Catechesi 79-2005 21896

Mercoledì, 21 agosto 1996

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1. Presentando Maria come “vergine”, il Vangelo di Luca aggiunge che era “promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe” (
Lc 1,27). Queste informazioni appaiono, a prima vista, contraddittorie.

Occorre notare che il termine greco usato in questo passo non indica la situazione di una donna che ha contratto il matrimonio e vive pertanto nello stato matrimoniale, ma quella del fidanzamento. A differenza di quanto avviene nelle culture moderne, però, nel costume giudaico antico l’istituto del fidanzamento prevedeva un contratto e aveva normalmente valore definitivo: introduceva, infatti, i fidanzati nello stato matrimoniale, anche se il matrimonio si compiva in pienezza allorché il giovane conduceva la ragazza nella sua casa.

Al momento dell’Annunciazione, Maria si trova dunque nella situazione di promessa sposa. Ci si può domandare perché mai abbia accettato il fidanzamento, dal momento che aveva fatto il proposito di rimanere vergine per sempre. Luca è consapevole di tale difficoltà, ma si limita a registrare la situazione senza apportare spiegazioni. Il fatto che l’Evangelista, pur evidenziando il proposito di verginità di Maria, la presenti ugualmente come sposa di Giuseppe costituisce un segno della attendibilità storica di ambedue le notizie.

2. Si può supporre che tra Giuseppe e Maria, al momento del fidanzamento, vi fosse un’intesa sul progetto di vita verginale. Del resto, lo Spirito Santo, che aveva ispirato a Maria la scelta della verginità in vista del mistero dell’Incarnazione e voleva che questa avvenisse in un contesto familiare idoneo alla crescita del Bambino, poté ben suscitare anche in Giuseppe l’ideale della verginità.

L’angelo del Signore, apparendogli in sogno, gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20). Egli riceve così la conferma di essere chiamato a vivere in modo del tutto speciale la via del matrimonio. Attraverso la comunione verginale con la donna prescelta per dare alla luce Gesù, Dio lo chiama a cooperare alla realizzazione del suo disegno di salvezza.

Il tipo di matrimonio verso cui lo Spirito Santo orienta Maria e Giuseppe è comprensibile solo nel contesto del piano salvifico e nell’ambito di un’alta spiritualità. La realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione esigeva una nascita verginale che mettesse in risalto la filiazione divina e, al tempo stesso, una famiglia che potesse assicurare il normale sviluppo della personalità del Bambino.

Proprio in vista del loro contributo al mistero dell’Incarnazione del Verbo, Giuseppe e Maria hanno ricevuto la grazia di vivere insieme il carisma della verginità e il dono del matrimonio. La comunione d’amore verginale di Maria e Giuseppe, pur costituendo un caso specialissimo, legato alla realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione, è stata tuttavia un vero matrimonio (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris custos, 7).

La difficoltà di accostarsi al mistero sublime della loro comunione sponsale ha indotto alcuni, sin dal II secolo, ad attribuire a Giuseppe un’età avanzata e a considerarlo il custode, più che lo sposo di Maria. È il caso di supporre, invece, che egli non fosse allora un uomo anziano, ma che la sua perfezione interiore, frutto della grazia, lo portasse a vivere con affetto verginale la relazione sponsale con Maria.

3. La cooperazione di Giuseppe al mistero dell’Incarnazione comprende anche l’esercizio del ruolo paterno nei confronti di Gesù.

Tale funzione gli è riconosciuta dall’angelo che, apparendogli in sogno, lo invita a dare il nome al Bambino: “Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21).

Pur escludendo la generazione fisica, la paternità di Giuseppe fu una paternità reale, non apparente. Distinguendo tra padre e genitore, un’antica monografia sulla verginità di Maria - il De Margarita (IV sec.) - afferma che “gli impegni assunti dalla Vergine e da Giuseppe come sposi fecero sì che egli potesse essere chiamato con questo nome (di padre); un padre tuttavia che non ha generato”. Giuseppe dunque esercitò nei confronti di Gesù il ruolo di padre, disponendo di un’autorità a cui il Redentore si è liberamente “sottomesso” (Lc 2,51), contribuendo alla sua educazione e trasmettendogli il mestiere di carpentiere.

