Catechesi 79-2005 21292

Mercoledì, 2 dicembre 1992

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1. Durante l’ultima Cena Gesù rivolge a Pietro una parola che merita particolare attenzione. Senza dubbio essa si riferisce alla situazione drammatica di quelle ore, ma ha un valore fondamentale per la Chiesa di sempre, in quanto appartiene al patrimonio delle ultime raccomandazioni e degli ultimi insegnamenti dati da Gesù ai discepoli nella sua vita terrena. Nel preannunciare il triplice rinnegamento a cui Pietro giungerà per paura durante la Passione, Gesù gli predice anche il superamento della crisi di quella notte: “Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (
Lc 22,31-32). In queste parole c’è la garanzia data a Simone di una preghiera speciale di Gesù per la perseveranza della sua fede; ma c’è anche l’annuncio della missione a lui affidata di confermare nella fede i suoi fratelli. L’autenticità delle parole di Gesù appare non solo dalla cura di Luca di raccogliere informazioni sicure e di esporle in una narrazione anche criticamente valida, come risulta dal prologo del suo Vangelo, ma anche da quella specie di paradosso che esse comportano: Gesù lamenta la debolezza di Simon Pietro e nello stesso tempo gli affida la missione di confermare gli altri. Il paradosso mostra la grandezza della grazia, che opera negli uomini - e in questo caso in Pietro - ben al di là delle possibilità offerte dalle loro capacità e virtù, e dai loro meriti; mostra pure la consapevolezza e la fermezza di Gesù nella scelta di Pietro. L’evangelista Luca, accorto e attento al senso delle parole e delle cose, non esita a riferire quel paradosso messianico.

2. Il contesto in cui si trovano quelle parole rivolte da Gesù a Pietro, nell’ultima Cena, è pure molto significativo. Egli ha appena detto agli Apostoli: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un Regno, come il Padre l’ha preparato per me” (Lc 22,28-29). Il verbo greco diatithemai (= preparare, disporre) ha un senso forte, come di disporre in modo fattivo, e dice la realtà del Regno messianico stabilito dal Padre celeste e partecipato agli Apostoli. Le parole di Gesù si riferiscono senza dubbio alla dimensione escatologica del Regno, quando gli Apostoli saranno chiamati a “giudicare le dodici tribù di Israele” (Lc 22,30). Esse però hanno valore anche per la sua fase attuale, per il tempo della Chiesa qui sulla terra. E questo è tempo di prova. A Simon Pietro Gesù assicura perciò la preghiera, affinché in questa prova non prevalga il principe di questo mondo: “Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano” (Lc 22,31). La preghiera di Cristo è indispensabile in modo particolare a Pietro, in considerazione della prova che l’attende, e in considerazione del compito che Gesù gli affida. A questo compito si riferiscono le parole: “conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

3. La prospettiva in cui va considerato il compito di Pietro - come tutta la missione della Chiesa - è dunque storica e nello stesso tempo escatologica. È un compito nella Chiesa e per la Chiesa nella storia, dove ci sono prove da superare, cambiamenti da affrontare, situazioni culturali, sociali, religiose in cui operare: ma tutto in funzione del Regno dei cieli, già preparato e disposto dal Padre come termine finale di tutto il cammino storico e di tutte le esperienze personali e sociali. Il “Regno” trascende la Chiesa nel suo pellegrinaggio terreno, ne trascende i compiti e i poteri. Trascende pure Pietro e il Collegio apostolico, e dunque i loro successori nell’episcopato. E tuttavia è già nella Chiesa, già opera e si sviluppa nella fase storica e nella situazione terrena della sua esistenza, sicché già in essa vi è ben più di una istituzione e struttura societaria. Vi è la presenza dello Spirito Santo, essenza della Nuova Legge secondo Sant’Agostino (cf. De spiritu et littera, 21) e San Tommaso d’Aquino (cf. Summa theologiae, I-II 106,1). Ma questa presenza non esclude, anzi esige, a livello ministeriale, il visibile, l’istituzionale, il gerarchico. Tutto il Nuovo Testamento, custodito e predicato dalla Chiesa, è in funzione della grazia, del regno dei cieli. In questa prospettiva si colloca il ministero Petrino. Gesù annuncia questo compito di servizio a Simon Pietro dopo le professioni di fede fatte da lui come portavoce dei Dodici: fede in Cristo, Figlio del Dio vivente (cf. Mt 16,16), e nelle parole che annunciavano l’eucaristia (cf. Jn 6,68). Sulla via di Cesarea di Filippo Gesù approva pubblicamente la professione di fede di Simone, lo chiama pietra fondamentale della Chiesa e promette di dargli le chiavi del Regno dei cieli, con il potere di legare e di sciogliere. In quel contesto si capisce che l’aspetto della missione e del potere, che concerne la fede, è messo particolarmente in luce dall’evangelista, anche se vi sono compresi altri aspetti che vedremo nella prossima catechesi.

