Catechesi 79-2005 17293

Mercoledì, 17 febbraio 1993

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1. “Chi poteva prevedere che alle grandi figure storiche dei Santi Martiri e Confessori Africani, quali Cipriano, Felicita, Perpetua e il sommo Agostino, avremmo un giorno associati i cari nomi di Carlo Lwanga e di Mattia Mulumba Kalemba, con i loro venti compagni? E non vogliamo dimenticare, altresì, gli altri che, appartenendo alla confessione anglicana, hanno affrontato la morte per il nome di Cristo”. Il Papa Paolo VI pronunziò queste parole durante la canonizzazione dei Martiri ugandesi nel 1964, durante il Concilio Vaticano II. Alcuni anni più tardi lo stesso Paolo VI visitò il santuario ugandese di questi Martiri che, sul finire del secolo scorso, diedero in dono la loro vita per Cristo. Bisogna, inoltre, aggiungere le recenti Beatificazioni di Anwarite in Zaire, di Victoire Rasoamanarivo in Madagascar e, infine, di Giuseppina Bakhita, fanciulla sudanese venduta come schiava e condotta dalla Divina Provvidenza alla fede e alla santità sulla via della vocazione religiosa, nella Congregazione delle Suore Canossiane.

La missione e lo sviluppo del cristianesimo nel continente nero

2. Così, dunque, il recente viaggio in Africa è stato un vero pellegrinaggio sulla scia dei Santi e Beati, che l’Africa ha dato alla Chiesa in quest’ultimo periodo. Periodo di grande significato per la missione e lo sviluppo del Cristianesimo nel Continente Nero. Desidero esprimere il mio grazie ai Fratelli nell’Episcopato di Benin, Uganda e Sudan, che, con il loro invito, mi hanno dato modo di visitare ancora una volta l’Africa. Nello stesso tempo, esprimo un vivo ringraziamento alle Autorità civili, le quali, da parte loro, si sono unite all’invito degli Episcopati locali. Il ringraziamento va esteso a quanti hanno offerto il loro contributo alla preparazione della visita e ne hanno favorito la riuscita, collaborando intensamente durante il suo svolgimento. Ringrazio tutti i Fratelli e le Sorelle di Benin, Uganda e Sudan; ringrazio insieme i Fratelli e le Sorelle della Chiesa Cattolica e delle altre Comunità cristiane, come anche i Musulmani e i rappresentanti delle religioni tradizionali.

Benin: una Chiesa giovane che dà già frutti abbondanti

3. La prima tappa del viaggio, in Benin, si è svolta nell’Arcidiocesi di Cotonou, la Capitale, e a Parakou, al nord del Paese. Ringrazio per la loro presenza e partecipazione tutti coloro che ho avuto modo di incontrare. In particolare, i Rappresentanti dell’Islam e del Vodù, una delle tante religioni tradizionali africane. I seguaci delle religioni tradizionali costituiscono una grande parte della popolazione del Continente Nero. Da loro provengono i seguaci di Cristo che, soprattutto durante l’ultimo secolo, convertendosi al Vangelo, hanno ricevuto il battesimo. Mediante la fede sono così diventati partecipi del Mistero divino, prima a loro nascosto. Proprio tale Mistero divino stavano a simboleggiare i doni da loro offerti nel corso dell’incontro di Cotonou. I cristiani del Benin guardano con amore a quei Fratelli e Sorelle, a cui essi stessi si sentono uniti dalla comune origine. La Chiesa in questo Paese è giovane e si rallegra perché colui che un tempo era l’Arcivescovo di Cotonou oggi è a Roma in qualità di Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Si rallegra, inoltre, per le vocazioni sacerdotali e religiose. Ho avuto la gioia, durante la visita, di ordinare undici nuovi sacerdoti. Quanto eloquente è stato, poi, a chiusura della visita, il “Magnificat” durante i Vespri nella cattedrale di Cotonou, dedicata alla Madonna delle Misericordie! Abbiamo ringraziato il Signore insieme con l’Episcopato, i Sacerdoti, le Sorelle e i Fratelli delle Congregazioni e degli Istituti religiosi, insieme con i numerosi catechisti! Abbiamo reso grazie per l’opera di evangelizzazione che, avviata nel secolo passato, ha dato i suoi frutti.

Uganda: un’autentica ricchezza umana e spirituale

4. Questo sentimento di gratitudine ha accompagnato, in seguito, il soggiorno in Uganda, Paese in cui il Cristianesimo è molto avanzato. I Cattolici e gli Anglicani costituiscono, infatti, la grande maggioranza della società ugandese. La Chiesa Cattolica, distribuita in sedici diocesi, svolge attivamente la sua missione nel Paese. Per poter effettuare, almeno parzialmente, la visita di questa Chiesa, oltre che a Kampala, mi sono recato in altre tre località, situate in diverse regioni: Gulu, Kasese e Soroti, dove si sono tenuti gli incontri con le Comunità diocesane. Poiché il momento centrale di ogni tappa è stata l’Eucaristia, va messa in evidenza la particolare bellezza della liturgia, in cui si esprime il meglio delle tradizioni native. Si vede come il Vangelo, assimilato da queste culture, tragga da esse e consolidi ciò che costituisce la loro autentica ricchezza umana e spirituale. Ogni celebrazione eucaristica è stata, al riguardo, una grande dimostrazione della vitalità dell’evangelizzazione in Africa.

