Catechesi 79-2005 17190

Mercoledì, 17 gennaio 1990

17190

1. L’Antico Testamento ci offre preziose testimonianze circa il ruolo riconosciuto allo “Spirito” di Dio - come “soffio”, “alito”, “forza vitale”, simboleggiato dal vento - non solo nei libri che raccolgono la produzione religiosa e letteraria degli autori sacri, specchio della psicologia e del linguaggio di Israele, ma anche nella vita dei personaggi che fanno da guida al popolo nel suo cammino storico verso l’avvenire messianico.

È lo Spirito di Dio che, secondo gli autori sacri, agisce sui capi facendo sì che essi non solo operino in nome di Dio, ma con la loro azione servano veramente al compimento dei disegni divini; e guardino perciò non tanto alla costruzione e all’ingrandimento di un loro potere personale o dinastico secondo le prospettive di una concezione monarchica o aristocratica, ma alla prestazione di un servizio utile agli altri e particolarmente al popolo. Si può dire che, attraverso questa mediazione dei capi, lo Spirito di Dio penetra e conduce la storia di Israele.

2. Già nella storia dei patriarchi si osserva che a guidarli e a condurli nel loro cammino, nei loro spostamenti, nelle loro vicende, c’è una mano superna, realizzatrice di un piano che riguarda la loro “discendenza”. Tra di essi è Giuseppe, nel quale risiede lo Spirito di Dio come spirito di sapienza, scoperto dal faraone, che chiede ai suoi ministri: “Potremo trovare un uomo come questo, in cui sia lo spirito di Dio?” (
Gn 41,38). Lo spirito di Dio rende Giuseppe capace di amministrare il paese e di svolgere una sua straordinaria funzione non solo per la sua famiglia e le diramazioni genealogiche di questa, ma in ordine a tutta la futura storia di Israele.

Anche su Mosè, mediatore tra Jahvè e il popolo, agisce lo spirito di Dio, che lo sostiene e lo guida nell’esodo che porterà Israele ad avere una patria e a diventare un popolo indipendente, capace di assolvere il suo compito messianico. In un momento di tensione nell’ambito delle famiglie accampate nel deserto, quando Mosè si lamenta con Dio perché si sente impari a portare “il peso di tutto questo popolo”, Dio gli comanda di scegliere settanta uomini, con i quali dare una prima organizzazione del potere direttivo a quelle tribù in cammino e gli annuncia: “Io prenderò lo spirito che è su di te per metterlo su di loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo”. Ed effettivamente, radunati settanta anziani intorno alla tenda del convegno, “il Signore prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani” (NM 11,14 NM 17 NM 25).

Quando, alla fine della sua vita, Mosè deve preoccuparsi di lasciare un capo alla comunità, perché “non sia un gregge senza pastore”, il Signore gli indica Giosuè, “uomo in cui è lo spirito”: e Mosè impose “le mani su di lui”, sicché anch’egli è “pieno dello spirito di saggezza” (Dt 34,9). Sono casi tipici della presenza e dell’azione dello Spirito nei “pastori” del popolo.

3. A volte il dono dello spirito è conferito anche a chi, pur non essendo un capo, è chiamato da Dio a rendere un servizio di qualche importanza in particolari momenti e circostanze. Per esempio quando si tratta di costruire la “tenda del convegno” e “l’arca dell’alleanza”, Dio dice a Mosè: “Vedi, ho chiamato per nome Bezaleel . . . l’ho riempito dello spirito di Dio perché abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro”. E anzi, anche riguardo ai compagni di lavoro di questo artigiano, Dio aggiunge: “Nel cuore di ogni artista ho infuso saggezza, perché possano eseguire quanto ti ho comandato: la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza” (Ex 31,6-7).

Nel Libro dei Giudici vengono celebrati degli uomini che inizialmente sono “eroi liberatori”, ma poi anche governatori di città e distretti, nel periodo di assestamento tra il regime tribale e quello monarchico. Secondo l’uso del verbo shâfat, “giudicare”, nelle lingue semitiche imparentate all’ebraico, essi vanno considerati non solo come amministratori della giustizia, ma come capi delle loro popolazioni. Essi vengono suscitati da Dio, che comunica loro il suo spirito (soffio-ruah) in risposta a suppliche rivolte a lui in situazioni critiche. Più volte nel Libro si attribuisce la loro comparsa e la loro azione vittoriosa a un dono dello spirito. Così nel caso di Otniel, il primo dei grandi giudici di cui si riassume la storia, è detto che “gli israeliti gridarono al Signore e il Signore suscitò loro un liberatore, Otniel . . ., ed egli li liberò. Lo spirito del Signore fu su di lui ed egli fu giudice d’Israele” (Jg 3,9-10).