4. È interessante notare che l’evangelista, pur parlando della umana fragilità di Pietro, che non è messo al riparo dalle difficoltà ed è tentato come gli altri Apostoli, tuttavia sottolinea che egli beneficia di una preghiera speciale per la sua perseveranza nella fede: “Ho pregato per te”. Pietro non è stato preservato dal rinnegamento, ma, dopo aver fatto l’esperienza della propria debolezza, egli è stato confermato nella fede, in virtù della preghiera di Gesù, al fine di poter adempiere alla missione di confermare i suoi fratelli. Questa missione non si può spiegare in base a considerazioni puramente umane. L’apostolo Pietro, che si distingue come il solo che rinneghi - tre volte! - il suo Maestro, è sempre l’eletto di Gesù, l’incaricato di fortificare i suoi compagni. Le pretese umane di fedeltà professate da Pietro vengono deluse, ma la grazia trionfa. L’esperienza della caduta serve a Pietro per imparare che non può riporre la sua fiducia nelle proprie forze e in qualsiasi altro fattore umano, ma unicamente in Cristo. Serve anche a noi per indurci a vedere nella luce della grazia l’elezione, la missione e lo stesso potere di Pietro. Ciò che Gesù gli promette e gli affida viene dal Cielo, e appartiene - deve appartenere - al Regno dei cieli.

5. Il servizio di Pietro al Regno, secondo l’Evangelista, consiste principalmente nel confermare i suoi fratelli, nell’aiutarli a conservare la fede e a svilupparla. È interessante rilevare che si tratta di una missione da svolgere nella Prova. Gesù ha ben presenti le difficoltà della fase storica della Chiesa, chiamata a proseguire il cammino della croce da lui percorso. Il ruolo di Pietro, come capo degli Apostoli, sarà di sostenere i suoi “fratelli” e tutta la Chiesa nella fede. E poiché la fede non si conserva senza lotta, Pietro dovrà aiutare i fedeli nella lotta per vincere tutto quello che toglierebbe o diminuirebbe la loro fede. È l’esperienza delle prime comunità cristiane, che si riflette nel testo di Luca, ben consapevole della spiegazione che quella condizione storica di persecuzione, di tentazione, di lotta trova nelle parole di Cristo agli Apostoli e principalmente a Pietro.

6. In quelle parole si trovano le componenti fondamentali della Missione petrina. Anzitutto quella di confermare i fratelli, con l’esposizione della fede, l’esortazione alla fede, tutti i provvedimenti occorrenti per lo sviluppo della fede. Quest’azione è rivolta a coloro che Gesù, parlando a Pietro, chiama “i tuoi fratelli”: nel contesto, l’espressione si applica anzitutto agli altri Apostoli, ma non esclude un senso più vasto, esteso a tutti i membri della comunità cristiana (cf. Ac 1,15). Essa suggerisce anche la finalità a cui deve mirare Pietro nella sua missione di confermatore e sostenitore della fede: la comunione fraterna in forza della fede. Ancora: Pietro - e come lui ogni suo successore e capo della Chiesa - ha la missione di incoraggiare i fedeli a porre tutta la loro fiducia nel Cristo e nella potenza della sua grazia, che Pietro ha personalmente sperimentato. È ciò che scrive Innocenzo III nella Lettera Apostolicae Sedis Primatus (12 novembre 1199) citando il testo di Luca Lc 22,32 e commentandolo così: “Il Signore insinua manifestamente che i successori di Pietro non devieranno mai, in nessun momento, dalla fede cattolica, ma piuttosto richiameranno gli altri e rafforzeranno anche gli esitanti” (Denz.-S. DS 775). Quel Papa medievale sentiva confermata dall’esperienza di un millennio la dichiarazione di Gesù a Simon Pietro.