Sempre i cristiani hanno riconosciuto in Giuseppe colui che ha vissuto un’intima comunione con Maria e Gesù, deducendo che anche in morte ha goduto della loro presenza consolante ed affettuosa. Da tale costante tradizione cristiana si è sviluppata in molti luoghi una speciale devozione alla Santa Famiglia ed in essa a san Giuseppe, Custode del Redentore. Il Papa Leone XIII gli affidò, com’è noto, il patrocinio su tutta la Chiesa.



Mercoledì, 28 agosto 1996

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1. La Chiesa ha costantemente manifestato la propria fede nella perpetua verginità di Maria. I testi più antichi, quando si riferiscono al concepimento di Gesù, chiamano Maria semplicemente “Vergine”, lasciando tuttavia intendere che ritenevano tale qualità come un fatto permanente, riferito a tutta la sua vita.

I cristiani dei primi secoli espressero tale convinzione di fede mediante il termine greco aeiparthenos - “sempre-vergine” - creato per qualificare in modo unico ed efficace la persona di Maria, ed esprimere in una sola parola la fede della Chiesa nella sua verginità perpetua. Lo troviamo usato nel secondo simbolo di fede di sant’Epifanio, nell’anno 374, in relazione all’Incarnazione: il Figlio di Dio “si è incarnato, ossia è stato generato in modo perfetto da Santa Maria, la sempre vergine, tramite lo Spirito Santo” (Sant'Epifanio, Ancoratus, 119,5;
DS 44).

L’espressione “sempre Vergine” è ripresa dal II Concilio di Costantinopoli (553), che afferma: il Verbo di Dio, “incarnatosi dalla santa gloriosa Madre di Dio e sempre Vergine Maria, è nato da essa” (DS 422). Questa dottrina viene confermata da altri due Concili Ecumenici, il Lateranense IV (1215) (DS 801) e il II Concilio di Lione (1274) (DS 852), e dal testo della definizione del dogma dell’Assunzione (1950) (DS 3903), in cui la verginità perpetua di Maria viene addotta tra i motivi della sua elevazione in corpo e anima alla gloria celeste.

2. Mediante una formula sintetica, la tradizione della Chiesa ha presentato Maria come “vergine prima del parto, nel parto, dopo il parto”, ribadendo, attraverso l’indicazione di questi tre momenti, che Ella non ha mai cessato di essere vergine.

Delle tre, l’affermazione della verginità “prima del parto” è, senza dubbio, la più importante, perché si riferisce al concepimento di Gesù e tocca direttamente il mistero stesso dell’Incarnazione. Sin dall’inizio essa è costantemente presente nella fede della Chiesa.

La verginità “nel parto” e “dopo il parto”, pur contenuta implicitamente nel titolo di vergine, attribuito a Maria già ai primordi della Chiesa, diventa oggetto di approfondimento dottrinale allorché taluni iniziano esplicitamente a metterla in dubbio. Il Papa Ormisda precisa che “il figlio di Dio è diventato Figlio dell’uomo, nato nel tempo nel modo di un uomo, aprendo alla nascita il seno della madre (cf. Lc 2,23) e, per potenza di Dio, non sciogliendo la verginità della madre” (DS 368). La dottrina è confermata dal Concilio Vaticano II, nel quale si afferma che il Figlio primogenito di Maria “non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò” (Lumen Gentium LG 57). Quanto alla verginità dopo il parto, si deve innanzitutto rilevare che non ci sono motivi per pensare che la volontà di rimanere vergine, manifestata da Maria al momento dell’Annunciazione (Lc 1,34), sia successivamente mutata. Inoltre, il senso immediato delle parole: “Donna, ecco tuo figlio”, “Ecco la tua madre” (Jn 19,26), che Gesù dalla croce rivolge a Maria ed al discepolo prediletto, fa supporre una situazione che esclude la presenza di altri figli nati da Maria.

