Catechesi 79-2005 17113

Mercoledì, 17 novembre 1993

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Carissimi fratelli e sorelle!

1. Anche se oggi non si è fatta la consueta Udienza generale del mercoledì, non vorrei tuttavia privarmi della gioia di salutare, sia pur brevemente, tutti coloro che sono convenuti a Roma per incontrare il Successore di Pietro. Rivolgo un cordiale benvenuto a voi presenti questa mattina in piazza San Pietro, come pure a quanti sono a noi spiritualmente uniti attraverso la radio e la televisione. Desidero ringraziare nuovamente quanti, nei giorni scorsi, mi hanno fatto pervenire i loro commoventi attestati di affetto e di solidarietà ed assicuro a ciascuno il mio costante ricordo nella preghiera.

2. L’odierna liturgia fa memoria, carissimi fratelli e sorelle, di una donna di fede profonda e di carità ardente, vissuta agli inizi del XIII secolo: santa Elisabetta d’Ungheria. Di famiglia reale, ancora molto giovane andò sposa al duca Ludovico IV di Turingia. Condusse una vita esemplare come moglie e come madre, offrendo il proprio prezioso contributo a fianco del marito, soprattutto nell’assistenza ai poveri e ai bisognosi. Rimasta vedova, santa Elisabetta, attratta dalla spiritualità di san Francesco d’Assisi il cui Ordine si stava all’epoca diffondendo in Europa, lasciò gli agi della corte per condurre una vita molto povera, ma ricca di opere di carità, dedicandosi totalmente al servizio dei poveri nell’ospedale da lei stessa fatto costruire.

L’esempio e l’intercessione di questa illustre Santa della carità, patrona dell’Ordine francescano secolare e delle Opere caritative, ci sia di sprone ad una vita virtuosa, perché possiamo essere sempre pronti a mettere in pratica la volontà di Dio e ad andare con animo aperto verso i poveri e quanti si trovano nel bisogno.

3. Con tali sentimenti, mentre invoco la celeste protezione di santa Elisabetta, descritta dal suo padre spirituale, Corrado di Marburgo, come “pauperum consolatrix” e “famelicorum reparatrix” – “consolatrice dei poveri” e “ristoratrice degli affamati” –, di cuore imparto a voi qui presenti, alle vostre famiglie e a tutte le persone care, specialmente agli ammalati e ai sofferenti, la benedizione apostolica.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai visitatori di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi


La profonda tristezza del Papa per il sacrificio dei due Francescani a Fojnica

Durante l’incontro con i numerosi fedeli di tutto il mondo raccolti in Piazza San Pietro questa mattina, Giovanni Paolo II con “profonda tristezza” ricorda il sacrificio dei due Padri Francescani uccisi nei giorni scorsi a Fojnica. Queste le parole pronunciate dal Papa.

La notizia dell’assassinio dei due Padri Francescani dell’antico convento di Fojnica (Foinitsa), ci riempie di profonda tristezza. Chiediamo per questi nostri fratelli, travolti dalla violenza che tante vittime innocenti sta mietendo in quelle tormentate regioni, la gioia e la pace del Paradiso. Che non sia vano il loro sacrificio, ma stimolo per i loro confratelli a perseverare nella loro vocazione francescana di essere araldi della pace e del bene.





Mercoledì, 24 novembre 1993

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1. La Chiesa è santa e tutti i suoi membri sono chiamati alla santità. I laici partecipano alla santità della Chiesa, essendo membri a pieno titolo della comunità cristiana: e questa partecipazione, che possiamo dire ontologica, alla santità della Chiesa, si traduce anche per i laici in un impegno etico personale di santificazione. In questa capacità e in questa vocazione di santità, tutti i membri della Chiesa sono eguali (cf.
Ga 3,28).

Il grado di santità personale non dipende dalla posizione occupata nella società e nemmeno nella Chiesa, ma unicamente dal grado di carità vissuta (cf. 1Co 13). Un laico che accoglie generosamente la carità divina nel suo cuore e nella sua vita è più santo di un Sacerdote o un Vescovo che l’accolgono in modo mediocre.

2. La santità cristiana ha la sua radice nell’adesione a Cristo per mezzo della fede e del battesimo. Questo sacramento sta all’origine della comunione ecclesiale nella santità. È ciò che traspare dal testo paolino: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ep 4,5), citato dal Concilio Vaticano II, che ne trae l’affermazione sulla comunanza che lega i cristiani in Cristo e nella Chiesa (Lumen Gentium LG 32). In questa partecipazione alla vita di Cristo mediante il Battesimo s’innesta la santità ontologica, ecclesiologica ed etica di ogni credente, chierico o laico che sia.