7. La missione affidata da Gesù a Pietro riguarda la Chiesa nella estensione dei secoli e delle generazioni umane. Quel mandato: “Conferma i tuoi fratelli”, significa: insegna la fede in tutti i tempi, nelle diverse circostanze e fra tutte le molteplici difficoltà e contraddizioni che la predicazione della fede incontrerà nella storia; e insegnando, infondi coraggio ai fedeli; tu stesso hai sperimentato che la potenza della mia grazia è più grande della debolezza umana; diffondi dunque il messaggio della fede, proclama la sana dottrina, riunisci i “fratelli”, riponendo la tua fiducia nella preghiera che ti ho promesso; in virtù della mia grazia, cerca di aprire alla accoglienza della fede coloro che non credono, e di confortare coloro che sono nel dubbio; questa è la tua missione, questa è la ragione del mandato che ti affido.

Quelle parole dell’evangelista Luca (Lc 22,31-33) sono ben significative per tutti coloro che svolgono nella Chiesa il “munus Petrinum”, richiamandoli continuamente a quella sorta di paradosso originale che Cristo stesso ha posto in loro, con la certezza che nel loro ministero, come in quello di Pietro, opera la grazia speciale che sostiene la debolezza dell’uomo e gli permette di “confermare i fratelli”: “Io ho pregato, - è la parola di Gesù a Pietro, che si ripercuote nei sempre umili e poveri suoi successori - ho pregato che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli giapponesi

Carissimi cantori del Coro “Sumire” (fior di viola), e del Coro delle bambine di Tokushima. Voi svolgete lodevolmente una gentile attività musicale per diffondere negli animi gioia e pace. Mi è gradito incoraggiarvi e augurarvi di poter continuare ancora a lungo questa medesima attività, e con questo augurio vi benedico di cuore.

Ai pellegrini tedeschi

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto il gruppo dei fedeli di Santa Maria della Scala, la ben nota chiesa di Trastevere. Volentieri benedico l’immagine della Vergine, che avete recato qui e che sarà posta in un’edicola della strada a ricordo del quarto centenario dei prodigi attribuiti a quella icona miracolosa. Sia la Madre del Redentore, Porta del Cielo e Scala del Paradiso, guida nel vostro cammino di fede.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo, infine, un cordiale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli presenti. Carissimi, domenica scorsa è iniziato il tempo liturgico dell’Avvento, che è un momento di particolare grazia per tutta la Chiesa. Raccomando a voi, giovani, in particolare, nelle scuole medie “Anna Frank” di Roma, “Giovanni XXIII” di Grottaminarda (Avellino) e “Leone” di Pomigliano D’Arco (Napoli), di vivere questo periodo di impegno spirituale in un atteggiamento di vigilanza e di generosa ricerca della volontà di Dio. Voi, ammalati, offrite le vostre sofferenze a Colui che, incarnandosi, ha scelto di condividere l’esperienza umana del dolore. Voi, sposi novelli, siate pronti ad accogliere e servire la vita che al Signore piacerà far sbocciare dal vostro amore. A tutti la mia Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 9 dicembre 1992

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1. La promessa fatta da Gesù a Simon Pietro, di costituirlo pietra fondamentale della sua Chiesa, ha riscontro nel mandato che il Cristo gli affida dopo la risurrezione: “Pasci i miei agnelli”, “Pasci le mie pecorelle” (
Jn 21,15-17). Vi è un oggettivo rapporto tra il conferimento della missione attestato dal racconto di Giovanni, e la promessa riferita da Matteo (cf. Mt 16,18-19). Nel testo di Matteo vi era un annuncio. In quello di Giovanni vi è l’adempimento dell’annuncio. Le parole: “Pasci le mie pecorelle” manifestano l’intenzione di Gesù di assicurare il futuro della Chiesa da lui fondata, sotto la guida di un pastore universale, ossia Pietro, al quale egli ha detto che, per sua grazia, sarà “pietra” e che avrà le “chiavi del regno dei cieli”, col potere “di legare e di sciogliere”. Gesù, dopo la risurrezione, dà una forma concreta all’annuncio e alla promessa di Cesarea di Filippo, istituendo l’autorità di Pietro come ministero pastorale della Chiesa, a raggio universale.

