Catechesi 79-2005 24692

Mercoledì, 24 giugno 1992

24692

1. “Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna, ma “distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui” (
1Co 12,11) dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa” (LG 12). Questo è l’insegnamento del Concilio Vaticano II. La partecipazione alla missione messianica da parte del popolo di Dio non è dunque procurata soltanto dalla struttura ministeriale e dalla vita sacramentale della Chiesa. Proviene anche da un’altra via, quella dei doni spirituali o carismi. Questa dottrina, ricordata dal Concilio, è fondata nel Nuovo Testamento e contribuisce a mostrare che lo sviluppo della comunità ecclesiale non dipende unicamente dall’istituzione dei ministeri e dei sacramenti, ma è promosso anche da imprevedibili e liberi doni dello Spirito, che opera anche al di là di tutti i canali stabiliti. Per questa elargizione di grazie speciali si rende manifesto che il sacerdozio universale della comunità ecclesiale viene guidato dallo Spirito con una libertà sovrana (“come a lui piace”, dice San Paolo) (1Co 12,11), che spesso stupisce.

2. San Paolo descrive la varietà e diversità dei carismi, che va attribuita all’azione dell’unico Spirito (1Co 12,4). Ognuno di noi riceve da Dio doni molteplici, che convengono alla sua persona e alla sua missione. Secondo questa diversità, non c’è mai una via individuale di santità e di missione che sia identica alle altre. Lo Spirito Santo manifesta rispetto per ogni persona e vuole promuovere uno sviluppo originale per ognuno nella vita spirituale e nella testimonianza.

3. Ma va tenuto presente che i doni spirituali devono essere accolti non soltanto per un beneficio personale, ma prima di tutto per il bene della Chiesa: “Ciascuno, scrive San Pietro, viva secondo il dono ricevuto, mettendolo a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1P 4,10). In forza di questi carismi la vita della comunità è piena di ricchezza spirituale e di servizi di ogni genere. E la diversità è necessaria per una ricchezza spirituale più ampia: ognuno dà un contributo personale che gli altri non danno. La comunità spirituale vive dell’apporto di tutti.

4. La diversità dei carismi è anche necessaria per un migliore ordinamento di tutta la vita del Corpo di Cristo. Lo sottolinea San Paolo quando illustra lo scopo e l’utilità dei doni spirituali: “Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra, ognuno secondo la propria parte” (1Co 12,27). Nell’unico Corpo ciascuno deve svolgere il proprio ruolo secondo il carisma ricevuto. Nessuno può pretendere di ricevere tutti i carismi, né permettersi di invidiare i carismi degli altri. Il carisma di ciascuno deve essere rispettato e valorizzato per il bene del Corpo.

5. Occorre notare che circa i carismi, soprattutto nel caso di carismi straordinari, è richiesto il discernimento. Questo discernimento viene dato dallo stesso Spirito Santo, che guida l’intelligenza sulla via della verità e della sapienza. Ma siccome tutta la comunità ecclesiale è stata posta da Cristo sotto la guida dell’autorità ecclesiastica, questa è competente a giudicare il valore e l’autenticità dei carismi. Scrive il Concilio: “I doni straordinari . . . non si devono chiedere imprudentemente, né con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori apostolici; ma il giudizio sulla loro genuinità e ordinato uso appartiene all’Autorità ecclesiastica, alla quale spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1Th 5,12 1Th 5,19-21)” (LG 12).

