Catechesi 79-2005 21102

Mercoledì, 21 ottobre 1992

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1. “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (
He 13,8). Queste parole acquistano un significato tutto particolare in collegamento con la data del 12 ottobre 1492. Cristoforo Colombo, che era partito dalla Spagna verso l’Occidente per cercare una via nuova verso le Indie (quindi verso l’Asia), scoprì in quel giorno un nuovo continente. La scoperta dell’America si iniziò dalle isole dell’Arcipelago delle Antille, e in particolare da quella che venne allora chiamata “Hispaniola”. In quell’isola, appunto, è stata per la prima volta piantata la Croce, segno della Redenzione - e di lì iniziò anche l’evangelizzazione. Nella potenza della sua Croce e della sua Risurrezione Cristo mandò gli Apostoli in tutto il mondo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo . . . Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19). Con la scoperta del “nuovo mondo” - grazie alla quale la conoscenza del globo terrestre trovò un suo ulteriore compimento e la vita dell’umanità si arricchì di una nuova dimensione - le suddette parole del Redentore diventarono per i suoi discepoli una nuova sfida.

2. Il 12 ottobre 1992 il Vescovo di Roma, insieme con tutta la Chiesa e in particolare con l’Episcopato Americano, si è recato in pellegrinaggio a quella Croce da cui - 500 anni fa - ebbe inizio l’evangelizzazione della nuova terra - prima verso il Sud e poi verso il Nord. Questo è stato innanzitutto un pellegrinaggio di ringraziamento. Il suo itinerario conduceva a Santo Domingo e nel contempo al Santuario della Madonna “de Altagracia”. La prima evangelizzazione ebbe inizio nel giorno della Pentecoste, quando gli Apostoli, riuniti tutti insieme nello stesso luogo in preghiera con la Madre di Cristo, ricevettero lo Spirito Santo. Colei, che secondo le parole dell’Arcangelo, è “piena di grazia”, si trova sulla via dell’evangelizzazione apostolica - e su tutte le vie, sulle quali i successori degli Apostoli si sono mossi per annunciare la Buona Novella della salvezza. Dopo 500 anni bisognava pronunciare insieme con la Madre di Dio, le parole del ringraziamento per le “grandi opere” che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno compiuto per il popolo del continente americano mediante il ministero di tanti messaggeri e amministratori dei misteri di Dio (cf. 1Co 4,1). L’evangelizzazione è un’opera dell’amore di Cristo, il quale agisce attraverso gli uomini. L’evangelizzazione dell’America si è compiuta grazie a missionari pieni di amore, la cui umiltà e coraggio, la cui dedizione e santità, la cui offerta non di rado della stessa vita, hanno reso testimonianza a Colui che è Via, Verità e Vita.

3. Mediante il pellegrinaggio al luogo dove iniziò l’evangelizzazione, pellegrinaggio che ha avuto carattere di ringraziamento, abbiamo voluto, al tempo stesso, compiere un atto di espiazione davanti all’infinita Santità di Dio per tutto ciò che, in questo slancio verso il continente americano, è stato segnato dal peccato, dall’ingiustizia e dalla violenza. Tra i missionari non mancarono coloro che, a questo proposito, ci hanno trasmesso testimonianze impressionanti. Basti ricordare i nomi di Montesinos, di Las Casas, di Cordoba, di Fra Juan del Valle e di tanti altri. Dopo 500 anni ci presentiamo di fronte a Cristo, che è Signore della storia di tutta l’umanità, per pronunciare le parole della preghiera al Padre, da lui stesso insegnataci: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo . . .” (cf. Mt 6,12). La preghiera del Redentore si rivolge al Padre e contemporaneamente agli uomini, nei confronti dei quali sono state compiute varie ingiustizie. A questi uomini noi non cessiamo di chiedere “perdono”. Questa richiesta di perdono si rivolge soprattutto ai primi abitanti della nuova terra, agli “indios” - e poi anche a coloro che come schiavi furono colà deportati dall’Africa per i lavori pesanti. “Rimetti a noi i nostri debiti . . .” - anche questa preghiera fa parte dell’evangelizzazione. Occorre aggiungere che le ingiustizie compiute dettero occasione alla prima elaborazione del codice dei diritti dell’uomo - impegno nel quale si distinse particolarmente l’Università di Salamanca. Tale lavoro portò i suoi frutti gradualmente. Nella nostra epoca, questi diritti sono comunemente accettati come principi della morale universale. “Rimetti a noi i nostri debiti . . .”. Insegnaci a vincere il male con il bene . . . (cf. Rm 12,21).