2. Diciamo subito che in tale missione pastorale s’integra il compito di “confermare i fratelli” nella fede, di cui abbiamo trattato nella precedente catechesi. “Confermare i fratelli” e “pascere le pecore” costituiscono congiuntamente la missione di Pietro: si direbbe il proprium del suo ministero universale. Come afferma il Concilio Vaticano I, la costante tradizione della Chiesa ha giustamente ritenuto che il primato apostolico di Pietro “comprende pure la suprema potestà di magistero” (cf. Denz.-S. DS 3065). Sia il primato che la potestà di magistero sono conferiti direttamente da Gesù a Pietro come persona singolare, anche se ambedue le prerogative sono ordinate alla Chiesa, senza però derivare dalla Chiesa, ma solo da Cristo. Il primato è dato a Pietro (cf. Mt 16,18) come - l’espressione è di Agostino - “totius Ecclesiae figuram gerenti” (Epist., 53,1.2), ossia in quanto egli personalmente rappresenta la Chiesa intera; e il compito e potere di magistero gli è conferito come fede confermata perché sia confermante per tutti i “fratelli” (cf. Lc 22,31 s). Ma tutto è nella Chiesa e per la Chiesa, di cui Pietro è fondamento, clavigero e pastore nella sua struttura visibile, in nome e per mandato di Cristo.

3. Gesù aveva preannunciato questa missione a Pietro non solo a Cesarea di Filippo, ma anche nella prima pesca miracolosa, quando, a Simone che si riconosceva peccatore, aveva detto: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10). In tale circostanza, Gesù aveva riservato a Pietro personalmente questo annuncio, distinguendolo dai suoi compagni e soci, tra i quali i “figli di Zebedeo”, Giacomo e Giovanni (cf. Lc 5,10). Anche nella seconda pesca miracolosa, dopo la risurrezione, emerge la persona di Pietro in mezzo agli altri Apostoli, secondo la descrizione dell’avvenimento fatta da Giovanni (Jn 21,2 ss), quasi a tramandarne il ricordo nel quadro di una simbologia profetica della fecondità della missione affidata da Cristo a quei pescatori.

4. Quando Gesù sta per conferire la missione a Pietro, si rivolge a lui con un appellativo ufficiale: “Simone, figlio di Giovanni” (Jn 21,15), ma assume poi un tono familiare e d’amicizia: “Mi ami tu più di costoro?”. Questa domanda esprime un interesse per la persona di Simon Pietro e sta in rapporto con la sua elezione per una missione personale. Gesù la formula a tre riprese, non senza un implicito riferimento al triplice rinnegamento. E Pietro dà una risposta che non è fondata sulla fiducia nelle proprie forze e capacità personali, sui propri meriti. Ormai sa bene che deve riporre tutta la sua fiducia soltanto in Cristo: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Jn 21,17). Evidentemente il compito di pastore richiede un amore particolare verso Cristo. Ma è lui, è Dio che dà tutto, anche la capacità di rispondere alla vocazione, di adempiere la propria missione. Sì, bisogna dire che “tutto è grazia”, specialmente a quel livello!

5. E avuta la risposta desiderata, Gesù conferisce a Simon Pietro la missione pastorale: “Pasci i miei agnelli”; “Pasci le mie pecorelle”. È come un prolungamento della missione di Gesù, che ha detto di sé: “Io sono il buon Pastore” (Jn 10,11). Gesù, che ha partecipato a Simone la sua qualità di “pietra”, gli comunica anche la sua missione di “pastore”. È una comunicazione che implica una comunione intima, che traspare anche dalla formulazione di Gesù: “Pasci i miei agnelli . . . le mie pecorelle”; come aveva già detto: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). La Chiesa è proprietà di Cristo, non di Pietro. Agnelli e pecorelle appartengono a Cristo, e a nessun altro. Gli appartengono come a “buon Pastore”, che “offre la vita per le sue pecore” (Jn 10,11). Pietro deve assumersi il ministero pastorale nei riguardi degli uomini redenti “con il sangue prezioso di Cristo” (1P 1,19). Sul rapporto tra Cristo e gli uomini, diventati sua proprietà mediante la redenzione, si fonda il carattere di servizio che contrassegna il potere annesso alla missione conferita a Pietro: servizio a Colui che solo è “pastore e guardiano delle nostre anime” (1P 2,25), e nello stesso tempo a tutti coloro che Cristo-buon Pastore ha redento a prezzo del sacrificio della croce. È chiaro, peraltro, il contenuto di tale servizio: come il pastore guida le pecore verso i luoghi in cui possono trovare cibo e sicurezza, così il pastore delle anime deve offrir loro il cibo della parola di Dio e della sua santa volontà (cf. Jn 4,34), assicurando l’unità del gregge e difendendolo da ogni ostile incursione.

