Catechesi 79-2005 29993

Mercoledì, 29 settembre 1993

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“Non vos me elegistis sed ego elegi vos”. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. Con queste parole vorrei incominciare la catechesi che si trova in un grande ciclo di catechesi sulla Chiesa. In questo grande ciclo si trova la catechesi sulla vocazione al sacerdozio. Le parole che Gesù ha detto agli apostoli sono emblematiche e si riferiscono non solamente ai Dodici, ma si riferiscono a tutte le generazioni delle persone che Gesù Cristo ha chiamato attraverso i secoli. Si riferiscono in senso personale ad alcuni: parliamo della vocazione sacerdotale, ma pensiamo, allo stesso tempo anche alle vocazioni alla vita consacrata, maschile e femminile. È un problema centrale per la Chiesa, per la fede, per il futuro della fede in questo mondo: le vocazioni. Le vocazioni, ogni vocazione è un dono di Dio secondo queste parole di Gesù. Io ho scelto voi. Allora è una scelta, una elezione di Gesù che tocca sempre la persona, ma questa persona vive in un certo contesto di famiglia, di società, di civiltà, di Chiesa. Allora, la vocazione è un dono, ma è anche la risposta a questo dono. Come ciascuno di noi come il chiamato, il prescelto, sappia rispondere a questa chiamata divina dipende da molte circostanze, dipende da una certa maturità interiore della persona, dipende da quella che è detta collaborazione con la Grazia di Dio.

Saper collaborare, saper ascoltare, saper seguire. Sappiamo bene, ci ricordiamo, che Gesù a quel giovane nel Vangelo ha detto: “Seguimi”. Saper seguire, e quando si segue allora la vocazione e matura, la vocazione si realizza, si attualizza. E questo è sempre per il bene della persona e della comunità.

La comunità, da parte sua, deve anche saper rispondere a queste vocazioni che nascono dentro i suoi ambiti. Nascono nella famiglia, e deve saper collaborare con la vocazione la famiglia. Nascono nella parrocchia, e deve saper collaborare con la vocazione la parrocchia. Sono gli ambienti della vita umana, dell’esistenza: ambienti esistenziali.

La vocazione, la risposta alla vocazione, dipende in altissimo grado dalla testimonianza di tutta la comunità, della famiglia, della parrocchia. Sono le persone che collaborano alla crescita delle vocazioni. Sono i sacerdoti che, con il loro esempio, attirano i giovani e facilitano la risposta a questa parola di Gesù: “Seguimi”. Coloro che hanno ricevuto la vocazione devono saper dare un esempio di come si segue.

Nella parrocchia oggi sempre più si vede che alla crescita delle vocazioni, all’opera vocazionale, contribuiscono specialmente i Movimenti e le Associazioni. Uno dei Movimenti, o piuttosto Associazioni, che è tipico della parrocchia, è quello dei chierichetti, dei ministranti.

Questo serve molto alle future vocazioni. Così era in passato. Molti sono diventati sacerdoti essendo prima chierichetti, ministranti. Anche oggi serve, ma si devono sperimentare le diverse strade, le diverse – possiamo dire – metodologie: come collaborare con la chiamata divina, con la scelta divina, come compiere, contribuire a compiere, queste parole di Gesù: la messe è grande, ma gli operai sono pochi. E questo è vero. È sempre grande la messe, sempre gli operai sono pochi, specialmente in alcuni paesi.

Ma dice Gesù: pregate per questo il Signore della messe. Allora, per tutti noi, senza eccezione, resta soprattutto il dovere della preghiera per le vocazioni. Se ci sentiamo coinvolti nell’opera redentrice di Cristo e della Chiesa, dobbiamo pregare per le vocazioni. La messe è grande.

Sia lodato Gesù Cristo!

Questo il testo del discorso preparato per l’Udienza generale che il Santo Padre ha rinunciato a leggere preferendo rivolgersi ai fedeli con espressioni improvvisate.

1. Quando si parla di sacerdozio, il linguaggio – ispirato alla Bibbia – esprime una concezione che non riguarda una professione o un mestiere paragonabile a quelli catalogati nel mondo delle cose “profane”. È quasi istintivo, nello stesso linguaggio e nel processo mentale che porta a usare quel termine, il riferimento al “sacro”: sia come missione e ufficio che si assume, sia come stato di vita che si abbraccia. È un legame semantico (si può dire), nel quale si riflette non solo la tradizione terminologica cristiana, ma anche l’istituzione del sacerdozio conferito da Gesù agli Apostoli e, per essi, ai loro successori, cooperatori e continuatori nei secoli.

