Catechesi 79-2005 27592

Mercoledì, 27 maggio 1992

27592
1. Testimone della vita di Cristo e in Cristo, come abbiamo visto nella precedente catechesi, la Chiesa è nello stesso tempo testimone della speranza: di quella speranza evangelica che in Cristo trova la sua fonte. Di Cristo, infatti, il Concilio Vaticano II dice nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes: “Il Signore è il fine della storia umana . . . il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle (umane) aspirazioni” (
GS 45). In questo testo il Concilio riporta le parole di Paolo VI, che in una allocuzione aveva detto di Cristo che è “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà” (Discorso del 3 febbraio 1965). Come si vede, la speranza testimoniata dalla Chiesa ha dimensioni molto vaste, anzi possiamo dire che è immensa.

2. Si tratta anzitutto della speranza della vita eterna. Tale speranza risponde al desiderio dell’immortalità che l’uomo porta nel suo cuore in virtù della natura spirituale dell’anima. La Chiesa predica che la vita terrena è il “passaggio” a un’altra vita: alla vita in Dio, dove “non ci sarà più morte” (Ap 21,4). Grazie a Cristo, che - come dice San Paolo - è “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18 cf. 1Co 15,20), grazie alla sua risurrezione, l’uomo può vivere nella prospettiva della vita eterna da lui annunciata e portata.

3. Si tratta della speranza della felicità in Dio. A questa felicità siamo tutti chiamati, come ci rivela il mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Un’altra volta Gesù assicura i suoi discepoli che “nella casa del Padre ci sono molte dimore” (Jn 14,2), e che lasciandoli sulla terra va al cielo “per preparare (loro) un posto”: “perché siate anche voi dove sono io” (Jn 14,3).

4. Si tratta della speranza di essere con Cristo “nella casa del Padre” dopo la morte. L’apostolo Paolo era ripieno di tale speranza, al punto di esprimere “il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” e di dire che questo “sarebbe assai meglio” (Ph 1,23). “Siamo pieni di fiducia, scriveva ancora, e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore” (2Co 5,8). La speranza cristiana ci assicura inoltre che l’“esilio dal corpo” non durerà e che la nostra felicità presso il Signore raggiungerà la sua pienezza con la risurrezione dei corpi alla fine del mondo. Gesù ce ne dà la certezza; egli la mette in relazione con l’Eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Jn 6,54). È una vera e propria risurrezione dei corpi, con la piena reintegrazione delle singole persone nella nuova vita del cielo, e non una reincarnazione intesa come ritorno alla vita sulla stessa terra, in altri corpi. Nella rivelazione di Cristo predicata e testimoniata dalla Chiesa, la speranza della risurrezione si colloca nel contesto di “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1), nel quale trova pienezza di realizzazione la “nuova vita” partecipata agli uomini dal Verbo incarnato.

5. Se la Chiesa dà la testimonianza di questa speranza - speranza della vita eterna, della risurrezione dei corpi, dell’eterna felicità in Dio - lo fa come eco dell’insegnamento degli Apostoli, e specialmente di San Paolo, secondo il quale Cristo stesso è fonte e fondamento di questa speranza. “Cristo Gesù nostra speranza”, dice l’Apostolo (1Tm 1,1); e ancora egli scrive che in Cristo è stato rivelato “il mistero nascosto da secoli e da generazioni . . . manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero . . . cioè Cristo . . . speranza della gloria” (Col 1,26-27). Il profetismo della speranza ha dunque il suo fondamento in Cristo, e da Lui dipende la crescita contemporanea della “vita nuova” in Lui e della speranza nella “vita eterna”.

6. Ma la speranza che deriva da Cristo, pur avendo un termine ultimo che è al di là di ogni confine temporale, nello stesso tempo però pervade la vita del cristiano anche nel tempo. Lo afferma San Paolo: “In lui (Cristo) anche voi, dopo aver creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ep 1,13-14). Dio infatti è colui “che ci conferma . . . in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2Co 1,21-22). La speranza è dunque un dono dello Spirito Santo, Spirito di Cristo, per il quale già nel tempo l’uomo vive d’eternità: vive in Cristo come partecipe della vita eterna, che il Figlio riceve dal Padre e dà ai suoi discepoli (cf. Jn 5,26 Jn 6,54-57 Jn 10,28 Jn 17,2). San Paolo dice che questa è la speranza che “non delude” (Rm 5,5), perché attinge dalla potenza dell’amore di Dio che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Di questa speranza è testimone la Chiesa, che l’annuncia e porta come dono per i singoli uomini che accettano Cristo e vivono in Lui, e per l’insieme di tutti gli uomini e di tutti i popoli, ai quali deve e vuole far conoscere, secondo la volontà di Cristo, il “Vangelo del regno” (Mt 24,14).