4. “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (He 13,8). Il quinto centenario dell’evangelizzazione - in quanto celebrazione di ringraziamento e di espiazione - costituisce contemporaneamente il tempo di un nuovo inizio. In stretto collegamento con la data del 12 ottobre 1992, i Vescovi di tutta l’America Latina hanno inaugurato la Conferenza dedicata alla “nuova evangelizzazione”. La Conferenza di Santo Domingo costituisce una continuazione di quelle svoltesi a Rio de Janeiro, Medellín e Puebla. I lavori della IV Conferenza Generale dureranno quasi fino alla fine di questo mese. Nuova Evangelizzazione non significa un “nuovo Vangelo”, perché “Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”. Nuova evangelizzazione vuol dire: una risposta adeguata ai “segni dei tempi”, ai bisogni degli uomini e dei popoli dell’ultimo scorcio del secondo millennio cristiano. Significa anche promozione di una nuova dimensione di giustizia e di pace, nonché di una cultura più profondamente radicata nel Vangelo - un uomo nuovo in Gesù Cristo. Santo Domingo sia come un nuovo cenacolo, in cui i successori degli Apostoli, riuniti in preghiera insieme con la Madre di Cristo, preparano le vie della nuova evangelizzazione per tutta l’America. Alle soglie del terzo millennio, i Pastori sappiano presentare al mondo “Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre”.

Ai gruppi di espressione tedesca

Ai fedeli francesi

Ai gruppi di espressione inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Rivolgo ora il mio cordiale pensiero ai numerosi pellegrini di lingua italiana, in particolare a quelli provenienti dall’Arcidiocesi di Trento, insieme con il loro Pastore, Monsignor Giovanni Maria Sartori. Carissimi, vi auguro che il soggiorno romano contribuisca a far crescere nell’animo di ciascuno l’amore e la fedeltà al Vangelo di Cristo.

Saluto poi il gruppo dei Responsabili e dei Collaboratori di Radio-Telepace, la cui significativa presenza a questo incontro è legata ad una immagine di “Maria Stella dell’evangelizzazione”, che tra poco avrò la gioia di benedire. Insieme con voi, carissimi Fratelli e Sorelle, prego la celeste Madre di Dio affinché continui “a guidare anche oggi, in questi tempi di apprensione e di speranza, i passi della Chiesa che, docile al mandato del suo Signore, si spinge con la lieta notizia della salvezza verso i popoli e le nazioni di ogni angolo della terra”.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Un saluto ancora ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. La vostra visita a Roma e alla Tomba di San Pietro, carissimi, rivela il vostro desiderio di conoscere quella fioritura di santi della Chiesa delle origini, che testimoniarono col proprio sangue l’amore a Cristo. Essi invitano voi, giovani, ad essere coraggiosamente fedeli a Cristo in ogni circostanza della vostra vita. Ricordano a voi, cari ammalati, che le vostre sofferenze vi associano all’opera redentrice di Cristo. Esortano voi, cari sposi, ad andare fino in fondo nell’impegno di reciproco amore che vi siete assunti davanti all’altare. Sia a tutti di sostegno e di conforto la mia Benedizione.

Rinnovato appello affinché vengano assicurati gli aiuti alle popolazioni della Bosnia-Erzegovina:

Cari Croati di Friburgo in Germania, Vi saluto cordialmente! Ripeto anche questa volta il mio accorato appello per la preghiera affinché Dio conceda la vera pace alle Regioni dalle quali siete emigrati: la Croazia, la Bosnia e la Erzegovina.

Nello stesso tempo vorrei rinnovare anche l’appello per gli aiuti umanitari alle popolazioni di quelle terre. La gravissima situazione in cui si sono venuti a trovare quei nostri fratelli e sorelle - soprattutto in Bosnia ed Erzegovina dove sono esposti a una inaudita violenza, che minaccia l’esistenza stessa dei singoli e di intere popolazioni -, richiede una nostra solidarietà fattiva e immediata, che è in grado di aiutarli affinché possano sopravvivere.