6. Certo, la missione comporta un potere, ma per Pietro - e per i suoi successori - è una potestà ordinata al servizio, a un servizio specifico, un ministerium. Pietro la riceve nella comunità dei Dodici. Egli è uno della comunità degli Apostoli. Ma non c’è dubbio che Gesù, sia mediante l’annuncio (cf. Mt 16,18-19), sia mediante il conferimento della missione dopo la sua risurrezione, riferisce in modo particolare a Pietro quanto trasmette a tutti gli Apostoli, come missione e come potere. Solo a lui Gesù dice: “Pasci”, ripetendoglielo tre volte. Ne deriva che, nell’ambito del comune compito dei Dodici, si delineano per Pietro una missione e un potere, che toccano soltanto a lui.

7. Gesù si rivolge a Pietro come a persona singola in mezzo ai Dodici, non soltanto come a un rappresentante di questi Dodici: “Mi ami tu più di costoro?” (Jn 21,15). A questo soggetto - il tu di Pietro - è chiesta la dichiarazione d’amore ed è conferita questa missione e autorità singolare. Pietro è dunque distinto tra gli altri Apostoli. Anche la triplice ripetizione della domanda sull’amore di Pietro, probabilmente in rapporto con il suo triplice rinnegamento di Cristo, accentua il fatto del conferimento a lui di un particolare ministerium, come decisione di Cristo stesso, indipendentemente da qualunque qualità o merito dell’Apostolo, e anzi nonostante la sua momentanea infedeltà.

8. La comunione nella missione messianica, stabilita da Gesù con Pietro mediante quel mandato: “Pasci i miei agnelli . . .”, non può non comportare una partecipazione dell’Apostolo-Pastore allo stato sacrificale di Cristo-buon Pastore “che offre la vita per le sue pecore”. Questa è la chiave di interpretazione di molte vicende, che si ritrovano nella storia del pontificato dei successori di Pietro. Su tutto l’arco di questa storia aleggia quella predizione di Gesù: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Jn 21,18). Era la predizione della conferma che Pietro avrebbe dato al suo ministero pastorale con la morte per martirio. Come dice Giovanni, con tale morte Pietro “avrebbe glorificato Dio” (Jn 21,19). Il servizio pastorale, affidato a Pietro nella Chiesa, avrebbe avuto la sua consumazione nella partecipazione al sacrificio della croce, offerto da Cristo per la redenzione del mondo. La croce, che aveva redento Pietro, sarebbe così diventata per lui il mezzo privilegiato per esercitare fino in fondo il suo compito di “Servo dei servi di Dio”.

Ai visitatori di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli spagnoli

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto tutti i pellegrini di lingua italiana e, in particolare, i fedeli di Carpenedolo, qui venuti con la Corale “Ars Nova”, che ieri ha accompagnato la solenne Liturgia in Santa Maria Maggiore. Vi ringrazio e, con le parole di Sant’Agostino, dico a ciascuno: “Chi canta bene, prega due volte”.

Un cordiale benvenuto rivolgo ai membri del “Centro Studi Avellaniti”, guidati dal loro Presidente, il Cardinale Pietro Palazzini. Nel ricordo della visita da me compiuta all’Abbazia di Fonte Avellana, auspico che il vostro lavoro culturale sia coronato da abbondanti frutti.

Accolgo con piacere il gruppo di Acquaviva Collecroce, in provincia di Campobasso; vi ringrazio per il dono della statua della Madonna “Regina della pace”, che avete qui recata in segno dell’antica solidarietà del vostro paese con i profughi provenienti dalla Croazia.

Saluto, poi, i giovani e i lavoratori della Diocesi di Iglesias, accompagnati dal loro Pastore e dai responsabili diocesani per la pastorale del mondo del lavoro. Condivido le vostre preoccupazioni per la grave crisi dell’occupazione ed incoraggio il vostro impegno in favore del diritto al lavoro.

Un pensiero, infine, per gli Allievi dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli, ai quali auguro di tendere sempre alle nobili mete della virtù, sulle ali della fede e della rettitudine.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Carissimi giovani, malati, sposi novelli!

