Catechesi 79-2005 23122

Mercoledì, 23 dicembre 1992

23122

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Nell’itinerario liturgico e spirituale dell’Avvento, eccoci ormai giunti in prossimità delle festività natalizie. La novena del Santo Natale ci sollecita, giorno dopo giorno, in modo sempre più pressante e coinvolgente, a prepararci nella preghiera e nella carità alle feste ormai imminenti e ci invita a meditare, nell’ottica della fede, sugli aspetti profondi e significativi del mistero dell’Incarnazione che stiamo per rivivere. Uno degli elementi che caratterizzano la preghiera e la riflessione di questi giorni è senz’altro la tradizionale serie di antifone natalizie, le cosiddette antifone “O”, che, nel loro insieme, illustrano i diversi aspetti della venuta dell’atteso Salvatore.

In queste antifone liturgiche è la stessa voce della Chiesa a innalzarsi verso l’Altissimo. Essa invoca l’Atteso delle genti con titoli molto eloquenti, che sono frutto sia della fede biblica sia della secolare riflessione ecclesiale. Nel Salvatore di cui celebreremo la nascita a Betlemme la comunità cristiana contempla la “Sapienza dell’Altissimo”, la “Guida del suo popolo”, il “Germoglio della radice di Iesse”, la “Chiave di Davide”, l’“Astro nascente”, il “Re delle genti” e, infine, l’“Emmanuele”.

2. “O Emmanuele, Dio-con-noi, attesa dei popoli e loro liberatore: vieni a salvarci con la tua presenza”. O Emmanuele! Oggi, antivigilia della solennità del Santo Natale, è con questo titolo che la liturgia si rivolge al Messia. Si tratta di un’invocazione che in un certo senso riassume in sé tutte quelle dei giorni passati. Il Figlio della Vergine ha ricevuto il nome profetico di “Emmanuele”, cioè “Dio-con-noi”. Tale nome richiama la profezia fatta sette secoli prima per bocca del profeta Isaia. Con la nascita del Messia Dio assicura una presenza piena e definitiva in mezzo al suo popolo. Ciò costituisce la risposta divina al bisogno fondamentale dell’uomo di ogni luogo e di ogni tempo. Gli sforzi dell’umanità di costruire un futuro di benessere e di felicità possono, infatti, raggiungere pienamente il loro scopo solo andando oltre le realtà finite. Nel desiderio e nell’impegno per realizzare un futuro di giustizia e di pace si manifesta un segno eloquente dell’insopprimibile anelito a Dio che pulsa nel cuore dell’uomo.

3. Viviamo oggi in un tempo caratterizzato dall’acuirsi di un certo senso di smarrimento, di una sensazione di vuoto che, a ben guardare, è la conseguenza dell’affievolirsi del “senso di Dio”. Nel nostro mondo secolarizzato molti hanno perso questo riferimento essenziale per scelte decisive della loro esistenza. Proprio in questo contesto acquista particolare rilievo il lieto messaggio del Natale. Soprattutto per coloro che, nel nostro secolo, sono stati forzatamente distolti dall’incontro con l’autentico Signore della storia, o si sono smarriti nei quotidiani affanni dell’esistenza, si rinnova nel Natale che stiamo per celebrare la “buona notizia” della venuta del “Dio-con-noi”. Quanto è impossibile alle forze umane, Dio stesso, nel suo amore infinito, lo compie mediante l’Incarnazione del suo Figlio unigenito. Nella Notte Santa viene proclamata la vittoria dell’Amore sull’odio, della vita sulla morte. L’uomo non è più solo, giacché il muro insuperabile che lo divideva dalla comunione con Dio è stato definitivamente abbattuto.

Nella grotta di Betlemme il cielo e la terra si toccano, l’infinito è entrato nel mondo e si spalancano, per l’umanità, le porte dell’eterna eredità divina. Con la presenza del “Dio-con-noi”, anche la più buia notte del dolore, dell’angoscia e dello sconcerto è superata e vinta per sempre. Il Verbo incarnato, l’Emmanuele, il “Dio-con-noi” è la speranza di ogni fragile creatura, il senso di tutta la storia, il destino dell’intero genere umano. Il divino Bambino, adorato dai pastori nella grotta, è il dono supremo dell’amore misericordioso del Padre celeste: per venire incontro agli uomini di ogni tempo non ha disdegnato di farsi egli stesso simile a noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione creaturale, eccetto il peccato.

4. L’antifona natalizia, che la Chiesa canta nell’odierna liturgia, si conclude con l’invocazione: “Salvaci - o Signore - con la tua presenza”. Nel mistero del Natale ammiriamo attoniti l’eterno Verbo divino fatto carne, divenuto presenza sorprendente fra noi, in noi. Egli colma con l’efficace intervento della sua grazia il vuoto della tristezza e della pena, rischiara la ricerca della gioia e della pace, avvolge ogni nostro sforzo teso a costruire un mondo migliore e più solidale.