Per Gedeone l’accento è posto sulla potenza dell’azione divina: “Lo spirito del Signore investì Gedeone”. Anche di Iefte è detto che “lo spirito del Signore discese su Iefte”. E di Sansone: “Lo spirito del Signore cominciò ad agitarlo”. Lo spirito di Dio in questi casi è il donatore di una forza straordinaria, del coraggio delle decisioni, a volte di un’abilità strategica, per cui l’uomo è reso capace di svolgere la missione affidatagli per la liberazione e la guida del popolo (cf. Jg 6,34 Jg 11,29 Jg 13,25).

4. Quando avviene la svolta storica dai Giudici ai Re, secondo la richiesta degli Israeliti di avere “un re che ci governi, come avviene per tutti i popoli” (1S 8,5), l’anziano giudice e liberatore Samuele fa in modo che Israele non smarrisca il sentimento dell’appartenenza a Dio come popolo eletto e che sia assicurato l’elemento essenziale della teocrazia, cioè il riconoscimento dei diritti di Dio sul popolo. L’unzione dei re come rito istitutivo è il segno della investitura divina che pone un potere politico a servizio di una finalità religiosa e messianica. In questo senso Samuele, dopo aver unto Saul e avergli preannunciato l’incontro a Gabaa con un gruppo di profeti salmodianti, gli dice: “Lo spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare il profeta con loro e sarai trasformato in un altro uomo”. “Ed ecco, quando [Saul] ebbe voltato le spalle per partire da Samuele, Dio gli mutò il cuore . . . Lo spirito di Dio lo investì e si mise a fare il profeta in mezzo a loro”. Anche quando spuntò l’ora delle prime iniziative di battaglia, “lo spirito di Dio investì Saul”. Si attuava in lui la promessa della protezione e dell’alleanza divina fattagli da Samuele: “Dio sarà con te”. Quando lo spirito di Dio abbandona Saul, che viene atterrito da uno spirito cattivo, è già sulla scena Davide, consacrato dal vecchio Samuele con l’unzione per cui “lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi” (1S 10,6 1S 10,7-10 1S 11,6 1S 16,13-14).

5. Con Davide, ben più che con Saul, prende consistenza l’ideale del re unto dal Signore, figura del futuro Re-Messia, che sarà il vero liberatore e salvatore del suo popolo. Anche se i successori di Davide non raggiungeranno la sua statura nell’attuazione della regalità messianica, e anzi non pochi prevaricheranno contro l’alleanza di Jahvè con Israele, l’ideale del Re-Messia non tramonterà e sempre più si proietterà nell’avvenire in termini di attesa, rinfocolata dagli annunci profetici.

Specialmente Isaia mette in rilievo il rapporto tra lo spirito di Dio e il Messia: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore”. Sarà ancora lo spirito di fortezza, ma prima di tutto spirito di sapienza: “Spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore”, quello che spingerà il Messia a operare con giustizia in favore dei miseri, dei poveri e degli oppressi (Is 11,2-4).

Il santo spirito del Signore, il suo “soffio”, che percorre tutta la storia biblica, sarà dunque dato in pienezza al Messia. Quello stesso spirito che alita sul caos prima della creazione, che dà la vita a tutti gli esseri, che suscita i Giudici e i Re, che abilita gli artigiani al lavoro per il santuario, che dà la saggezza a Giuseppe, l’ispirazione a Mosè e ai profeti, come a Davide, scenderà sul Messia con l’abbondanza dei suoi doni e lo metterà in grado di compiere la sua missione di giustizia e di pace. Colui sul quale Dio avrà “posto il suo Spirito”, “porterà il diritto alle nazioni”; “egli non verrà meno e non si abbatterà finché non avrà stabilito il diritto sulla terra” (Is 42,4).