Invoco su tutti la benedizione di Dio. Siano lodati Gesù e Maria!

A Maria, stella dell’evangelizzazione:

A Maria “Stella dell’Evangelizzazione” Giovanni Paolo II dedica una preghiera che recita al termine dell’udienza generale insieme con i fedeli presenti nell’Aula Paolo VI. Tradotte in venti lingue, le parole del Papa sono stampate sul retro di una immaginetta raffigurante l’icona della Vergine “Stella dell’Evangelizzazione”, della pittrice Dina Bellotti. Il Santo Padre benedice l’opera durante l’incontro di stamane con i pellegrini radunati nell’Aula. Questo il testo della preghiera.

O Maria, al mattino della Pentecoste,
Tu hai sostenuto con la preghiera
l’inizio dell’evangelizzazione, intrapresa dagli apostoli
sotto l’azione dello Spirito Santo.

Con la tua costante protezione
continua a guidare anche oggi,
in questi tempi di apprensione e di speranza,
i passi della Chiesa che, docile al mandato del suo Signore,
si spinge con la “lieta notizia” della salvezza
verso i popoli e le nazioni di ogni angolo della terra.

Orienta le nostre scelte di vita,
confortaci nell’ora della prova,
affinché, fedeli a Dio e all’uomo,
affrontiamo con umile audacia i sentieri misteriosi dell’etere,
per recare alla mente e al cuore di ogni persona
l’annuncio gioioso di Cristo Redentore dell’uomo.

O Maria, Stella dell’Evangelizzazione, cammina con noi!

Amen






Mercoledì, 28 ottobre 1992

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1. Nel succedere agli Apostoli, i Vescovi sono chiamati a partecipare alla missione che Gesù Cristo stesso affidò ai Dodici e alla Chiesa. Ce lo ricorda il Concilio Vaticano II: “I Vescovi, quali successori degli Apostoli, ricevono dal Signore, cui è data ogni potestà in cielo e in terra, la missione d’insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo a ogni creatura, affinché tutti gli uomini, per mezzo della fede, del battesimo e dell’osservanza dei comandamenti, ottengano la salvezza” (
LG 24). Secondo il testo conciliare, è una missione che i Vescovi “ricevono dal Signore”, e che comprende lo stesso ambito della missione degli Apostoli. Essa compete al “collegio” episcopale nel suo insieme, come abbiamo visto nella catechesi precedente. Ma occorre aggiungere che l’eredità degli Apostoli - come missione e come potestà sacra - è trasmessa a ogni singolo Vescovo nell’ambito del collegio episcopale. È ciò che vogliamo spiegare nella catechesi odierna, ricorrendo anzitutto ai testi del Concilio. Sono essi a dare, su questo tema, le istruzioni più autorevoli e competenti.

2. La missione dei singoli Vescovi viene adempiuta in un ambito strettamente definito. Leggiamo infatti nel testo conciliare: “I singoli Vescovi, che sono preposti a Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale” (LG 23). È una questione regolata in base alla “missione canonica” conferita a ogni Vescovo (LG 24). In ogni caso, l’intervento dell’autorità suprema è garanzia che l’assegnazione della missione canonica venga fatta non solo in funzione del bene di una comunità locale, ma per il bene di tutta la Chiesa, in ordine alla missione universale comune all’episcopato unito al Sommo Pontefice. È un punto fondamentale del “ministero petrino”.

3. La maggioranza dei Vescovi svolge la sua missione pastorale nelle diocesi. Che cos’è una diocesi? A questo interrogativo il decreto conciliare Christus Dominus sui Vescovi risponde nel modo seguente: “La diocesi è una porzione del popolo di Dio, affidata alle cure pastorali del Vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al proprio Pastore, e, per mezzo del Vangelo e della SS. Eucaristia, unita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e apostolica” (CD 11). Secondo il Concilio, dunque, ogni Chiesa particolare vive della vita della Chiesa universale, che è la realtà fondamentale della Chiesa. E questo è il contenuto più importante e più qualificante della diocesi, che fa parte della Chiesa universale, non solo come porzione del popolo di Dio circoscritto di regola a un territorio, ma anche con dei caratteri e delle proprietà particolari, che meritano rispetto e stima. In taluni casi si tratta di valori di grande rilievo e di ampia irradiazione nei singoli popoli e persino nella Chiesa universale, come attesta la storia. Ma si può dire che sempre e dovunque la varietà delle diocesi contribuisce alla ricchezza spirituale e allo svolgimento della missione pastorale della Chiesa.