Afferma il Concilio: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio e giustificati in Gesù Cristo non secondo le loro opere, ma secondo il disegno e la grazia di Lui, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi” (LG 40). La santità è appartenenza a Dio; questa appartenenza si attua nel Battesimo, quando Cristo prende possesso dell’essere umano per renderlo “partecipe della natura divina” (cf. 2P 1,4) che è in lui in forza dell’Incarnazione (cf. Summa theologiae, III 7,13 III 8,5). Cristo diventa così, veramente, come è stato detto, “vita dell’anima”. Il carattere sacramentale impresso nell’uomo dal Battesimo è il segno e il vincolo della consacrazione a Dio. Ecco perché Paolo, parlando dei battezzati, li chiama “i santi” (cf. Rm 1,7 1Co 1,2 2Co 1,1 ecc).

3. Ma, come abbiamo detto, da questa santità ontologica deriva l’impegno della santità etica. Tutti devono, come dice il Concilio, “con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuto” (LG 40). Tutti devono tendere alla santità, perché ne hanno già il germe in loro stessi; devono sviluppare questa santità che è stata loro concessa. Tutti devono vivere “come si addice ai santi” (Ep 5,3) e rivestirsi, “come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza” (Col 3,12). La santità che possiedono non li preserva dalle tentazioni né da ogni colpa, perché rimane nei battezzati la persistente fragilità della natura umana nella vita presente. Il Concilio di Trento insegna, al riguardo, che nessuno può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa crede essere avvenuto per la Vergine Santissima (cf. DS 1573). Ciò induce alla preghiera per ottenere dal Signore una grazia sempre nuova, la perseveranza nel bene, e il perdono dei peccati: “Rimetti a noi i nostri debiti” (Mt 6,12).

4. Secondo il Concilio, tutti i seguaci di Cristo, anche i laici, sono chiamati alla perfezione della carità (LG 40). La tendenza alla perfezione non è un privilegio di alcuni, ma un impegno di tutti i membri della Chiesa. E impegno per la perfezione cristiana significa cammino perseverante verso la santità. Come dice il Concilio, “il Signore Gesù, Maestro e Modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita, di cui Egli stesso è autore e perfezionatore: “Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5,48)” (LG 40). E perciò: “Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (LG 40). Proprio grazie alla santificazione di ciascuno viene introdotta una nuova perfezione umana nella società terrena: come diceva la Serva di Dio Elisabetta Leseur, “ogni anima che si eleva, eleva con sé il mondo”. Il Concilio insegna che “da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano” (LG 40).

5. A questo punto occorre notare che la ricchezza infinita della grazia di Cristo, partecipata agli uomini, si traduce in una quantità e varietà di doni, con i quali ciascuno può servire e beneficare gli altri nell’unico corpo della Chiesa. Era la raccomandazione di San Pietro ai cristiani disseminati nell’Asia Minore, quando, esortandoli alla santità, scriveva: “Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1P 4,10).

Anche il Concilio Vaticano II dice che “nei vari generi di vita e nei vari uffici un’unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio” (LG 41). Così esso ricorda la via di santità per i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i Chierici che aspirano a diventare ministri di Cristo, e “quei laici eletti da Dio, i quali sono chiamati dal Vescovo perché si diano più completamente alle opere apostoliche”. Ma più espressamente esso considera la via di santità per i cristiani impegnati nel matrimonio: “I coniugi e i genitori cristiani, seguendo la loro propria via, devono con costante amore sostenersi a vicenda nella grazia per tutta la vita, e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole, che hanno amorosamente accettata da Dio. Così infatti offrono a tutti l’esempio di un amore instancabile e generoso, edificano il fraterno consorzio della carità, e diventano testimoni e cooperatori della fecondità della Madre Chiesa, in segno e partecipazione di quell’amore col quale Cristo amò la sua Sposa e si è dato per lei” (LG 41).