5. Carissimi fratelli e sorelle, disponiamoci a rivivere con piena apertura di spirito l’evento salvifico del Natale. Contempliamo nella povertà del presepe il grande prodigio dell’Incarnazione e facciamo sì che esso penetri profondamente, con la sua forza trasformatrice nella nostra esistenza. Lasciamoci evangelizzare dal Natale, come i pastori, che accolsero prontamente l’annuncio della nascita del Salvatore e si recarono senza indugio ad adorarlo divenendo così i primi testimoni della sua presenza nel mondo. Diverremo, a nostra volta, testimoni dell’Emmanuele accanto a ogni fratello, soprattutto fra i più poveri e i sofferenti.

Ci insegni Maria, Colei che per prima ha accolto il Messia promesso e lo ha offerto al mondo, a spalancare le porte dei nostri cuori al messaggio di speranza e di amore del Natale.

Con tali pensieri, nell’atmosfera di gaudio spirituale che caratterizza questo nostro incontro, mi è gradito formulare a ciascuno di voi i miei più affettuosi voti augurali. Estendo questi cordiali sentimenti alle persone che soffrono, alle popolazioni segnate dalla violenza e dalla guerra e a quanti si trovano in particolari difficoltà. A tutti auguro di poter trascorrere le prossime festività in un clima sereno e illuminato dalla fiamma dell’amore e della grazia del Redentore.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai visitatori tedeschi

A pellegrini di lingua spagnola
Ai fedeli di espressione portoghese

Ai fedeli venuti dalla Polonia

Ai pellegrini di lingua italiana

Nel rivolgere un saluto ai pellegrini di lingua italiana, desidero ricordare il Gruppo dell’Associazione “Realizzazione Programmi per l’Arte”, da Cosenza.

Ai giovani, agli ammalati e agli Sposi novelli

Ed ora il mio pensiero cordiale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli.

Carissimi giovani, non temete di correre anche voi alla santa Grotta: Gesù vi aspetta per donarvi la sua luce e la sua pace. Egli vuole arricchire il vostro entusiasmo e la vostra libertà del suo amore e della sua grazia.

Diletti ammalati, il Redentore divino ha assunto la nostra natura umana, conoscendo anche limitazioni e sofferenze; contemplandolo nella umiltà del presepio, troverete conforto e fiducia nelle vostre prove.

A voi, sposi novelli, la completa disponibilità di Maria e la pronta generosità di Giuseppe siano di esempio non solo nell’accogliere il Bambino Gesù nel mistero del Natale, ma anche nel manifestare gioiosa accoglienza alle nuove vite che il Signore vorrà inviarvi.

A tutti voi il mio più cordiale augurio per un Santo Natale di letizia e di serenità.




Mercoledì, 30 dicembre 1992

30122

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,
Carissimi giovani!

1. Abbiamo celebrato qualche giorno fa la solennità del Natale e siamo ancora permeati dalla suggestiva atmosfera della Notte Santa. Contempliamo stupiti, insieme a Maria Santissima e a san Giuseppe, il mistero del Verbo Incarnato. La nascita “da una donna” del Figlio di Dio (cf.
Ga 4,4) ci riconduce all’eterno progetto salvifico: l’Altissimo ha voluto inserirsi direttamente nella storia dell’umanità e ci ha donato il proprio unigenito Figlio come Salvatore e Redentore. Questo è il Natale, provvidenziale “mistero” di amore che vede associata all’opera della redenzione Maria, scelta quale vergine Madre dell’Emanuele. Ci soffermiamo in questi giorni a contemplare Maria nel presepe. La Madre stringe tra le braccia Gesù; essa ci aiuta anzitutto a comprendere che dalla grotta, illuminata dalla luce divina, proviene un messaggio di Verità: Dio si è fatto Uomo e, condividendo la nostra natura, ci parla con la potenza della sua misericordia salvatrice. È però Maria a donarci la Parola che salva; Ella ci addita Gesù, “la luce del mondo”, che dà senso vero alla vita e significato pieno all’esistenza. Come non rimanere sorpresi e meravigliati dinanzi a tale mistero? Come non aprire il cuore alla venuta tra noi del Signore della storia?

2. Carissimi giovani, qui venuti da varie parti d’Europa nel nome di Maria! La Fanciulla di Nazaret, presente silenziosamente nel mistero del Natale, è anche presente nel cuore della Chiesa e di ogni singolo fedele. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, recentemente pubblicato, afferma che la Vergine Santa “per la sua piena adesione alla volontà del Padre, all’opera redentrice del suo Figlio, a ogni mozione dello Spirito Santo, è il modello della fede e della carità per la Chiesa. Per questo è riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa ed è la figura (“typus”) della Chiesa” (CEC 967). Maria è madre: madre di Cristo e madre nostra. La sua funzione materna “sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia” (LG 60).