7. Anche di fronte alle difficoltà della vita presente e alle dolorose esperienze di prevaricazioni e di fallimenti dell’uomo nella storia, la speranza è la fonte dell’ottimismo cristiano. Certo la Chiesa non può chiudere gli occhi dinanzi al molteplice male che è nel mondo. Essa, tuttavia, sa di poter contare sulla presenza vittoriosa di Cristo e a questa certezza ispira la sua azione lunga e paziente, memore sempre di quella dichiarazione del suo Fondatore nel discorso d’addio agli Apostoli: “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Jn 16,33). Dalla certezza di questa vittoria di Cristo, che si dilata nella storia a livello di profondità, la Chiesa attinge quell’ottimismo soprannaturale nel guardare il mondo e la vita, che traduce in azione il dono della speranza. Essa è allenata dalla storia a resistere e a continuare nella sua opera come ministra di Cristo crocifisso e risorto: ma è in virtù dello Spirito Santo che spera di riportare sempre nuove vittorie spirituali, infondendo nelle anime e propagando nel mondo il fermento evangelico di grazia e di verità (cf. Jn 16,13). La Chiesa vuole trasmettere ai suoi membri e per quanto è possibile a tutti gli uomini questo ottimismo cristiano, fatto di fiducia, coraggio e lungimirante perseveranza. Essa fa sue le parole dell’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Il Dio (datore) della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13). Il Dio della speranza è “il Dio della perseveranza e della consolazione” (Rm 15,5).

8. Di fatto, la Chiesa può far sue in ogni tempo le memorabili parole di San Francesco Saverio, ispirate dalla grazia in lui operante: “Non mi ricordo di aver mai avuto tante e così continue consolazioni spirituali, come su queste isole . . . (si tratta delle Isole del Moro, dove tra grandi difficoltà il santo missionario annunciava il Vangelo). Ho camminato lungamente su isole circondate da nemici e popolate da amici non proprio sinceri, in terre prive di ogni rimedio per le infermità corporali e quasi di ogni aiuto umano per la conservazione della vita. Quelle Isole dovrebbero chiamarsi non “Isole del Moro”, ma “Isole della speranza in Dio”!” (Epist. S. Francisci Xaverii, in: Monumenta Missionum Societatis Iesu, vol. I, Romae 1944, p. 380).

Possiamo dire che il mondo in cui Cristo ha riportato la sua vittoria pasquale è divenuto, in forza della sua redenzione, l’“isola della Divina Speranza”.

Ai pellegrini venuti dalla Francia

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli provenienti dalla Spagna

Ai pellegrini di espressione portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto tutti i gruppi di lingua italiana presenti a questa Udienza. In particolare saluto gli Allievi Ufficiali di Complemento della Scuola del Genio. Cari giovani, vi auguro che possiate scoprire il valore dell’autentica disciplina, che plasma la volontà, orientandola ad agire secondo le esigenze della verità e del bene comune. Preparatevi con sereno entusiasmo alle prime responsabilità, seguendo come vostra Guida e Maestro il Cristo, Redentore dell’uomo.

Rivolgo, poi, il mio benvenuto al folto gruppo internazionale dell’“Armée de Marie”, che in questo mese di maggio sta vivendo un intenso itinerario attraverso alcuni Santuari mariani italiani. Lasciatevi sempre educare dalla Madre del Signore, pellegrina della fede e della speranza; portate nei vostri Paesi il tesoro spirituale, che avete accumulato in questi giorni.