I negatori della verginità dopo il parto hanno pensato di trovare un argomento probante nel termine “primogenito”, attribuito a Gesù nel Vangelo (Lc 2,7), quasi che tale locuzione lasciasse supporre che Maria abbia generato altri figli dopo Gesù. Ma la parola “primogenito” significa letteralmente “bambino non preceduto da un altro” e, di per sé, prescinde dall’esistenza di altri figli. Inoltre l’evangelista sottolinea questa caratteristica del Bambino, poiché alla nascita del primogenito erano legati alcuni importanti adempimenti propri della legge giudaica, indipendentemente dal fatto che la madre avesse partorito altri figli. Ogni figlio unico ricadeva, quindi, sotto tali prescrizioni, perché “generato per primo” (cf. Lc 2,23).

3. Secondo alcuni, la verginità di Maria dopo il parto sarebbe negata da quei testi evangelici che ricordano l’esistenza di quattro “fratelli di Gesù”: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda (Mt 13,55-56 Mc 6,3), e di diverse sue sorelle.

Occorre ricordare che, in ebraico come in aramaico, non esiste un vocabolo particolare per esprimere la parola “cugino” e che, quindi, i termini “fratello” e “sorella” avevano un significato molto ampio, che abbracciava diversi gradi di parentela. In realtà, col termine “fratelli di Gesù” vengono indicati “i figli” di una Maria discepola di Cristo (cf. Mt 27,56), la quale è designata in modo significativo come "l’altra Maria" (Mt 28,1).Si tratta di parenti prossimi di Gesù, secondo un’espressione non inusitata nell’Antico Testamento (CEC 500).

Maria Santissima è dunque la “sempre Vergine”. Questa sua prerogativa è la conseguenza della divina maternità, che l’ha totalmente consacrata alla missione redentrice di Cristo.



Mercoledì, 4 settembre 1996

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1. Le parole di Maria nell’Annunciazione: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (
Lc 1,38) evidenziano un atteggiamento caratteristico della religiosità ebraica. Mosè, agli inizi dell’Antica Alleanza, in risposta alla chiamata del Signore, si era proclamato suo servo (cf. Ex 4,10 Ex 14,31). All’avvento della Nuova Alleanza, anche Maria risponde a Dio con un atto di libera sottomissione e di consapevole abbandono alla sua volontà, manifestando piena disponibilità ad essere la “serva del Signore”.

La qualifica di “servo” di Dio accomuna nell’Antico Testamento tutti coloro che sono chiamati ad esercitare una missione in favore del popolo eletto: Abramo, (Gn 26,24), Isacco (Gn 24,14), Giacobbe (Ex 32,13 Ez 37,25), Giosuè (GS 24,29), Davide (2S 7, 8, ecc.). Sono servi anche i profeti e i sacerdoti, cui è affidato il compito di formare il popolo al fedele servizio del Signore. Il libro del profeta Isaia esalta nella docilità del “Servo sofferente” un modello di fedeltà a Dio nella speranza di riscatto per i peccati della moltitudine (cf. Is 42-53). Esempi di fedeltà offrono anche alcune donne, come la regina Ester, che, prima di intercedere per la salvezza degli Ebrei, rivolge una preghiera a Dio, chiamandosi più volte “la tua serva” (Ex 4,17).

2. Maria, la “piena di grazia”, proclamandosi “serva del Signore” intende impegnarsi a realizzare personalmente in modo perfetto il servizio che Dio attende da tutto il suo popolo. Le parole: “Eccomi, sono la serva del Signore” preannunciano Colui che dirà di se stesso: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 cf. Mt 20,28). Lo Spirito Santo realizza, così, tra la Madre e il Figlio un’armonia di intime disposizioni, che consentirà a Maria di assumere pienamente il suo ruolo materno presso Gesù, accompagnandolo nella sua missione di Servo.