Il discorso può e deve essere esteso alla condizione delle persone che vivono sole, o per libera scelta o per eventi e circostanze particolari: come i celibi e le nubili, i vedovi e le vedove, i separati e i lontani. Per tutti vale la chiamata divina alla santità, attuata in forma di carità. Il discorso può e deve essere altresì esteso, come nel Sinodo del 1987 (cf. CL 17), a coloro che nell’ordinaria vita professionale e nel quotidiano lavoro operano per il bene dei fratelli e il progresso della società, a imitazione di Gesù lavoratore. Può e deve essere esteso, infine, a tutti coloro che, come dice il Concilio, “sono oppressi dalla povertà, dalla debolezza, e dalle varie tribolazioni, malattie e infermità o soffrono persecuzioni per la giustizia”: essi sono “uniti in modo speciale a Cristo sofferente per la salute del mondo” (LG 41).

6. Molteplici sono dunque gli aspetti e le forme della santità cristiana che sono aperti ai laici, nelle loro varie condizioni di vita, nelle quali sono chiamati a imitare Cristo, e possono ricevere da Lui la grazia necessaria per adempiere la loro missione nel mondo. Tutti sono invitati da Dio a percorrere la via della santità e ad attirare su questa via i loro compagni di vita e di lavoro nel mondo delle cose temporali.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini del Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini del Giappone.

Sta ormai terminando l’anno liturgico della Chiesa e sta per iniziare il nuovo. Esprimo il desiderio che voi tutti possiate inserirvi più profondamente nella vita della Chiesa, sotto la guida della Madonna Santissima. Questo è un augurio, che affido alla stessa Madre di Dio e Madre nostra, mentre imparto a ciascuno di voi la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di espressione spagnola
Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi

Ai gruppi di fedeli italiani

Accolgo con gioia il folto gruppo di Religiose operatrici sanitarie negli ospedali o al servizio delle Consorelle anziane e malate. Carissime, il Convegno al quale state partecipando sia occasione di valido aggiornamento e di interiore rigenerazione, nello scambio delle esperienze e nella preghiera comune. Portate a quanti sono affidati alle vostre cure la mia affettuosa benedizione.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli presenti. La prossima domenica segnerà l’inizio dell’Avvento, il periodo liturgico che precede e prepara la celebrazione del Santo Natale. Auguro a ciascuno di voi di aprire il cuore al Signore, per preparare la strada a Colui che viene a colmare con la luce della sua presenza ogni nostra umana debolezza. Vi accompagni in questo impegno anche la mia apostolica benedizione.



Mercoledì, 1° dicembre 1993

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1. Il ruolo specifico dei laici nella Chiesa richiede, da parte loro, una profonda vita spirituale. Per aiutarli a raggiungerla e a viverla, si sono pubblicate opere teologiche e pastorali di spiritualità per laici, basate sul presupposto che ogni battezzato è chiamato alla santità. Il modo di attuare questa chiamata varia a seconda delle diversità delle vocazioni particolari, delle condizioni di vita e di lavoro, delle capacità e inclinazioni, delle preferenze personali per questo o quel maestro di orazione e di apostolato, per questo o quel Fondatore di Ordine o di Istituzione religiosa: come è avvenuto e avviene in tutti i ceti che compongono la Chiesa orante, operante e pellegrina verso il Cielo. È lo stesso Concilio Vaticano II a tracciare le linee di una specifica spiritualità dei laici, nell’ambito della dottrina di vita valida per tutti nella Chiesa.

2. Alla base di qualsiasi spiritualità cristiana non possono non porsi le parole di Gesù sulla necessità di una unione vitale con lui: “Rimanete in me. Chi rimane in me, e io in lui, questi produce molto frutto” (
Jn 15,5). È significativa la distinzione, a cui il testo allude, tra due aspetti dell’unione: c’è una presenza di Cristo in noi, che dobbiamo accogliere, riconoscere, desiderare sempre di più, lieti se qualche volta ci è dato di sperimentarla in modo particolarmente intenso; e c’è una presenza di noi in Cristo, che siamo invitati ad attuare mediante la nostra fede e il nostro amore.

Questa unione con Cristo è dono dello Spirito Santo, il quale la infonde nell’anima che l’accetta ed asseconda sia nella contemplazione dei divini misteri, sia nell’apostolato che tende a comunicare la luce, sia nell’azione a raggio personale e sociale (cf. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II 45,4). I laici sono chiamati a tale esperienza di comunione quanto ogni altro membro del Popolo di Dio. Lo ha ricordato il Concilio ammonendo: “Mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita l’unione con Cristo” (Apostolicam actuositatem AA 4).