Namugongo: la grande testimonianza di fede dei Martiri ugandesi

5. Namugongo: si chiama così il luogo, vicino a Kampala, la Capitale, dove sono venerati i Martiri ugandesi; luogo di numerosi pellegrinaggi. Domenica 7 febbraio, Giovanni Paolo II, seguendo le orme del suo Predecessore Paolo VI, si è unito ai pellegrini là dove negli anni 1885-1887 figli generosi della Chiesa ugandese dettero la vita per Cristo. Si è trattato, nello stesso tempo, di un pellegrinaggio ecumenico: prima al santuario dei Martiri della Chiesa Anglicana e poi al tempio costruito in onore di San Carlo Lwanga e dei ventuno compagni cattolici. Gli uni e gli altri confessarono, in modo eroico, la fede e, condannati a morte, furono bruciati vivi, come avveniva all’epoca romana delle “fiaccole di Nerone”. Il santuario dei Martiri ugandesi, che possiede il carattere di tempio nazionale, è stato, nella circostanza, elevato alla dignità di Basilica e l’Eucaristia celebrata sulle reliquie dei Martiri ha costituito una confessione particolare della Vita che è in Cristo, crocifisso e risorto. La testimonianza dei Santi ugandesi continua ad essere viva e ad edificare la Chiesa, Popolo di Dio. Questo ha voluto significare l’appuntamento con i giovani nella serata precedente il pellegrinaggio a Namugongo. Un’ulteriore manifestazione di fede si è avuta il giorno del pellegrinaggio, nell’incontro con l’intero Episcopato ugandese, e prima ancora nella visita all’Ospedale diretto dalla Suore Irlandesi Francescane Missionarie per l’Africa. “Alla tua luce vediamo la luce” (
Ps 36,10): questo tema dell’incontro con i giovani può costituire la sintesi di tutta la giornata, il cui centro rimane la grande testimonianza di fede dei Martiri della Chiesa in Uganda.

Nella primavera del 1994 l’Assemblea speciale del Sinodo per l’Africa

6. Nella cattedrale di Rubaga, nei pressi di Kampala, riposa Monsignor Joseph Kiwanuka, primo figlio della Terra Nera ordinato Vescovo. In questa cattedrale ha avuto luogo la terza riunione – terza in terra africana – preparatoria dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, da me convocata il 6 gennaio 1989. Le altre due riunioni in Africa si sono svolte a Yamoussoukro, in Costa d’Avorio, dall’8 al 10 settembre 1990, e a Luanda, in Angola, dal 9 al 12 giugno dello scorso anno. La celebrazione dell’Assemblea speciale del Sinodo per l’Africa è prevista per la primavera del 1994.

Sudan: la luce di Bakhita illumini la vita difficile dei suoi connazionali

7. Giuseppina Bakhita.Accanto ai Santi Martiri ugandesi e alle Beate Anwarite e Victoire, la Provvidenza Divina pone, sulla via del Vangelo tra le giovani Chiese dell’Africa, una Beata sudanese. Venduta da giovane sul mercato degli schiavi, riscattata poi e liberata, trova la via per seguire Cristo tra le Suore di Santa Maddalena di Canossa, in terra veneta, dove riceve il battesimo ed emette i voti religiosi. Dio ha rivelato la santità di questa umile figlia d’Africa in un momento particolare. Dopo la Beatificazione, avvenuta a Roma nel maggio del 1992, è nata l’idea di onorare la nuova Beata anche nel suo Paese d’origine. Questa è la sua patria: Ella deve far rifulgere tra i suoi la luce divina che illumina la vita, difficile e piena di sofferenze, dei connazionali. In Sudan, Paese in maggioranza musulmano, i cristiani appartengono alla popolazione nera autoctona, concentrata soprattutto al Sud. Nell’Arcidiocesi di Khartoum, la Capitale, il numero dei Cattolici è aumentato a causa dei profughi provenienti dal Sud, dove da tanti anni continua la guerra e dove perfino l’aiuto umanitario è arrivato spesso difficilmente. L’evangelizzazione del Sudan è legata da più di un secolo, in modo particolare, all’attività dei padri Bianchi, di Daniele Comboni e della sua Congregazione missionaria, oltre che di altre Comunità. Durante la celebrazione Eucaristica la Chiesa in Sudan, con la partecipazione di una grande folla di cristiani di tutto il Paese, ha accolto Bakhita, la sua Figlia beata, ritornata, nel mistero della comunione dei Santi, al popolo da cui un tempo era uscita.

Abbiamo fiducia che tali avvenimenti contribuiranno all’avvicinamento di Musulmani e Cristiani del Sudan per il bene di tutta l’Africa e per la causa della pace nel mondo contemporaneo.

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di lingua inglese

A studenti e insegnanti di latino dalla Svezia

Lingua etiam Latina, omnium populorum communi, placet Nobis hodie consalutare adulescentes propriis cum magistris ex Suetia, qui studia litterarum Latinarum hoc tempore persequuntur.

Dum benevoli quidem hic praesentes alumnos hos alumnasque intuemur, vehementer exoptamus ut plurimam eruditionem, utilitatem, confirmationem animi percipiant sua ex commoratione Romana, in principe hac orbis Latini urbe. Et cohortamur simul ut per hanc linguam historiamque Romanam, veluti nationum multarum vinculum, promoveant semper cultum humanum ac maturitatem mentium, disciplinas ingenuas atque concordiam gentium.

