podere venduto, trattenendone invece una parte, è considerata da Pietro una mancanza contro lo Spirito Santo: “Tu hai mentito allo Spirito Santo” (Ac 5,3); “Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore?” (Ac 5,9). Non si trattava di un “peccato contro lo Spirito Santo” nel senso in cui ne avrebbe parlato il Vangelo (cf. Lc 12,10) e che sarebbe passato nei testi morali e catechistici della Chiesa. Era piuttosto un venir meno all’impegno dell’“unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace”, come avrebbe detto san Paolo (Ep 4,3): e dunque una finzione nel professare quella comunione cristiana nella carità, di cui è anima lo Spirito Santo!

6. La consapevolezza della presenza e dell’azione dello Spirito Santo si ritrovano nella elezione dei sette diaconi, uomini “pieni di Spirito e di saggezza” (Ac 6,3), e in particolare di Stefano; “uomo pieno di fede e di Spirito Santo” (Ac 6,5), che ben presto cominciò a predicare Gesù Cristo con passione, entusiasmo e fortezza, compiendo “prodigi e miracoli tra il popolo” (Ac 6,8). Avendo suscitato l’ira e la gelosia di una parte dei Giudei, che insorsero contro di lui, Stefano non cessò di predicare e non esitò ad accusare quegli oppositori di essere gli eredi dei loro padri nell’“opporre resistenza allo Spirito Santo” (Ac 7,51), andando così serenamente incontro al martirio, come dicono gli Atti: “Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra . . .” (Ac 7,55), e in quell’atteggiamento venne lapidato.

Così la Chiesa primitiva, sotto l’azione dello Spirito Santo, aggiungeva alla esperienza della comunione anche quella del martirio.

7. La comunità di Gerusalemme era composta di uomini e donne provenienti dal giudaismo, come gli stessi apostoli e Maria. Non possiamo dimenticare questo fatto, anche se in seguito quei giudeo-cristiani, riuniti intorno a Giacomo quando Pietro prese la via di Roma, si dispersero e sparirono poco per volta. Tuttavia, ciò che sappiamo dagli Atti deve ispirarci rispetto e anche riconoscenza per quei nostri lontani “fratelli maggiori”, in quanto essi appartenevano a quel popolo gerosolimitano che circondava di “simpatia” gli apostoli (cf. Ac 2,47), i quali “rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (Ac 4,33). Non possiamo nemmeno dimenticare che dopo la lapidazione di Stefano e la conversione di Paolo, la Chiesa, sviluppatasi da quella prima comunità, “era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo” (Ac 9,31).

Dunque i primi capitoli degli Atti degli Apostoli ci attestano che ebbe compimento la promessa fatta da Gesù agli apostoli nel Cenacolo, prima della Passione: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità” (Jn 14,16-17). Come abbiamo visto a suo tempo, “Consolatore” - in greco “Parákletos” - significa anche Patrocinatore o “Difensore”. E sia come patrocinatore o “Difensore”, sia come “Consolatore” lo Spirito Santo si rivela presente e operante nella Chiesa sin da quei suoi inizi nel cuore del giudaismo. Vedremo che ben presto lo stesso Spirito porterà gli apostoli e i loro collaboratori ad estendere la Pentecoste a tutte le genti.

Ai pellegrini francesi



Ai fedeli di lingua inglese


Ad un gruppo di buddisti provenienti dal Giappone

SALUTO I MEMBRI della “Tenrikyo” (= gruppo buddista) di Gifu. Ringrazio sentitamente per la vostra visita annuale qui in Vaticano.

La preghiera, come ben sappiamo, è un mezzo potente anche per trasformare il mondo. Ebbene, dilettissimi, continuiamo a pregare per la pace nel mondo, come tante volte ho suggerito e come tre anni fa abbiamo fatto insieme ad Assisi.

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli provenienti dalla Spagna e dall’America Latina

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini provenienti dalla Polonia

Ai gruppi e pellegrinaggi italiani

Giunga ora la mia parola di benvenuto ai rappresentanti del Comitato Permanente per il Seminario Internazionale “Terra Mater”. Volentieri esprimo a voi ed a quanti con voi collaborano il mio saluto e il mio apprezzamento per quanto compite con l’intento di far crescere in ogni persona quel rispetto per l’ambiente e quell’atteggiamento religioso, che S. Francesco d’Assisi ebbe dinanzi al creato, opera di Dio.
* * *


Rivolgo poi il mio saluto ai Sindaci, agli Assessori ed ai Consiglieri dei Comuni della Diocesi di Chiàvari, che sono oggi venuti qui insieme col Vescovo, Monsignor Daniele Ferrari. Vi esorto ad edificare la città dell’uomo, costruendola sul fondamento del Redentore e del suo messaggio evangelico di giustizia e di amore, di servizio e di concordia.

La Madonna, che è molto venerata nei numerosi santuari della vostra terra, vi ottenga grazie ad energie spirituali a sostegno del vostro lavoro, che mira al progresso morale e civile delle popolazioni che rappresentate.

Saluto ora i giovani, i malati e le coppie di sposi novelli.

Esorto ciascuno di voi, carissimi giovani, ad accogliere il Redentore e la sua grazia, che rende ogni credente, come lievito evangelico, operatore di serenità e di pace tra i fratelli. Gesù il Cristo, che mediante la Croce e la Risurrezione ha mostrato la profondità inaudita del suo amore, conceda a tutti voi, malati, l’atteso conforto, perché la vostra esistenza sia ancorata fortemente alla speranza che proviene da Dio. Egli dà valore e dignità a ciascun istante della vita, anche quando essa è afflitta da sofferenze. Invito voi, infine, sposi novelli, che avete riconosciuto nel vostro amore un dono del Signore, a cooperare con la grazia sacramentale del matrimonio, che rende pura, feconda e profondamente lieta la vita familiare.

Imparto a tutti la mia Benedizione Apostolica.





Catechesi 79-2005 15119