3. Trattandosi di un dono dello Spirito Santo, l’unione con Cristo deve essere richiesta con la preghiera. Senza dubbio, quando si svolge la propria attività secondo la volontà divina, si compie cosa gradita al Signore, e ciò è già una forma di preghiera. Così le azioni anche più semplici diventano un omaggio, che dà lode a Dio ed è a Lui gradito. Ma è altrettanto vero che questo non basta: è necessario riservare specifici momenti da dedicare espressamente alla preghiera, secondo l’esempio di Gesù che, in mezzo all’attività messianica anche più intensa, si ritirava per pregare (cf. Lc 5,16).

Ciò vale per tutti, quindi anche per i laici. Le forme e i modi di simili “soste” di preghiera possono essere molteplici: ma in ogni caso sta il principio che la preghiera è per tutti indispensabile sia nella vita personale, sia nell’apostolato. Solo grazie ad una intensa vita di preghiera i laici possono trovare ispirazione, energia, coraggio tra le difficoltà e gli ostacoli, equilibrio, capacità di iniziativa, di resistenza, di ricupero.

4. La vita di preghiera di ogni fedele, e perciò anche del laico, non potrà fare a meno della partecipazione alla liturgia, del ricorso al sacramento della Riconciliazione e soprattutto della Celebrazione eucaristica, dove la comunione sacramentale con Cristo è la fonte di quella specie di mutua immanenza tra l’anima e Cristo, che lui stesso annuncia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui” (Jn 6,56). Il banchetto eucaristico assicura quel nutrimento spirituale che rende capaci di produrre molto frutto. Anche i christifideles laici sono dunque chiamati e invitati ad una intensa vita eucaristica. La partecipazione sacramentale alla Messa domenicale dovrà essere per loro la fonte sia della vita spirituale, sia dell’apostolato. Beati coloro che, oltre la Messa e Comunione domenicale, si sentono attratti e spinti alla Comunione frequente, raccomandata da tanti Santi, specialmente nei tempi recenti in cui l’apostolato dei laici ha preso sviluppo sempre maggiore.

5. Il Concilio vuol ricordare ai laici che l’unione con Cristo può e deve coinvolgere tutti gli aspetti della loro vita terrena: “Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei alla spiritualità della loro vita, secondo il detto dell’Apostolo: “Tutto quello che fate in parole e in opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col 3,17)” (AA 4). Tutta l’attività umana assume in Cristo un significato più alto. Si apre qui una prospettiva ampia e luminosa sul valore delle realtà terrestri. La teologia ha messo in rilievo la positività di tutto ciò che esiste ed agisce in forza della partecipazione dell’essere, della verità, della bellezza, del bene di Dio “Creatore e Signore del cielo e della terra”, ossia di tutto l’universo e di ogni realtà piccola o grande che fa parte dell’universo. Era una delle tesi fondamentali della visione del cosmo di san Tommaso (cf. Summa theologiae, I 6,4 I 16,6 I 18,4 I 103,5-6 I 105,5 ecc), che la fondava sul libro della Genesi e su tanti altri testi biblici, e che la scienza conferma ampiamente con i risultati meravigliosi delle sue indagini sul microcosmo e sul macrocosmo: tutto porta in sé una propria entità, tutto si muove secondo una propria capacità di movimento, ma tutto denuncia anche il proprio limite, la sua dipendenza, il suo finalismo immanente.

6. Una spiritualità, fondata su questa visione veritiera delle cose, è aperta al Dio infinito ed eterno, cercato, amato, servito in tutta la vita, e scoperto e riconosciuto come luce che spiega gli avvenimenti del mondo e della storia. La fede fonda e perfeziona questo spirito di verità e di saggezza, e permette di vedere la proiezione di Cristo in tutte le cose, anche in quelle cosiddette “temporali”, che la fede e la sapienza fanno scoprire nella loro relazione con il Dio in cui noi “viviamo, ci moviamo ed esistiamo” (Ac 17,28); (cf. AA 4). Con la fede si discerne, anche nell’ordine temporale, l’attuazione del disegno divino di amore salvifico, e nello svolgimento della propria vita la continua sollecitudine del Padre, rivelata da Gesù, cioè gli interventi della Provvidenza in risposta alle richieste e ai bisogni umani (cf. Mt 6,25-34). Nella condizione dei laici questa visione di fede mette nella giusta luce le cose di ogni giorno, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, nel lavoro e nel riposo, nella riflessione e nell’azione.