Il suo ruolo in relazione ai credenti è proprio quello di essere “Madre nell’ordine della grazia” (LG 61), e per tale ragione “è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice” (LG 62). Si tratta di una provvidenziale missione, affidatale dal Signore, che ben si sintetizza nell’espressione: “Per Mariam ad Jesum!”. È questa - come voi ben sapete - la dottrina fondamentale di San Luigi-Maria Grignion de Montfort, alla quale voi vi riferite, ed è questo l’ideale che deve spingere il cristiano. Grazie al sostegno della Madre di Dio, la testimonianza del credente diventa sempre più coerente e fervorosa, generosa e aperta.

3. Il Concilio Vaticano II, del cui inizio quest’anno ricordiamo il 30 anniversario, esortava i fedeli ad effondere “insistenti suppliche alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché Ella, che con la sua preghiera assistette la Chiesa ai suoi inizi, anche ora in cielo, esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella comunione di tutti i Santi, interceda presso il Figlio suo, fin tanto che tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità” (LG 69).

È da così profonda ricchezza spirituale che scaturisce, carissimi fratelli e sorelle, la vostra devozione a Maria e il vostro impegno apostolico. Guardate sempre alla Madonna come a sicura stella che guida il vostro cammino cristiano.

4. Voi, carissimi giovani, che rappresentate il futuro dell’umanità e la speranza della Chiesa, dovete recare il Vangelo della bontà e della pace in ogni angolo dei Paesi da cui provenite. L’Europa è attraversata tuttora da difficoltà e, in alcune regioni, da laceranti violenze. La vostra è pertanto una missione di solidarietà spirituale, è un servizio alla verità, che esige una testimonianza coerente all’integrale messaggio di Cristo. Rifulge dinanzi a voi come Madre e Modello Maria, la Vergine fedele, la Stella dell’Evangelizzazione. Rivolgetevi a Lei ogni giorno, come intendete fare questa mattina. Sorretti dal suo materno aiuto, potrete contribuire attivamente all’opera della nuova evangelizzazione. Potrete essere nelle vostre comunità ecclesiali fermento autentico di vita cristiana e di fedele comunione.

5. Saluto con affetto ciascuno di voi, carissimi, e le nazioni dalle quali provenite. La vostra presenza costituisce un segno ulteriore di quella comunione tra i popoli e le comunità cristiane che si caratterizza come “scambio di doni” spirituali e materiali per costruire un avvenire comune ricco di giustizia e di solidarietà. Nella vostra missione di credenti e apostoli del Vangelo vi accompagni la Madre del Redentore, che insieme invochiamo con fiducia e confidenza. La invochiamo per noi stessi, per tutta l’umanità, per coloro che sentono maggiormente il peso della vita e delle avversità: la preghiamo nell’umiltà e nella gioia del Natale, affinché voglia suscitare e mantenere in ogni battezzato sentimenti di fede convinta e coerente. Ma vogliamo soprattutto impegnarci ad ascoltarla e a imitarla nei suoi esempi, assecondandone gli insegnamenti. Con le parole dell’antifona del tempo natalizio Le diciamo: “Alma Madre del Redentore . . . soccorri il tuo popolo che cade, ma pur anela a risorgere. Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore . . . abbi pietà di noi peccatori!”.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai visitatori spagnoli

Ai fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo! Dilettissimi pellegrini che appartenete al movimento detto “Buon Pastore” e a quello detto “Rosary-tour”, restate sempre fedeli al Pastore eterno Cristo Signore e alla Beata Vergine Maria e pregate che essi introducano l’umanità in un anno nuovo fecondo di pace per tutti i popoli della terra. Con questo auspicio vi imparto la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto ora i pellegrini di lingua italiana e, in particolare, i giovani, gli ammalati e le coppie degli sposi novelli, augurando a tutti che il Nuovo Anno sia sereno e fecondo di ogni desiderato bene.

Voi, giovani, vivete il nuovo anno come un dono prezioso, impegnandovi a costruire la vostra vita alla luce della verità, che il Verbo Incarnato è venuto a portare sulla terra.

Voi, ammalati, siate annunciatori delle ricchezze nascoste nel mistero del dolore, che in Cristo è divenuto evento di Redenzione.

Voi, sposi novelli, sappiate edificare una famiglia che sia veramente comunità ecclesiale, annunciatrice nella società odierna della buona Novella recata dagli Angeli a Betlemme.

A tutti imparto la mia Benedizione.






Mercoledì, 13 gennaio 1993

13193

1. L’autorità primaria di Pietro in mezzo agli altri Apostoli si manifesta particolarmente nella soluzione del problema fondamentale che dovette affrontare la Chiesa primitiva: quello del rapporto con la religione giudaica, e quindi della base costitutiva del nuovo Israele. Si doveva, cioè, decidere di trarre le conseguenze dal fatto che la Chiesa non era una diramazione del regime mosaico, né una qualche corrente religiosa o setta dell’antico Israele. In concreto, quando il problema si pose agli Apostoli e alla prima comunità cristiana col caso del centurione Cornelio che chiedeva il battesimo, l’intervento di Pietro fu decisivo. Gli Atti descrivono lo svolgersi dell’avvenimento. Il centurione pagano, in una visione, riceve da un “angelo del Signore” l’ordine di rivolgersi a Pietro: “Fa’ venire un certo Simone detto anche Pietro” (
Ac 10,5). Quest’ordine dell’angelo include e conferma l’autorità posseduta da Pietro: ci vorrà una sua decisione per l’ammissione dei pagani al battesimo.