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto con affetto il gruppo di Presuli guidato da Monsignor Klaus Hemmerle, Vescovo di Aachen, che, provenendo da ogni continente, prendono parte in questi giorni al Convegno annuale sulla “Nuova Evangelizzazione”, promosso dal Movimento dei Focolari. Mentre vi assicuro, carissimi Fratelli nell’Episcopato, un particolare ricordo nella preghiera, vi esorto a proseguire, con sempre maggiore gioia e ardore missionario, nel cammino intrapreso: cammino di piena fedeltà alla Cattedra di Pietro, di costante comunione ecclesiale, di pronta e coraggiosa attenzione ai segni dei tempi alla luce del Vangelo. Maria, Madre dell’Amore, accompagni e sorregga il vostro quotidiano ministero episcopale.

Nel salutare ora i pellegrini di lingua italiana, mi è gradito rivolgere, anzitutto, un pensiero ai partecipanti al Seminario Internazionale presso la sede della Curia Generalizia Salesiana, sul tema degli “Itinerari formativi per gruppi missionari”. Esprimo compiacimento per tale iniziativa, che si inserisce nella generosa dedizione della Famiglia Salesiana alla diffusione del Vangelo. Continuate, carissimi, con zelo e con costante impegno nella vostra comunità e soprattutto tra i giovani a formarvi nello spirito Missionario, che tanto distingue la vostra Congregazione.

Saluto anche i numerosi fedeli della Parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio della diocesi di Firenze, giunti qui per ricordare il XXV di attività dei due movimenti di apostolato “Opera Maria Cristina Ogier” e “Misericordia di San Pietro Apostolo”. Incoraggio tutti a perseverare nello spirito di solidarietà umana e cristiana, cooperando in unità di intenti nell’ambito della Parrocchia.

Rivolgo un pensiero anche ai componenti del “Lions Club di Roma Colosseum”, accompagnati dalle loro famiglie, di cuore li ringrazio per questa visita e formulo cordiali voti per la loro attività culturale.

Mi è gradito, infine, porgere un saluto agli Ufficiali del LXX Stormo di Latina, accompagnati dal Generale Vincenzo Manca, e dai loro familiari. Carissimi, invocando su di voi la protezione della Madonna di Loreto, celeste Patrona dell’Aeronautica, vi esorto ad essere fedeli agli impegni assunti nel vostro qualificato servizio alla società.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora un saluto particolare, ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, esortandoli a voler prolungare nel tempo l’impegno di tre momenti “forti”, che il Signore ci ha donato di vivere nelle scorse settimane.

A voi, giovani, consegno idealmente la fiaccola accesa nell’incontro di preghiera per la pace ad Assisi, al quale molti di voi hanno dato una adesione generosa.

A voi, ammalati, affido il compito di continuare a vivere nello spirito della meravigliosa solidarietà sperimentata pochi giorni fa, in occasione della prima Giornata Mondiale del Malato.

Ricordando poi l’altra Giornata recentemente celebrata in Italia, quella per la Vita, esorto voi sposi novelli ad essere i primi ministri della vita nel focolare domestico, che avete da poco formato.






Mercoledì, 24 febbraio 1993

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Carissimi fratelli e sorelle!

Inizia oggi, Mercoledì delle Ceneri, il tempo della Quaresima, tempo di speciale grazia per tutti i credenti. Disponiamoci ad iniziare questo itinerario di rinnovamento spirituale accogliendo l’invito della Chiesa a rientrare in noi stessi e a ricercare un più vivo contatto col Signore mediante l’ascolto assiduo della sua parola, un più intenso impegno di preghiera e di penitenza, una maggiore attenzione ai poveri e ai sofferenti.

In questo spirito di comunione ecclesiale, continuiamo ora a riflettere insieme sul ministero petrino, fondamento dell’unità della Chiesa.

1. Nella catechesi precedente abbiamo parlato del vescovo di Roma come successore di Pietro. Questa successione è di fondamentale importanza per l’adempimento della missione che Gesù Cristo ha trasmesso agli Apostoli e alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II insegna che il vescovo di Roma, come “Vicario di Cristo”, ha potestà “suprema e universale” su tutta la Chiesa (
LG 22). Questa potestà, così come quella di tutti i vescovi, ha carattere ministeriale (ministerium = servizio), come già notavano i Padri della Chiesa. È alla luce di questa tradizione cristiana che devono essere lette e spiegate le definizioni conciliari sulla missione del vescovo di Roma, tenendo presente che il linguaggio tradizionale usato dai Concili, e specialmente dal Concilio Vaticano I, circa i poteri sia del Papa sia dei vescovi impiega, per farsi capire, i termini propri del mondo giuridico civile, ai quali occorre, in questo caso, dare il giusto senso ecclesiale. Anche nella Chiesa, in quanto aggregazione di esseri umani chiamati a realizzare nella storia il disegno che Dio ha predisposto per la salvezza del mondo, il potere si presenta come una esigenza imprescindibile della missione. Tuttavia il valore analogico del linguaggio usato permette di concettualizzare il potere nel senso offerto dalla massima di Gesù sul “potere per servire” e dalla concezione evangelica della guida pastorale. Il potere richiesto dalla missione di Pietro e dei suoi successori si identifica con questa guida autorevole e garantita dalla divina assistenza, che Gesù stesso ha enunciato come ministero (servizio) di pastore.