4. Leggiamo ancora nel Concilio: “I singoli Vescovi, ai quali è affidata la cura di una Chiesa particolare, sotto l’autorità del Sommo Pontefice, come pastori propri, ordinari ed immediati, pascono nel nome del Signore le loro pecorelle, ed esercitano a vantaggio di esse l’ufficio di insegnare, di santificare e di reggere” (CD 11). La giurisdizione dei Vescovi sul gregge loro affidato è, dunque, “propria, ordinaria ed immediata”. Tuttavia, il buon ordine e l’unità della Chiesa esigono che essa sia esercitata in stretta comunione con l’autorità del Sommo Pontefice. Per queste stesse ragioni i Vescovi “devono riconoscere i diritti che legittimamente competono sia ai Patriarchi, sia alle altre autorità gerarchiche” (CD 11), secondo l’articolazione che storicamente ha preso la struttura della Chiesa in vari luoghi. Ma, come sottolinea il Concilio, ciò che più conta, e che decide di tutto, è che la missione pastorale viene esercitata dai Vescovi “nel nome del Signore”.

5. Vista in questa luce, ecco come si presenta la missione dei Vescovi nel suo valore istituzionale, spirituale e pastorale, in relazione alle condizioni delle varie categorie del popolo loro affidato: “I Vescovi - dichiara il Concilio - devono svolgere il loro ufficio apostolico come testimoni di Cristo al cospetto di tutti gli uomini, interessandosi non solo di coloro che già seguono il Principe dei Pastori, ma dedicandosi anche con tutta l’anima a coloro che in qualsiasi maniera si sono allontanati dalla via della verità, oppure ignorano ancora il Vangelo di Cristo e la sua salvifica misericordia; fino a quando tutti quanti cammineranno nella via “di ogni bontà, giustizia e verità” (Ep 5,9)” (CD 11). I Vescovi perciò sono chiamati ad essere simili al “Figlio dell’uomo”, il quale “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10), come disse Gesù durante la visita alla casa di Zaccheo. È l’essenza stessa della loro vocazione missionaria.

6. Nello stesso spirito il Concilio prosegue: “Si abbia un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci e sono privi di qualsiasi assistenza, come sono moltissimi emigrati, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti a trasporti aerei, i nomadi e altre simili categorie di uomini. Si adottino anche convenienti sistemi di assistenza spirituale per i turisti” (CD 18). Tutte le categorie, tutti i gruppi, tutti gli strati sociali, e anzi tutti i singoli appartenenti alle articolazioni antiche e nuove della società, rientrano nella missione pastorale dei Vescovi, dentro e oltre le strutture fisse delle loro diocesi, così come sono compresi nell’universale abbraccio della Chiesa.

7. Nell’adempimento della loro missione, i Vescovi vengono a trovarsi in relazione con le strutture della società e con i poteri che la reggono. È il campo dove sono impegnati a comportarsi secondo le norme evangeliche della libertà e della carità, seguite dagli stessi Apostoli. Vale in tutti i casi ciò che gli apostoli Pietro e Giovanni dissero davanti al Sinedrio: “Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (Ac 4,19). In quelle parole è formulato chiaramente il principio d’azione per i pastori della Chiesa nei riguardi delle varie autorità terrene, valido per tutti i secoli. A tale proposito il Concilio insegna: “Nell’esercizio del loro ministero apostolico, mirante alla salute delle anime, i Vescovi per sé godono di una piena e perfetta libertà e indipendenza da qualsiasi civile autorità. Perciò non è lecito ostacolare direttamente o indirettamente l’esercizio del loro ministero ecclesiastico, né impedire che essi possano liberamente comunicare con la Santa Sede, con le altre Autorità ecclesiastiche e coi loro sudditi. Senza dubbio i sacri Pastori, mentre attendono al bene spirituale del loro gregge, di esso favoriscono anche il progresso sociale e civile e la prosperità, congiungendo a tal fine - nella sfera dei loro doveri e del loro decoro - la loro opera fattiva a quella delle pubbliche autorità, e inculcando ai loro fedeli obbedienza alle leggi giuste e rispetto alle autorità legittimamente costituite” (CD 19).