2. La decisione di Pietro, peraltro, è rischiarata da una luce datagli in modo eccezionale dall’Alto: in una visione, Pietro è invitato a mangiare delle carni proibite dalla legge giudaica; ode una voce che gli dice: “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano!” (Ac 10,15). Tale illuminazione, datagli tre volte, come in precedenza per tre volte aveva ricevuto il potere di pascere tutto il gregge di Cristo, mostrava a Pietro che doveva passare sopra le esigenze di osservanza legale circa i cibi e, in generale, sopra le procedure rituali giudaiche. Era un’importante acquisizione religiosa in funzione dell’accoglimento e del trattamento da riservare ai pagani, dei quali si può dire che si presentiva l’arrivo.

3. Il passo decisivo avvenne subito dopo la visione, quando si presentarono a Pietro gli uomini mandati dal centurione Cornelio. Pietro avrebbe potuto esitare a seguirli, dal momento che la legge giudaica interdiceva il contatto con gli stranieri pagani, considerati come impuri. Ma lo spingeva a superare questa legge discriminatrice la nuova consapevolezza, che si era formata in lui durante la visione. A ciò s’aggiunse l’impulso dello Spirito Santo che gli fece comprendere di dover accompagnare senza esitazione quegli uomini, che gli erano stati inviati dal Signore, abbandonandosi completamente allo svolgersi del disegno di Dio sulla sua vita. È facile supporre che, senza l’illuminazione dello Spirito, Pietro si sarebbe mantenuto osservante delle prescrizioni della legge giudaica. Fu quella luce, a lui personalmente data perché prendesse una decisione conforme alle vedute del Signore, che lo guidò e sorresse nella sua decisione.

4. Ed ecco che, per la prima volta, Pietro rende davanti a un gruppo di pagani, riuniti intorno al centurione Cornelio, la sua testimonianza su Gesù Cristo e sulla sua risurrezione: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone; ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Ac 10,34-35). È una decisione che, per rapporto alla mentalità giudaica connessa all’interpretazione corrente della legge mosaica, appariva rivoluzionaria. Il disegno di Dio, tenuto nascosto alle precedenti generazioni, prevedeva che i pagani fossero “chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità” (Ep 3,5-6), senza dover prima essere incorporati alla struttura religiosa e rituale dell’Antica Alleanza. Era la novità portata da Gesù, che Pietro con quel suo gesto faceva propria e traeva ad applicazione concreta.

5. È da sottolineare il fatto che l’apertura operata da Pietro porta il suggello dello Spirito Santo, il quale scende sul gruppo dei pagani convertiti. Vi è un legame tra la parola di Pietro e l’azione dello Spirito. Leggiamo infatti che “Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso” (Ac 10,44). Testimone di questo dono dello Spirito Santo, Pietro ne trae le conseguenze, dicendo ai suoi “fratelli”: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi? E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo” (Ac 10,47). Quella risoluzione formale di Pietro, manifestamente illuminato dallo Spirito, rivestiva un’importanza decisiva per lo sviluppo della Chiesa, eliminando gli intralci derivanti dalle osservanze della legge giudaica.

6. Non tutti erano preparati a cogliere e a far propria la grande novità. Difatti furono sollevate critiche contro la decisione di Pietro da parte dei cosiddetti “giudaizzanti”, che costituivano un nucleo importante della comunità cristiana. Era il preludio delle riserve e opposizioni che ci sarebbero state in futuro verso coloro che avrebbero avuto il compito di esercitare la suprema autorità nella Chiesa (cf Ac 11,1-2). Ma Pietro rispose a quelle critiche riferendo ciò che si era verificato nella conversione di Cornelio e degli altri pagani, e spiegando la venuta dello Spirito Santo su quel gruppo di convertiti con quella parola del Signore: “Giovanni battezzò con acqua; voi invece sarete battezzati in Spirito Santo” (Ac 11,16). Siccome la dimostrazione veniva da Dio, – dalla parola di Cristo e dai segni dello Spirito Santo – essa fu giudicata convincente, e le critiche si calmarono. Pietro appare così come il primo Apostolo dei pagani.

7. È noto che all’annuncio del Vangelo in mezzo ai pagani venne poi chiamato in modo particolare l’apostolo Paolo, “Doctor gentium”. Ma egli stesso riconosceva l’autorità di Pietro quale garante della rettitudine della sua missione evangelizzatrice: avendo iniziato a predicare ai pagani il Vangelo – egli racconta – “dopo tre anni, andai a Gerusalemme per consultare Cefa” (Ga 1,18). Paolo era al corrente del ruolo tenuto da Pietro nella Chiesa e ne riconosceva l’importanza. Dopo quattordici anni egli va di nuovo a Gerusalemme per una verifica: “per non trovarmi nel rischio di correre e di aver corso invano” (Ga 2,2). Questa volta si rivolge non solo a Pietro, ma “alle persone più ragguardevoli” (Ga 2,2). Mostra però di considerare Pietro come capo supremo. Infatti, se nella distribuzione geo-religiosa del lavoro, a Pietro è stato affidato il Vangelo per i circoncisi (Ga 2,7), egli tuttavia resta il primo anche nell’annuncio del Vangelo ai pagani, come si è visto nella conversione di Cornelio. Pietro in quel caso apre una porta a tutte le genti allora raggiungibili.