2. Ciò premesso, possiamo rileggere la definizione del Concilio di Firenze (1439), che suona: “Definiamo che la Santa Sede apostolica – e il Pontefice Romano – ha il primato su tutto il mondo, e che lo stesso Pontefice Romano è successore del Beato Pietro, Principe degli Apostoli e vero Vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa e padre e maestro di tutti i cristiani; e che a lui nel Beato Pietro è stata conferita da Nostro Signore Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale, come anche è contenuto negli atti dei Concili ecumenici e nei sacri canoni” (DS 1307). Si sa che, storicamente, il problema del primato era stato posto dalla Chiesa orientale separata da Roma. Il Concilio di Firenze, tentando di favorire la riunione, precisava il significato del primato. Si tratta di una missione di servizio alla Chiesa universale, che comporta necessariamente, proprio in funzione di questo servizio, una corrispettiva autorità: “la piena potestà di pascere, reggere e governare”, senza che ciò leda i privilegi e i diritti dei patriarchi orientali, secondo l’ordine della loro dignità (cf. Denz. DS 1308).

A sua volta, il Concilio Vaticano I (1870) cita la definizione del Concilio di Firenze (cf. Denz. DS 3060) e, dopo aver ricordato i testi evangelici (Jn 1,42 Mt 16,16 s; Jn 21,15 s), precisa ulteriormente il significato di questa potestà. Il Pontefice Romano “non ha solamente l’ufficio di ispezione e di direzione”, ma “ha la piena e suprema potestà di giurisdizione sulla Chiesa universale, non solo in quanto concerne la fede e i costumi, ma anche in quanto riguarda la disciplina e il governo della Chiesa, sparsa per tutto il mondo” (DS 3064). Vi erano stati dei tentativi di ridurre la potestà del Romano Pontefice a un “ufficio di ispezione e di direzione”. Alcuni avevano proposto che il Papa fosse semplicemente un arbitro nei conflitti tra le Chiese locali, o desse soltanto una direzione generale alle autonome attività delle Chiese e dei cristiani, con dei consigli e delle esortazioni. Ma questa limitazione non era conforme alla missione conferita da Cristo a Pietro. Perciò il Concilio Vaticano I sottolinea la pienezza del potere papale, e definisce che non basta riconoscere che il Romano Pontefice “ha la parte principale”: si deve ammettere invece che egli “ha tutta la pienezza di questa suprema potestà” (DS 3064).

3. A questo proposito, è bene precisare subito che questa “pienezza” di potestà attribuita al Papa non toglie nulla alla “pienezza” che appartiene anche al corpo episcopale. Si deve anzi affermare che entrambi, il Papa e il corpo episcopale, hanno “tutta la pienezza” della potestà. Il Papa possiede questa pienezza a titolo personale, mentre il corpo episcopale la possiede collegialmente, essendo unito sotto l’autorità del Papa. Il potere del Papa non è il risultato di una semplice addizione numerica, ma il principio di unità e di organicità del corpo episcopale. Proprio per questo il Concilio sottolinea che la potestà del Papa “è ordinaria e immediata sia su tutte le Chiese, sia su tutti e singoli i fedeli” (DS 3064). È ordinaria, nel senso che è propria del Romano Pontefice in virtù del compito a lui spettante, e non per delegazione dei vescovi; è immediata, perché egli può esercitarla direttamente, senza il permesso o la mediazione dei vescovi.

La definizione del Vaticano I, tuttavia, non attribuisce al Papa un potere o un compito di interventi quotidiani nelle Chiese locali; essa intende escludere soltanto la possibilità di imporgli delle norme per limitare l’esercizio del primato. Il Concilio lo dichiara espressamente: “Questa potestà del Sommo Pontefice è del tutto lontana dall’impedire l’esercizio di quella potestà di giurisdizione episcopale ordinaria e immediata, con cui i vescovi, i quali posti dallo Spirito Santo (cf Ac 20,28) sono succeduti agli Apostoli, come veri pastori pascolano e governano il gregge a loro affidato...” (DS 3061). Occorre anzi ricordare una dichiarazione dell’Episcopato tedesco (1875), approvata da Pio IX, che suona: “In forza della stessa istituzione divina, su cui si fonda l’ufficio del Sommo Pontefice, si ha anche l’Episcopato: ad esso competono diritti e doveri in forza di una disposizione che proviene da Dio stesso, e il Sommo Pontefice non ha né il diritto né la potestà di mutarli”.

I decreti del Concilio Vaticano I sono dunque intesi in un modo del tutto erroneo, quando si congettura che, in virtù di essi, “la giurisdizione episcopale è stata assorbita da quella papale”; che il Papa “per sé prende il posto di ogni vescovo”; e che i vescovi non sono altro che “strumenti del Papa: sono suoi ufficiali senza una propria responsabilità” (DS 3115).