6. Si possono indicare alcuni criteri di discernimento generalmente seguiti sia dall’autorità ecclesiastica sia dai maestri e direttori spirituali: a) l’accordo con la fede della Chiesa in Gesù Cristo (cf. 1Co 12,3); un dono dello Spirito Santo non può essere contrario alla fede che lo stesso Spirito ispira a tutta la Chiesa. “Da questo, scrive San Giovanni, potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio” (1Jn 4,2); b) la presenza del “frutto dello Spirito: carità, gioia, pace” (Ga 5,22). Ogni dono dello Spirito favorisce il progresso dell’amore, sia nella persona stessa, sia nella comunità, e quindi produce gioia e pace. Se un carisma provoca turbamento e confusione, questo significa o che non è autentico o che non è adoperato nel modo giusto. Come dice San Paolo: “Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (1Co 14,33). Senza la carità, anche i carismi più straordinari non hanno la minima utilità (cf. 1Co 13,1-3 cf. Mt 7,22-23); c) l’armonia con l’autorità della Chiesa e l’accettazione dei suoi provvedimenti. Dopo aver fissato regole molto strette per l’uso dei carismi nella Chiesa di Corinto, San Paolo dice: “Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore” (1Co 14,37). L’autentico carismatico si riconosce dalla sua sincera docilità verso i pastori della Chiesa. Un carisma non può suscitare la ribellione né provocare la rottura dell’unità; d) l’uso dei carismi nella comunità ecclesiale è sottoposto a una regola semplice: “Tutto si faccia per l’edificazione” (1Co 14,26), cioè i carismi vengono accolti nella misura in cui recano un contributo costruttivo alla vita della comunità, vita di unione con Dio e di comunione fraterna. San Paolo insiste molto su questa regola (1Co 14,4-5 1Co 14,12 1Co 14,18-19 1Co 14,26-32).

7. Tra i vari doni, San Paolo stimava molto quello della profezia, come già abbiamo notato, tanto da raccomandare: “Aspirate ai doni spirituali, ma specialmente a quello della profezia” (1Co 14,1). Risulta dalla storia della Chiesa e particolarmente dalla vita dei Santi che non di rado lo Spirito Santo ispira delle parole profetiche destinate a promuovere lo sviluppo o la riforma della vita della comunità cristiana. A volte queste parole sono specialmente rivolte a coloro che esercitano l’autorità, come nel caso di Santa Caterina da Siena, intervenuta presso il Papa per ottenere il suo ritorno da Avignone a Roma. Sono molti i fedeli e soprattutto i Santi e le Sante che hanno portato ai Papi e agli altri Pastori della Chiesa la luce e il conforto necessari all’adempimento della loro missione, specialmente in momenti difficili per la Chiesa.

8. Questo fatto mostra la possibilità e l’utilità della libertà di parola nella Chiesa: libertà che può anche manifestarsi nella forma di una critica costruttiva. L’importante è che la parola esprima veramente un’ispirazione profetica, derivante dallo Spirito. Come dice San Paolo, “dove è lo Spirito del Signore, là è la libertà” (2Co 3,17). Lo Spirito Santo sviluppa nei fedeli un comportamento di sincerità e di fiducia reciproca (cf. Ep 4,25) e li rende “capaci di correggersi a vicenda” (Rm 15,14 cf. Col 1,16). La critica è utile nella comunità, che deve sempre essere riformata e tentare di correggere le proprie imperfezioni. In molti casi l’aiuta a fare un nuovo passo avanti. Ma se viene dallo Spirito Santo, la critica non può non essere animata dal desiderio di progresso nella verità e nella carità. Non può svolgersi con amarezza; non può tradursi in offese, in atti o giudizi lesivi dell’onore di persone e di gruppi. Deve essere compenetrata di rispetto e di affetto fraterno e filiale, evitando il ricorso a forme inopportune di pubblicità, ma attenendosi alle indicazioni date dal Signore per la correzione fraterna (cf. Mt 18,15-16).

9. Se la linea della libertà di parola è questa, si può dire che non c’è opposizione fra carisma e istituzione, perché è l’unico Spirito che con diversi carismi anima la Chiesa. I doni spirituali servono anche all’esercizio dei ministeri. Essi vengono elargiti dallo Spirito, per contribuire all’avanzamento del Regno di Dio. In questo senso si può dire che la Chiesa è una comunità di carismi.

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

A un gruppo di pellegrini giapponesi

Saluto i dirigenti del gruppo religioso “Rissho-koseikai”.

So che la vostra comunità intrattiene buoni rapporti con vari gruppi cattolici e che in questo momento voi state facendo un “pellegrinaggio di dialogo”; dopo Roma sarete ad Assisi e altrove.

Manteniamo sempre questo spirito di dialogo, avendo di mira il bene dell’umanità.

Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per la vostra visita.

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

A un gruppo di bambini di Chernobyl

Mi fa grande piacere salutare oggi un gruppo di fedeli di Spello e Città di Castello, e in modo particolare i bambini di Chernobyl ospiti di famiglie italiane.