Per essere ammessi in questo ambito del “sacro” derivante dal sacerdozio, occorre una vocazione, intesa non nel senso sociologico e psicologico di propensione, talento, attitudine, ecc., ma come chiamata, dono, opera di Dio. È un fatto di grazia, che appartiene al mistero delle libere e gratuite elargizioni di Dio agli uomini e dell’azione che Cristo-Capo svolge nella Chiesa, come suo Corpo in continuo sviluppo (cf.
Col 2,19 Ep 4,11-12), per opera dello Spirito Santo (cf. Ep 2,22 1P 2,5). Secondo San Paolo, le varie vocazioni ecclesiali sono stabilite da Dio (cf. 1Co 12,28) e sono doni di Cristo (cf. Ep 4,7 Ep 4,11). Specialmente la vocazione sacerdotale è da annoverarsi tra questi doni; tanto più che per i Presbiteri (e per i Vescovi) valgono quelle parole di Gesù agli Apostoli circa i tralci dell’“unica vite”: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto...” (Jn 15,16 cf Jn 15,1-2).

2. E tuttavia anche la vocazione, pur essendo una chiamata gratuita di Dio, esige la cooperazione umana, prima di tutto da parte del soggetto medesimo. Una volta accertati i segni della vocazione e accolto liberamente l’invito a seguire Cristo, convalidato dal Vescovo, egli deve corrispondere con la disponibilità, l’ubbidienza, la donazione di sé, la preparazione richiesta sia per l’acquisto delle virtù, sia per l’apprendimento e la formazione al ministero, sia per il necessario “curriculum” di studi e di esercitazioni pastorali. È una questione di responsabilità personale, nella quale ogni “chiamato” deve impegnarsi, con l’aiuto degli organi ecclesiali, da attrezzare e rendere sempre più adatti. Qui ci preme, però, parlare della cooperazione di tutta la comunità cristiana alla scoperta, al discernimento e alla promozione delle vocazioni sacerdotali. È un’opera comune, perché comune è l’interesse e il bene della Chiesa, e quindi il dovere di cooperare. Come dice il Concilio Vaticano II: “Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana” (Optatam totius OT 2 Pastores dabo vobis PDV 34-41).

Il Concilio indica poi i compiti e i doveri che, nella comunità cristiana, spettano ad alcune istituzioni in particolare. Prima di tutto le famiglie, “le quali, se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, costituiscono come il primo seminario” (Optatam totius cfr OT 2). Nell’ambiente familiare sano e pio, ordinariamente, si è trovato in tutti i tempi il vivaio migliore delle vocazioni. Il coefficiente più valido e fecondo per il loro fiorire è stata la preghiera in famiglia. Dovremo sempre ricordare che molti risultati dell’azione ecclesiale e del ministero pastorale derivano da famiglie umili, ma di vita cristiana semplice e sincera.

Oltre alle famiglie, le parrocchie, “della cui vita fiorente entrano a far parte gli stessi adolescenti” (Optatam totius Cfr OT 2). Sono vivai più grandi, dove non solo viene integrata e completata l’educazione familiare, ma spesso si manifestano, si sviluppano, si alimentano le vocazioni, sia al sacerdozio sia alla vita religiosa. Certe parrocchie sono celebri per il numero e la qualità dei membri che hanno dato e in qualche misura ancora danno al clero diocesano ed agli istituti religiosi. All’origine di tutto, generalmente, c’è qualche santo prete, qualche religiosa, o altri educatori ed educatrici, che vivevano di fede e di amore alla Chiesa.

Il Concilio fa una esortazione agli educatori e ai dirigenti di associazioni giovanili, perché “cerchino di coltivare gli adolescenti loro affidati in maniera che essi siano in grado di scoprire la vocazione divina e di seguirla con generosità” (Optatam totius OT 2). Anch’io vorrei attirare l’attenzione degli educatori cristiani sulle loro possibilità e responsabilità in questo campo. Ricordino che una vocazione può nascere e svilupparsi da una loro parola, da una loro testimonianza di vita e di preghiera.

3. Ma le sorti delle vocazioni, e quindi del clero e della Chiesa, sono soprattutto nelle mani degli stessi Presbiteri: “Tutti i Sacerdoti – raccomanda il Concilio – dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni, e con la loro vita umile, operosa, vissuta con interiore gioia, come pure con l’esempio della loro scambievole carità sacerdotale e della loro fraterna collaborazione, attirino verso il sacerdozio l’animo degli adolescenti” (Optatam totius OT 2). E un’esperienza universale, questa, nella Chiesa. Le vocazioni nascono dalle vocazioni: è come un patrimonio che viene trasmesso di generazione in generazione, o una bella catena nella quale molti anelli si intrecciano successivamente per derivazione di fede, di carità, di preghiera, di zelo, da prete a prete, soprattutto quando si vive e si testimonia la donazione totale di sé a Cristo. Dovrebbe essere santa ambizione di ogni Presbitero far germinare dal proprio sacerdozio almeno un altro anello della catena che deve prolungare nei secoli la sequela di Cristo e il servizio alle anime.