Nella vita di Gesù la volontà di servire è costante e sorprendente: come Figlio di Dio, egli infatti avrebbe potuto con ragione farsi servire. Attribuendosi il titolo di “Figlio dell’uomo”, a proposito del quale il libro di Daniele afferma: “Tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano” (Da 7,14), avrebbe potuto pretendere di dominare sugli altri. Invece, combattendo la mentalità del tempo espressa dall’aspirazione dei discepoli per i primi posti (cf. Mc 9,34) e dalla protesta di Pietro durante la lavanda dei piedi (cf. Jn 13,6), Gesù non vuole essere servito, ma desidera servire fino a donare totalmente la propria vita nell’opera della redenzione.

3. Anche Maria, pur consapevole dell’altissima dignità conferitale, all’annuncio dell’angelo spontaneamente si dichiara “serva del Signore”. In questo impegno di servizio essa include anche il proposito di servire il prossimo, come dimostra il collegamento tra gli episodi dell’Annunciazione e della Visitazione: informata dall’angelo che Elisabetta attende la nascita di un figlio, Maria si mette in viaggio e raggiunge “in fretta” (Lc 1,39) la Giudea per aiutare la sua parente nei preparativi della nascita del bambino con piena disponibilità. Essa offre così ai cristiani di tutti i tempi un sublime modello di servizio.

Le parole: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38) mostrano in Colei che si è dichiarata serva del Signore una totale obbedienza alla volontà di Dio. L’ottativo genoito, “avvenga”, usato da Luca, esprime non solo accettazione, ma convinta assunzione del progetto divino, fatto proprio con l’impegno di tutte le risorse personali.

4. Conformandosi al divino volere, Maria anticipa e fa proprio l’atteggiamento di Cristo che, secondo la Lettera agli Ebrei, entrando nel mondo, dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato . . . Allora ho detto: Ecco, io vengo . . . per fare, o Dio, la tua volontà” (He 10,5-7 Ps 40,7-9 [39]).

La docilità di Maria annuncia e prefigura, altresì, quella espressa da Gesù nel corso della sua vita pubblica fino al Calvario. Cristo dirà: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Jn 4,34). In questa stessa linea Maria fa della volontà del Padre il principio ispiratore di tutta la propria esistenza, ricercando in essa la forza necessaria al compimento della missione affidatale.

Se al momento dell’Annunciazione Maria non conosce ancora il sacrificio che caratterizzerà la missione di Cristo, la profezia di Simeone le farà intravedere il tragico destino del Figlio (cf. Lc 2,34-35). La Vergine vi si assocerà con intima partecipazione. Con la sua totale obbedienza alla volontà divina, Maria è pronta a vivere tutto ciò che l’amore divino progetta per la sua esistenza, fino alla “spada” che trafiggerà la sua anima.




Mercoledì, 11 settembre 1996

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Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Oggi desidero soffermarmi con voi sul Viaggio apostolico, da me compiuto in Ungheria venerdì e sabato della scorsa settimana. Si è trattato della mia seconda visita pastorale in quel Paese, dopo quella del 1991. Il mio primo sentimento è un fervido rendimento di grazie: al Signore, anzitutto, perché con la sua Provvidenza ha guidato i passi del Successore di Pietro e ancora una volta lo ha fatto Pellegrino sulle vie della Chiesa, Chiesa di oggi che celebra le sue origini, Chiesa del Duemila che commemora le sue millenarie radici. Questo è stato il motto del pellegrinaggio: Cristo è la nostra speranza!

Un sentito ringraziamento rivolgo al Presidente della Repubblica di Ungheria, Sig. Arpád Göncz, ed alle altre Autorità civili, per l’accoglienza riservatami. Rinnovo il mio abbraccio di pace e di comunione ai venerati Pastori della Chiesa che è in Ungheria, in particolare all’Abate di Pannonhalma ed al Vescovo di Gyor, e lo estendo di cuore all’intera comunità cristiana magiara.