Ai gruppi di lingua italiana

Nel porgere il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, sono lieto di rivolgere il pensiero al gruppo dell’Associazione “Ami ci dell’Università Italiana per gli Stranieri” di Perugia, i quali stanno compiendo a Roma un viaggio di studio, che include anche una visita ai Musei e ai Monumenti del Vaticano. Mi compiaccio per questa iniziativa culturale, che vi consente di ammirare l’immenso patrimonio di storia e di arte fiorito attraverso i secoli nell’Urbe, e di considerare il vivo rapporto tra la Roma classica e quella cristiana. Vi auguro che questi giorni vi servano ad elevare le vostre menti alla contemplazione del bello e a considerare come la fede cristiana abbia saputo apprezzare l’arte e farne segno eloquente della bellezza increata, che è Dio stesso.

Saluto, poi, i pellegrini di Fossano, i quali, accompagnati dal Vescovo, Monsignor Natalino Pescarolo, sono venuti a Roma per ricordare il quarto centenario della fondazione della loro diocesi. Carissimi, nell’ambito delle celebrazioni commemorative voi avete voluto includere questa visita, come espressione di profonda comunione ecclesiale con il Successore di Pietro. Vi ringrazio per questa iniziativa e assicuro tutti voi, Sacerdoti e Fedeli, della mia benevolenza e del mio ricordo nella preghiera.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio saluto particolarmente affettuoso ai Giovani, ai Malati ed agli Sposi Novelli.

Sono lieto della vostra presenza, che mi è molto gradita, perché è indice di convinta fede cristiana e di sentita devozione. Oggi, solennità di San Giovanni Battista, vi esorto a meditare sulla figura di colui che fu il Precursore del Signore e che indicò in Gesù il Messia, Redentore del mondo. San Giovanni Battista, che “venne nel mondo per rendere testimonianza alla Luce” (Jn 1,7), aiuti tutti voi, cari giovani, ad accogliere Gesù, Luce del mondo, con fede, con amore e con coraggio; aiuti voi, ammalati, a trovare in Lui quella fortezza che è un segno distintivo dei seguaci di Cristo; aiuti voi, sposi novelli, a vivere con coerenza e senza compromessi gli ideali della famiglia cristiana. A tutti la mia benedizione apostolica.





Mercoledì, 1° luglio 1992

10792
1. Comunità sacerdotale, sacramentale, profetica, la Chiesa è stata istituita da Gesù Cristo come una società strutturata, gerarchica e ministeriale, in funzione del governo pastorale per la formazione e la crescita continua della comunità. I primi soggetti di tale funzione ministeriale e pastorale sono i dodici Apostoli, scelti da Gesù Cristo come fondamenti visibili della sua Chiesa. Come dice il Concilio Vaticano II, “Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cf.
Jn 20,21), e volle che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli” (LG 18). Questo passo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen gentium - ci richiama anzitutto alla posizione originale e unica degli Apostoli nel quadro istituzionale della Chiesa. Dalla storia evangelica sappiamo che Gesù ha chiamato dei discepoli a seguirlo e fra loro ne ha scelto dodici (cf. Lc 6,13).

La narrazione evangelica ci fa conoscere che per Gesù si trattava di una scelta decisiva, fatta dopo una notte di preghiera (cf. Lc 6,12); di una scelta fatta con una libertà sovrana: ci dice Marco che Gesù, salito sul monte, chiamò a sé “quelli che volle” (Mc 3,13). I testi evangelici riportano i nomi dei singoli chiamati (cf. Mc 3,16-19 e par.): segno che la loro importanza era stata percepita e riconosciuta nella Chiesa primitiva.

2. Col creare il gruppo dei Dodici, Gesù creava la Chiesa, come visibile società strutturata al servizio del Vangelo e dell’avvento del Regno di Dio. Il numero dodici aveva riferimento alle dodici tribù d’Israele, e l’uso che ne fece Gesù svela la sua intenzione di creare un nuovo Israele, il nuovo popolo di Dio istituito come Chiesa. L’intenzione creatrice di Gesù traspare dallo stesso verbo usato da Marco per descrivere l’istituzione: “Ne fece dodici . . . Fece i dodici”. “Fare” ricorda il verbo usato nel racconto della Genesi sulla creazione del mondo e nel Deutero-Isaia (Is 43,1 Is 44,2) sulla creazione del popolo di Dio, l’antico Israele. La volontà creatrice si esprime anche nei nuovi nomi dati a Simone (Pietro) e a Giacomo e Giovanni (Figli del tuono), ma anche a tutto il gruppo o collegio nel suo insieme. Scrive, infatti, Luca che Gesù “ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6,13). I Dodici Apostoli diventavano così una realtà socio-ecclesiale caratteristica, distinta e, sotto certi aspetti, irripetibile. Nel loro gruppo emergeva l’apostolo Pietro, circa il quale Gesù manifestava in modo più esplicito l’intenzione di fondare un nuovo Israele, con quel nome dato a Simone: “pietra”, su cui Gesù voleva edificare la sua Chiesa (cf. Mt 16,18).