Affido particolarmente alla vostra attenzione il “Catechismo della Chiesa Cattolica”, che proprio nei giorni scorsi è stato solennemente presentato alla Chiesa e al mondo. Esso offre alla meditazione della comunità cristiana le linee essenziali della fede, perché i credenti siano sempre più radicati nella verità, saldi nella comunione, vibranti nell’annuncio del Vangelo. Auspico di cuore che il nuovo Catechismo costituisca per voi, giovani, un luminoso punto di riferimento nel cammino della vostra vita; aiuti voi, malati, a trovare nel Cristo il significato salvifico del dolore; indichi a voi, sposi novelli, il segreto della riuscita del vostro amore coniugale. A tutti imparto la mia Benedizione.



Mercoledì, 16 dicembre 1992

16122

1. I testi che ho esposto e spiegato nelle precedenti catechesi riguardano direttamente la missione di Pietro di confermare nella fede i fratelli e di pascere il gregge dei seguaci di Cristo. Sono i testi fondamentali sul ministero petrino. Essi, però, devono essere considerati nel quadro più completo di tutto il discorso neotestamentario su Pietro, a cominciare dalla collocazione della sua missione nell’insieme del Nuovo Testamento. Nell’epistolario paolino, egli è ricordato come primo testimone della risurrezione (cf.
1Co 15,3 ss), e Paolo dice di essere andato a Gerusalemme “per consultare Cefa” (cf. Ga 1,18). La tradizione giovannea registra una forte presenza di Pietro, e anche nei Sinottici sono numerosi gli accenni a lui. Il discorso neotestamentario riguarda anche la posizione di Pietro nel gruppo dei Dodici. In esso emerge il trio Pietro, Giacomo e Giovanni: si pensi, ad esempio, agli episodi della trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo, del Getsemani. Pietro è sempre al primo posto in tutte le liste degli Apostoli (in Mt 10,2 addirittura col qualificativo di “primo”). A lui viene dato da Gesù un nuovo nome, Kefa, che viene tradotto in greco (era dunque considerato significativo), a designare l’ufficio e il posto che Simone avrà nella Chiesa di Cristo. Sono elementi che ci servono per meglio acquisire il significato storico ed ecclesiologico della promessa di Gesù, contenuta nel testo di Matteo (Mt 16,18-19), e il conferimento della missione pastorale descritto da Giovanni (Jn 21,15-19): il primato di autorità nel collegio apostolico e nella Chiesa.

2. Si tratta di un dato di fatto, narrato dagli evangelisti come registratori della vita e della dottrina di Cristo, ma anche come testimoni della credenza e della prassi della prima comunità cristiana. Dai loro scritti risulta che, nei primi tempi della Chiesa, Pietro esercitava l’autorità in modo decisivo al livello più alto. Questo esercizio, accettato e riconosciuto dalla comunità, fa da riscontro storico alle parole pronunciate da Cristo circa la missione e il potere di Pietro. È facile ammettere che le qualità personali di Pietro non sarebbero state di per sé sufficienti a ottenere il riconoscimento di una suprema autorità nella Chiesa. Anche se aveva un temperamento da capo, dimostrato già in quella sorta di cooperativa per la pesca sul lago da lui composta con i “soci” Giovanni e Andrea (cf. Lc 5,10), non avrebbe potuto imporsi da solo, dati anche i suoi limiti e difetti altrettanto noti. E, d’altra parte, si sa che durante la vita terrena di Gesù gli Apostoli avevano discusso su chi, tra loro, avrebbe avuto il primo posto nel regno. Il fatto, dunque, che l’autorità di Pietro fosse poi pacificamente riconosciuta nella Chiesa, è dovuto esclusivamente alla volontà di Cristo, e mostra che le parole, con le quali Gesù aveva attribuito all’Apostolo la sua singolare autorità pastorale, erano state intese e accolte senza difficoltà nella comunità cristiana.