6. In quale maniera egli “stabilirà il diritto” e libererà gli oppressi? Sarà forse con la forza delle armi come avevano fatto i Giudici, sotto l’impulso dello Spirito, e come fecero, molti secoli dopo, i Maccabei? L’Antico Testamento non permetteva di dare una risposta chiara a questa domanda. Alcuni passi annunciavano interventi violenti, come ad esempio il testo d’Isaia (42, 4) che dice: “Calpestai i popoli con sdegno, li stritolai con ira, feci scorrere per terra il loro sangue”. Altri invece insistevano sull’abolizione di ogni lotta: “Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo; non si eserciteranno più nell’arte della guerra.

La risposta doveva essere rivelata dal modo in cui lo Spirito Santo avrebbe guidato Gesù nella sua missione; dal Vangelo sappiamo che lo Spirito spinse Gesù a rifiutare l’uso delle armi e ogni ambizione umana e a riportare una vittoria divina per mezzo di una generosità sconfinata, versando il proprio sangue per liberarci dai nostri peccati. Così si manifestò in maniera decisiva l’azione direttiva dello Spirito Santo.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai gruppi italiani

Il mio caloroso benvenuto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli: vi auguro che la vostra vita sia una generosa conquista di nobili traguardi per la gloria di Dio e il servizio dei fratelli.

Un saluto particolare va pure ai Focolarini, alle Novizie e alle Postulanti del Monastero di S. Anna di Bastìa Umbra, alle Piccole Suore della Sacra Famiglia e ai rappresentanti del circo “Nando Orfei”. A tutti auguro ogni bene ed imparto la mia Benedizione Apostolica.

L’unità dei cristiani è in stretta relazione con la diffusione della fede nel mondo. La sua ricerca è quindi un impegno prioritario di tutti i battezzati. Lo ribadisce Giovanni Paolo II nel breve discorso pronunciato durante l’udienza generale in occasione dell’inizio della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. Il tradizionale appuntamento di preghiera e di meditazione comincerà domani 18 e terminerà il 25. Queste le parole pronunciate dal Papa.

Domani avrà inizio l’annuale “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani”. In alcuni Paesi dell’emisfero sud essa si svolge attorno alla festa di Pentecoste. Questa distinzione nel tempo non tocca in nulla l’identica prospettiva che ispira tutti i cristiani: intensificare la preghiera per invocare da Dio il dono dell’unità.

Il tema proposto per quest’anno richiama l’anelito manifestato da Gesù stesso nella preghiera per l’unità dei discepoli e di tutti coloro che, nel tempo, avrebbero creduto alla loro parola: “Che tutti siano una sola cosa . . . affinché il mondo creda” (Jn 17,21). L’unità dei cristiani è posta in stretta relazione con la diffusione della fede nel mondo. La sua ricerca, quindi, è un impegno prioritario che coinvolge tutti i battezzati.

Invito voi tutti qui presenti e i cattolici del mondo intero a pregare intensamente per l’unità durante questa speciale Settimana. Vi invito anche a unirvi, dove è possibile, agli altri cristiani per implorare dal Signore questo grande dono. Valgano questi giorni a suscitare in tutti un rinnovato impegno personale e comunitario per la ricerca dell’unità nell’unica Chiesa di Cristo.




Mercoledì, 24 gennaio 1990

24190

Carissimi fratelli e sorelle.

1. Si conclude domani la “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani”. Desidero richiamare la vostra attenzione sul tema che ha ispirato la riflessione e la preghiera di cattolici, ortodossi, anglicani, protestanti, durante tutta questa settimana: “Che tutti siano una cosa sola . . . affinché il mondo creda” (
Jn 17,1).

Con queste parole, alla vigilia della passione, che l’avrebbe portato a morire sulla croce “per radunare i figli di Dio dispersi” (Jn 11,52), Gesù pregò per i suoi discepoli e per tutti coloro che avrebbero creduto in lui, in tutti i tempi e in ogni luogo. Egli pregò allora anche per i cristiani del nostro tempo. Chiese al Padre che fossero “una cosa sola”, uniti fra loro in un modo che supera ogni comprensione: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano una cosa sola in noi” (Jn 17,21).

L’unità che invoca il Signore per i suoi discepoli è innanzitutto la comunione con Dio. Una comunione di esistenza e non solo di sentimento: “Come tu sei in me e io in te”. Una comunione che è inabitazione di Dio nell’uomo e assimilazione dell’uomo a Dio.