8. L’incidente avvenuto ad Antiochia non implica una smentita di Paolo all’autorità di Pietro. Paolo gli rimprovera il modo di agire, ma non mette in discussione la sua autorità di capo del collegio apostolico e della Chiesa. Scrive Paolo nella Lettera ai Galati: “Quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo assieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi (ossia dei convertiti dall’ebraismo). E anche gli altri giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei?»” (Ga 2,11-14). Paolo non escludeva in modo assoluto ogni concessione a certe esigenze della legge giudaica (cf Ac 16,3 Ac 21,26 1Co 8,13 1Co 9,20 Rm 14,21). Ma ad Antiochia il comportamento di Pietro aveva l’inconveniente di costringere i cristiani provenienti dal paganesimo a sottomettersi alla legge giudaica. Proprio perché riconosce l’autorità di Pietro, Paolo solleva una protesta e gli rimprovera di non agire conformemente al Vangelo.

9. In seguito, il problema della libertà nei riguardi della legge giudaica fu definitivamente risolto nella riunione degli Apostoli e degli Anziani, tenutasi in Gerusalemme, nella quale Pietro svolse un ruolo determinante. Una lunga discussione oppose Paolo e Barnaba ad un certo numero di farisei convertiti, che affermavano la necessità della circoncisione per tutti i cristiani, anche per quelli provenienti dal paganesimo. Dopo la discussione, Pietro si alzò per spiegare che Dio non voleva alcuna discriminazione e che aveva concesso lo Spirito Santo ai pagani convertiti alla fede. “Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, e nello stesso modo anche loro” (Ac 15,11). L’intervento di Pietro fu decisivo. Allora – riferiscono gli Atti – “tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo di loro” (Ac 15,12). Così si costatava che la posizione presa da Pietro veniva confermata dai fatti. Anche Giacomo la fece sua (Ac 15,14), aggiungendo alle testimonianze di Barnaba e Paolo la conferma proveniente dalla Scrittura ispirata: “Con questo, disse, si accordano le parole dei profeti” (Ac 15,15) e citò un oracolo di Amos. La decisione dell’assemblea fu quindi conforme alla posizione enunciata da Pietro. La sua autorità svolse così un ruolo decisivo nel regolamento di una questione essenziale per lo sviluppo della Chiesa e per l’unità della comunità cristiana. In questa luce trova la sua collocazione la figura e la missione di Pietro nella Chiesa primitiva.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di espressione portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini di lingua italiana

Nel rivolgere ora il mio pensiero ai pellegrini di lingua italiana, saluto le Suore e le Novizie della Congregazione delle Domenicane del Sacro Cuore di Gesù e formulo fervidi voti augurali a quelle che si accingono a partire per la missione in Bolivia.

Il mio pensiero va, poi, al gruppo di giovani provenienti dall’Africa e da altri Paesi extraeuropei, ospiti del Collegio Santa Maria di Gesù, assistiti dai Padri Francescani e dalle Suore di Santa Maria Antida Touret. A tutti voglio dare il mio benvenuto, invocando su di loro la continua protezione di Dio.

Saluto, altresì, il numeroso gruppo degli Allievi, provenienti dalla Scuola dei Carabinieri di Velletri. Saluto particolarmente il Signor Generale Comandante, Angelo Nannavecchia, che accompagna il Battaglione, gli Ufficiali e Sottufficiali dei diversi Reparti, i Cappellani Militari e le Famiglie del Personale Permanente della Scuola. Cari giovani, il vostro servizio è prezioso: voi tutelate il bene pubblico, la tranquillità della vita sociale dei cittadini, salvaguardando il diritto e la giustizia con una dedizione davvero esigente. Siate fieri del compito che la società vi affida. Dedicatevi con ogni impegno al servizio, compiendolo con animo generoso e con spirito evangelico, in atteggiamento di vero amore verso il prossimo. Siate sempre operatori di bene, come fedeli e sinceri “soldati di Cristo”. Vi protegga nel vostro impegno, soprattutto nei momenti più difficili, la Madre del Redentore, a cui avete poc’anzi elevato il vostro canto, invocandola col bel titolo di “Virgo Fidelis”.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Il mio saluto va, infine, ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Cari giovani, con lo slancio e la generosità di credenti in Cristo, siate sempre e ovunque operatori di pace, mediante un costante impegno di dialogo e di solidarietà verso chi è nella necessità. La pace ha bisogno di voi, cari ammalati; ha bisogno della vostra preghiera assidua, della vostra croce che, se offerta a Cristo, diviene strumento di redenzione e di riconciliazione. A voi, sposi novelli, ricordo che la pace è dono del Signore e fiorisce nel cuore di quanti vivono nell’operosità della fede salda e dell’amore autentico. A tutti la mia benedizione.