Un albero dalle profonde radici

2. Quello di venerdì e sabato è stato un pellegrinaggio sui sentieri del tempo della Chiesa: un itinerario che si è spinto nel passato, per illuminare il presente e proiettarsi verso il futuro. Un viaggio a ritroso di mille anni, per confrontarsi con la generazione che varcò l’Anno Mille, per raccoglierne la testimonianza e farne tesoro, alla vigilia del terzo millennio ormai prossimo. La Chiesa è un albero dalle profonde radici: mentre si protende oltre il Duemila, celebra in ogni parte del mondo i momenti più significativi del proprio diffondersi lungo i secoli nelle varie nazioni, secondo il mandato di Cristo Risorto. Io stesso, nel corso del mio Pontificato, mi faccio testimone e promotore di questa memoria storica, che è garanzia del cammino futuro. Ecco perché ho scelto di recarmi a Pannonhalma e a Gyor: là dove, cioè, il popolo magiaro custodisce la memoria della sua millenaria tradizione cristiana.

A Pannonhalma per ricordare e riproporre le fondamenta spirituali e culturali dell’Europa

3. Pannonhalma è la località in cui sorge, sulla collina di San Martino, il più antico monastero dell’Ungheria: l’omonima Arciabbazia, fondata mille anni or sono da alcuni monaci provenienti da Roma, confratelli e discepoli di sant’Adalberto, Vescovo di Praga, protomartire e patrono della Polonia, venerato perciò da Boemi, Polacchi e Ungheresi. L’Abbazia di Pannonhalma, insieme con le moltissime altre dell’Ordine di san Benedetto che costellano il continente europeo, è stata nei secoli un rilevantissimo faro di cultura ed ha svolto un importante ruolo di difesa della libertà e della verità, soprattutto di fronte alle invasioni turche e, recentemente, durante la dittatura comunista. Celebrarne il millenario ha significato, in un certo senso, ricordare e riproporre le fondamenta spirituali e culturali dell’Europa, al cui consolidamento la tradizione benedettina ha efficacemente contribuito. Nella splendida chiesa gotica si è svolta con singolare solennità la liturgia dei Vespri: il suggestivo tempio, il canto dei monaci, l’intensa partecipazione dei fedeli, hanno conferito una straordinaria eloquenza a quel momento di preghiera, a quei solenni Vespri del Millennio, durante i quali più volte si è pregato per l’unità dei cristiani.

La valenza ecumenica del pellegrinaggio

Il mio pellegrinaggio a Pannonhalma, infatti, ha rivestito anche un’importante valenza ecumenica. L’antica Abbazia, sorta alla fine del primo Millennio, è testimone dell’epoca in cui i cristiani d’Oriente e d’Occidente erano ancora in piena comunione. Questo spinge noi, che ci prepariamo al Giubileo del Duemila, a fare memoria di tale piena unità per superare completamente le divisioni subentrate in seguito.

A Gyor una fervida esortazione alla speranza sull’esempio di quanti hanno pagato di persona la resistenza alla violenza e alla sopraffazione

4. Gyor è una delle più antiche città ungheresi, ricca di monumenti. Là si è svolta la grande Concelebrazione eucaristica, dominata dalla figura di Cristo Buon Pastore, fonte di fiducia, di speranza, di fortezza per le persone e per le nazioni che si affidano alla sua guida.

A Gyor, diocesi fondata agli albori del secondo millennio, al tempo del santo Re Stefano, ho rinnovato alla Chiesa ungherese, nel nome di Cristo Buon Pastore, una fervida esortazione alla speranza, additando l’esempio di quanti, nei decenni passati, hanno pagato di persona, anche con la vita, la resistenza alla violenza ed alla sopraffazione. In particolare, oltre all’intrepido Cardinale József Mindszenty, ho ricordato, sostando anche sulla sua tomba, il Servo di Dio Vilmos Apor, Vescovo di Gyor, che nel ‘45 pagò con la vita la volontà di difendere da soldati sovietici alcune donne rifugiate nel Vescovado. Il processo di beatificazione di questo eroico Vescovo è giunto ormai alla sua fase conclusiva.