3. Passiamo brevemente in rassegna i fatti. Subito dopo l’Ascensione, riferisce il Libro degli Atti, gli Apostoli si riuniscono: nella loro lista Pietro è nominato per primo (cf. Ac 1,13), come d’altronde nelle liste dei Dodici che ci vengono fornite dai Vangeli e nell’enumerazione dei tre privilegiati (cf. Mc 5,37 Mc 9,2 Mc 13,3 Mc 14,33 e par.). È lui, Pietro, che d’autorità prende la parola: “In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli” (Ac 1,15). Non è l’assemblea che lo designa. Egli si comporta come uno che possiede l’autorità. In quella riunione Pietro espone il problema creato dal tradimento e dalla morte di Giuda, che riduce a undici il numero degli Apostoli. Per fedeltà alla volontà di Gesù, carica di simbolismo circa il passaggio dall’Antico al Nuovo Israele (dodici tribù costitutive-dodici Apostoli), Pietro indica la soluzione che s’impone: designare un sostituto che sia, con gli undici, “testimone della risurrezione” di Cristo (cf. Ac 1,21-22). L’assemblea accetta e mette in pratica questa soluzione, tirando a sorte, affinché la designazione venga dall’alto: così “la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici Apostoli” (Ac 1,26). Conviene sottolineare che tra i testimoni della risurrezione, in virtù della volontà di Cristo, Pietro aveva il primo posto. L’Angelo che aveva annunciato alle donne la risurrezione di Gesù aveva detto loro: “Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro . . .” (Mc 16,7). Giovanni lascia entrare Pietro per primo nel sepolcro (cf. Jn 20,1-10). Ai discepoli che ritornano da Emmaus gli altri dicono: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34). È una tradizione primitiva, raccolta dalla Chiesa e riferita da San Paolo, che il Cristo risorto apparve prima a Pietro: “Apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Co 15,5). Questa priorità corrisponde alla missione assegnata a Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede, come primo testimone della risurrezione.

4. Il giorno di Pentecoste Pietro agisce da capo dei testimoni della risurrezione. È lui che prende la parola, per un impulso spontaneo: “Pietro, levatosi in piedi con gli altri undici, parlò a voce alta così . . .” (Ac 2,14). Commentando l’avvenimento, egli dichiara: “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato, e noi ne siamo testimoni” (Ac 2,32). Tutti i Dodici ne sono testimoni: Pietro lo proclama a nome di tutti loro. Egli è il portavoce istituzionale, possiamo dire, della prima comunità e del gruppo degli Apostoli. Sarà lui a indicare agli ascoltatori che cosa devono fare: “Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo . . .” (Ac 2,38). È ancora Pietro che opera il primo miracolo, provocando l’entusiasmo della folla. Secondo la narrazione degli Atti, egli si trova in compagnia di Giovanni quando si volge verso lo storpio che chiede l’elemosina. È lui che parla. “Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi!”. Ed egli (lo storpio) si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualcosa. Ma Pietro gli disse:”Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. E presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono, e, balzato in piedi, camminava . . .” (Ac 3,3-8). Dunque Pietro, con le sue parole e i suoi gesti, si fa strumento del miracolo, convinto di disporre del potere derivato a lui da Cristo anche in questo campo. Proprio in questo senso egli spiega al popolo il miracolo, mostrando che la guarigione manifesta la potenza del Cristo risorto: “Dio l’ha risuscitato dai morti, e di questo ne siamo testimoni” (Ac 3,15). In conseguenza, egli esorta gli ascoltatori: “Pentitevi, e cambiate vita!” (Ac 3,19). Nell’interrogatorio del Sinedrio è Pietro, “pieno di Spirito Santo”, che parla, per proclamare la salvezza portata da Gesù Cristo (cf. Ac 4,8-9), crocifisso e risorto (cf. Ac 7,10). Successivamente è Pietro che, “insieme agli Apostoli”, risponde al divieto di insegnare a nome di Gesù: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini . . .” (Ac 5,29).

5. Anche nel caso penoso di Anania e Saffira, Pietro manifesta la sua autorità come responsabile della comunità. Rimproverando a quella coppia cristiana la menzogna circa il ricavato della vendita di un podere, egli accusa i due colpevoli di aver mentito allo Spirito Santo (cf. Ac 5,1-11). Parimenti lo stesso Pietro risponde a Simon mago, che aveva offerto del denaro agli Apostoli per ottenere lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani: “Il tuo denaro vada in perdizione con te, perché hai osato pensare di acquistare col denaro il dono di Dio . . . Pentiti dunque di questa iniquità, e prega il Signore che ti sia perdonato questo pensiero!” (Ac 8,20 Ac 8,22). Gli Atti, inoltre, ci dicono che Pietro è considerato dalla folla come colui che, più ancora degli altri Apostoli, opera delle meraviglie. Certo, egli non è il solo a compiere miracoli: “Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli” (Ac 5,12). Ma è soprattutto da Lui che si aspettano delle guarigioni: “Portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro” (Ac 5,15). Una cosa dunque risalta chiaramente in questi primi momenti di avvio della Chiesa: sotto la forza dello Spirito e in coerenza con il mandato di Gesù, Pietro agisce in comunione con gli Apostoli, ma prende l’iniziativa e decide personalmente come capo.