Il Concilio richiama infine la missione dei Vescovi, i quali, oltre a favorire in questo campo lo stretto collegamento di tutte le energie e di tutte le iniziative, dovranno comportarsi “come padri nell’aiutare senza risparmio di sacrifici coloro che giudicheranno chiamati da Dio” (Optatam totius OT 2). Conosciamo la storia di tanti santi Vescovi ai quali è dovuto se molti giovani sono potuti arrivare al sacerdozio. Essi hanno agito validamente, quasi sempre in silenzio, per assicurare al popolo cristiano e alla Chiesa ottimi Presbiteri, molte volte addirittura dei santi.

Qui ricorderò che nel Direttorio sul ministero pastorale dei Vescovi “Ecclesiae Imago”, del 22 febbraio 1973, è detto che la cura delle vocazioni è loro “dovere primario” (Ench. Vat., IV, 2264-2265) e io stesso nella Pastores dabo vobis ho ribadito che spetta ai Vescovi, con l’aiuto dei Presbiteri e di tutta la comunità diocesana, promuovere e sostenere le vocazioni tra i fanciulli e tra i giovani, aiutandone lo sviluppo (PDV 63-64).

4. Utile, a tal fine, è anche il Seminario minore, istituito per offrire un ambiente adatto allo sviluppo della vocazione, che può manifestarsi molto presto, ma ha bisogno di condizioni particolarmente favorevoli per affermarsi e irrobustirsi nella coscienza e nella volontà giovanile.

Anche altre forme di accompagnamento vocazionale possono essere predisposte, come ad esempio i gruppi vocazionali per adolescenti e per giovani, gli incontri sistematici, i periodi di sperimentazione ecc.: in non pochi luoghi stanno dando ottimi risultati.

In ogni caso, la promozione delle vocazioni sacerdotali deve svolgersi nel rispetto della libertà personale di ciascuno, pur nell’impegno di sostenerla spiritualmente ed ecclesialmente. Il rispetto della libertà non deve perciò impedire di proporre nei dovuti modi – almeno a coloro che “possono capire” – l’ideale del sacerdozio e la dottrina evangelica della vocazione. Un’autentica pastorale vocazionale “non si stancherà mai di educare i ragazzi, gli adolescenti e i giovani al gusto dell’impegno, al senso del servizio gratuito, al valore del sacrificio, alla donazione incondizionata di sé” (Pastores dabo vobis PDV 40).

Anche sotto l’aspetto della formazione umana della personalità, è importante la formazione a questi princìpi e valori di vita. Oggi suscitano speranze le esperienze del volontariato, che possono servire anche a far maturare delle vocazioni, se sono evangelicamente vissute. E la via bella e fruttuosa di molti giovani.

5. Ma tutti, nella Chiesa, oggi più che mai, devono assumere la loro responsabilità in questo campo, con spirito di fede e di speranza, ricordando il dovere di preparare condizioni adatte alla vita spirituale anche per le generazioni future. In varie regioni si nota una “crisi” delle vocazioni, specialmente dove la mentalità secolaristica e la comodità della vita sembrano operare come una sorta di anestesia morale che toglie la capacità di reagire al materialismo edonistico e rende insensibili alle attrazioni dell’interiorità, della preghiera, del sacrificio di sé.

Ci sono tuttavia in molti luoghi dei segni di risveglio spirituale, specialmente in tanti giovani. Non ci sono condizioni socio-culturali difficili che possano impedire alla grazia dello Spirito Santo di penetrare nei cuori e di suscitare nella Chiesa nuove leve di operai della messe di Cristo. Certo, bisogna corrispondere all’azione della grazia, come individui e come comunità.

Gesù invitava i discepoli a “pregare il padrone della messe che mandi operai nella sua messe” . L’invito e l’esortazione sono anche per i suoi discepoli di oggi: i Vescovi, i Presbiteri, i Religiosi e le Religiose, i fedeli tutti, che il Concilio chiama ad occuparsi delle vocazioni e a pregare perché esse siano numerose, buone e perseveranti. In fondo, anche la risposta positiva alla vocazione è un dono di grazia da chiedere al Signore. “Tutto è grazia”: anche il meraviglioso sì con cui un giovane o un adulto, o persino un fanciullo aspirante al sacerdozio, esprime la sua risposta d’amore all’amore. “Tutto è grazia”: e in base a questa certezza, la Chiesa prega e opera per le vocazioni con cuore colmo di speranza.

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini di Tokyo e Yokohama, fra poco comincia il mese del santo Rosario. Recitatelo con fervore, affinché la “ Regina Pacis ” intervenga con la Sua mano di grazia per la pace nel mondo.