2. La seconda lettera di Pietro ricorda che la potenza di Dio “ci ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la vita e la pietà, mediante la conoscenza di Colui che ci ha chiamati con la sua gloria e potenza. Con queste ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina” (2P 1,3-4).

È da questa misteriosa comunione di vita con Dio, grazie alla quale siamo fatti partecipi della stessa sua natura, che emana la comunione tra i cristiani. Il Concilio Vaticano II ha lucidamente intravisto ed esplicitamente indicato una tale prospettiva. Il Decreto sull’ecumenismo ricorda a tutti i fedeli “che tanto meglio promuoveranno anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo. Pertanto, per quanta più stretta comunione saranno uniti con il Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere le mutue relazioni fraterne” (Unitatis redintegratio UR 7).

Ed è anche da questa prospettiva che si comprende lo stretto rapporto che Gesù pone fra unità dei cristiani e progresso della fede nel mondo: “Che siano una cosa sola . . . affinché il mondo creda” (Jn 17,21). L’unità esprime, in realtà, la qualità e la coerenza della nostra fede nell’unico Signore. Così si spiega l’affermazione lapidaria del Concilio Vaticano II: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione” (Unitatis redintegratio UR 7). Per questo la santità di vita e la preghiera vengono indicate come “l’anima di tutto il movimento ecumenico” (Ivi, 8).

3. Le parole di Gesù ci riportano al centro della questione ecumenica e alla sua impostazione essenziale. Esse indicano l’urgenza di ristabilire l’unità della comunità cristiana in modo pieno e armonico, affinché possa adempiersi la missione della Chiesa di annunciare a tutte le genti il Salvatore Gesù Cristo.

Dal testo evangelico si deve dedurre anche l’importanza della preghiera per la ricomposizione dell’unità. Lo stesso Signore Gesù si è rivolto al Padre per chiedere di “conservare” i discepoli nel suo nome (Jn 17,11) e di “consacrarli nella verità” (Jn 17,19), di infondere in essi lo stesso amore che il Padre ha per il Figlio.

Pregare per l’unità è impegno alla portata di ogni cristiano. Se non tutti possono partecipare a certi aspetti della ricerca dell’unità (studi, dialogo, collaborazione pratica), tutti possono unirsi all’insistente e concorde invocazione del dono dell’unità. Lo possono fare le parrocchie, le comunità religiose, specialmente quelle di vita contemplativa, le singole persone. Tutti i cristiani, senza esclusioni, sono impegnati in questa ricerca di comunione universale che proviene dal comune battesimo.

4. D’altra parte, l’orizzonte ecumenico richiede e incoraggia questa partecipazione. Se volgiamo lo sguardo indietro, ai venticinque anni da che si è concluso il Concilio Vaticano II e al decreto Unitatis redintegratio, col quale i padri conciliari hanno impresso un forte impulso al movimento ecumenico, scorgiamo che la situazione è molto diversa e sostanzialmente migliorata. Si è solidamente instaurato lo spirito della fraternità e della solidarietà cristiana. La riflessione sul comune battesimo ha rafforzato la consapevolezza dei vincoli di comunione esistenti fra i cristiani e il dovere di superare le divergenze che permangono, allo scopo di pervenire alla completa unità di fede.

La Chiesa cattolica, da parte sua, è entrata in dialogo diretto con tutte le altre Chiese e comunità ecclesiali, d’Oriente e d’Occidente. Si sono sviluppati contatti, nuove relazioni, dialoghi multilaterali e dialoghi bilaterali, forme di varia collaborazione. Si è sviluppata la preghiera comune.

5. L’insieme di questo movimento ha avuto un primo risultato di speciale importanza: ha fatto nascere una più profonda conoscenza reciproca che, progressivamente, sta eliminando pregiudizi passivamente ereditati dal passato e giudizi errati. Il dialogo teologico, inoltre, ha identificato con maggior chiarezza le divergenze reali, ma ha anche fatto emergere significative convergenze su tematiche che nel passato sono state causa di forti dissensi e di conflitti (ministero ordinato, eucaristia, autorità nella Chiesa).

Questo processo non può rimanere a mezza via. Deve percorrere interamente la sua strada per giungere a un pieno accordo sulla base della Sacra Scrittura e della grande tradizione della Chiesa. Per questo si ha assoluto bisogno della partecipazione di tutti, secondo il ruolo che ciascuno ha nella vita della Chiesa.