6. Si spiega così anche il fatto che, al momento dell’imprigionamento di Pietro da parte di Erode, si sia innalzata nella Chiesa una preghiera più ardente per lui: “Pietro era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui” (Ac 12,5). Anche questa preghiera deriva dalla convinzione comune della importanza unica di Pietro: con essa ha inizio la ininterrotta catena di suppliche che nella Chiesa si eleveranno in ogni tempo per i successori di Pietro. L’intervento dell’Angelo e la liberazione miracolosa (cf. Ac 12,6-17), peraltro, manifestano la speciale protezione di cui gode Pietro: protezione che gli permette di compiere tutta la missione pastorale che gli è stata assegnata. Questa protezione e assistenza chiederanno i fedeli per i Successori di Pietro nelle pene e nelle persecuzioni che incontreranno sempre nel loro ministero di “servi dei servi di Dio”.

7. Possiamo concludere col riconoscere che veramente nei primi tempi della Chiesa Pietro agisce come colui che possiede la prima autorità nell’ambito del collegio degli Apostoli, e che per questo parla a nome dei Dodici come testimone della risurrezione.

Per questo compie miracoli che assomigliano a quelli di Cristo e li opera in suo nome. Per questo assume la responsabilità del comportamento morale dei membri della prima comunità e del suo futuro sviluppo. Per questo egli è al centro dell’interesse del nuovo popolo di Dio e della preghiera rivolta al Cielo per ottenere a lui protezione e liberazione.

Ai pellegrini francesi

Ai gruppi di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli italiani

Saluto ora tutti i pellegrini di lingua italiana. Un pensiero particolarmente affettuoso desidero rivolgere al gruppo formato dai Padri Cappuccini di Reggio Emilia e dai loro collaboratori ed amici, i quali hanno curato la realizzazione dell’interessante “Presepe Itinerante”, in favore delle popolazioni balcaniche provate dal terribile flagello della guerra. Con la vostra iniziativa, carissimi Fratelli e Sorelle, che prende luce e stimolo dal mistero del Natale, mistero di amore e di fraternità, voi intendete recare un concreto sostegno a quanti sono vittime del grave conflitto tuttora in atto e coinvolgere in così importante azione umanitaria la gente che incontrate lungo l’itinerario percorso dalla vostra carovana della speranza.

Il Signore vi accompagni, e ricompensi quanti appoggiano il vostro progetto e contribuiscono fattivamente alla sua riuscita. A coloro che incontrerete, a chi vi offre il suo apporto, alle persone che, grazie alla vostra generosità, potranno trascorrere un Natale più sereno, portate i miei cordialissimi auguri. Possa il Natale del Signore essere per tutti una festa: la festa della speranza in un avvenire migliore, irradiato dalla luce del Redentore, venuto nel mondo per la salvezza degli uomini.

Un saluto caloroso rivolgo altresì ai fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, accompagnati dal loro Vescovo, Monsignor Maffeo Ducoli. Carissimi, nell’accogliervi con gioia, vi rinnovo il mio ringraziamento per la gentile ospitalità durante il mio soggiorno a Lorenzago e vi assicuro il costante ricordo nella mia preghiera, augurando Buon Natale a tutti.

Saluto, pure, il gruppo delle Focolarine, venute a Roma per un corso di approfondimento della spiritualità del Movimento. Vi auguro, care Sorelle, di tornare ai rispettivi paesi ricche di nuovo slancio spirituale per collaborare efficacemente alla diffusione del messaggio cristiano nel mondo.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi è gradito ora rivolgere una parola di saluto e di esortazione ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli.

In questi giorni che ci preparano al Natale, siamo chiamati ad aprire il nostro cuore a Dio, che s’è fatto uomo per innalzare gli uomini fino a Dio. A voi giovani, tra cui sono 15 studenti di Udine, premiati in occasione del Congresso Eucaristico Diocesano, auguro di poter vivere sempre coerentemente il messaggio della salvezza alla luce del mistero di Betlemme. A voi ammalati, testimoni della Chiesa sofferente, dico: siate forti nelle vostre prove e lasciatevi confortare dalla speranza che ci viene dal Natale. Esorto voi, sposi novelli, perché sul modello della Famiglia di Nazareth siate sinceri nell’amore reciproco e premurosi nella educazione dei figli che Dio vi concederà. A tutti imparto la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 21292