Rivolgo pure il mio particolare saluto ai ragazzi disabili, ospiti della “Casa del Sole” di Mantova, ai loro genitori ed educatori e alle Suore Clarisse, che li assistono con la loro preghiera. Carissimi, come già ebbi modo di dirvi l’anno scorso, in occasione della mia visita a Mantova, abbiate la certezza che il Signore abita con voi, che siete suoi prediletti a motivo della sofferenza. Abbiate il senso della preghiera, perché solo con essa si alimenta la fede, nella cui luce tutto si può comprendere ed accogliere. Sappiate vedere la vostra Casa come luogo di accoglienza e di fraternità.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo, infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.

Cari giovani, in questo tempo, in cui il mistero pasquale si con centra sempre più sul dono e sull’azione dello Spirito Santo, vi invito a ricordare le parole dell’Apostolo Paolo: “L’amore di Cristo ci spinge” (2Co 5,14). Sì, in ogni tappa ed in ogni situazione della vita, imparate a trovare nell’amore di Cristo la spinta per le vostre scelte.

E voi, cari ammalati, accogliete l’invito dell’Apostolo a “non scoraggiarvi”, perché “se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Co 4,16). Sappiate rinnovarvi interiormente ogni giorno con atti di speranza e di amore verso il Signore crocifisso e risorto.

Cari sposi, vivete la vostra unione in Cristo. “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova” (Ibid. 2Co 5,17). Invoco il dono dello Spirito del Risorto su tutti i vostri passi, perché il vostro cammino sia segnato dalla vera gioia cristiana.

A tutti la mia benedizione apostolica.




Mercoledì, 3 giugno 1992

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1. Riprendiamo in mano la Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II, dove leggiamo: “Il Popolo santo di Dio partecipa . . . dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere ovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità” (Lumen gentium
LG 12). Abbiamo parlato della testimonianza della fede e della speranza nelle precedenti catechesi; oggi passiamo alla testimonianza dell’amore. È un argomento particolarmente importante, poiché, come dice San Paolo, di queste tre cose: la fede, la speranza e la carità, “la più grande è la carità” (1Co 13,13). Paolo mostra di conoscere bene il valore dato da Cristo al comandamento dell’amore. Nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai dimenticato tale insegnamento. Essa si è sempre sentita chiamata a rendere testimonianza al Vangelo della carità con le parole e con i fatti sull’esempio di Cristo, che - come si legge negli Atti degli Apostoli - “passò per il mondo facendo del bene” (Ac 10,38).

Gesù ha sottolineato la centralità del precetto della carità, quando lo ha chiamato il suo comandamento: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Jn 15,12). Non è più solo l’amore del prossimo, ordinato dall’Antico Testamento, ma è un “nuovo comandamento” (Jn 13,34). È “nuovo”, perché il modello è l’amore di Cristo (“come io vi ho amato”), espressione umana perfetta dell’amore di Dio per gli uomini. Più particolarmente, è l’amore di Cristo nella sua manifestazione suprema, quella del sacrificio: “Nessuno ha un amore più grande di quello che sacrifica la propria vita per i suoi amici” (Jn 15,13).

Così la Chiesa ha il compito di testimoniare l’amore di Cristo per gli uomini, amore pronto al sacrificio. La carità non è semplicemente manifestazione di solidarietà umana: è partecipazione allo stesso amore divino.

2. Gesù dice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Jn 13,35). L’amore insegnato da Cristo con la parola e l’esempio è il segno che deve distinguere i suoi discepoli. Egli manifesta il vivo desiderio del suo cuore quando confessa: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). Il fuoco significa l’intensità e la forza dell’amore di carità. Gesù chiede ai suoi seguaci di farsi riconoscere da questa forma di amore. La Chiesa sa che sotto questa forma l’amore diventa testimonianza su Cristo. La Chiesa è capace di dare questa testimonianza, perché, ricevendo la vita di Cristo, riceve il suo amore. È Cristo che ha acceso il fuoco dell’amore nei cuori (Lc 12,49) e continua ad accenderlo sempre e in ogni luogo. La Chiesa è responsabile della diffusione di questo fuoco nell’universo. Ogni testimonianza autentica a Cristo implica la carità; richiede la volontà di evitare ogni ferita all’amore. Così anche tutta la Chiesa si fa riconoscere per mezzo della carità.