3. Lo scopo di Gesù, nell’istituire i Dodici, viene definito da Marco: “Ne fece dodici perché stessero con lui, e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù, che predicava e scacciava i demoni. La missione dei Dodici è una partecipazione alla missione di Cristo da parte di uomini strettamente legati a lui come discepoli, amici, fiduciari.

4. Nella missione degli Apostoli l’evangelista Marco sottolinea “il potere di scacciare i demoni”. È un potere sulla potenza del male, che in positivo significa il potere di dare agli uomini la salvezza di Cristo, Colui che getta fuori il “principe di questo mondo” (Jn 12,31). Luca conferma il senso di questo potere e lo scopo della istituzione dei Dodici, riportando la parola di Gesù che conferisce agli Apostoli l’autorità nel Regno: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove. E io dispongo per voi un regno come il Padre ne ha disposto per me” (Lc 22,28). Anche in questa dichiarazione, sono intimamente legate la perseveranza nell’unione con Cristo e l’autorità concessa nel regno. Si tratta di un’autorità pastorale, come risulta dal testo sulla missione affidata specificamente a Pietro: “Pasci i miei agnelli . . . Pasci le mie pecorelle” (Jn 21,15-17). Pietro riceve personalmente l’autorità suprema nella missione di pastore. Questa missione è esercitata come partecipazione all’autorità dell’unico Pastore e Maestro, Cristo. L’autorità suprema affidata a Pietro non annulla l’autorità conferita agli altri Apostoli nel regno. La missione pastorale è condivisa dai Dodici sotto l’autorità di un solo Pastore universale, mandatario e rappresentante del Buon Pastore, Cristo.

5. I compiti specifici inerenti alla missione affidata da Gesù Cristo ai Dodici sono i seguenti: a) missione e potere di evangelizzare tutte le nazioni, come attestano chiaramente i tre Sinottici (cf. Mt 28,18-20 Mc 16,16-18 Lc 24,45-48). Tra di essi, Matteo mette in evidenza il rapporto stabilito da Gesù stesso tra la sua potestà messianica e il mandato da lui conferito agli Apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,18). Gli Apostoli potranno e dovranno svolgere la loro missione grazie al potere di Cristo che si manifesterà in loro. b) missione e potere di battezzare (Mt 28,19), come adempimento del mandato di Cristo, con un battesimo nel nome della SS. Trinità (Mt 28,19), che, essendo legato al mistero pasquale di Cristo, negli Atti degli Apostoli viene anche considerato come battesimo nel nome di Gesù (cf. Ac 2,38 Ac 8,16). c) missione e potere di celebrare l’eucaristia: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19 1Co 11,24-25). L’incarico di rifare ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima Cena, con la consacrazione del pane e del vino, implica un potere di altissimo livello; dire nel nome di Cristo: “Questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”, è quasi un identificarsi a Cristo nell’atto sacramentale. d) missione e potere di rimettere i peccati (Jn 20,22-23). È una partecipazione degli Apostoli al potere del Figlio dell’uomo di rimettere i peccati sulla terra (cf. Mc 2,10): quel potere che nella vita pubblica di Gesù aveva provocato lo stupore della folla, della quale l’evangelista Matteo ci dice che “rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini” (Mt 9,8).

6. Per compiere questa missione gli Apostoli hanno ricevuto, oltre il potere, il dono speciale dello Spirito Santo (cf. Jn 20,21-22), che si è manifestato nella Pentecoste, secondo la promessa di Gesù (cf. Ac 1,8). In forza di questo dono, dal momento della Pentecoste essi hanno cominciato ad adempiere il mandato della evangelizzazione di tutti i popoli. Ce lo dice il Concilio Vaticano II nella Costituzione Lumen gentium: “Gli Apostoli . . . predicando ovunque il Vangelo, accolto dagli uditori per mozione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale, che il Signore ha fondato sugli Apostoli e ha edificato sul beato Pietro, loro capo, mentre Gesù Cristo stesso ne è la pietra maestra angolare (cf. Ap 21,14 Mt 16,18 Ep 2,20)” (LG 19).