4. Ascoltiamo ora l’ampio, equilibrato e sereno insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale dichiara che “Gesù Cristo, Pastore eterno [...] volle che i vescovi (come successori degli Apostoli) fossero nella sua Chiesa pastori sino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso Episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri Apostoli il Beato Pietro e in lui stabilì il principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione” (LG 18). In questo senso il Concilio Vaticano II parla del vescovo di Roma come del “pastore di tutta la Chiesa”, che “ha su questa una potestà piena, suprema e universale” (LG 22). Quella è la “potestà di primato sia sui pastori sia sui fedeli” (LG 22). “Quindi i singoli vescovi... sono tenuti a collaborare tra di loro e col successore di Pietro, al quale in modo speciale fu concesso l’altissimo ufficio di propagare il nome cristiano” (LG 23).

Secondo lo stesso Concilio, la Chiesa è cattolica anche nel senso che tutti i seguaci di Cristo devono cooperare alla sua missione salvifica globale mediante l’apostolato proprio di ciascuno. Ma l’azione pastorale di tutti, e specialmente quella collegiale di tutto l’Episcopato ottiene l’unità attraverso il “ministerium Petrinum” del vescovo di Roma. “I vescovi, – dice ancora il Concilio – rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa” (LG 22). E dobbiamo aggiungere, sempre col Concilio, che, se la potestà collegiale su tutta la Chiesa ottiene la sua particolare espressione nel Concilio ecumenico, è “prerogativa del Romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli” (LG 22). Tutto dunque fa capo al Papa, vescovo di Roma, come principio di unità e di comunione.

5. A questo punto è giusto fare ancora notare che, se il Vaticano II ha assunto la tradizione del magistero ecclesiastico sul tema del “ministerium Petrinum” del vescovo di Roma, che in precedenza aveva trovato espressione al Concilio di Firenze (1439) e al Vaticano I (1870), suo merito, nel ripetere questo insegnamento, è stato il mettere in rilievo la correlazione tra il primato e la collegialità dell’Episcopato nella Chiesa. Grazie a questa nuova chiarificazione sono state escluse le interpretazioni erronee date più volte alla definizione del Concilio Vaticano I, ed è stato mostrato il pieno significato del ministero petrino in armonia con la dottrina della collegialità dell’Episcopato. È stato anche confermato il diritto del Romano Pontefice di “comunicare liberamente nell’ambito della propria funzione con i pastori e col gregge di tutta la Chiesa”, e ciò in rapporto a tutti i riti (cf. Pastor aeternus, cap. II: DS 3060,246).

Per il successore di Pietro non si tratta di rivendicare dei poteri somiglianti a quelli dei “dominatori” terreni, di cui parla Gesù (cf Mt 20,25-28), ma di essere fedele alla volontà del Fondatore della Chiesa che ha istituito questo tipo di società e questo modo di governare a servizio della comunione nella fede e nella carità. Per rispondere alla volontà di Cristo, il successore di Pietro dovrà assumere ed esercitare l’autorità che gli è data in spirito di umile servizio e con lo scopo di assicurare l’unità. Anche nei diversi modi storici di esercitarla egli dovrà imitare Cristo nel servire e nel riunire i chiamati a far parte dell’unico ovile. Egli non subordinerà mai a dei fini personali ciò che ha ricevuto per Cristo e per la sua Chiesa. Egli non potrà mai dimenticare che la missione pastorale universale non può non implicare un’associazione più profonda al sacrificio del Redentore, al mistero della Croce.

Quanto al rapporto con i suoi Confratelli nell’Episcopato, egli ricorderà ed applicherà le parole di San Gregorio Magno: “Il mio onore è l’onore della Chiesa universale. Il mio onore è il solido vigore dei miei fratelli. Allora dunque sono veramente onorato, quando a ciascuno di essi non è negato il debito onore” (Epist. ad Eulogium Alexandrinum, PL 77,933).

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione linguistica inglese

A studenti giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi studenti dell’Università “ Sophia ” di Tokyo, vi ringrazio per questa vostra significativa presenza che mi ricorda la mia visita al Giappone e mi offre l’occasione di esortarvi a pregare perché la vostra nobile Nazione, illuminata da Maria Immacolata Madre della Sapienza, si dimostri sempre più solidale verso le gravi necessità di altre Nazioni.

Con questa mia fiducia vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione linguistica tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Il mio cordiale saluto va ora ai pellegrini di lingua italiana, ed anzitutto ai membri del Consiglio Nazionale della Federazione Italiana per gli Esercizi Spirituali, FIES, al cui nuovo Presidente Nazionale, Monsignor Salvatore De Giorgi, rivolgo fervidi auguri per quest’altro impegnativo incarico, affidato al suo zelo pastorale. Auspico che in tutti – sacerdoti, religiosi e laici – cresca la sensibilità verso i momenti forti dello spirito che si vivono negli Esercizi Spirituali. I Centri di spiritualità, le Case di accoglienza e le Scuole di preghiera, che si moltiplicano dappertutto, siano luoghi sempre più idonei all’incontro con Cristo nella Parola, nei Sacramenti e nella Carità, come lo fu il Cenacolo nel Giovedì Santo.

Saluto, inoltre, le allieve del Corso di Formazione per Assistenti Educatrici, organizzato dalla Federazione Italiana delle Religiose per l’Assistenza Sociale. Carissime sorelle, adempite la vostra missione nel campo dell’educazione della gioventù nella luce del Vangelo e della tradizione costante di tutta la Chiesa; aggiornate la vostra preparazione per guidare le nuove generazioni verso una vera maturazione umana e cristiana.