7. Se la fede dà una nuova visione delle cose, la speranza dà una nuova energia anche per l’impegno nell’ordine temporale (cf. AA AA 4). Così i laici possono testimoniare che la spiritualità e l’apostolato non paralizzano l’impegno per il perfezionamento dell’ordine temporale; nello stesso tempo essi mostrano la superiore grandezza dei fini a cui mirano e della speranza che li anima, e che essi vogliono comunicare anche agli altri. È una speranza che non esclude le prove e i dolori, ma che non può deludere, perché è fondata sul mistero pasquale, mistero della croce e della risurrezione di Cristo. I laici sanno e testimoniano che la partecipazione al sacrificio della Croce conduce alla condivisione della gioia comunicata dal Cristo glorioso. Così nello stesso sguardo verso i beni esterni e temporali splende l’intima certezza di chi li vede e tratta, pur rispettando la loro finalità propria, come mezzo e via verso la perfezione della vita eterna. Tutto avviene in virtù della carità, che lo Spirito Santo infonde nell’anima (cf. Rm 5,5) per farla partecipe, già sulla terra, della vita di Dio.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi pellegrini provenienti da ogni parte del Giappone, è iniziato il periodo liturgico dell’attesa del Natale del Signore. Auspico, carissimi, che questo vostro pellegrinaggio ai luoghi sacri del Cristianesimo giovi per la buona preparazione alla Festa del Natale.

È con questo augurio che vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ad alcuni gruppi di pellegrini italiani

Il mio pensiero si rivolge ora a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, desidero salutare gli Allievi Ufficiali di Complemento del Battaglione “Tobruk”, auspicando che il corso da loro attualmente frequentato offra una solida formazione ai valori della giustizia, della solidarietà e della pace.

Saluto inoltre con affetto i ragazzi del Gruppo “Arcobaleno” di Alzano Lombardo (Bergamo) con il loro parroco, i familiari e gli animatori. Carissimi, auguro che le musiche da voi apprese ed eseguite con tanto impegno, anche allo scopo di aiutare i vostri coetanei meno fortunati, diventino un valido richiamo, sia per voi sia per quanti vi ascoltano, a vivere in profondità il tempo di Avvento appena cominciato.

Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli

Saluto poi i giovani, i malati e gli sposi novelli presenti a questa Udienza. Il tempo d’Avvento ci invita, carissimi, a prepararci al Natale accogliendo senza timore Gesù Cristo che viene in mezzo a noi. Se gli spalanchiamo la porta della vita, tutto acquista una luce nuova e la famiglia, il lavoro, il dolore, la salute, l’amicizia, diventano altrettante occasioni per scoprire la sua consolante presenza, presenza di Emmanuele che vuol dire Dio con noi e per testimoniare questa sua presenza agli altri. Allora vi auguro che nell’itinerario dell’Avvento vi accompagni la Vergine Madre del Verbo Incarnato, questa Vergine che adesso sta aspettando la Notte di Betlemme, la Notte del Natale del Signore. Con affetto tutti benedico.




Mercoledì, 15 dicembre 1993

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1. Nelle precedenti catechesi sui laici abbiamo più volte fatto cenno al servizio di lode a Dio e ad altri compiti di culto che competono ai laici. Vogliamo oggi svolgere più direttamente questo tema, partendo dai testi del Concilio Vaticano II, dove leggiamo: “Il sommo ed eterno Sacerdote Gesù Cristo, volendo anche attraverso i laici continuare la sua testimonianza e il suo ministero, li vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta” (
LG 34). Sotto questa spinta dello Spirito Santo, si produce nei laici una partecipazione al sacerdozio di Cristo, nella forma che a suo tempo abbiamo definito comune a tutta la Chiesa, nella quale tutti, anche i laici, sono chiamati a dare a Dio il culto spirituale. “Ad essi, infatti, che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione (Cristo) concede anche parte del suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, affinché sia glorificato Dio, e gli uomini siano salvati. Perciò i laici, essendo dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito Santo, sono in modo mirabile chiamati e istruiti per produrre sempre più copiosi i frutti dello Spirito” (LG 34).

2. Osserviamo che il Concilio non si limita a qualificare i laici “partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo” (Lumen Gentium LG 31), ma precisa che Cristo stesso continua l’esercizio del suo sacerdozio nella loro vita, nella quale, pertanto la partecipazione al sacerdozio comune della Chiesa avviene per incarico ed opera di Cristo, eterno ed unico sommo Sacerdote.