7. La missione dei Dodici comprendeva un ruolo fondamentale loro riservato, che non sarebbe stato ereditato da altri: essere testimoni oculari della vita, morte e risurrezione di Cristo (cf. Lc 24,48), trasmettere il suo messaggio alla comunità primitiva, come cerniera tra la rivelazione divina e la Chiesa, e per ciò stesso dare inizio alla Chiesa in nome e per virtù di Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo. Per questa loro funzione i Dodici Apostoli costituiscono un gruppo di importanza unica nella Chiesa, la quale fin dal Simbolo niceno-costantinopolitano è definita apostolica (Credo una sanctam, catholicam et “apostolicam” Ecclesiam) per questo indissolubile legame ai Dodici. Ciò spiega perché anche nella liturgia la Chiesa ha inserito e riservato delle celebrazioni particolari solenni in onore degli Apostoli.

8. Tuttavia Gesù ha conferito agli Apostoli una missione di evangelizzazione di tutte le genti, che richiede un tempo molto lungo, e che anzi dura “sino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Gli Apostoli capirono che era volontà di Cristo che provvedessero ad avere dei successori, che, come loro eredi e legati, portassero avanti la loro missione. Stabilirono quindi “episcopi e diaconi” nelle diverse comunità “e disposero che dopo il loro decesso altri uomini approvati ricevessero la loro successione nel ministero” (Clemente Romano, Ep. Ad Cor., 44, 2; cf. 42, 1. 4). In questo modo Cristo ha istituito una struttura gerarchica e ministeriale della Chiesa, formata dagli Apostoli e dai loro successori; struttura che non è derivata da una precedente comunità già costituita, ma è stata creata direttamente da lui. Gli Apostoli sono stati, a un tempo, i semi del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia, come si legge nella Costituzione Ad gentes del Concilio (Ag 5). Tale struttura appartiene dunque alla natura stessa della Chiesa, secondo il disegno divino realizzato da Gesù. Secondo questo stesso disegno essa ha un ruolo essenziale in tutto lo sviluppo della comunità cristiana, dal giorno della Pentecoste alla fine dei tempi, quando nella Gerusalemme celeste tutti gli eletti saranno pienamente partecipi della “Nuova vita” per l’eternità.

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai visitatori di lingua spagnola

Ai pellegrini portoghesi

Ai visitatori croati

Cari pellegrini di Spalato, Zagabria e Varazdin, vi saluto cordialmente. Benvenuti! Una moltitudine di profughi di guerra sia della Croazia che della Bosnia-Erzegovina, ha trovato rifugio nelle vostre città. Vi ringrazio a nome di questi nostri fratelli e sorelle, come pure ringrazio tutti coloro che continuano a offrire loro tanto urgenti e necessari aiuti umanitari. Tali aiuti sono un dovere umano e cristiano! Sempre in situazioni simili, i credenti hanno una particolare responsabilità. Continuate perciò a trovare nella fede e nella nobile e antica tradizione culturale del vostro popolo, la forza necessaria per superare le difficoltà che vengono create dalla guerra, che devasta ancora la vostra Patria, pensando nello stesso tempo al futuro nel quale vi attendono la ricostruzione materiale di quello che è distrutto e il rinnovamento spirituale dei singoli, delle famiglie e della società intera. Su di voi e su tutte le care popolazioni della Croazia e della Bosnia-Erzegovina invoco la benedizione di Dio. Siano lodati Gesù e Maria!

Ai pellegrini di lingua italiana

Nel rivolgere ora il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, esprimo un cordiale benvenuto al gruppo dei nuovi Provinciali Salesiani, giunti a Roma per un corso di aggiornamento. Carissimi! Siate animatori ed educatori ferventi, ben consapevoli dell’urgenza di formare giovani che siano capaci di testimoniare i valori della famiglia, della vita sociale, del lavoro e della cultura secondo i principi del Vangelo. La figura di Don Bosco vi sia guida costante e sicuro punto di riferimento.