Mi è gradito, poi, rivolgere un pensiero al numeroso gruppo dei militari della Guardia di Finanza, che partecipano presso Ostia ad un corso di formazione. Ad essi ricordo che la pace sociale e la sicurezza dei cittadini esigono un servizio svolto con competenza, con dedizione, con vivo senso del dovere, valori ai quali la fede in Dio arreca un decisivo sostegno.

Rivolgo pure un saluto particolarmente affettuoso ai cari Vescovi Lituani, che prendono parte a questa Udienza, in occasione della loro Visita “ad Limina”.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Il mio saluto va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, che esorto ad approfittare della Quaresima appena iniziata per una più intensa riflessione ed un più maturo approfondimento dei contenuti della fede. Sia questo il vostro proposito, cari giovani, che il Signore chiama ad essere apostoli fra i coetanei. E voi, cari malati, comprendendo sempre più il significato e il valore del dolore nel progetto della Redenzione, offrite la vostra sofferenza per la Chiesa e per la salvezza del mondo. Voi, infine, cari sposi novelli, sappiate trarre dall’itinerario quaresimale rinnovato ardore apostolico per fare della vostra famiglia un luogo privilegiato di evangelizzazione. A tutti la mia benedizione!

Al termine dell’udienza generale, Giovanni Paolo II benedice la targa in marmo con cui i Governi di Cile e di Argentina intendono rendere omaggio alla memoria del Cardinale Antonio Samorè a dieci anni dalla scomparsa. La lapide verrà apposta nel pomeriggio di venerdì 26, al termine di una celebrazione eucaristica presieduta dal Segretario di Stato, Cardinale Angelo Sodano, nel Convento di Monte Carmelo, a Vetralla, luogo di sepoltura del compianto Porporato. Prima di benedire la targa, il Papa rivolge un breve saluto alle delegazioni diplomatiche dei due Paesi latinoamericani presenti nell’Aula Paolo VI.

Desidero porgere un cordiale saluto ai membri delle Delegazioni Argentina e Cilena, che, in occasione del decennio della morte del Cardinale Antonio Samorè, sono giunte in Italia per apporre una targa sulla sua tomba, in segno di riconoscenza per la mediazione da lui svolta nella delicata vertenza di confine tra quei due nobili Paesi. Benedirò volentieri tale targa, mentre invito tutti a pregare per la pace tra i popoli.




Mercoledì, 10 marzo 1993

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1. Dai passi del Nuovo Testamento, visti più volte nelle precedenti catechesi, risulta che Gesù ha manifestato la sua intenzione di dare a Pietro le chiavi del regno, in risposta a una professione di fede. In essa Pietro ha parlato, a nome dei Dodici, in forza di una rivelazione che veniva dal Padre. Egli ha espresso la sua fede in Gesù come “il Messia, il Figlio del Dio vivente”. Questa adesione di fede alla persona di Gesù non è un semplice atteggiamento di fiducia, ma comprende chiaramente l’affermazione di una dottrina cristologica. Il ruolo di pietra fondamentale della Chiesa, conferito da Gesù a Pietro, comporta dunque un aspetto dottrinale (cf
Mt 16,18-19). La missione di “confermare i fratelli” di fede, affidatagli pure da Gesù (cf Lc 22,32), va nello stesso senso. Pietro beneficia di una preghiera speciale del Maestro per svolgere questo ruolo e aiutare i suoi fratelli a credere. Le parole “Pasci i miei agnelli”, “Pasci le mie pecorelle” (Jn 21,15-17) non enunciano esplicitamente una missione dottrinale, ma l’implicano. Pascere il gregge è procurargli un nutrimento solido di vita spirituale, e in questo nutrimento c’è la comunicazione della dottrina rivelata per alimentare la fede. Se ne deduce che, secondo i testi evangelici, la missione pastorale universale del Romano Pontefice, successore di Pietro, comporta una missione dottrinale. Come pastore universale, il Papa ha la missione di annunciare la dottrina rivelata e di promuovere in tutta la Chiesa la vera fede in Cristo. È il senso integrale del ministero Petrino.

2. Il valore della missione dottrinale affidata a Pietro risulta dal fatto che, sempre secondo le fonti evangeliche, si tratta di una sua partecipazione alla missione pastorale di Cristo. Pietro è il primo di quegli Apostoli ai quali Gesù disse: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Jn 20,21 cf Jn 17,18). Come pastore universale, Pietro deve agire nel nome di Cristo e in sintonia con lui in tutta l’ampia area umana nella quale Gesù vuole sia predicato il suo Vangelo e portata la verità salvifica: il mondo intero. Il successore di Pietro nella missione di pastore universale è dunque l’erede di un “munus” dottrinale, nel quale è intimamente associato, con Pietro, alla missione di Gesù. Questo nulla toglie alla missione pastorale dei vescovi, i quali, secondo il Concilio Vaticano II, hanno tra i principali loro doveri quello della predicazione del Vangelo: essi infatti “sono gli araldi della fede... che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita” (Lumen gentium LG 25). Tuttavia, il vescovo di Roma, quale capo del collegio episcopale per volontà di Cristo, è il primo araldo della fede, cui spetta il compito di insegnare la verità rivelata e di mostrare le sue applicazioni nel comportamento umano. Egli ha la prima responsabilità della diffusione della fede nel mondo. È ciò che afferma il II Concilio di Lione (1274), circa il primato e la pienezza di potestà del vescovo di Roma, quando sottolinea che “egli ha il dovere di difendere la verità della fede, e dunque spetta a lui risolvere tutte le questioni controverse nel campo della fede” (DS 861). Sulla stessa linea, il Concilio di Firenze (1439) riconosce nel Romano Pontefice il “padre e dottore di tutti i cristiani” (DS 1307).