A voi, cari studenti della “ Saint Paul High School ” di Tokyo, rivolgo l’esortazione ad assimilare bene lo spirito di San Paolo, e a viverlo, affinché anche voi possiate diventare strumento di pace.

Vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai gruppi di fedeli italiani

Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai numerosi pellegrini di lingua italiana. In particolare, ai fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, accompagnati dal loro Vescovo, il caro Monsignor Maffeo Ducoli. La loro presenza all’odierno incontro, mi ricorda la premurosa ospitalità offertami nel luglio scorso, durante il mio soggiorno a Santo Stefano di Cadore. Il Signore ricompensi la loro generosità e protegga sempre tutti gli abitanti del Comelico e del Cadore.

Saluto poi i rappresentanti della Comunità parrocchiale di Inverigo (diocesi di Milano), venuti a Roma al termine dei lavori di restauro dell’antico Santuario di Santa Maria alla Noce ed il gruppo della Parrocchia-Santuario “Santa Maria della Libera” in Carano di Sessa Aurunca (provincia di Caserta), augurando a ciascuno di imparare da Maria, la Vergine Orante, a trasformare l’intera esistenza in lode continua al Signore.

Accolgo, inoltre, con gioia gli studenti ecclesiastici orientali, al termine del loro corso propedeutico organizzato, su iniziativa della Congregazione per le Chiese Orientali, dal Pontificio Istituto Orientale e dal “Centro Aletti”. Ad essi auguro che questo periodo di approfondimento linguistico e culturale permetta di affrontare con profitto gli studi a Roma.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo, infine, un cordiale pensiero ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.L’odierna festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, insieme con quella imminente dei santi Angeli Custodi, costituisce un invito ad essere sempre attenti ai disegni divini ed alla loro manifestazione.

Voi, giovani, così sensibili ai mille messaggi che vi raggiungono, sappiate riconoscere e seguire la voce del Maestro interiore, che parla nel segreto della coscienza.

Voi, malati, invocate l’assistenza del Medico divino, Cristo Signore, e cooperate con lui per il risanamento spirituale e morale dell’umana società.

E voi, sposi novelli, aiutati dai vostri Angeli Custodi, percorrete con gioia le vie che la divina Provvidenza ogni giorno vi indica. A tutti la mia benedizione.



Mercoledì, 6 ottobre 1993

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1. Accanto ai Presbiteri vi è nella Chiesa un’altra categoria di ministri con mansioni e carismi specifici, come ricorda il Concilio di Trento quando tratta del sacramento dell’Ordine: “Nella Chiesa Cattolica vi è una gerarchia, istituita per ordinazione divina, che si compone di Vescovi Presbiteri e Ministri” (
DS 1776). Già nei libri del Nuovo Testamento è attestata la presenza di ministri, i “Diaconi”, che progressivamente si configurano come categoria distinta dai “Presbiteri”, e dagli “Episcopi”. Basti qui ricordare che Paolo rivolge il suo saluto agli Episcopi e ai Diaconi di Filippi (cf. Ph 1,1). La prima Lettera a Timoteo enumera le qualità che devono possedere i Diaconi, con la raccomandazione di sottoporli alla prova prima di affidare ad essi le loro funzioni: essi devono avere una condotta degna e onesta, essere fedeli nel matrimonio, educare bene i loro figli e dirigere bene la loro casa, conservare “il mistero della fede in una coscienza pura” (cf. 1Tm 3,8-13).

Negli Atti degli Apostoli (Ac 6,1-6) si parla di sette “ministri” per il servizio delle mense. Pur non risultando chiaramente dal testo che si trattasse di una ordinazione sacramentale dei Diaconi, una lunga tradizione ha interpretato l’episodio come prima testimonianza dell’istituzione diaconale. Alla fine del I secolo o all’inizio del II il posto del Diacono è ormai ben stabilito, almeno in alcune Chiese, come grado della gerarchia ministeriale.

2. In particolare, è importante la testimonianza di sant’Ignazio di Antiochia, secondo il quale la comunità cristiana vive sotto l’autorità di un Vescovo, circondato da Presbiteri e da Diaconi: “Vi è una sola Eucaristia, una sola carne del Signore, un solo calice, un solo altare, come vi è anche un solo Vescovo con il collegio dei Presbiteri e i Diaconi, compagni di servizio” (Ad Philad., 4,1). Nelle lettere di Ignazio i Diaconi sono sempre citati come grado inferiore nella gerarchia ministeriale: un Diacono è lodato per il fatto “di essere sottomesso al Vescovo come alla grazia di Dio, e al Presbitero come alla legge di Gesù Cristo” (Ad Magnes., 2). Tuttavia Ignazio sottolinea la grandezza del ministero del Diacono, perché è “il ministero di Gesù Cristo che era presso il Padre prima dei secoli e si è rivelato alla fine dei tempi” (Ad Magnes., 6, 1). Come “ministri dei misteri di Gesù Cristo” è necessario che i Diaconi “siano in ogni modo graditi a tutti” (Ad Trall., 2, 3). Quando Ignazio raccomanda ai cristiani l’obbedienza al Vescovo e ai Sacerdoti, aggiunge: “Rispettate i Diaconi come un comandamento di Dio” (Ad Smyrn., 8, 1).