E ancora: quest’opera sacerdotale di Cristo nei laici si compie per mezzo dello Spirito Santo. Cristo li “vivifica col suo Spirito”. È ciò che aveva promesso Gesù, quando aveva enunciato il principio che lo Spirito vivifica (cf. Jn 6,63). Colui che nella Pentecoste è stato mandato a formare la Chiesa ha il compito perenne di sviluppare il sacerdozio e l’attività sacerdotale di Cristo nella Chiesa, anche nei laici, che sono a pieno titolo membri del Corpus Christi in forza del Battesimo. Col Battesimo, infatti, viene inaugurata la presenza e l’attività sacerdotale di Cristo in ogni membro del suo Corpo, nel quale lo Spirito Santo infonde la grazia e imprime il carattere, dando al credente la capacità di partecipare vitalmente al culto reso da Cristo al Padre nella Chiesa; mentre nella Confermazione conferisce la capacità di impegnarsi da adulti nella fede, nel servizio di testimonianza e di propagazione del Vangelo, che appartiene alla missione della Chiesa (cf. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, III 63,3 III 72,5-6).

3. In forza di questa comunicazione del suo sacerdozio, Cristo dà a tutti i suoi membri, anche ai laici (cf. LG 34), la facoltà di attuare nella loro vita quel culto che Egli stesso chiamava “adorare il Padre in spirito e verità” (Jn 4,23). Con l’esercizio di tale culto il fedele, animato dallo Spirito Santo, partecipa al sacrificio del Verbo Incarnato e alla sua missione di sommo Sacerdote e di Redentore universale.

Secondo il Concilio, è in questa trascendente realtà sacerdotale del mistero di Cristo che i laici sono chiamati a offrire tutta la loro vita come sacrificio spirituale, cooperando così con tutta la Chiesa alla consacrazione del mondo continuamente operata dal Redentore. È la grande missione dei laici: “Tutte infatti le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita, se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo, i quali nella celebrazione dell’Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre insieme all’oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, in quanto adoratori dovunque santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso” (LG 34 cf. Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 901).

4. Il culto spirituale implica una partecipazione dei laici alla celebrazione eucaristica, centro di tutta l’economia dei rapporti tra gli uomini e Dio nella Chiesa. In questo senso, anche “i fedeli laici sono partecipi dell’ufficio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto se stesso sulla croce e continuamente si offre nella celebrazione eucaristica, a gloria del Padre per la salvezza dell’umanità” (Christifideles Laici CL 14). Nella celebrazione eucaristica i laici partecipano attivamente con l’offrire se stessi in unione con Cristo Sacerdote e Ostia; e questa loro offerta ha un valore ecclesiale in forza del carattere battesimale che li rende idonei a dare a Dio, con Cristo e nella Chiesa, il culto ufficiale della religione cristiana (cf. san Tommaso, Summa theologiae, III 63,3). La partecipazione sacramentale al banchetto eucaristico stimola e perfeziona la loro offerta, infondendo in loro la grazia sacramentale che li aiuterà a vivere e operare secondo le esigenze dell’offerta compiuta con Cristo e con la Chiesa.

5. A questo punto dobbiamo ribadire l’importanza della partecipazione alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia, prescritta dalla Chiesa. È per tutti il più alto atto di culto nell’esercizio del sacerdozio universale, come l’offerta sacramentale della Messa lo è nell’esercizio del sacerdozio ministeriale per i Sacerdoti. La partecipazione al banchetto eucaristico è per tutti una condizione di unione vitale con Cristo, com’egli stesso ha detto: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Jn 6,53). Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda a tutti i fedeli il significato della partecipazione domenicale all’Eucaristia (cf. CEC 2181-2182). Qui voglio concludere con le note parole della Prima Lettera di Pietro, che scolpiscono la figura dei laici partecipi del mistero eucaristico-ecclesiale: “Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1P 2,5).

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai visitatori di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai gruppi italiani

Rivolgo un affettuoso benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Saluto, in particolare, gli Agenti della Scuola del Corpo forestale di Stato di Sabaudia (Latina), ed auguro loro un proficuo lavoro a servizio della conservazione e valorizzazione delle risorse naturali.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed ora un cordiale saluto a voi, carissimi giovani, ammalati e sposi novelli. L’Avvento ravviva nell’animo dei credenti il desiderio di incontrare Cristo, l’Emanuele, il Figlio di Dio, che dà la vita in abbondanza. Possiate, cari ragazzi e ragazze, andare incontro al Redentore con gioia, riconoscerlo presente nella vostra esistenza e seguirlo fedelmente. L’attesa del Signore sia la ragione e la forza della vostra speranza, cari malati. E voi, cari sposi novelli, fate della vostra adesione al Vangelo l’ideale costante della vostra vocazione familiare. A tutti la mia benedizione apostolica.