Saluto anche i giovani che hanno frequentato a Nettuno il corso per Sovrintendenti ed Ispettori di Polizia di Stato, e sono oggi accompagnati qui dal Vescovo di Albano, Monsignor Dante Bernini, e dal loro Cappellano. Su tutti invoco la protezione della Madre del Redentore e di San Michele Arcangelo, affinché il loro futuro servizio giovi a garantire l’ordine e la tranquillità sociale.

Rivolgo un pensiero ai fedeli della Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Smerillo, nell’arcidiocesi di Fermo. So che sono venuti a Roma per ricordare il cinquantesimo anniversario della loro Chiesa ed il Giubileo sacerdotale del Parroco. Questa circostanza sia di stimolo per un nuovo impegno a camminare senza compromessi sulla via della perfezione cristiana.

Un saluto, ancora, va alla “Famiglia legnanese”, della Parrocchia prepositurale di San Magno, in Legnano. A tutti i componenti dell’associazione va il mio compiacimento soprattutto per le iniziative a favore dei giovani meritevoli, mediante l’istituzione di borse di studio. Auspico che la “Famiglia legnanese” si ispiri sempre alle grandi tradizioni cristiane della Chiesa lombarda.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed ora il consueto saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Esso trae spunto dalle figure dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, dei quali abbiamo l’altro ieri celebrato la solennità liturgica. Attraverso la loro voce e quella dei loro Successori, ci giunge la parola dello stesso Signore Gesù, che annuncia la misericordia del Padre celeste e chiama ad essere testimoni coerenti della sua carità. Lo potrete essere con la vostra gioia e il vostro entusiasmo, cari giovani; con il vostro dolore, offerto in sacrificio spirituale, cari ammalati; con il vostro affetto coniugale, generoso e fecondo, voi sposi novelli. A tutti imparto la mia Benedizione.


Mercoledì, 8 luglio 1992

8792

1. Dagli Atti e dalle Lettere degli Apostoli viene documentato ciò che leggiamo nella costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II, cioè che gli Apostoli “ebbero vari collaboratori nel ministero” (
LG 20). Infatti nella raggiera di comunità cristiane che ben presto si erano formate dopo i giorni della Pentecoste, risalta senza dubbio quella degli Apostoli e in particolare il gruppo di quelli che nella Comunità di Gerusalemme erano “ritenuti le colonne: Giacomo, Cefa e Giovanni . . .”, come attesta San Paolo nella Lettera ai Galati (Ga 2,9). Si tratta di Pietro, stabilito da Gesù come capo degli Apostoli e pastore supremo della Chiesa; di Giovanni, l’Apostolo prediletto; e di Giacomo, “fratello del Signore”, riconosciuto capo della Chiesa di Gerusalemme.

Ma, assieme agli Apostoli, gli Atti menzionano gli “anziani” (cf. Ac 11,29-30 Ac 15,2 Ac 15,4), che con loro costituivano un primo grado subordinato di gerarchia. Gli Apostoli inviano un loro rappresentante ad Antiochia, Barnaba, a motivo dei progressi dell’evangelizzazione in quel luogo (Ac 11,22). Gli Atti stessi ci dicono di Saulo (San Paolo), che, dopo la conversione e il primo lavoro missionario, si reca a Gerusalemme insieme con Barnaba (al quale altrove viene attribuita la denominazione di “apostolo”: cf. Ac 14,14), come al centro dell’autorità ecclesiale, per conferire con gli Apostoli. Nello stesso tempo porta un aiuto materiale per la comunità locale (cf. Ac 11,29). Nella Chiesa di Antiochia, accanto a Barnaba e Saulo, vengono menzionati come “profeti e dottori . . . Simeone, soprannominato Niger; Lucio di Cirene; Manaen” (Ac 13,1). Di lì vengono poi mandati in viaggio apostolico, “dopo l’imposizione delle mani” (cf. Ac 13,2-3), Barnaba e Saulo. Dal tempo di quel viaggio Saulo comincia a chiamarsi Paolo (cf. Ac 13,9). E ancora: man mano che sorgono le comunità, sentiamo parlare della “costituzione degli anziani” (cf. Ac 14,23). I compiti di questi anziani vengono definiti con precisione nelle Lettere pastorali a Tito e a Timoteo, costituiti da Paolo capi di comunità (cf. Tt 1,5 1Tm 5,17).