3. La carità accesa da Cristo nel mondo è amore senza limiti, universale. La Chiesa testimonia questo amore che supera ogni divisione fra individui, categorie sociali, popoli e nazioni. Reagisce contro i particolarismi nazionali che vorrebbero limitare la carità nelle frontiere di un popolo. Con il suo amore aperto a tutti, la Chiesa mostra che l’uomo è chiamato da Cristo non solo ad evitare ogni ostilità all’interno del proprio popolo, ma a stimare e amare i membri delle altre nazioni e gli stessi popoli come tali.

4. La carità di Cristo supera anche la diversità delle classi sociali. Non accetta l’odio né la lotta di classe. La Chiesa vuole l’unione di tutti in Cristo, e cerca di vivere ed esorta e insegna a vivere l’amore evangelico, anche per coloro che alcuni vorrebbero considerare come dei nemici. In applicazione del mandato dell’amore di Cristo, la Chiesa chiede la giustizia sociale, e quindi una equa condivisione dei beni materiali nella società e un aiuto per i più poveri, per tutti gli sventurati. Ma nello stesso tempo predica e favorisce la pace e la riconciliazione nella società.

5. La carità della Chiesa comporta essenzialmente un atteggiamento di perdono, ad imitazione della benevolenza di Cristo, che, pur condannando il peccato, si è comportato da “amico dei peccatori” (Mt 11,19 cf. Lc 9,5-10) e ha rifiutato di condannarli (Jn 8,11). In questo modo la Chiesa si sforza di riprodurre in sé, e nell’animo dei suoi figli, la disposizione generosa di Gesù, che ha perdonato e ha chiesto al Padre di perdonare coloro che lo avevano mandato al supplizio (Lc 23,34).

I cristiani sanno che non possono mai ricorrere alla vendetta e che, secondo la risposta di Gesù a Pietro, devono perdonare tutte le offese, senza mai stancarsi (Mt 18,22). Ogni volta che recitano il Padre nostro, riaffermano la loro volontà di perdono. La testimonianza del perdono, data e inculcata dalla Chiesa, è legata alla rivelazione della misericordia divina: è proprio per essere simili al Padre celeste, secondo l’esortazione di Gesù (Lc 6,36-38 Mt 6,14-15 Mt 18,33-35), che i cristiani sono inclini all’indulgenza, alla comprensione, alla pace. Con questo non vengono meno alla giustizia, che mai deve essere separata dalla misericordia.

6. La carità si manifesta ancora nel rispetto e nella stima per ogni persona umana, che la Chiesa vuol praticare ed esorta a praticare. Essa ha ricevuto il compito di diffondere la verità della rivelazione e di far conoscere la via della salvezza istituita da Cristo. Ma, al seguito di Gesù Cristo, rivolge il suo messaggio ad uomini che, come persone, riconosce liberi, e desidera il pieno sviluppo della loro personalità, con l’aiuto della grazia. Nella sua opera prende quindi le vie della persuasione, del dialogo, della comune ricerca della verità e del bene; e se è ferma nel suo insegnamento delle verità di fede e dei princìpi della morale, si rivolge agli uomini col proporre, più che con l’imporre, rispettosa e fiduciosa nella loro capacità di giudizio.

7. La carità richiede anche una disponibilità a servire il prossimo. E nella Chiesa di tutti i tempi numerosi sono sempre coloro che si dedicano a questo servizio. Possiamo dire che nessuna società religiosa ha suscitato tante opere di carità come la Chiesa: servizio agli ammalati, agli handicappati, servizio ai giovani nelle scuole, alle popolazioni colpite da disastri naturali e da altre calamità, sostegno ad ogni genere di poveri e di bisognosi. Anche oggi assistiamo al ripetersi di questo fenomeno che a volte sembra quasi prodigioso: ad ogni nuova necessità che si profila nel mondo, rispondono nuove iniziative di soccorso e di assistenza da parte di cristiani che vivono secondo lo spirito del Vangelo. È una carità che viene spesso testimoniata con eroismo nella Chiesa. Numerosi sono in essa i martiri della carità. Qui ricordiamo solo Massimiliano Kolbe, che si è esposto alla morte per salvare un padre di famiglia.