Mercoledì, 22 dicembre 1993

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Carissimi fratelli e sorelle,

1. Eccoci giunti di nuovo a Natale, solennità liturgica che commemora la nascita del Divin Salvatore, ricolmando i nostri animi di gioia e pace. La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale. Nell’antichità pagana si festeggiava in quel giorno la nascita del “Sole Invitto”, in coincidenza col solstizio d’inverno. Ai cristiani apparve logico e naturale sostituire quella festa con la celebrazione dell’unico e vero Sole, Gesù Cristo, sorto sulla terra per recare agli uomini la luce della Verità.

Da allora ogni anno, dopo l’intensa preparazione dell’Avvento e a conclusione della speciale Novena, i credenti commemorano l’evento dell’incarnazione del Figlio di Dio in un clima di particolare letizia. San Leone Magno – che fu Pontefice dal 440 al 461 – così esclamava in una delle sue numerose e magnifiche omelie natalizie: “Esultiamo nel Signore, o miei cari, ed apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine” (Omelia XXII – Ed. Utet, 1968, trad. Tommaso Mariucci).

2. Carissimi fratelli e sorelle! Non si tratta di una letizia legata soltanto al fascino di una data arcana e commovente. Essa sgorga piuttosto da una realtà soprannaturale e storica: il Dio della luce, nel quale, come scrive San Giacomo, “non c’è variazione né ombra di cambiamento” (
Jc 1,17), ha voluto incarnarsi assumendo la “natura umana”. Per salvare l’umanità, è nato a Betlemme da Maria Santissima il nostro Redentore!

San Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, medita profondamente su questo evento unico e sconvolgente: “In principio era il Verbo... In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini... A quanti l’hanno accolto, a quelli che credono in lui ha dato potere di diventare figli di Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi...” (Jn 1,1 Jn 1,4 Jn 1,12 Jn 1,14).

Conosciamo così con certezza il motivo e la finalità dell’Incarnazione: il Figlio di Dio si è fatto uomo per rivelarci la luce della Verità salvifica e per comunicarci la sua stessa vita divina, rendendoci figli adottivi di Dio e suoi fratelli.

Su questa verità fondamentale ritorna frequentemente san Paolo nelle sue lettere. Ai Galati scrive: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge... perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4). E ancora: “Tutti voi siete diventati figli di Dio per la fede in Cristo Gesù” (Ga 3,26). Nella Lettera ai Romani evidenzia poi le logiche, ma anche esigenti, conseguenze di questo fatto: “Se siamo figli (di Dio) siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17).

Dio si è fatto uomo per parteciparci, in Gesù, la sua vita divina e poi l’eterna sua gloria! Ecco il significato vero del Natale e quindi della nostra mistica gioia. E questo fu proprio l’annuncio dell’angelo ai pastori, spaventati per lo splendore della luce che li aveva sorpresi nella notte: “Non temete! Ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo Signore!” (Lc 2,10-11).

3. Carissimi fratelli e sorelle! Il Natale è la luce divina che dà valore e senso alla vita dei singoli e alla storia dell’umanità.

Mi tornano alla mente, al riguardo, le parole pronunciate da Papa Paolo VI nel corso della storica visita a Betlemme: “Noi esprimiamo – egli diceva – l’umile, trepidante, ma piena e gaudiosa professione della nostra fede, della nostra speranza e del nostro amore. Noi ripetiamo a Lui solennemente come nostra la confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” (Mt 16,16)”. E proseguiva: “Noi sappiamo che l’uomo soffre di dubbi atroci. Noi sappiamo che nella sua anima vi è tanta oscurità, tanta sofferenza. Noi abbiamo una parola da dire, che crediamo risolutiva. E tanto più noi osiamo offrirla perché essa è umana. È quella d’un Uomo all’uomo. Il Cristo, che noi portiamo all’umanità, è il “Figlio dell’Uomo”: così Lui chiamava Sé stesso. È il Primogenito, il Prototipo della nuova umanità, è il Fratello, è il Collega, è l’Amico per eccellenza. È Colui di cui solo si poté dire in verità che “conosceva che cosa ci fosse nell’uomo” (Jn 2,25). È, sì, il Mandato di Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo (cf. Jn 3,17)” (Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964, PP 29-33).