6. Nella sua preghiera, Gesù testimonia che egli ha dato ai suoi discepoli la Parola, ha fatto conoscere loro il nome di Dio; ed essi hanno creduto in lui, l’inviato di Dio. Chiede perciò al Padre che i discepoli siano considerati nella verità e che partecipino alla sua stessa gloria: “Perché siano come noi una cosa sola . . ., perché siano perfetti nell’unità” (Jn 17,22-23).

L’unità a cui sono chiamati i cristiani è l’unità perfetta. Non ci si può accontentare della situazione attuale di comunione vera, ma parziale. Davanti ai cristiani sta l’ideale della piena unità di fede, di vita sacramentale e di articolazione organica della compagine ecclesiale. Una considerazione serena del nostro recente passato ci fa rilevare che i cristiani procedono su questa strada indicata dallo Spirito Santo nel nostro tempo.

7. Personalmente ringrazio il Signore per le tante occasioni che mi offre di constatare il nuovo sentimento di fraternità instaurato tra i cristiani. Le visite a Roma di responsabili di altre Chiese e comunità ecclesiali, così come i miei viaggi nelle varie parti del mondo, mi danno l’opportunità di incontri densi di emozioni, di carità, di leali conversazioni e di reciproco, fraterno incoraggiamento.

Come avviene in tali incontri, preghiamo anche noi oggi con la preghiera insegnataci da Gesù Cristo. E nell’invocare il Padre nostro, includiamo nella nostra intenzione tutti i battezzati disseminati nel mondo.

Ai pellegrini di espressione linguistica inglese

Ad un gruppo di artisti giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi componenti del gruppo “Koto”, vi ringrazio per la vostra esibizione con l’arpa giapponese, il “Koto”. La buona musica rasserena il cuore e lo porta verso l’alto. Voi considerate il vostro strumento musicale come un simbolo di unità. Vi auguro, carissimi, di far crescere, con i vostri concerti, i sentimenti di unità e di fratellanza in mezzo alla gente.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai pellegrini polacchi


Ai numerosi fedeli provenienti da varie regioni d’Italia

Saluto i fedeli provenienti da numerose parrocchie della Val Bormida. Carissimi, vi ringrazio per la vostra presenza e vi assicuro che sono vicino alle vostre preoccupazioni. Formo di cuore l’auspicio che nella solidarietà e nel comune impegno siano trovate giuste ed eque soluzioni alle vostre aspirazioni e ai vostri problemi.

Il mio saluto si rivolge poi ai partecipanti al corso Ignaziano, che si svolge a Roma. Il carisma ignaziano, che lungo i secoli ha così profondamente segnato la storia della Chiesa, costituisce anche oggi un solido punto di riferimento religioso per tanti cristiani che, alla scuola del santo di Loyola, intendono vivere in piena fedeltà al Vangelo.

Mi rivolgo inoltre ai cappellani del Serra Club che si incontrano per un convegno, presieduto dall’arcivescovo di Pisa, mons. Alessandro Plotti; e ai componenti dei Clubs Serrani del distretto Toscana-Emilia Romagna, venuti per ricordare il beato Junipero Serra e per far benedire la prima pietra di una chiesa che sorgerà a Prato in onore del nuovo beato. Il suo esempio e la sua protezione guidino sempre la vostra azione apostolica in favore delle vocazioni sacerdotali.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi è caro infine rivolgere un cordiale saluto a voi, giovani, a voi, malati, ed a voi, sposi novelli, mentre vi invito a unire la vostra preghiera alla mia ed a quella di tutta la Chiesa, perché i cristiani raggiungano una piena e solidale comunione di fede. Nell’invocare su ciascuno di voi la grazia di Dio, che nel Redentore ha rivelato il suo mistero di unità profonda, vi chiedo di pregare anche per il mio imminente viaggio pastorale, affinché i fratelli africani che avrò la gioia di incontrare divengano sempre più consapevoli della verità salvifica del Vangelo. Con l’augurio che Gesù Cristo sostenga l’impegno nella vostra crescita, la fatica nella sofferenza, la donazione nell’amore nuziale, benedico tutti con affetto.