Mercoledì, 27 gennaio 1993

27193

1. L’intenzione di Gesù di fare di Simon Pietro la “pietra” di fondazione della sua Chiesa (cf
Mt 16,18) ha un valore che travalica la vita terrena dell’Apostolo. Gesù, infatti, ha concepito e voluto la sua Chiesa presente in tutte le nazioni e operante nel mondo fino al compimento ultimo della storia (cf Mt 24,14 Mt 28,19 Mc 16,15 Lc 24,47 Ac 1,8). Perciò, come Egli ha voluto per gli altri Apostoli dei successori che ne continuassero l’opera di evangelizzazione nelle varie parti del mondo, così ha previsto e voluto dei successori di Pietro, incaricati della stessa missione pastorale e muniti degli stessi poteri, a cominciare dalla missione e dal potere di essere Pietra, ossia principio visibile di unità nella fede, nella carità, nel ministero di evangelizzazione, santificazione e guida affidato alla Chiesa. È ciò che definisce il Concilio Vaticano I: “Ciò che Cristo Signore, principe dei pastori e grande pastore delle pecorelle, per la salvezza eterna e per il bene perenne della Chiesa istituì nel Beato Apostolo Pietro, deve sempre perdurare, per volontà dello stesso Cristo, nella Chiesa, la quale, fondata sulla pietra, resterà incrollabile sino alla fine dei secoli” (Cost. Pastor aeternus, 2: DS 3056). Lo stesso Concilio ha definito come verità di fede che “è per istituzione di Cristo Signore, ossia per diritto divino, che il Beato Pietro ha perpetui successori nel primato su tutta la Chiesa” (DS 3058). Si tratta di un elemento essenziale della struttura organica e gerarchica della Chiesa, che non è in potere dell’uomo cambiare. Per tutta la durata della Chiesa, ci saranno, in virtù della volontà di Cristo, dei successori di Pietro.

2. Il Concilio Vaticano II ha accolto e ripetuto questo insegnamento del Vaticano I, dando maggior risalto al legame tra il primato dei successori di Pietro e la collegialità dei successori degli Apostoli, senza che ciò indebolisca la definizione del primato, giustificato dalla più antica tradizione cristiana, nella quale spiccano soprattutto sant’Ignazio di Antiochia e sant’Ireneo di Lione. Poggiando su tale tradizione, il Concilio Vaticano I ha pure definito che “il Romano Pontefice è successore del Beato Pietro nel medesimo primato” (DS 3058, cit.). Questa definizione vincola il primato di Pietro e dei suoi successori alla sede romana, che non può essere sostituita da nessun’altra sede, anche se può accadere che, per le condizioni dei tempi o per loro particolari ragioni, i Vescovi di Roma stabiliscano provvisoriamente la loro dimora in luoghi diversi dalla Città eterna. Certo, le condizioni politiche di una città possono mutare ampiamente e profondamente nei secoli: ma rimane – come è rimasto nel caso di Roma – una spazio determinato a cui è sempre riconducibile una istituzione come quella di una sede episcopale; nel caso di Roma, la sede di Pietro. Per la verità, Gesù non ha specificato il ruolo di Roma nella successione di Pietro. Senza dubbio Egli ha voluto che Pietro avesse dei successori, ma non risulta dal Nuovo Testamento una sua volontà specifica circa la scelta di Roma quale sede primaziale. Ha preferito affidare agli eventi storici, nei quali si manifesta il disegno divino sulla Chiesa, la determinazione delle condizioni concrete della successione a Pietro. L’evento storico decisivo è che il pescatore di Betsaida è venuto a Roma e ha subito il martirio in questa Città. È un fatto denso di valore teologico, perché manifesta il mistero del disegno divino che dispone il corso degli avvenimenti umani a servizio delle origini e dello sviluppo della Chiesa.