8. Parlando della missione e dei compiti dei Vescovi, il Concilio tocca anche la questione dei Vescovi istituiti come ausiliari del Vescovo diocesano, perché questi “sia per l’eccessiva vastità della diocesi o per l’eccessivo numero degli abitanti, sia a motivo di particolari circostanze di apostolato o di altre cause di diversa natura, non può personalmente compiere tutti i doveri del suo ministero, come esigerebbe il bene delle anime. Anzi talvolta particolari bisogni esigono che allo stesso Vescovo sia dato anche l’aiuto di un Vescovo coadiutore” (CD 25). Di regola il Vescovo coadiutore viene nominato con diritto di successione al Vescovo diocesano in carica. Ma ben al di sopra delle distinzioni di natura canonica, sta il principio a cui si riferisce il testo conciliare: il “bene delle anime”. Tutto e sempre deve essere disposto e fatto secondo quella “suprema legge” che è “la salvezza delle anime”.

9. In ordine a tale bene si spiegano anche queste successive leggi conciliari: “Poiché le necessità pastorali esigono sempre più che alcuni incarichi pastorali abbiano unità di indirizzo e di governo, è opportuno che siano costituiti alcuni uffici che possano servire a tutte o a più diocesi di una determinata regione o nazione: uffici che possono essere affidati anche ai Vescovi” (CD 42). Chi osserva la realtà strutturale e pastorale della Chiesa d’oggi nei vari Paesi del mondo può facilmente rendersi conto dell’attuazione di queste leggi in non pochi uffici creati dai Vescovi o dalla stessa Santa Sede prima e dopo il Concilio, in particolare per le attività missionarie, assistenziali, culturali. Un caso tipico e ben noto è quello dell’assistenza spirituale ai militari, per la quale il Concilio dispone l’istituzione di speciali Ordinari, secondo la prassi seguita dalla Sede apostolica da molto tempo: “Poiché l’assistenza spirituale ai soldati, per le particolari condizioni della loro vita, richiede un premuroso interessamento, per quanto è possibile, si eriga in ogni nazione un vicariato castrense” (CD 43).

10. In questi nuovi ambiti di attività, spesso complessi e difficili, ma anche nell’ordinario adempimento della missione pastorale nelle singole diocesi loro affidate, i Vescovi hanno bisogno di unione e di collaborazione tra di loro, in spirito di fraterna carità e di apostolica solidarietà, come membri del collegio episcopale nella concreta attuazione dei loro compiti grandi e piccoli di ogni giorno. È anche questo un pronunciamento del Concilio: “Specialmente ai nostri tempi, i Vescovi spesso trovano difficoltà a svolgere in modo adeguato e con frutto il loro ministero, senza una cooperazione sempre più stretta e concorde con gli altri Vescovi” (CD 37).

Come si vede, l’unione e la collaborazione sono sempre indicate come la chiave di volta del lavoro pastorale. È un principio ecclesiologico, al quale bisognerà essere sempre più fedeli, se si vuole la “edificazione del corpo di Cristo”, come l’ha voluta San Paolo (cf. Ep 4,12 Col 2,19 1Co 12,12 ss; Rm 12,4-5) e con lui ogni altro autentico Pastore della Chiesa nel corso dei secoli.

Ai gruppi di lingua tedesca

Ai pellegrini francesi

Ai gruppi di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Rivolgo un saluto cordiale a tutti i pellegrini italiani. In particolare accolgo con gioia la comunità dei SS. Pietro e Paolo in Dragonea (Salerno), che celebra il millenario della chiesa parrocchiale. Carissimi, i vostri Patroni sono anche quelli di Roma: pregate sempre per l’unità della Chiesa e siatene validi testimoni nella vostra realtà locale.