8. Dobbiamo riconoscere che, essendo la Chiesa una comunità composta anche di peccatori, non sono mancate nei secoli le trasgressioni al precetto dell’amore. Si tratta di mancanze di individui e di gruppi che si adornavano del nome cristiano, sul piano dei reciproci rapporti, sia di ordine interpersonale, sia di dimensione sociale ed internazionale. È la dolorosa realtà che si scopre nella storia degli uomini e delle nazioni, ed anche nella storia della Chiesa. Consapevoli della propria vocazione all’amore sull’esempio di Cristo, i cristiani confessano con umiltà e pentimento quelle colpe contro l’amore, senza però cessare di credere nell’amore, che, secondo San Paolo, “tutto sopporta”, e “non avrà mai fine” (1Co 13,7-8). Ma se la storia dell’umanità, e della Chiesa stessa, abbonda di peccati contro la carità, che rattristano e addolorano, si deve nello stesso tempo riconoscere con gioia e gratitudine che non mancano in tutti i tempi cristiani delle meravigliose testimonianze che confermano l’amore; e che molte volte sono - come abbiamo ricordato - testimonianze eroiche.

L’eroismo della carità delle singole persone va di pari passo con l’imponente testimonianza delle opere di carità di carattere sociale. Non è possibile farne qui un elenco anche solo sommario. La storia della Chiesa, dai primi tempi cristiani ad oggi, ne è colma. E tuttavia la dimensione delle sofferenze e dei bisogni umani sembra sempre strabocchevole e superiore alle possibilità di soccorso. Ma l’amore è e rimane invincibile (omnia vincit amor), anche quando sembra non aver più altre armi che la fiducia imbattibile nella verità e nella grazia di Cristo.

9. Possiamo riassumere e concludere con una affermazione, che trova nella storia della Chiesa, delle sue istituzioni e dei suoi Santi una riprova che si direbbe sperimentale. Ed è che la Chiesa, nel suo insegnamento e nei suoi sforzi verso la santità, ha sempre tenuto vivo l’ideale evangelico della carità; ha suscitato innumerevoli esempi di carità, spesso spinta fino all’eroismo; ha prodotto un’ampia diffusione dell’amore nell’umanità, ed è all’origine, più o meno riconosciuta, delle molte istituzioni di solidarietà e collaborazione sociale che costituiscono un tessuto indispensabile della civiltà moderna: e infine che essa è progredita e sempre più progredisce nella coscienza delle esigenze della carità e nell’adempimento dei compiti che tali esigenze le impongono: tutto questo sotto l’influsso dello Spirito Santo, che è eterno, infinito Amore.

Ai pellegrini di espressione tedesca

* * *


Saluto cordialmente la banda musicale “Città di Fabriano”, che ha ospitato in questi giorni il Musikverein “Eintracht” di Obergrombach, ed auguro di cuore che la loro fraterna accoglienza contribuisca a tessere tra i popoli legami sempre più saldi di mutua conoscenza e solidarietà.

Euch allen, Euren lieben Angehörigen zu Hause sowie den mit uns über Radio Vatikan und das Fernsehen verbundenen Gläubigen erteile ich von Herzen meinen Apostolischen Segen.

Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

A un gruppo di pellegrini giapponesi

Saluto I venerabili Bonzi di Koya-san: vi ringrazio innanzi tutto per la vostra visita.

Nel mondo attuale è sempre più urgente la cooperazione a livello internazionale. Anche nell’ambito religioso è assai utile una forma di cooperazione. Eleviamo, dunque, a Dio la nostra preghiera e operiamo in unità di intenti per la pace nel mondo.

Di nuovo: “Grazie!” per la vostra visita.

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai pellegrini di lingua italiana

Nel porgere oggi il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, mi è gradito anzitutto rivolgere un pensiero ai giovani vincitori del concorso “La famiglia: risorsa dell’Europa”, promosso dal Movimento Italiano per la vita. Cari ragazzi e ragazze, il mio compiacimento a tutti voi per il vostro impegno di riflessione su di un tema tanto importante per il futuro del nostro Continente. L’Europa, per diventare una rinnovata Comunità di popoli e di culture, ha bisogno di non smarrire i grandi valori sui quali ha costruito la sua esperienza di progresso e di civiltà. E voi giovani, che aspirate ardentemente all’ideale di un’Europa unita, impegnatevi con coraggio nel difendere i diritti e la missione della famiglia.