3. La venuta e il martirio di Pietro a Roma fanno parte della tradizione più antica, espressa in documenti storici fondamentali e nei reperti archeologici circa la devozione a Pietro nel sito della sua tomba, divenuta ben presto luogo di culto. Tra i documenti scritti dobbiamo anzitutto ricordare la Lettera ai Corinzi di papa Clemente (CA 89-97), dove la Chiesa di Roma è considerata come la Chiesa dei Beati Pietro e Paolo, dei quali il Papa ricorda il martirio, durante la persecuzione di Nerone (CA 5, 1-7). Al riguardo, è interessante sottolineare il riferimento della tradizione ad ambedue gli Apostoli associati nel loro martirio a questa Chiesa. Il vescovo di Roma è il successore di Pietro; egli però può dirsi anche l’erede di Paolo, il massimo esponente dello slancio missionario della Chiesa primitiva e della ricchezza dei suoi carismi. I vescovi di Roma hanno generalmente parlato, insegnato, difeso la verità di Cristo, compiuto i riti pontificali, benedetto i fedeli, nel nome di Pietro e di Paolo, i “Principi degli Apostoli”, “olivae binae pietatis unicae” come canta l’inno della loro festa, il 29 giugno. I Padri, la liturgia e l’iconografia presentano spesso questo abbinamento nel martirio e nella gloria. Resta, tuttavia, che i Pontefici romani hanno esercitato la loro autorità in Roma e, secondo le condizioni e le possibilità dei tempi, in spazi più vasti e addirittura universali, in forza della successione a Pietro. Come sia avvenuta questa successione nel primo anello di congiunzione tra Pietro e la serie dei vescovi di Roma non ci è notificato da documenti scritti. Lo si può, tuttavia, dedurre considerando quanto dichiara papa Clemente nella citata Lettera a proposito della nomina dei primi Vescovi e dei loro successori. Dopo aver ricordato che gli Apostoli “predicando per le campagne e le città, provavano nello Spirito Santo le loro primizie e li costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti” (42, 4), san Clemente precisa che, al fine di evitare future contese a riguardo della dignità episcopale, gli Apostoli “istituirono coloro che abbiamo detto e in seguito diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel loro ministero” (44, 2). I modi storici e canonici mediante i quali è trasmessa quella eredità possono mutare e sono mutati nei secoli: ma è ininterrotta la catena di anelli che si ricollegano a quel passaggio da Pietro al suo primo successore nella sede romana.

4. Questa via, che si direbbe genetica della indagine storica sulla successione petrina nella Chiesa di Roma, viene rafforzata da due altre considerazioni: una negativa, che, partendo dalla necessità di una successione a Pietro in virtù della stessa istituzione di Cristo (e quindi iure divino, come si suol dire nel linguaggio teologico-canonico), constata che non ci sono segnali di una simile successione in alcun’altra Chiesa; ad essa s’aggiunge una considerazione che potremmo qualificare come positiva: essa consiste nel rilevare la convergenza dei segnali che in tutti i secoli indicano la sede di Roma come quella del successore di Pietro.

5. Sul legame tra il primato pontificio e la sede romana è significativa la testimonianza di Ignazio di Antiochia, che esalta l’eccellenza della Chiesa di Roma. Questo autorevole testimone dello sviluppo organizzativo e gerarchico della Chiesa, vissuto nella prima metà del II secolo, nella sua Lettera ai Romani si rivolge alla Chiesa “che presiede nel luogo della regione dei Romani, degna di Dio, degna di onore, meritatamente beata, degna di felice successo, degnamente casta, che presiede alla carità” (Ignazio di Antiochia, Ad Romanos, proemio). Carità (agape)si riferisce, secondo il linguaggio di sant’Ignazio, alla comunità ecclesiale. Presiedere alla carità esprime il primato in quella comunione della carità che è la Chiesa, ed include necessariamente il servizio dell’autorità, il ministerium Petrinum. Difatti Ignazio riconosce alla Chiesa di Roma un’autorità di insegnamento: “Voi non invidiaste mai nessuno; avete ammaestrato gli altri. Io poi voglio che siano saldi anche quegli ammaestramenti che, insegnando, date e comandate” (Ivi, 3,1). L’origine di questa posizione privilegiata viene indicata con quelle parole riguardanti il valore della sua autorità di vescovo di Antiochia, pur così veneranda per antichità e parentela con gli Apostoli: “non come Pietro e Paolo io vi comando” (Ivi, 4, 3). Anzi, Ignazio affida la Chiesa di Siria alla Chiesa di Roma: “Ricordatevi nella vostra preghiera della Chiesa di Siria, la quale in vece mia ha Dio per pastore. Il solo Gesù Cristo la reggerà come vescovo, e la vostra carità” (Ivi, 9, 1).

6. Sant’Ireneo di Lione, a sua volta, volendo stabilire la successione apostolica delle Chiese, si riferisce alla Chiesa di Roma come esempio e criterio per eccellenza di tale successione. Egli scrive: “Poiché sarebbe troppo lungo in quest’opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandiosa ed antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi, confondiamo tutti coloro che in qualche modo, o per infatuazione o per vanagloria o per cecità e per errore di pensiero, si riuniscono oltre quello che è giusto. Infatti, con questa Chiesa, in ragione della sua più eccellente origine, deve necessariamente accordarsi ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte – essa, nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli Apostoli” (Contra haereses, 3,2). Alla Chiesa di Roma viene riconosciuta una “origine più eccellente”, che è quella di Pietro e Paolo, i massimi esponenti dell’autorità e del carisma degli Apostoli: il Claviger Ecclesiae e il “Doctor Gentium”. Le altre Chiese non possono non vivere e operare in accordo con essa: l’accordo implica l’unità di fede, di insegnamento e di disciplina, precisamente ciò che è contenuto nella tradizione apostolica. La sede di Roma è dunque il criterio e la misura della autenticità apostolica delle varie Chiese, la garanzia e il principio della loro comunione nella “carità” universale, il fondamento (kefas)dell’organismo visibile della Chiesa fondata e retta dal Cristo Risorto come “Pastore eterno” di tutto l’ovile dei credenti.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai gruppi di espressione linguistica inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai visitatori di espressione linguistica spagnola
Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo! Dilettissimi pellegrini di Tokyo e carissime Suore di Saitama, vi esprimo il mio compiacimento per il pellegrinaggio che avete compiuto nella Terra Santa; e vi auguro che possiate trarne profitto non soltanto per la vita personale, ma anche per un proficuo dialogo con le altre religioni nella vostra patria. Con questo auspicio vi imparto volentieri la mia benedizione apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi di lingua polacca