Il mio pensiero va inoltre ai partecipanti al Congresso dell’Unione europea dei Forestali, ai quali auguro un proficuo lavoro per la tutela di quei “polmoni naturali” che sono le foreste.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed ora un saluto a tutti i giovani, ammalati e sposi novelli. Oggi la Chiesa celebra la liturgia della festa dei Santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo. Vi esorto, cari giovani, a seguire il loro esempio nel mettere sempre Cristo al centro della vostra vita, per essere veri testimoni del suo Vangelo nella nostra società. Anche voi, cari ammalati, accogliete con fede il mistero del dolore sull’esempio di questi Apostoli. E voi, sposi novelli, sappiate attingere ogni giorno dal Signore il senso del vostro amore, perché questo sia sempre più vero e duraturo.

Un fraterno pensiero di solidarietà è rivolto dal Papa al popolo ebraico, in occasione della ricorrenza del XXVII anniversario della promulgazione della Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II, avvenuta il 28 ottobre 1965, ed in occasione delle solenni festività di apertura dell’anno ebraico. Queste le parole del Santo Padre.

Un pensiero di fraterna solidarietà desidero ora rivolgere ai membri del popolo ebraico. Proprio oggi, infatti, ricorre l’anniversario della promulgazione della Dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra aetate” sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane, e in special modo con i discendenti della “stirpe di Abramo”. Inoltre, la scorsa settimana si è chiuso il ciclo delle solenni festività di apertura dell’anno ebraico, con la celebrazione di “Simhath Torà”, la “Esultanza per la Legge” divina. Rilevo queste ricorrenze avendo nell’animo molto viva l’amarezza per le notizie di attacchi e di profanazioni, che da qualche tempo offendono la memoria delle vittime della Shoà in quegli stessi luoghi che sono stati testimoni delle sofferenze di milioni di innocenti.

Come insegna il Concilio, e come ho ripetuto anche nella Sinagoga di Roma, la Chiesa “deplora gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo, dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque” (Nostra aetate NAE 4).

Più in generale, dinanzi ai ricorrenti episodi di xenofobia, di tensioni razziali e di nazionalismi estremi e fanatici, sento il dovere di ribadire che ogni forma di razzismo è un peccato contro Dio e contro l’uomo, giacché ogni persona umana reca impressa in sé l’immagine divina.




Mercoledì, 4 novembre 1992

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1. Delineata dal Concilio Vaticano II la missione dei Vescovi, sia come collegio sia come pastori personalmente assegnati alle varie diocesi, vogliamo ora considerare le componenti essenziali di questa missione, come sono esposte dallo stesso Concilio. La prima è quella della predicazione autorevole e responsabile della parola di Dio. Il Concilio dice: “Tra i principali doveri dei Vescovi eccelle la predicazione del Vangelo” (
LG 25). È la prima funzione dei Vescovi, ai quali è affidata, come agli Apostoli, la missione pastorale dell’annuncio della parola di Dio. La Chiesa oggi più che mai ha la coscienza viva della necessità della proclamazione della buona novella, sia per la salvezza delle anime, sia per la diffusione e lo stabilimento del proprio organismo comunitario e sociale. Essa ricorda le parole di San Paolo: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza prima aver creduto in lui? E come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza che alcuno lo annunzi? E come lo annunzieranno senza essere prima inviati? Come sta scritto: «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!»” (Rm 10,13-15).

2. Perciò il Concilio dice che “i Vescovi sono araldi della fede”, e che, come tali, fanno crescere e fruttificare la fede del popolo di Dio (cf. LG 25). Il Concilio passa quindi in rassegna i compiti dei Vescovi in ordine a questa loro principale funzione di “araldi”: provvedere all’istruzione religiosa dei giovani e degli adulti; predicare la verità rivelata, il mistero di Cristo, nella sua totalità e integrità; rammentare la dottrina della Chiesa, specialmente sui punti più esposti a dubbi o critiche. Leggiamo infatti nel decreto Christus Dominus: “Nell’esercizio del loro ministero di insegnare, annunzino agli uomini il Vangelo di Cristo, il che è uno dei principali doveri dei Vescovi; e ciò facciano nella fortezza dello Spirito invitando gli uomini alla fede o confermandoli in essa. Propongano loro l’intero mistero di Cristo, ossia quelle verità che non si possono ignorare senza ignorare Cristo stesso; e additino, insieme, alle anime la via da Dio rivelata, che conduce gli uomini alla glorificazione del Signore e, con ciò stesso, alla loro eterna felicità” (CD 12). Nello stesso tempo, però, il Concilio esorta i Vescovi a presentare questa dottrina in modo adatto ai bisogni dei tempi: “La dottrina cristiana essi la devono esporre in modo consono alle necessità del tempo in cui viviamo: in modo, cioè, che risponda alle difficoltà e ai problemi dai quali sono assillati e angustiati gli uomini d’oggi. Questa dottrina inoltre non solo la devono difendere essi stessi, ma devono stimolare anche i fedeli a difenderla e a propagarla” (CD 13).