Una testimonianza di solidarietà ai venerati Pastori

Con la mia visita ho voluto portare una testimonianza di solidarietà e di sostegno in modo speciale ai venerati Pastori del popolo di Dio che è in Ungheria, ai quali ho lasciato un messaggio di incoraggiamento per la loro impegnativa opera di evangelizzazione.

Magna Domina Hungarorum

5. Anche questa volta, carissimi Fratelli e Sorelle, il Vescovo di Roma si è fatto messaggero di Cristo sulle strade del mondo, nella certezza che il Vangelo è parola di verità perenne sull’uomo e sulla società, unica stabile garanzia di libertà e di solidarietà nel mutare dei sistemi ideologici e degli ordinamenti politici.

Sono andato verso il caro popolo ungherese ed i suoi Pastori nel nome di Cristo, lo stesso di ieri, di oggi e di sempre, fonte di speranza e di autentico rinnovamento spirituale, culturale e sociale. Mentre ho ancora negli occhi i volti ed i luoghi di questo itinerario magiaro, mi è caro porre tutte le persone e le comunità incontrate, e l’intera Ungheria, sotto la protezione di Maria Santissima, Magna Domina Hungarorum, perché ottenga loro di essere sempre forti e coerenti nella fede in Cristo nostra speranza!




Mercoledì, 18 settembre 1996

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1. Commentando l’episodio dell’Annunciazione, il Concilio Vaticano II sottolinea in modo speciale il valore dell’assenso di Maria alle parole del messaggero divino. Diversamente da quanto avviene in analoghi racconti biblici, esso è espressamente atteso dall’angelo: “Volle il Padre delle misericordie, che l’accettazione di colei che era predestinata ad essere la madre precedesse l’Incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita” (Lumen Gentium
LG 56).

La Lumen gentium ricorda il contrasto tra il comportamento di Eva e di Maria, illustrato così da sant’Ireneo: “Come quella - cioè Eva - era stata sedotta dal discorso di un angelo, in modo da sottrarsi a Dio trasgredendo la sua parola, così questa - cioè Maria - ricevette la buona novella da un discorso di un angelo, in modo da portare Dio, obbedendo alla sua parola; e come quella era stata sedotta in modo da disobbedire a Dio, questa si lasciò persuadere a obbedire a Dio, e perciò della vergine Eva la Vergine Maria divenne l’avvocata. E come il genere umano era stato assoggettato alla morte da una vergine, ne fu liberato da una Vergine; così la disobbedienza di una vergine è stata controbilanciata dall’obbedienza di una Vergine . . .” (Sant'Ireneo, Adv. Haer., 5,19.1).

2. Nel pronunciare il suo totale “sì” al progetto divino, Maria è pienamente libera davanti a Dio. Nello stesso tempo ella si sente personalmente responsabile nei confronti dell’umanità, il cui futuro è legato alla sua risposta.

Dio consegna nelle mani di una giovane donna il destino di tutti. Il “sì” di Maria pone la premessa perché si realizzi il disegno che, nel suo amore, Dio ha predisposto per la salvezza del mondo.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo sintetico ed efficace il decisivo valore per l’intera umanità del libero consenso di Maria al piano divino della salvezza. “Maria Vergine ha cooperato alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza. Ha detto il suo “fiat” “loco totius humanae naturae - in nome di tutta l’umanità”: per la sua obbedienza, è diventata la nuova Eva, madre dei viventi” (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 511).

3. Con il suo comportamento, Maria ricorda dunque a ciascuno di noi la grave responsabilità di accogliere il progetto divino sulla nostra vita. Obbedendo senza riserve alla volontà salvifica di Dio, manifestata nella parola dell’angelo, ella si pone come modello per coloro che il Signore proclama beati, perché “ascoltano la Parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28). Gesù, in risposta alla donna che, tra la folla, proclama beata sua madre, mostra il vero motivo della beatitudine di Maria: l’adesione alla volontà di Dio, che l’ha condotta all’accettazione della divina maternità.