Dopo il Concilio di Gerusalemme, gli Apostoli inviano ad Antiochia, insieme a Barnaba e a Paolo, altri due dirigenti: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, come persone “tenute in grande considerazione tra i fratelli” (Ac 15,22). Nelle Lettere paoline, oltre a Tito e a Timoteo, vengono nominati anche altri “collaboratori” e “compagni” dell’Apostolo (cf. 1Th 1,1 2Co 1,19 Rm 16,3-5 Rm 16,1).

2. A un certo momento si pose la necessità per la Chiesa di aver nuovi capi, successori degli Apostoli. Il Concilio Vaticano II dice in proposito che gli Apostoli, “perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l’ufficio di completare e consolidare l’opera da essi iniziata, raccomandando loro di attendere a tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cf. Ac 20,28). Perciò si scelsero questi uomini e in seguito diedero disposizione che, quando essi fossero morti, altri uomini esimi subentrassero al loro posto (cf. S. Clemente Romano, Ep. ad Cor. 44,2)” (LG 20).

Questa successione è attestata dai primi autori cristiani extrabiblici, come San Clemente, Sant’Ireneo e Tertulliano, e costituisce il fondamento della trasmissione della autentica testimonianza apostolica di generazione in generazione. Scrive il Concilio: “Così, come attesta Sant’Ireneo, per mezzo di coloro che gli Apostoli costituirono Vescovi e dei loro successori fino a noi, la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata e custodita (Sant’Ireneo, Adv. Haer., III,3,1; cf. Tertulliano, De Praescr,. 20, 4-8: PL 2, 32; CC 1, 202)” (LG 20).

3. Da quegli stessi testi risulta che la successione apostolica possiede due dimensioni correlative tra loro: quella pastorale e quella dottrinale, in continuità con la missione degli stessi Apostoli. A questo proposito, si deve precisare in base ai testi ciò che a volte è stato detto, cioè che gli Apostoli non potevano avere dei successori, perché erano stati chiamati a una esperienza unica di amicizia con il Cristo durante la sua vita terrena e a un ruolo unico nell’inaugurazione dell’opera di salvezza.

È vero infatti che gli Apostoli hanno avuto un’esperienza eccezionale, incomunicabile ad altri come esperienza personale, e che hanno avuto un ruolo unico nella formazione della Chiesa, cioè la testimonianza e la trasmissione della parola e del mistero di Cristo in base alla loro diretta conoscenza, e la fondazione della Chiesa in Gerusalemme. Ma essi hanno ricevuto, allo stesso tempo, una missione di magistero e di guida pastorale per lo sviluppo della Chiesa: e questa missione è trasmissibile, e doveva essere trasmessa, secondo l’intenzione di Gesù, a dei successori, per il compimento dell’evangelizzazione universale. In questo secondo senso, dunque, gli Apostoli hanno avuto dei collaboratori e poi dei successori. L’afferma a più riprese il Concilio (LG 18 LG 20 LG 22).

4. I Vescovi adempiono la missione pastorale affidata agli Apostoli e possiedono tutti i poteri che essa comporta. Inoltre, come gli Apostoli, la compiono con l’aiuto di cooperatori. Leggiamo nella costituzione Lumen gentium: “I Vescovi assunsero il servizio della comunità con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge (cf. S. Ignazio d’Antiochia, Philad., Praef.; 1, 1), di cui sono pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa” (LG 20).

5. Il Concilio ha posto l’accento su questa successione apostolica dei Vescovi, affermando che la successione è di divina istituzione. Leggiamo ancora nella Lumen gentium: “Il Sacro Concilio insegna che i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo; chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo (cf. Lc 10,16)” (LG 20).

In forza di questa divina istituzione, i Vescovi rappresentano Cristo, sicché ascoltarli è ascoltare Cristo. Dunque non solo il successore di Pietro rappresenta Cristo Pastore, ma anche gli altri successori degli Apostoli. Insegna infatti il Concilio: “Nella persona dei Vescovi, ai quali assistono i sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, Pontefice Sommo” (LG 21). Le parole di Gesù: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10,16), citate dal Concilio, hanno ancora un’applicazione più ampia, perché erano state rivolte ai settantadue discepoli. E abbiamo visto nei testi degli Atti degli Apostoli, citati nei primi due paragrafi della presente catechesi, quale fioritura di cooperatori ci fosse intorno agli Apostoli, una gerarchia ben presto distinta in presbiteri (Vescovi e loro collaboratori) e diaconi, non senza il concorso di semplici fedeli, cooperatori del ministero pastorale.