Altre testimonianze troviamo in san Policarpo di Smirne (Ad Phil., 5, 2), san Giustino (Apol., I, 65, 5; 67, 5), Tertulliano (De Bapt., 17, 1), san Cipriano (Epist.15 e 16), e poi in sant’Agostino (De cat. rudibus, I,c. 1, 1).

3. Nei primi secoli il Diacono svolgeva funzioni liturgiche. Nella celebrazione eucaristica egli leggeva o cantava l’Epistola e il Vangelo trasmetteva al celebrante l’offerta dei fedeli, distribuiva la comunione e la portava agli assenti; vegliava sull’ordine delle cerimonie e alla fine congedava l’assemblea. Inoltre egli preparava i catecumeni al Battesimo, li istruiva, e assisteva il Sacerdote nell’amministrazione di questo sacramento. In certe circostanze battezzava lui stesso e svolgeva un’attività di predicatore. E ancora, egli partecipava all’amministrazione dei beni ecclesiastici, si occupava del servizio dei poveri, delle vedove, degli orfani, e dell’aiuto ai prigionieri.

Nei testimoni della Tradizione è attestata la distinzione fra le funzioni del Diacono e quelle del Sacerdote. Afferma, ad esempio, sant’Ippolito (II-III secolo) che il Diacono è ordinato “non per il sacerdozio, ma per il servizio del Vescovo, per fare ciò che egli comanda” (SCh, 11, p. 39; cf. Constitutiones Aegypt., III, 2: ed. Funk, Didascalia, p. 103; Statuta Ecclesiae Ant., 37-41: Mansi 3, 954). Di fatto, secondo il pensiero e la prassi della Chiesa, il diaconato appartiene al sacramento dell’Ordine, ma non fa parte del sacerdozio e non comporta funzioni propriamente sacerdotali.

4. In Occidente, com’è noto, il presbiterato venne prendendo col passare del tempo un rilievo quasi esclusivo per rapporto al diaconato che, di fatto, si ridusse a non essere che un grado sulla via del sacerdozio. Non è questa la sede per rifare il cammino storico e spiegare le ragioni di tali variazioni: è piuttosto da sottolineare che sulle basi dell’antica dottrina, nei nostro secolo si è fatta sempre più viva in sede teologica e pastorale la coscienza dell’importanza del diaconato per la Chiesa, e quindi dell’opportunità di un suo ristabilimento come Ordine e stato di vita permanente. Anche il Papa Pio XII vi fece allusione, nella sua allocuzione al secondo congresso mondiale dell’Apostolato dei laici (5 ottobre 1957), quando, pur affermando che l’idea di una reintroduzione del diaconato come funzione distinta dal sacerdozio in quel momento non era ancora matura, affermava però che poteva diventarlo e che in ogni caso il diaconato sarebbe stato collocato nel quadro del ministero gerarchico fissato dalla più antica tradizione (cf. Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IX, p. 458).

La maturazione avvenne col Concilio Ecumenico Vaticano II, che prese in considerazione le proposte degli anni precedenti e decise quel ristabilimento (cf. Lumen Gentium LG 29).

Fu poi il Papa Paolo VI a porlo in atto disciplinando canonicamente e liturgicamente quanto riguardava tale Ordine (cf. Sacrum Diaconatus Ordinem: 18 giugno 1967; Pontificalis Romani recognitio: 17 giugno 1968; Ad pascendum: 15 agosto 1972).

5. Le ragioni che avevano fondato sia le proposte dei teologi, sia le decisioni conciliari e papali erano principalmente due. Anzitutto l’opportunità che certi servizi di carità, assicurati in modo permanente da laici consapevoli di dedicarsi alla missione evangelica della Chiesa, si concretizzassero in una forma riconosciuta in virtù di una consacrazione ufficiale. Vi era poi la necessità di supplire alla scarsezza di Presbiteri, oltre che di alleggerirli di molti compiti non direttamente connessi con il loro ministero pastorale. Non mancava chi vedeva nel diaconato permanente una specie di ponte tra pastori e fedeli.

È chiaro che, attraverso queste motivazioni legate alle circostanze storiche e alle prospettive pastorali, operava misteriosamente lo Spirito Santo, protagonista della vita della Chiesa, portando ad una nuova attuazione del quadro completo della gerarchia, tradizionalmente composta di Vescovi, Sacerdoti e Diaconi. Si promuoveva in tal modo una rivitalizzazione delle comunità cristiane, rese più conformi a quelle uscite dalle mani degli Apostoli e fiorite nei primi secoli, sempre sotto l’impulso del Paraclito, come attestano gli Atti.