Nell’Enciclica Redemptoris Mater ho rilevato che la nuova maternità spirituale, di cui parla Gesù, riguarda in primo luogo proprio lei. Infatti “non è forse Maria la prima tra “coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”? E dunque non riguarda soprattutto lei quella benedizione pronunciata da Gesù in risposta alle parole della donna anonima?” (Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater RMA 20). Maria viene così in un certo senso proclamata la prima discepola del suo Figlio (cf. Ivi) e, con il suo esempio, invita tutti i credenti a rispondere generosamente alla grazia del Signore.

4. Il Concilio Vaticano II si sofferma ad illustrare la dedizione totale di Maria alla persona e all’opera di Cristo: “Si è offerta totalmente come la serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium LG 56).

La dedizione alla persona e all’opera di Gesù per Maria significa l’unione intima con il Figlio, l’impegno materno a promuovere la sua crescita umana e la cooperazione alla sua opera di salvezza.

Maria esercita quest’ultimo aspetto della sua dedizione a Gesù “sotto di Lui”, cioè in una condizione di subordinazione, che è frutto della grazia. Si tratta però di vera cooperazione, perché si realizza “con Lui” e comporta, a partire dall’Annunciazione, un’attiva partecipazione all’opera redentrice. “Giustamente quindi - osserva il Concilio Vaticano II - i santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nella mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede ed obbedienza. Infatti, come dice sant’Ireneo, ella “obbedendo divenne causa della salvezza per lei [Eva] e per tutto il genere umano (Sant'Ireneo, Adv. Haer., 3,22,4)”” (Ivi).

Maria, associata alla vittoria di Cristo sul peccato degli antichi Progenitori, appare come la vera “madre dei viventi” (Ivi). La sua maternità, liberamente accettata in obbedienza al disegno divino, diventa fonte di vita per l’intera umanità.



Mercoledì, 25 settembre 1996

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Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Domenica scorsa si è concluso il mio sesto pellegrinaggio in Francia. Ringrazio la divina Provvidenza per avermi concesso di percorrere le strade della storia passata e presente di quel Paese. Ho potuto ritornare alle radici della sua tradizione cristiana e recarvi uno sguardo di speranza per il futuro della Chiesa in Francia.

I giovani presenti in grandissimo numero, motivo di grande speranza

Desidero esprimere la mia viva gratitudine al Presidente della Repubblica, alle Autorità nazionali e regionali per l’invito e l’accoglienza. Ringrazio i Vescovi delle diocesi di Tours, di Luçon, di Vannes e di Reims che mi hanno accolto con grande affabilità, come pure l’Episcopato francese largamente presente nelle varie fasi del viaggio. Sono pure riconoscente agli organizzatori, ai membri del servizio sanitario, del servizio d’ordine e a tutti coloro che in qualsiasi modo hanno contribuito al successo di questa visita.

Un sentimento di particolare gratitudine va ai cattolici francesi che, con la loro presenza, con la fervente preghiera ed innumerevoli espressioni di solidarietà hanno dato una chiara testimonianza della loro fede e della loro comunione col Successore di Pietro. In special modo voglio ringraziare i giovani che in grandissimo numero hanno partecipato a questo pellegrinaggio. Insieme con il loro entusiasmo, ho potuto costatare la loro profonda ricerca spirituale e la loro matura adesione ai valori certi e perenni. È questo un motivo di grande speranza.

Le radici del cristianesimo nel Paese

2. Lo svolgimento del pellegrinaggio era legato ad anniversari di eventi storici ed a personaggi che hanno avuto una grande influenza sulle vicende del cristianesimo in Francia e in tutta l’Europa occidentale.

Le radici del cristianesimo nel Paese risalgono al II secolo, al tempo dei primi martiri. Sant’Ilario di Poitiers fu uno dei fondatori delle strutture ecclesiali e grande difensore dell’unità della Chiesa. Durante il mio pellegrinaggio ha avuto inizio l’anno dedicato a san Martino, per commemorare i milleseicento anni della sua morte. Questo ex legionario dell’imperatore Costanzo e discepolo di Ilario, divenne un pioniere della vita monastica, vescovo di Tours e grande missionario dell’Europa occidentale.