Saluto, poi, il folto gruppo della Parrocchia di Santa Maria della Libera della città di Portici e di Santa Maria dell’Arco di Villaricca nell’Arcidiocesi di Napoli. Sono lieto di affidare entrambe le vostre Comunità alla protezione della Vergine, da voi molto venerata. La Madre del Redentore sia il modello di fede autentica a cui ispirare la vostra testimonianza di credenti, desiderosi di seguire Cristo e di annunciare il suo Vangelo.

Il mio pensiero va inoltre, ai giovani dell’oratorio di San Giovanni Bosco di Zanica, in Diocesi di Bergamo, venuti a Roma a piedi, per concludere con un pellegrinaggio presso le Tombe dei Santi Pietro e Paolo il loro anno catechistico. La parola e l’esempio degli Apostoli siano per voi una costante guida spirituale.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed ora un particolare saluto a tutti i giovani, ammalati e sposi novelli. Nell’imminenza della solennità della Pentecoste, vi esorto, cari giovani, a chiedere nella preghiera il dono dello Spirito Santo, per essere sempre testimoni coraggiosi di Cristo. La grazia dello Spirito Santo aiuti voi, ammalati, ad accogliere con fede il mistero del dolore e ad offrirne il frutto per la salvezza di tutti gli uomini. A voi, sposi novelli, esprimo l’auspicio di saper annunciare con gioia la “buona novella” della famiglia cristiana in tutta la vostra vita.

Nell’anniversario della morte di Giovanni XXIII

Ricorre proprio oggi l’anniversario della morte di Papa Giovanni XXIII, che, con coraggiosa docilità ai suggerimenti dello Spirito Santo, ha aperto il Concilio Ecumenico Vaticano II. È sempre molto viva nei nostri cuori l’eco del messaggio di fede e di paterna bontà che egli ha lasciato alla Chiesa e al mondo. A conclusione di questo nostro incontro, vogliamo rivolgere alla sua memoria un riverente pensiero e invocare dallo Spirito Santo lo stesso ardore apostolico del grande Pontefice, per rispondere in modo adeguato alle esigenze della nuova evangelizzazione.




Mercoledì, 17 giugno 1992

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1. La Solennità della Pentecoste rende pubblica la nascita della Chiesa che, ricevendo la forza dello Spirito Santo, esce dal Cenacolo di Gerusalemme per annunciare nelle diverse lingue “le grandi opere di Dio” (
Ac 2,11). È, nello stesso tempo, l’inizio della missione che Cristo ha affidato agli Apostoli, ordinando loro di andare in tutto il mondo e di predicare il Vangelo a tutti i popoli (cf. Mc 16,15). Proseguendo questo storico cammino dell’evangelizzazione, mi è stato dato, dal 4 al 10 giugno, di visitare, nel continente africano, la Chiesa che è in Sao Tomé e Príncipe e la Chiesa che è in Angola. L’Episcopato locale non solo mi ha invitato, ma ha insistito molto perché la visita avesse luogo entro il Giubileo celebrativo dei cinquecento anni dall’inizio dell’evangelizzazione nella loro Patria.

2. L’anno 1992 fa volgere la nostra attenzione verso l’America, dove, contemporaneamente alla scoperta della Nuova Terra, ebbe inizio, cinquecento anni or sono, l’opera evangelizzatrice della Chiesa. L’annuncio del Vangelo era arrivato in Africa già un anno prima, in particolare in Angola, ed era stato accolto con spirito di ospitalità dal sovrano del luogo. Egli stesso ricevette il battesimo insieme col figlio maggiore Mvemba-Nzinga, che nella circostanza prese il nome di Alfonso. Succeduto al padre, egli regnò per ben 40 anni, impegnandosi attivamente nel favorire la diffusione del Vangelo tra il suo popolo. Quegli anni sono ritenuti l’epoca d’oro dell’evangelizzazione del Regno del Congo. Il figlio di lui, Henrique, fu il primo Vescovo nero.