6. Una esigenza particolarmente sentita nella decisione del ristabilimento del diaconato permanente era ed è quella della maggiore e più diretta presenza di ministri della Chiesa nei vari ambienti di famiglia di lavoro, di scuola ecc., oltre che nelle strutture pastorali costituite. Ciò spiega, tra l’altro, perché il Concilio, pur non rinunciando totalmente all’ideale del celibato anche per i Diaconi, ha ammesso che tale Ordine sacro possa essere conferito “a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio”. Era una linea di prudenza e di realismo, scelta per i motivi facilmente intuibili da chiunque abbia esperienza della condizione delle varie età e della situazione concreta delle diverse persone secondo il grado di maturità raggiunto. Per la stessa ragione è stato poi disposto, in sede di applicazione delle disposizioni del Concilio, che il conferimento del diaconato a uomini sposati avvenga a certe condizioni: come un’età non inferiore ai 35 anni, il consenso della moglie, la buona condotta e la buona reputazione, una adeguata preparazione dottrinale e pastorale ad opera di Istituti o di Sacerdoti specialmente scelti a questo scopo (cf. Paolo VI, Sacrum Diaconatus Ordinem, 11-15: Ench. Vat., II, 1381-1385).

7. Va però notato che il Concilio ha conservato l’ideale di un diaconato accessibile a giovani che si votino totalmente al Signore anche con l’impegno del celibato. È una via di “perfezione evangelica”, che può essere capita, scelta e amata da uomini generosi e desiderosi di servire il Regno di Dio nel mondo, senza accedere al sacerdozio, per il quale non si sentono chiamati, e tuttavia muniti di una consacrazione che garantisca ed istituzionalizzi il loro peculiare servizio alla Chiesa mediante il conferimento della grazia sacramentale. Non mancano oggi di questi giovani. Per essi sono state date alcune disposizioni, come quelle che esigono, per l’ordinazione diaconale, un’età non inferiore ai 25 anni e un periodo di formazione in un Istituto speciale,“dove siano messi alla prova, educati a vivere una vita veramente evangelica e preparati a svolgere utilmente le proprie specifiche funzioni”, almeno per la durata di tre anni (cf. Ivi, 5-9: Ench. Vat., II, 1375-1379). Sono disposizioni che lasciano trasparire l’importanza che la Chiesa attribuisce al diaconato e il suo desiderio che questa Ordinazione avvenga a ragion veduta e su basi sicure. Ma esse sono anche manifestazioni dell’ideale antico e sempre nuovo di consacrazione di sé al Regno di Dio, che la Chiesa raccoglie dal Vangelo ed innalza come un vessillo specialmente dinanzi ai giovani, anche nel nostro tempo.

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli italiani

Accolgo con gioia tutti i pellegrini italiani. Saluto, in particolare, il gruppo di fedeli della Parrocchia di San Luca Abate in Armento (Potenza), accompagnati dal loro Vescovo, Monsignor Francesco Zerrillo, dal Parroco e dal Sindaco, con la presenza dell’onorevole Emilio Colombo. Carissimi, San Luca Abate, Monaco Basiliano, svolse un importante ruolo nella vita civile e religiosa della vostra terra. Auguro che le celebrazioni del suo millenario, iniziate in questo mese, accendano in tutti il desiderio di vivere quei valori di civiltà e di fede che sono indispensabili per l’autentico progresso della vostra comunità cittadina.

Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli

Nel rivolgermi, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli, desidero ricordare oggi, in questa prima udienza del mese di ottobre, la pia pratica della recita del Rosario nelle famiglie, secondo la bella tradizione ampiamente diffusa nel popolo cristiano. Maria Santissima, che è modello di tutta la Chiesa nel culto divino e maestra di vita spirituale per tutti i cristiani, guidi voi, giovani, nella riscoperta delle verità della fede. Aiuti voi, malati, nell’offerta quotidiana dei vostri sacrifici. Trasformi le vostre famiglie, cari sposi novelli, in comunità di preghiera. E tutto ciò si attui mediante la recita del Rosario, che è invocazione alla Vergine nella meditazione attenta dei misteri della Redenzione. A tutti la mia benedizione.