Ai fedeli francesi

Ai pellegrini di lingua inglese
Ai visitatori giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto voi, pellegrini provenienti da varie regioni del Giappone e vi invito ad unirvi nella preghiera e nell’impegno per il bene dell’umanità, affinché ogni persona vinca l’egoismo e faccia crescere l’amore vicendevole.

Con questo augurio, invocando su di voi la protezione di Maria, Madre di Gesù e nostra, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini croati

Vi saluto tutti cordialmente, cari pellegrini croati! Anche oggi vorrei rinnovare il mio accorato appello e con voi pregare Dio, Padre nostro che è nei cieli, affinché venga, al più presto, il giorno della vera pace in Croazia, in Bosnia-Erzegovina, e in tutta la regione dei Balcani. Ritornando a casa, portate il saluto del Papa a quanti soffrono a causa della crudele guerra: ai familiari delle vittime, ai feriti e alla grande moltitudine dei profughi ed esiliati. L’amore di Cristo ci spinge ad essere al loro fianco e a cercare di alleviare le loro sofferenze. Invoco su di voi e su tutti la benedizione di Dio. Siano lodati Gesù e Maria!

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto tutti i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo dei Canonici Regolari Lateranensi, che si sono radunati a Roma per un corso di formazione e di approfondimento della propria spiritualità. Carissimi, vi auguro che codesto mese di preghiera e di riflessione vi serva per approfondire sempre più il valore essenziale della vita interiore, dell’unione con Dio, della riflessione sulle verità eterne. Vi sia di conforto anche l’assicurazione della mia preghiera e della mia benevolenza.

Saluto pure le Suore che partecipano, in questi giorni, al corso nazionale per catechiste parrocchiali, promosso dall’Unione Superiore Maggiori d’Italia. Care Sorelle, sperimentate “la solidità degli insegnamenti che avete ricevuto”, e meditate nel vostro cuore, con Maria, “tutti gli avvenimenti” della salvezza. In questo modo sarete annunciatrici sempre più gioiose e credibili dell’amore di Cristo nelle vostre comunità religiose e in tutti gli ambienti, in cui siete chiamate ad operare.

Il mio pensiero va ancora ai motociclisti che partecipano alla manifestazione non competitiva che li porta da Milano a Taranto. Nell’accogliere la vostra carovana, che proviene da vari Paesi del mondo e da tante città italiane, desidero invitarvi a cercare sempre non solo l’unità tra varie regioni e culture, ma anche l’unità nella vostra vita interiore. Vi auguro di essere appassionati dei grandi percorsi spirituali, oltre che dei lunghi itinerari storico-culturali.

E saluto, inoltre, i simpatici “minivigili” di “Ciclilandia”, con i loro parenti ed amici: dal parco di Tirrenia, in provincia di Pisa, siete tornati a Roma per consegnarmi la patente onoraria, insieme con una ciclocarrozzella. Sappiate che il Papa vi ama e vi invita ad impegnarvi sempre nell’adempimento dei vostri doveri sia cristiani che civili. Grazie per la vostra visita e buone vacanze!

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Nel rivolgere, infine, un pensiero ai Giovani, ai Malati ed alle coppie di giovani Sposi, desidero ricordare a tutti il significato che per il cristiano ha il tempo delle vacanze e del riposo. Esso è tempo di contemplazione, di preghiera e di riflessione.

Questo dico anzitutto a voi, Giovani, che nel periodo delle vacanze, dopo le fatiche scolastiche, vi dedicate ad attività ricreative: sappiate utilizzare questo periodo per integrare con buone letture la vostra formazione umana e religiosa.

Voi, malati, sappiate vivere questo tempo nel vivo desiderio di essere più vicini al Cristo e alla sua Madre Santissima, Salute dei malati.

Soprattutto voi, giovani sposi, sappiate gustare, nella serena intimità familiare, momenti preziosi di comune preghiera e di gioia cristiana.

A tutti la mia benedizione apostolica.





Catechesi 79-2005 24692