3. A questa missione dottrinale il successore di Pietro attende con una serie continuativa di interventi, orali e scritti, che costituiscono l’esercizio ordinario del magistero come insegnamento delle verità da credere e da tradurre in vita (fidem et mores). Gli atti espressivi di tale magistero possono essere più o meno frequenti e prendere forme diverse secondo le necessità dei tempi, le richieste delle situazioni concrete, le possibilità e i mezzi a disposizione, le metodologie e le tecniche della comunicazione: ma, posto che derivino da un’intenzione esplicita o implicita di pronunziarsi in materia di fede e di costumi, si ricollegano al mandato ricevuto da Pietro e rivestono l’autorità a lui conferita da Cristo. L’esercizio di tale magistero può avvenire anche in modo straordinario, quando il successore di Pietro – da solo o con il concilio dei vescovi, quali successori degli Apostoli – si pronuncia ex cathedra su un determinato punto di dottrina o di morale cristiana. Ma di questo parleremo nelle prossime catechesi. Ora dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla forma consueta e ordinaria del magistero papale, che ha un’estensione ben più vasta e un’importanza essenziale per il pensiero e la vita della comunità cristiana.

4. A questo riguardo, merita innanzitutto di essere sottolineato il valore positivo della missione di annunciare e diffondere il messaggio cristiano, di far conoscere la dottrina autentica del Vangelo, rispondendo agli interrogativi antichi e nuovi degli uomini davanti ai problemi fondamentali della vita con le parole eterne della rivelazione. Sarebbe un concetto riduttivo e anzi erroneo quello di un magistero papale consistente solo nella condanna degli errori contro la fede. Questo aspetto in certo modo negativo è senza dubbio presente nella responsabilità per la diffusione della fede, essendo anche necessario difenderla contro gli errori e le deviazioni. Ma il compito essenziale del magistero papale è di esporre la dottrina della fede, promuovendo la conoscenza del mistero di Dio e dell’opera della salvezza e mettendo in luce tutti gli aspetti del disegno divino in corso di attuazione nella storia umana sotto l’azione dello Spirito Santo. Questo è il servizio alla verità affidato principalmente al successore di Pietro, che già nell’esercizio ordinario del suo magistero agisce non come persona privata, ma come supremo maestro della Chiesa universale, secondo la precisazione del Concilio Vaticano II circa le definizioni ex cathedra (cf Lumen gentium, LG 25). Nell’adempiere questo compito il successore di Pietro esprime in forma personale ma con autorità istituzionale la “regola della fede”, a cui devono attenersi i membri della Chiesa universale – semplici fedeli, catechisti, insegnanti di religione, teologi – nel ricercare il senso dei contenuti permanenti della fede cristiana anche in rapporto alle discussioni che sorgono dentro e fuori della comunità ecclesiale sui vari punti o su tutto l’insieme della dottrina. È vero che tutti nella Chiesa, e specialmente i teologi, sono chiamati a compiere questo lavoro di continua chiarificazione ed esplicitazione. Ma la missione di Pietro e dei suoi successori è di stabilire e ribadire autorevolmente ciò che la Chiesa ha ricevuto e creduto fin da principio, ciò che gli Apostoli hanno insegnato, ciò che la Sacra Scrittura e la tradizione cristiana hanno fissato come oggetto della fede e come norma cristiana di vita. Anche gli altri pastori della Chiesa, i vescovi successori degli Apostoli, vengono “confermati” dal successore di Pietro nella loro comunione di fede con Cristo e nel buon adempimento della loro missione. In tal modo il magistero del vescovo di Roma segna per tutti una linea di chiarezza e di unità, che specialmente in tempi di massima comunicazione e discussione, come il nostro, si rivela imprescindibile.

5. La missione del successore di Pietro viene conseguita in tre modi fondamentali: innanzitutto con la parola. Come Pastore universale, il vescovo di Roma si rivolge a tutti i cristiani e a tutto il mondo, attuando in modo pieno e supremo la missione conferita da Cristo agli Apostoli: “Ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19). Oggi che i mezzi di comunicazione gli permettono di far giungere la sua parola a tutte le nazioni, egli adempie quel divino mandato come mai è stato possibile prima. Inoltre, grazie ai mezzi di trasporto che gli permettono di raggiungere personalmente anche i luoghi più lontani, egli può portare il messaggio di Cristo agli uomini di ogni paese, attuando in modo nuovo e non immaginato in altri tempi l’“andate”, che fa parte di quel divino mandato: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni...”. Il successore di Pietro adempie poi la sua missione con gli scritti: a cominciare dai suoi discorsi, che vengono pubblicati, perché venga conosciuto e documentato il suo insegnamento, fino a tutti gli altri documenti emanati direttamente – e qui sono da ricordare in primo luogo le encicliche, che anche formalmente hanno il valore di insegnamento universale – oppure, indirettamente, mediante i dicasteri della Curia romana che operano dietro suo mandato. Il Papa attua infine il suo compito di Pastore con iniziative autorevoli e istituzioni di ordine scientifico e pastorale: così, ad esempio, avviando o favorendo attività di studio, di santificazione, di evangelizzazione, di carità e assistenza ecc. in tutta la Chiesa; promuovendo istituti autorizzati e garantiti per l’insegnamento della fede (seminari, facoltà di teologia e di scienze religiose, associazioni teologiche, accademie, ecc.). È tutto un ampio ventaglio di interventi formativi e operativi che fanno capo al successore di Pietro.