A un gruppo di Burkinabé

In vista dell’ormai imminente visita pastorale nel continente africano, Giovanni Paolo II si rivolge ad un gruppo di burkinabé residenti a Roma. Queste le parole del Papa.

Porgo pure il mio benvenuto a un gruppo di burkinabé, resi denti a Roma. Carissimi, tra qualche giorno, come saprete, visiterò la vostra terra d’origine, il Burkina Faso. Sono sicuro che voi vorrete accompagnarmi con la vostra preghiera perché questo pellegrinaggio apostolico segni una ulteriore tappa nella crescita della Chiesa nel vostro Paese.



Mercoledì, 7 febbraio 1990

7290

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Dieci anni fa, nel mese di maggio del 1980, mi fu dato di visitare per la prima volta alcuni Paesi del Continente africano. Nel corso del viaggio, mi fermai brevemente anche a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Da lì rivolsi, per la prima volta, a tutta la comunità internazionale un appello concernente la minaccia a cui sono esposti i Paesi compresi nell’ambito della regione desertica del Sahara. L’appello per l’aiuto a tali Paesi (chiamati comunemente col nome di Sahel), trovò allora una risposta. I primi a portare il loro aiuto furono i cattolici tedeschi; ad essi si unirono successivamente anche altri. Grazie a tali contributi si poté dare inizio a un’apposita Fondazione in favore della zona del Sahel.

Com’è noto, tale Fondazione ha come scopo quello di “favorire la formazione di persone che si mettano al servizio dei loro Paesi e dei loro fratelli, senza alcuna discriminazione, in uno spirito di promozione umana integrale e solidale per lottare contro la desertificazione e le sue cause, e per soccorrere le vittime della siccità nei Paesi del Sahel” (Statuto, art. 3, 1).

Ricorre quest’anno il decimo anniversario di quella visita a Ouagadougou. Proprio per questo motivo la via del recente pellegrinaggio in Africa mi ha condotto attraverso alcuni Paesi che si trovano in una situazione simile. Essi lottano contro lo stesso pericolo proveniente dal deserto del Sahara, che va progressivamente estendendosi in terre adatte finora alla vita e a una almeno modesta coltivazione.

2. Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno rivolto l’invito a visitare il Capo Verde, la Guinea-Bissau, il Mali, il Burkina Faso e il Ciad. Esprimo viva gratitudine ai capi di questi Paesi e ai relativi episcopati. Sono profondamente riconoscente a tutti per quanto hanno fatto, perché la visita potesse svolgersi in conformità al suo carattere pastorale. Ringrazio le singole persone, le istituzioni e istanze che hanno partecipato all’organizzazione della visita dal punto di vista amministrativo. Contemporaneamente ringrazio tutti i fratelli nell’episcopato, i sacerdoti, le famiglie religiose maschili e femminili e tanti rappresentanti del laicato, che hanno preparato la visita sotto l’aspetto pastorale. Infine, mi rivolgo a tutti coloro che hanno partecipato alla visita, a volte con grande sacrificio: si tratta non soltanto di figli e figlie della Chiesa cattolica, ma anche di seguaci dell’Islam o delle tradizionali religioni africane, molto numerosi nella maggior parte di questi Paesi.

3. Di essi, infatti, soltanto il Capo Verde è un Paese in prevalenza cattolico, essendo la sua popolazione costituita al 90 per cento da cattolici. La Chiesa ha messo radici in questo arcipelago, posto in mezzo all’oceano Atlantico, sin dall’inizio del suo popolamento a opera dei Portoghesi. In tutti gli altri Paesi, situati nel Continente africano, invece i cattolici sono una minoranza, a volte molto modesta. La maggioranza degli abitanti, dal punto di vista religioso, appartiene o alle tradizionali religioni africane (di carattere animistico), o alla religione musulmana (per esempio in Mali i musulmani sono circa l’80 per cento). Tuttavia ciò che sembra di poter ravvisare in questi Paesi, alla luce anche delle loro tradizioni, è un atteggiamento di rispetto per le convinzioni religiose di ogni cittadino. In genere esistono condizioni di libertà religiosa o, per lo meno, di tolleranza, che le persone e i gruppi dirigenti non sembrano voler intaccare o mutare.