Mercoledì, 13 ottobre 1993

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1. Il Concilio Vaticano II determina il posto che, sulla linea della tradizione più antica, occupano i Diaconi nella gerarchia ministeriale della Chiesa: “In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per un ministero”. Infatti sostenuti dalla grazia sacramentale nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità, servono il popolo di Dio, in comunione col Vescovo e il suo presbiterio” (Lumen Gentium
LG 29). La formula “non per il sacerdozio, ma per un ministero” è ripresa da un testo della Traditio apostolica di Ippolito, ma il Concilio la colloca su di un orizzonte più ampio. In questo testo antico, il “ministero” viene precisato come “servizio del Vescovo”; il Concilio pone l’accento sul servizio del popolo di Dio. Infatti, già questo significato fondamentale del servizio diaconale era stato affermato all’origine da sant’Ignazio di Antiochia, che chiamava i Diaconi “ministri della Chiesa di Dio”, ammonendo che per questo motivo erano obbligati a piacere a tutti (cf. Ad Tral., 2, 3). Oltre che come ausiliario del Vescovo, nel corso dei secoli il Diacono è stato considerato al servizio anche della comunità cristiana.

2. Per essere ammessi a svolgere le loro funzioni, i Diaconi ricevono, prima ancora dell’Ordinazione, i ministeri di lettore e di accolito. Il conferimento di questi due ministeri manifesta un duplice orientamento essenziale nelle funzioni diaconali, come spiega la Lettera apostolica Ad Pascendum di Paolo VI (1972): “In particolare conviene che i ministeri di lettore e di accolito siano affidati a coloro che, come candidati all’Ordine del diaconato o del presbiterato, desiderano consacrarsi in modo speciale a Dio e alla Chiesa. Questa infatti, proprio perché “mai non cessa di nutrirsi del pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di proporlo ai fedeli”, ritiene molto opportuno che i candidati agli Ordini sacri, tanto con lo studio quanto con l’esercizio graduale del ministero della parola e dell’altare, conoscano e meditino per un intimo contatto questo duplice aspetto della funzione sacerdotale” (Ench. Vat., IV, 1781). Questo orientamento vale non soltanto per la funzione sacerdotale, ma anche per quella diaconale.

3. Bisogna ricordare che, prima del Concilio Vaticano II, lettorato ed accolitato erano considerati come degli Ordini minori. Già nel 252 il Papa Cornelio, in una lettera ad un Vescovo, indicava sette gradi nella Chiesa di Roma (cf. Eusebio, Hist. Eccl., VI, 43: PG 20,622): sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti lettori e ostiarii. Nella tradizione della Chiesa latina erano ammessi tre ordini maggiori: sacerdozio, diaconato, suddiaconato; e quattro ordini minori: accolitato, esorcistato, lettorato, ostiariato. Era un ordinamento della struttura ecclesiastica dovuto alle necessità delle comunità cristiane nei secoli e determinato dall’autorità della Chiesa.

Con il ristabilimento del diaconato permanente, questa struttura è stata cambiata e per quanto riguarda l’ambito sacramentale, riportata ai tre Ordini di istituzione divina: diaconato, presbiterato, Episcopato. Infatti Paolo VI, nella sua Lettera apostolica sui ministeri della Chiesa latina (1972), ha soppresso – oltre alla “tonsura”, che segnava l’ingresso nello stato clericale – il suddiaconato le cui funzioni sono demandate al lettore e all’accolito. Ha mantenuto il lettorato e l’accolitato, ma considerati non più come Ordini, ma come ministeri, e conferiti non per “ordinazione”, ma per “istituzione”. Questi ministeri devono essere ricevuti dai candidati al diaconato e al presbiterato, ma sono accessibili anche a laici che nella Chiesa vogliano assumere i soli impegni che vi corrispondono: il lettorato, come ufficio di leggere la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, ad eccezione del Vangelo, e di assumere alcune funzioni (come dirigere il canto, istruire i fedeli); e l’accolitato, istituito per aiutare il Diacono e per fare da ministro al Sacerdote (cf. Ministeria quaedam, V, VI: Ench. Vat., IV, 1762-1763).

4. Il Concilio Vaticano II elenca le funzioni liturgiche e pastorali del Diacono: “Amministrare solennemente il Battesimo, conservare e distribuire l’Eucaristia, assistere e benedire in nome della Chiesa il Matrimonio, portare il Viatico ai moribondi, leggere la Sacra Scrittura ai fedeli istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, dirigere il rito funebre e della sepoltura” (LG 29).

Il Papa Paolo VI, nella Sacrum Diaconatus Ordinem (n. 22, 10): Ench. Vat., II, 1392), ha inoltre disposto che il Diacono può “guidare legittimamente, in nome del parroco o del Vescovo, le comunità cristiane disperse”. È una funzione missionaria da svolgere nei territori, negli ambienti, negli strati sociali, nei gruppi, dove manchi o non sia facilmente reperibile il Presbitero. Specialmente nei luoghi dove nessun Sacerdote sia disponibile per celebrare l’Eucaristia, il Diacono riunisce e dirige la comunità in una celebrazione della Parola con distribuzione delle sacre Specie, debitamente conservate. È una funzione di supplenza che il Diacono svolge per mandato ecclesiale quando si tratta di rimediare alla scarsità di Sacerdoti. Ma questa supplenza, che non può mai essere completamente sostitutiva, richiama, alle comunità prive di Sacerdote, l’urgenza di pregare per le vocazioni sacerdotali e di adoperarsi per favorirle come un bene comune per la Chiesa e per loro stesse. Anche il Diacono deve promuovere questa preghiera.