3. Rientra nell’ambito della predicazione, alla luce del mistero di Cristo, la necessità dell’insegnamento sul vero valore dell’uomo, della persona umana e anche delle “cose terrene”. Raccomanda infatti il Concilio: i Vescovi “dimostrino . . . che le stesse cose terrene e le umane istituzioni, nei disegni di Dio, sono ordinate alla salvezza degli uomini, e possono perciò non poco contribuire all’edificazione del Corpo di Cristo. Insegnino pertanto quale sia, secondo la dottrina della Chiesa, il valore della persona umana, della sua libertà e della stessa vita fisica; il valore della famiglia, della sua unità e stabilità, e della procreazione ed educazione della prole; il valore del consorzio civile, con le sue leggi e con le varie professioni in esso esistenti; il valore del lavoro e del riposo, delle arti e della tecnica; il valore della povertà e dell’abbondanza dei beni materiali. E infine espongano come debbano essere risolti i gravissimi problemi sollevati dal possesso dei beni materiali, dal loro sviluppo e dalla loro giusta distribuzione, dalla pace e dalla guerra, e dalla fraterna convivenza di tutti i popoli” (CD 12). È la dimensione storico-sociale della predicazione, e dello stesso Vangelo di Cristo tramandato dagli Apostoli con la loro predicazione. Non c’è da meravigliarsi che l’interesse per la storicità e la socialità dell’uomo sia oggi abbondante nella predicazione, anche se questa deve svolgersi al livello religioso e morale che le è proprio. La sollecitudine per la condizione umana, oggi agitata e spesso afflitta sul piano economico, sociale e politico, si traduce nello sforzo costante di portare agli uomini e ai popoli il soccorso della luce e della carità evangelica.

4. All’insegnamento dei Vescovi i fedeli devono rispondere aderendovi in spirito di fede. “I Vescovi - dice il Concilio - quando insegnano in comunione col Romano Pontefice, devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e di morale, e aderirvi con religioso rispetto” (LG 25). Come si vede, il Concilio precisa che condizione essenziale del valore e della obbligatorietà dell’insegnamento dei Vescovi è che siano e parlino in comunione col Romano Pontefice. Senza dubbio ogni Vescovo ha la sua propria personalità e propone la dottrina del Signore servendosi delle capacità di cui dispone: ma proprio perché si tratta di predicare la dottrina del Signore affidata alla Chiesa, egli deve sempre mantenersi in comunione di pensiero e di cuore col capo visibile della Chiesa.

5. Quando una dottrina di fede o di morale è universalmente insegnata come definitiva dai Vescovi nella Chiesa, il loro magistero gode di un’autorità infallibile. È un’altra affermazione del Concilio: “Quantunque i singoli Vescovi non godano della prerogativa dell’infallibilità, quando, tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservanti il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale, convengono su una sentenza da ritenersi come definitiva, enunziano infallibilmente la dottrina di Cristo. Il che è ancora più manifesto quando, radunati in Concilio ecumenico, sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale, e alle loro definizioni si deve aderire con l’ossequio della fede” (LG 25).

6. Il Romano Pontefice, come capo del collegio dei Vescovi, fruisce personalmente di questa infallibilità: ne tratteremo in una prossima catechesi. Per ora completiamo la lettura del testo del Concilio riguardante i Vescovi: “L’infallibilità promessa alla Chiesa risiede . . . nel corpo episcopale quando esercita il supremo magistero col successore di Pietro. E a queste definizioni non può mai mancare l’assenso della Chiesa, per l’azione dello stesso Spirito Santo che conserva e fa progredire nell’unità della fede tutto il gregge di Cristo” (LG 25). Lo Spirito Santo, che dà la garanzia di verità all’insegnamento infallibile del corpo episcopale, procura anche con la sua grazia l’assenso di fede della Chiesa. La comunione nella fede è opera dello Spirito Santo, anima della Chiesa.