Ai pellegrini italiani

Desidero ora rivolgere un cordiale saluto ai numerosi pellegrini di lingua italiana e specialmente ai rappresentanti dell’Associazione Italiana “Amici di Raoul Follereau”, i quali operano per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla grave situazione di quanti soffrono a causa del morbo di Hansen. Esprimo il mio compiacimento per l’intensa opera che codesto Movimento svolge, al fine di contribuire a debellare tale malattia, che oggi si può curare con esiti positivi.

Rivolgo poi il mio pensiero ai numerosi dipendenti della Cassa di Risparmio di Firenze; sono lieto di esprimere loro il mio augurio perché la loro attività si svolga in spirito di servizio e di solidale collaborazione. Il mio augurio va anche alle rispettive famiglie ed alle persone care.

Un pensiero va pure al gruppo dell’Associazione Stampa della Provincia di Salerno. Carissimi, vi invito ad essere nel vostro lavoro servitori della verità, affinché l’opinione pubblica possa essere oggettivamente informata e formarsi un giudizio equanime sulle vicende che vengono riferite.

Sono lieto di salutare inoltre il gruppo dell’Associazione dei cercatori di Tartufo della città di Alba e del Piemonte, accompagnati dal Vescovo Monsignor Giulio Nicolini.

Un pensiero grato esprimo ai militari del ventunesimo Battaglione Genio, di stanza a Caserta, accompagnati a questa Udienza dal Signor Comandante e dal Cappellano Militare. A tutti, carissimi, assicuro un ricordo nella preghiera, affinché il Signore vi protegga nel vostro lavoro e vi difenda da ogni pericolo. Siate operatori di pace, difensori della vita, costruttori di fraternità.

Un saluto, infine, al gruppo delle neo-professe della Congregazione delle Figlie di San Paolo, provenienti da varie parti del mondo. A tutte il mio augurio, unito all’invito ad essere sempre sapienti e generose testimoni di Cristo e della sua carità.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Abbiamo celebrato l’altro ieri la festa della Conversione dell’Apostolo Paolo. Gesù Cristo lo chiamò ad essere suo testimone in mezzo ai pagani. Anche per voi, cari giovani, viene l’ora in cui Cristo vi chiama a rendergli testimonianza: siate disponibili, anche quando ciò comporta scelte coraggiose ed impegnative.

E voi, cari ammalati, accogliete l’esempio di San Paolo, che poteva dire: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. È questa la sorgente della vostra pace e della vostra fecondità spirituale.

A voi, cari sposi, raccomando di crescere sempre più nella benevolenza, nella bontà, nella fedeltà, nella mitezza: tutto ciò farà della vostra famiglia un’oasi di pace e di amore vero.

Appello per la pace nell’ex Jugoslavia
Dopo l’appello rivolto ad Assisi per la pace in Europa e soprattutto nei Balcani, vorrei oggi aggiungere un invito a rinnovare la nostra preghiera per la pace nell’ex Jugoslavia, in seguito all’aggravarsi degli attacchi a Sarajevo e alla ripresa del conflitto nell’entroterra di Zara, in Croazia. A quest’ultimo riguardo, mi è giunto un pressante appello del Patriarca serbo-ortodosso Pavle, in favore della pace e perché tacciano le armi, prima che sia troppo tardi.

Come dicevo durante l’incontro fraterno di Assisi, non abbiamo mezzo più potente della preghiera, in quanto credenti, per far fronte ai conflitti: “è questa la nostra forza; questa è la nostra arma... Non siamo né forti né potenti, ma sappiamo che Dio non lascia senza risposta l’implorazione di chi si rivolge a lui con fede sincera, soprattutto quando è in giuoco la sorte presente e futura di milioni di persone”.

Non v’è riconciliazione senza dialogo paziente e sofferto, per raggiungere soluzioni accettabili per tutte le parti, in vista di una pace autentica e durevole, e perciò rinnovo l’appello più volte fatto, anzi supplico in nome di Dio tutte le parti nel conflitto a lasciare spazio al negoziato in corso, rispettandone le condizioni e compiendo da parte di tutti gli impegni già sottoscritti. Voglia il Principe della Pace che le istanze internazionali e i loro rappresentanti e negoziatori, non si stanchino nel rilanciare il dialogo e nel cercare soluzioni atte a riportare la pace.





Catechesi 79-2005 23122