4. Fratelli e sorelle carissimi! Saper guardare alla nostra esistenza con gli occhi di Dio, carichi di fiducia e di amore: non è questa la consegna che ci giunge anche nel Natale del 1993? Gesù è nato nella povertà di Betlemme per abbracciare l’intera nostra umanità. Gesù ritorna fra noi anche quest’anno per rinnovare l’arcano prodigio della salvezza offerta a tutti gli uomini e a tutto l’uomo. La sua grazia agisce silenziosamente nell’intimità delle singole anime, perché la salvezza è essenzialmente un dialogo di fede e di amore con il Cristo, adorato nel mistero dell’incarnazione. Accogliamo questo messaggio come il vero dono del Natale.

In ginocchio davanti a Gesù Bambino, insieme con Maria e Giuseppe, ci prepariamo ad iniziare l’Anno dedicato alla Famiglia. Innalziamo con fervore la nostra preghiera all’Altissimo per domandare la fedeltà e la concordia per tutte le famiglie, oggi tanto insidiate dai falsi profeti della cultura edonistica e materialistica.

Possa il Natale essere per ogni nucleo familiare motivo di letizia e di soave conforto; possano le famiglie cristiane, ispirandosi all’esempio della Sacra Famiglia, diffondere intorno a sé il messaggio dell’amore aperto alla vita, alimentando così la speranza di un futuro migliore.

Con questi sentimenti, auguro a tutti voi e ai vostri cari un Santo Natale!

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai presenti di lingua tedesca

Ai presenti di espressione spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai giovani, agli ammalati e alle coppie di sposi novelli

Saluto poi con particolare affetto i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ci stiamo preparando, carissimi, alla ormai prossima solennità del Natale, invocando la venuta dell’atteso “Re delle genti”. Possiate, voi giovani, predisporvi con fede a riconoscere nel Bambino di Betlemme il Signore dell’intera vostra esistenza; sia dato a voi, ammalati, di contemplare nella semplicità del presepe il Figlio di Dio, che dona al dolore umano un significato di grazia e di salvezza; e vi doni Iddio, sposi novelli, di disporvi a fare della sacra Famiglia di Nazaret il modello della nuova vita familiare che da poco avete iniziato. Augurando a tutti un sereno e santo Natale, imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Accorato appello per la tragedia della Bosnia-Erzegovina

Oggi ha luogo a Bruxelles, con la mediazione dell’Unione Europea, un’importante riunione destinata a facilitare l’accesso dei convogli con aiuti umanitari per la popolazione della Bosnia-Erzegovina e a mettere fine al drammatico conflitto che imperversa colà da troppo tempo. Auspico che i rappresentanti delle parti coinvolte prendano in considerazione anzitutto il vero bene delle popolazioni e si impegnino con coscienza in un dialogo costruttivo. Spero che si giunga finalmente, e quanto prima, ad un effettivo cessate-il-fuoco, da tutti rispettato, e che così siano risparmiate alle popolazioni stremate da tante prove, gli stenti e le sofferenze di un altro inverno. Nell’imminenza della festa del Natale, invochiamo da Dio che è Amore (Jn 4,7), il dono di una pace giusta e durevole.

Appello per le gravi tensioni in Algeria

Dall’Algeria continuano a giungere tristi notizie di uccisioni di innocenti, di minacce, di gravi tensioni e, come conseguenza, di profondi turbamenti per quella comunità cattolica. Non si può che deplorare tali crimini che, nel caso concreto, parrebbero essere anche espressione di ostilità verso dei credenti: credenti cristiani, ma sempre credenti nel Dio unico, creatore e misericordioso, nel Dio di Abramo. Tutti noi vogliamo pensare che gli autori di tali delitti non si ispirino a motivazioni religiose. Se così fosse, essi renderebbero ben più difficile il cammino di fede di tanti uomini. Nel contempo, voglio far giungere ai Vescovi di Algeria, ai sacerdoti, religiosi e religiose e ai fedeli tutti la mia vicinanza spirituale ed un’affettuosa partecipazione in questo momento di dolorosa prova. Voglia Dio ascoltare la preghiera di tanti cristiani e musulmani e concedere a tutto il popolo algerino di ritrovare la pace e la concordia.





Catechesi 79-2005 17113