Segno della vitalità cristiana di quel periodo sono anche le relazioni diplomatiche allora allacciate con la Sede apostolica. Il pellegrino, che si reca a M’Banza Congo, nel nord del Paese, si inginocchia con commozione sulle rovine della prima cattedrale; rovine rimaste fino a oggi a testimoniare la saldezza religiosa dell’avvio della fede in terra angolana.

Il cristianesimo nei secoli successivi andò incontro a varie difficoltà, ma sopravvisse e venne posta la base per il lavoro dei missionari, sviluppatosi pienamente dalla metà del secolo scorso.

3. Nella Solennità della Pentecoste si sono concluse le celebrazioni del quinto centenario, iniziate il 6 gennaio 1991. A Luanda, capitale dell’odierna Angola, abbiamo ringraziato la Santissima Trinità per il dono della fede che dal Cenacolo di Gerusalemme è giunto in quella terra africana, recando frutti abbondanti: più della metà degli abitanti dell’Angola appartiene alla Chiesa Cattolica. Anche i rappresentanti di altre Chiese e Comunità cristiane hanno preso parte, sempre il giorno di Pentecoste, a una celebrazione ecumenica della Parola di Dio.

Negli ultimi decenni la società e la Chiesa dell’Angola hanno attraversato situazioni singolarmente difficili. La lotta per l’indipendenza, che doveva porre fine al periodo coloniale, si è trasformata in guerra civile, con enormi distruzioni e numerose vittime umane: basti pensare anche al grande numero di giovani mutilati di guerra.

La Chiesa è stata fortemente minacciata dall’ideologia marxista, allora dominante. Se in tali condizioni è riuscita a sopravvivere, questo è dono della divina Provvidenza, merito di missionari veramente eroici e, cosa che bisogna mettere in risalto in modo particolare, frutto del perseverante impegno dei catechisti del luogo. Proprio loro, spesso a rischio della vita, hanno assicurato il servizio della Parola di Dio, mantenendo nell’unità le rispettive Comunità. Molto limitato era, infatti, il numero dei sacerdoti e parecchi di loro, insieme a diverse suore, vennero uccisi.

Alla fine di maggio del 1991 è stata firmata la tregua tra le parti in lotta. Nonostante la Chiesa uscisse da questo lungo periodo di guerra segnata da grandi perdite, essa, grazie alla testimonianza del proprio servizio e alla solidarietà con le sofferenze dei connazionali, è diventata un sostegno morale per tutta la società.

4. Ringrazio i Vescovi con un particolare pensiero per il Cardinale Alexandre do Nascimento. Ringrazio anche le Autorità civili per l’invito, e desidero soprattutto rivolgermi a tutti coloro che, in condizioni certamente difficili, hanno reso possibile la mia visita nei luoghi oggi accessibili. Mi riferisco prima di tutto alla parte occidentale del Paese.

La visita si è svolta nei principali centri della vita ecclesiale: Huambo - Lubango - Benguela, nel sud, Cabinda e la già menzionata M’Banza Congo, nel nord. Gli incontri liturgici, sia le Sante Messe che le celebrazioni della Parola, sono stati solenni e suggestivi nella loro tradizionale espressione africana.

5. Quanto l’Arcipelago di Sao Tomé e Principe, situato a nord-ovest dell’Angola, esso entra nella storia della colonizzazione alla fine del quindicesimo secolo. La maggioranza degli abitanti, circa centoventimila, appartiene alla Chiesa cattolica e la diocesi di Sao Tomé venne eretta nel sedicesimo secolo. L’Arcipelago forma uno stato indipendente con un proprio Presidente e Parlamento. Anche qui, come in Angola, finito il periodo della dominazione marxista, si è oggi instaurato un regime democratico, mentre si intensificano i contatti con l’occidente. La Chiesa ha dinanzi a sé compiti e impegni pastorali simili a quelli dell’Angola. In primo piano, la sfida della famiglia e delle giovani generazioni, come pure il problema delle vocazioni autoctone sia al sacerdozio che alla vita religiosa, con le connesse problematiche dei seminari e dell’apostolato dei laici. Il lavoro missionario a Sao Tomé e Principe è stato svolto in passato prevalentemente da famiglie religiose, e oggi vi operano efficacemente i Claretiani e alcuni Istituti religiosi femminili.