5. Sempre secondo il Concilio, le funzioni attribuite al Diacono non possono diminuire il ruolo dei laici chiamati e disposti a collaborare con la gerarchia nell’apostolato. Anzi, tra i compiti del Diacono vi è quello di “promuovere e sostenere le attività apostoliche dei laici”. In quanto presente e inserito più del Sacerdote negli ambiti e nelle strutture secolari, egli si deve sentire incoraggiato a favorire l’avvicinamento tra il ministero ordinato e le attività dei laici, nel comune servizio del Regno di Dio.

Altra funzione dei Diaconi è quella caritativa, che comporta anche un opportuno servizio nell’amministrazione dei beni e nelle opere di carità della Chiesa. I Diaconi hanno in questo campo la funzione di “esercitare, in nome della gerarchia, i doveri della carità e dell’amministrazione, nonché le opere di servizio sociale” (Paolo VI, Sacrum Diaconatus Ordinem, 22, 9): Ench. Vat., II, 1392).

A questo riguardo il Concilio rivolge loro una raccomandazione che deriva dalla più antica tradizione delle comunità europee: “Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di san Policarpo: «misericordiosi, attivi, camminanti nella verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti»” (Lumen Gentium LG 29 cf. Ad Phil., 5,2, ).

6. Sempre secondo il Concilio, il diaconato sembra particolarmente utile nelle giovani Chiese. Perciò il Decreto Ad gentes stabilisce: “Laddove le Conferenze Episcopali lo riterranno opportuno, si restauri l’Ordine diaconale come stato permanente, a norma della costituzione “sulla Chiesa”. È bene, infatti, che uomini, i quali di fatto esercitano il ministero del Diacono, o perché come catechisti predicano la Parola di Dio, o perché a nome del parroco e del Vescovo sono a capo di comunità cristiane lontane, o perché esercitano la loro carità attraverso appunto le opere sociali e caritative, siano confermati e stabilizzati per mezzo della imposizione delle mani, che è tradizione apostolica, e siano più saldamente congiunti all’altare per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato” (Ad Gentes AGD 16).

È noto che dove l’azione missionaria ha fatto sorgere nuove comunità cristiane, i catechisti svolgono spesso un ruolo essenziale. In molti luoghi sono essi che animano la comunità, la istruiscono, la fanno pregare. L’Ordine del diaconato può confermarli nella missione che esercitano, mediante una consacrazione più ufficiale e un mandato più espressamente conferito dall’autorità della Chiesa con il conferimento di un sacramento, nel quale, oltre la partecipazione alla fonte di ogni apostolato, che è la grazia di Cristo Redentore, effusa nella Chiesa dallo Spirito Santo, si riceve un carattere indelebile che configura in modo speciale il cristiano a Cristo, “il quale si è fatto “Diacono”, cioè il servo di tutti” (CEC 1570).

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai gruppi di pellegrini italiani

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare il gruppo della Parrocchia dei Santi Martiri Quirico, Giulitta e Biagio in Suello (Como), che ricorda i 50 anni di consacrazione della chiesa, come pure i fedeli della Comunità di San Girolamo in Castrovillari (Cosenza), qui presenti per far benedire il plastico del nuovo centro parrocchiale.

Accolgo con gioia i folti gruppi di studenti. Cari giovani, avete da poco iniziato l’anno scolastico. Conservate sempre un vivo desiderio di approfondire la conoscenza della verità e mantenere aperto il vostro spirito ai valori fondamentali dell’esistenza. L’insegnamento della religione cattolica, che fortunatamente in Italia continua ad essere scelto dalla maggioranza degli studenti, vi aiuterà ad acquisire una formazione umana e spirituale completa e profonda.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto infine tutti i giovani qui presenti, i malati e gli sposi novelli. Domenica scorsa ho avuto la gioia di proclamare Beati undici Martiri spagnoli e due religiose francescane. La coraggiosa testimonianza evangelica di questi nostri fratelli e sorelle nella fede, che la Chiesa propone come modelli ad ogni credente, sia per voi, giovani, invito a scegliere in modo maturo e consapevole Cristo e il suo Vangelo; aiuto voi, ammalati, ad offrire le vostre sofferenze in unione con quelle di Gesù crocifisso e risorto; sostenga voi, sposi novelli, nel proposito di fondare la vita familiare sulla salda roccia dell’amore di Dio. A tutti la mia benedizione!





Catechesi 79-2005 29993