Difatti, i capi politici che ho potuto incontrare nel corso di questa visita, pur essendo personalmente per esempio musulmani, hanno avuto espressioni di convinto riconoscimento per l’attività dei missionari cattolici e delle istituzioni promosse e sostenute dalla Chiesa. Tutto ciò rende più agevole il lavoro missionario, del quale l’Africa ha sempre un grande bisogno.

4. Punto centrale del programma della visita in ciascuno di questi Paesi è stata la liturgia eucaristica. E proprio questa liturgia ci ha reso consapevoli di quanto cammino ha fatto la Chiesa grazie al lavoro missionario: abbiamo potuto constatare come le comunità suscitate dall’attività dei missionari venuti da diverse parti del mondo si sono trasformate in autentiche Chiese africane con la propria gerarchia, con un notevole numero di propri sacerdoti, di suore e di religiosi, di seminaristi, di novizie e di novizi. La stessa partecipazione alla liturgia eucaristica assume caratteristiche locali, diventa espressione della natia cultura africana. Le manifestazioni di questa cultura, rivestendo forme sacrali, per ciò stesso si esprimono e si riconfermano. Ci troviamo di fronte a quello stesso processo che, precedentemente, ha segnato la vita e la storia di numerose Nazioni in altri Continenti. La liturgia africana si distingue per una grande bellezza e per un’autentica partecipazione dell’intera assemblea.

Ovviamente, dietro questa esperienza bisogna vedere una multiforme attività catechistica, educativa e caritativa, nella quale hanno una notevole parte i laici.

5. Per questa strada ci avviciniamo pure al Sinodo dei vescovi del Continente africano, la cui attività è stata avviata dalla speciale Commissione preparatoria, il 6 gennaio dell’anno scorso.

Durante la recente mia visita il Sinodo è stato uno dei punti di riferimento abituali. Un altro, e di portata internazionale, è stato la Giornata mondiale dei malati di lebbra, celebrata il 28 gennaio scorso. In quel giorno ho incontrato gli affetti dal morbo di Hansen presso il lebbrosario di Comura nella Guinea-Bissau.

Tuttavia, l’attenzione più grande era giusto che si accentrasse intorno ai problemi del Sahel. Rinnovando l’appello di dieci anni or sono, mi sono rivolto all’intera comunità internazionale.

“Di nuovo - ho detto - devo lanciare un appello solenne all’umanità, a nome dell’umanità stessa. In terra d’Africa milioni di uomini, donne e bambini sono minacciati dalla possibilità di non poter mai godere di buona salute, di non giungere mai a vivere degnamente del loro lavoro, di non ricevere mai la formazione che aprirà la loro mente, di vedere il loro ambiente diventare ostile e sterile, di perdere la ricchezza del loro patrimonio ancestrale essendo privati degli apporti positivi della scienza e della tecnica.

In nome della giustizia, il Vescovo di Roma, il successore di Pietro, supplica i suoi fratelli e sorelle nell’umanità di non disprezzare gli affamati di questo continente, di non negare loro il diritto universale alla dignità umana e alla sicurezza della vita”.

E ho aggiunto: “Come giudicherebbe la storia una generazione che avendo tutti i mezzi per nutrire la popolazione della terra rifiutasse di farlo con indifferenza fratricida? In quale pace potrebbero sperare dei popoli che non mettessero in pratica il dovere della solidarietà? Quale deserto sarebbe un mondo nel quale la miseria non incontrasse l’amore che ci dà la vita?”.

I cambiamenti che sono avvenuti e avvengono in Europa, particolarmente nell’Europa centrale e in quella orientale, dovrebbero dissuadere le relative società, anzi tutte le Nazioni del mondo, dai dispendiosi confronti derivanti dalla corsa agli armamenti, e dirigerne a gara gli sforzi verso le popolazioni più povere e, in particolare, verso le aree più minacciate del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo.

6. Ma il Vescovo di Roma, insieme con i suoi fratelli nel servizio pastorale, non può limitarsi soltanto a rivolgere questo appello, per quanto importante esso sia: ha, infatti, un significato-chiave per la giustizia internazionale nelle dimensioni dell’intero pianeta. Egli deve al tempo stesso ripetere con tutta la forza le parole di Gesù, Redentore del genere umano, circa la messe che è grande, mentre gli operai sono pochi. Questa realtà appare evidente in modo particolare in Africa, dove c’è un enorme e molteplice bisogno di Missionari. Sono tante le comunità e gruppi che li richiedono ai vescovi. Se tali loro domande potranno essere accolte tempestivamente, molto più celere e incisivo sarà il progresso dell’evangelizzazione.