6. Nel programma della visita, in occasione del cinquecentesimo anniversario dell’evangelizzazione dell’Angola, è stata inclusa una sessione pubblica, analoga a quella svoltasi a Yamoussoukro in Costa d’Avorio nel settembre del 1990, del Consiglio della Segreteria Generale in preparazione all’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa e il Madagascar. I lavori di questo Sinodo, dopo una vasta consultazione in ogni ambiente del continente africano, entrano nella fase preparatoria dell’“Instrumentum laboris”, che costituirà la base per le deliberazioni sinodali finali. La Chiesa in Angola e in Sao Tomé e Principe è ricca di esperienze spirituali e apostoliche e il Sinodo Africano le offrirà sicuramente la possibilità di condividerle con altre Chiese locali, perché si diffonda il Vangelo in ogni angolo dell’Africa, cresca la comunione tra le diverse Comunità ecclesiali e i cristiani possano contribuire al bene dell’intera società.

7. È grazie alla tregua esistente da circa un anno, dopo una lunga guerra civile, che ho avuto la possibilità di visitare l’Angola!

Ringrazio Dio per questa provvidenziale circostanza e per tutto il bene ricevuto dall’incontro con il Popolo di Dio nel Paese che, per primo nel “Continente nero”, ha ricevuto l’annuncio del Vangelo.

Desidero, nello stesso tempo, affidare a Cristo, per l’intercessione della Regina della Pace, la causa del consolidamento della pace in Angola e la tanto auspicata e necessaria ricostruzione del Paese.

Ai pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo. Dilettissimi fedeli della parrocchia di Suzuka, la vostra città è conosciuta nel mondo per la competizione automobilistica che vi si svolge. Cercate anche voi, carissimi, di correre verso la meta eterna, come vi invita l’Apostolo Paolo. Vi sia guida, in questo cammino, Maria, la Madre di Gesù e nostra. Vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo.

Ai gruppi di lingua italiana

Rivolgo ora il mio saluto a tutti i gruppi di lingua italiana.

Un pensiero particolarmente affettuoso va, anzitutto, a voi, caro Sacerdoti novelli della Diocesi di Brescia, ai vostri educatori e ai vostri familiari, che vi hanno accompagnati a questo incontro. Mi rallegro con voi perché avete risposto generosamente alla chiamata di Dio, mettendo a sua disposizione le vostre vite, i vostri talenti e la vostra buona volontà. Siate fedeli e generosi nell’annuncio del Vangelo e nel dono della vita di Dio mediante i sacramenti della Chiesa. Da parte mia, vi sono vicino con la preghiera e con la mia benedizione.

Un saluto particolare rivolgo pure al gruppo del “Lions Club Tivoli di Host”, che partecipa a questa udienza a coronamento di un generoso impegno sociale a sostegno dei più deboli. Il Signore vi renda merito per quanto avete compiuto, soprattutto nell’assistenza ai non vedenti, e vi conforti la sua grazia,

Mi è poi gradito accogliere il gruppo di ciclisti, i quali nel mese di agosto parteciperanno al ciclo-pellegrinaggio ecumenico da Czestochowa a Zagorsk e a Kiev. Apprezzo questo vostro gesto, lieto di poter esprimere ancora una volta la mia stima e simpatia verso di voi, rappresentanti dello sport. Vi ringrazio per il dono delle biciclette e vi auguro tanti successi nelle vostre pacifiche competizioni sportive.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto, infine, i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli, ai quali esprimo la mia gratitudine per questo incontro. Il Vangelo odierno ci presenta in modo chiaro quale deve essere il criterio del nostro agire: l’amore per Dio e il desiderio di aderire alla sua volontà.

Anche voi, giovani, fate ogni cosa per il Signore, che guarda dentro di voi e conosce il segreto del vostro cuore.

E voi, ammalati, particolarmente nei momenti di prova più dura, ripetete le parole del Padre Nostro: “Sia fatta la tua volontà”: guadagnerete così il conforto del Padre celeste e contribuirete a edificare il Regno di Dio.

Voi, sposi novelli, siate sempre nella gioia cristiana e vivete ogni giorno nel segno della volontà divina.

A tutti imparto la mia benedizione.





Catechesi 79-2005 27592