6. Concludendo, possiamo dire che il contenuto dell’insegnamento del successore di Pietro (come degli altri vescovi), nella sua essenza, è una testimonianza a Cristo, all’Evento dell’Incarnazione e della Redenzione, alla presenza e all’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nella storia. Nella sua forma espressiva, può variare a seconda delle persone che lo esercitano, delle loro interpretazioni circa le necessità dei tempi, dei loro stili di pensiero e di comunicazione. Ma il rapporto con la Verità vivente, Cristo, ne è stato, ne è e ne sarà sempre la forza vitale.

Proprio in questo rapporto a Cristo è la definitiva spiegazione delle difficoltà e delle opposizioni che il magistero della Chiesa ha sempre incontrato dai tempi di Pietro ad oggi. Per tutti i vescovi e pastori della Chiesa, e specialmente per il successore di Pietro, valgono le parole di Gesù: “Un discepolo non è da più del maestro” (Mt 10,24 Lc 6,40). Gesù stesso svolse il suo magistero in mezzo alla lotta fra le tenebre e la luce, che costituisce l’ambiente dell’incarnazione del Verbo (cf Jn 1,1-14). Quella lotta era viva nei tempi apostolici, come il Maestro aveva avvisato: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Jn 15,20). Essa purtroppo si svolgeva anche nell’ambito di qualche comunità cristiana, tanto che San Paolo sentì il bisogno di esortare Timoteo, suo discepolo: “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina... (anche se) non si sopporterà più la sana dottrina” (2Tm 4,2-3).

Ciò che Paolo raccomandava a Timoteo vale anche per i vescovi d’oggi, e specialmente per il Romano Pontefice, che ha la missione di proteggere il popolo cristiano contro gli errori nel campo della fede e della morale, e il dovere di custodire il deposito della fede (cf 2Tm 4,7). Guai se si spaventasse delle critiche e delle incomprensioni. La sua consegna è di rendere testimonianza a Cristo, alla sua parola, alla sua legge, al suo amore. Ma alla coscienza della propria responsabilità nel campo dottrinale e morale, il Romano Pontefice deve aggiungere l’impegno di essere, come Gesù, “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Pregate perché lo sia, e lo diventi sempre più.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ad alcuni gruppi di fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi componenti dell’associazione “ Rosario–tour ” e carissime studentesse del collegio culturale di Nagoya.

Desidero esortare il gruppo “ Rosario–tour ” a vivere intensamente questo periodo quaresimale meditando i misteri del dolore del Signore e della B. V. Maria; e compiacendomi con i dirigenti dell’Istituto culturale di Nagoya per i progetti compiuti, auguro alle studentesse di trarne buon profitto culturale, morale e spirituale.

Con questo desiderio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

A un gruppo di volontari italiani

Il mio pensiero si rivolge ora ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, desidero salutare i Volontari dell’“Opera Ospedaliera San Vincenzo de’ Paoli”, che hanno recentemente celebrato il 50o anniversario di fondazione. Carissimi, vi ringrazio di cuore per il servizio che, senza, alcuna discriminazione, prestate gratuitamente agli infermi nei diversi Ospedali romani, e vi esorto a perseverare nelle vostre attività con spirito di autentico amore cristiano, per essere così testimoni coraggiosi del messaggio evangelico nella nostra società. In particolare saluto il gruppo di diaconi dell’Arcidiocesi di Milano, che attribuiscono all’incontro con il Papa un particolare momento di valore per la loro formazione sacerdotale.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Nel rivolgere, ora, come di consueto, un cordiale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, mi è gradito indirizzare un affettuoso benvenuto a numerosi gruppi di studenti presenti all’incontro di questa mattina. In particolare saluto gli alunni della Scuola Media statale “Aurelio Covotta”, di Ariano Irpino (Avellino). Desidero, inoltre, ringraziare i ragazzi della Scuola Media Statale “Alessandro Manzoni” di Bresso (Milano) per le devote espressioni di augurio che mi hanno fatto pervenire e, mentre auspico che l’impegno scolastico contribuisca a far crescere armoniosamente tutti gli aspetti della loro personalità, li invito a mantenere sempre viva la loro amicizia con Gesù. Il tempo di Quaresima, che stiamo vivendo, sviluppa una significativa pedagogia spirituale in preparazione alla Pasqua. Questo itinerario di fede aiuti voi, ammalati, a rinsaldare la speranza in Dio fonte della vita, e voi, sposi, a fare in modo che l’amore da cui sono scaturite le vostre nuove famiglie sia sorretto dalla forza della Parola di Dio. A tutti la mia benedizione!





Catechesi 79-2005 17293