Occorre, pertanto, che sia ascoltato dappertutto l’invito di Cristo: “Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe”. Sì, o Signore Gesù, noi per questo preghiamo e continueremo a pregare con tutto l’ardore del nostro cuore!

Ai pellegrini di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai numerosi pellegrini di lingua spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai vari gruppi provenienti dall’Italia

Do ora un caloroso benvenuto al Sindaco e alla Giunta Comunale di Cagli che celebrano il VII centenario della riedificazione della città. Distrutta, infatti, in seguito a lotte fratricide, fu ricostruita per la fede e la concordia ispirate da Papa Niccolò IV, al quale, in segno di riconoscenza, è consacrata la giornata conclusiva di questa ricorrenza.

Saluto poi il gruppo dei Fratelli delle Scuole Cristiane che in questi giorni seguono un corso per animatori di religiosi della terza età. Vi aiuti il Signore a servire con cura premurosa le persone anziane, che hanno dedicato tutta la loro vita a Cristo e ai fratelli. Rivolgo, inoltre, un particolare saluto ai soci del “Rotary Club” di Caserta-Terra di Lavoro, giunti con le loro famiglie nell’anniversario di fondazione del loro club. Mentre mi felicito per la vostra attività e vi manifesto la mia gioia nell’accogliervi, auguro che la solidarietà che vi unisce e l’attenzione concreta al prossimo bisognoso che caratterizza il vostro impegno, siano sempre benedette da Dio, il quale non dimentica il bene compiuto, anzi lo ricambia ampiamente.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo a voi, carissimi Giovani, Ammalati, e Sposi Novelli, il mio particolare saluto con affetto e con gratitudine per la vostra presenza, segno di fede e di devozione. Durante il Viaggio apostolico compiuto la settimana scorsa in cinque Nazioni dell’Africa, ho incontrato tanti giovani, tanti ammalati e tante famiglie nuove e li ho incoraggiati ad essere, secondo lo spirito del Vangelo, sale della terra, luce del mondo, lievito nella massa della società. Ripeto anche a voi tale esortazione, affinché in qualunque situazione verrete a trovarvi, sia essa lieta o dolorosa, sappiate testimoniare la vostra fede e il vostro amore di cristiani impegnati, in unione con i fratelli di quelle lontane Comunità africane, che trovano nella fede forza e sostegno in mezzo alle loro difficoltà. Impartisco a tutti la mia cordiale Benedizione!

A un gruppo di vescovi focolarini

Il Divino Maestro chiama i suoi amici al dono totale di sé. È quanto ricorda Giovanni Paolo II ai numerosi Vescovi provenienti da 27 Nazioni, partecipanti a un Convegno spirituale del Centro Internazionale Mariapoli del Movimento dei Focolari. Il Papa si rivolge ai Presuli nel corso dell’udienza generale con queste parole.

Cari fratelli nell’episcopato.

Sono particolarmente lieto d’incontrarmi con voi durante il Convegno spirituale che state svolgendo presso il centro Mariapoli di Castel Gandolfo, convenuti da oltre 27 diverse Nazioni.

In questi giorni la vostra riflessione è centrata sull’importanza fondamentale dello Spirito Santo per la vita cristiana e per l’unità in Cristo. Mediante la meditazione, la preghiera e lo scambio di esperienze, accrescete la vostra comunione fraterna e rafforzate la disponibilità al servizio ecclesiale, mentre maturate sempre più in voi l’adesione alla volontà del divino Maestro, che chiama i suoi amici al dono totale di sé.

Ringraziate il Signore per l’esperienza di fraternità apostolica che state vivendo durante questi giorni e portate poi il lievito di questa unità vissuta tra voi all’interno delle vostre rispettive comunità diocesane. Vi aiuti la materna protezione di Maria “Mater divini Amoris” a essere sempre coraggiosi maestri della Fede e gioiosi testimoni del Vangelo, guidando con amorevole pazienza e sapiente fermezza il gregge a voi affidato verso la pienezza della santità.

Impartisco di cuore a ciascuno di voi e alle vostre comunità la benedizione apostolica.





Catechesi 79-2005 17190