7. Dice ancora il Concilio: “Questa infallibilità, della quale il divino Redentore volle provveduta la sua Chiesa nel definire la dottrina della fede e della morale, si estende tanto quanto il deposito della divina rivelazione . . . Quando poi sia il Romano Pontefice sia il corpo dei Vescovi, con lui, definiscono una sentenza, la emettono secondo la stessa rivelazione, cui tutti devono sottostare e conformarsi, e che è integralmente trasmessa per scritto o per tradizione dalla legittima successione dei Vescovi e specialmente a cura dello stesso Pontefice Romano, e viene nella Chiesa gelosamente conservata e fedelmente esposta sotto la luce dello Spirito di verità” (LG 25).

8. E infine il Concilio ammonisce: “Il deposito della divina rivelazione dev’essere gelosamente custodito e fedelmente esposto” (LG 25).

C’è dunque una responsabilità di tutto il corpo dei Vescovi uniti al Romano Pontefice circa questa custodia costante e fedele del patrimonio di verità affidata da Cristo alla sua Chiesa. “Depositum custodi”, raccomandava San Paolo al discepolo Timoteo (1Tm 6,20), al quale aveva affidato la cura pastorale della Chiesa di Efeso (cf. 1Tm 1,3). Noi tutti, Vescovi della Chiesa cattolica, dobbiamo sentire questa responsabilità. Noi tutti sappiamo che, se saremo fedeli nella custodia del “deposito”, avremo sempre la possibilità di mantenere integra la fede del popolo di Dio e di assicurare la divulgazione del suo contenuto nel mondo d’oggi e nelle generazioni future.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo ora un cordiale benvenuto a tutti pellegrini italiani. In particolare, saluto il Gruppo dell’Apostolato della Preghiera della Diocesi di Concordia-Pordenone, ringraziando per la testimonianza che offre sul primato della preghiera nella vita dei credenti.

Saluto inoltre le componenti dell’“Associazione Impegno Donne” che, ispirandosi ai principi cristiani, svolge un’opera di sensibilizzazione ai valori morali, al servizio della famiglia e dell’educazione.

Un affettuoso pensiero va poi agli alunni della Scuola Elementare “Caterina Cittadini” di Roma, ai quali vorrei ricordare che il più grande Maestro di ogni uomo è Gesù: ascoltatelo, cari ragazzi, e imitatelo sempre!

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Infine, un saluto speciale va, come di consueto, ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Carissimi, esorto voi tutti a fare vostra quella virtù che San Carlo Borromeo scelse come proprio motto: humilitas: l’umiltà. Per voi, giovani, l’umiltà costituisca l’atteggiamento con cui cercate e servite la Verità e il Bene nel vostro itinerario di crescita umana e spirituale; per voi, cari ammalati, sia la dignitosa e coraggiosa accettazione del male in spirito di riparazione, unendovi al mistero della sofferenza e della morte del Signore; e voi, sposi novelli, abbiate sempre l’umiltà di imparare da Cristo e dalla Chiesa ad amarvi e onorarvi tutti i giorni della vostra vita.

Deporre le armi e ritornare al dialogo e alla forza della ragione per un futuro di pace:

Desidero ora invitare alla preghiera per l’Angola, il caro Paese che ho visitato nel giugno scorso. Dopo anni di guerra civile, era nata la speranza di una convivenza pacifica, che le prime elezioni generali della fine di settembre avevano rafforzato. Avevo condiviso con quella popolazione tanto gravemente provata il desiderio di un futuro tranquillo, di un giusto ordine democratico e della sospirata pace. Purtroppo, ci pervengono da quella Nazione africana notizie di nuove lotte fratricide, con un nuovo tragico carico di morti, di divisioni e di sofferenze.

Mi unisco quindi alla voce dei Vescovi dell’Angola e formulo un pressante invito ai responsabili di tali azioni, perché depongano le armi e ritornino al dialogo e alla forza della ragione. Ancora una volta desidero ricordare a tutti che: la pace è possibile; la pace è un diritto dei popoli e un dovere per chi ne regge le sorti. “Beati i costruttori di pace”. Invochiamo l’intercessione della Vergine Santissima, perché ritornino in Angola la concordia e la pace.





Catechesi 79-2005 21102