Il battesimo di Clodoveo è legato a Martino, poiché la testimonianza della venerazione dei pellegrini che si recavano alla tomba del santo di Tours esercitò un forte fascino sul re franco, il quale decise di farsi cristiano, a ciò preparato dai suoi incontri con santa Genoveffa di Parigi, con santa Clotilde sua sposa e con san Remigio, vescovo di Reims.

L’opera missionaria di san Martino e il battesimo di Clodoveo avviarono una profonda vita di fede che si espresse in una molteplicità di frutti di santità nel corso delle generazioni. Ne ho avuto testimonianza, ad esempio, in Bretagna dove è venerata in modo speciale sant’Anna, la madre della Vergine Maria. San Luigi Maria Grignion de Montfort nacque proprio in quella regione, da cui partì per le sue missioni nella Vandea. Qui, come altrove nelle varie parti della Francia, la fede in Cristo e la fedeltà alla Chiesa sono state custodite anche a prezzo del martirio.

Il mistero del Battesimo motivo di fondo dell’itinerario spirituale del pellegrinaggio

3. L’itinerario spirituale del mio pellegrinaggio ha avuto come motivo di fondo il mistero del Battesimo, il sacramento che introduce nella vita della fede e incorpora i credenti a Cristo crocifisso e risorto.

A Saint-Laurent-sur-Sèvre, abbiamo avuto modo di rivivere il Battesimo come consacrazione di tutta la persona in risposta al dono divino della grazia che ci chiama a diventare conformi a Cristo. La spiritualità monfortana rievoca questa fondamentale esigenza della fede ricevuta al fonte battesimale. Maria è il modello e la guida di ogni consacrazione a Cristo. In quella città sono stato felice di incontrare una folta assemblea di giovani attenti e di tanti fedeli della Vandea, come pure di pregare insieme con numerosi consacrati e consacrate.

L’incontro, con migliaia di famiglie, un vero “tempo forte” del viaggio

A Sainte-Anne-d’Auray, la consacrazione a Cristo è stata considerata alla luce della vita quotidiana e dell’impegno per l’evangelizzazione. Tale consacrazione è stata sentita come una chiamata a rendere testimonianza della fede in ogni ambito della società, in modo specialissimo nella famiglia. L’incontro con migliaia di famiglie è stato un vero “tempo forte” del mio viaggio.

San Martino e i “feriti della vita”

4. Il terzo giorno è stato dominato dalla figura di san Martino, modello di risposta alla chiamata a vivere la fede nella carità. È in questa cornice che va situato l’incontro con i “feriti della vita”, ai quali occorre riconoscere un posto adeguato nella Chiesa e nella società, poiché Cristo stesso si è identificato con il più piccolo di loro.

L’ultimo giorno, a Reims, è stato il momento culminante: l’anniversario del Battesimo di Clodoveo ha invitato ciascuno a meditare in profondità sul significato del proprio Battesimo. Il Vangelo chiama ogni battezzato ad essere sale della terra e luce del mondo; il Battesimo, inoltre, è un appello a rinnovare la propria vita spirituale e ad assumersi le proprie responsabilità nella realizzazione dell’unità e nella crescita interiore del Corpo Mistico di Cristo. La grazia battesimale stimola i credenti ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo alla luce del Vangelo, come è apparso chiaramente nell’incontro con le forze vive della diocesi di Reims.

“Accogliete la testimonianza di quindici secoli di storia della Chiesa in Francia”

5. Carissimi Fratelli e Sorelle! Mentre ancora una volta ringrazio quanti hanno contribuito alla buona riuscita di questa visita, affido a voi qui presenti i frutti del mio pellegrinaggio in Francia e vi ringrazio per avermi accompagnato con la preghiera. Accogliete la testimonianza di quindici secoli di storia della Chiesa in Francia. Insieme rendiamo grazie al Signore per i frutti del Battesimo di san Martino, di Clodoveo, di san Luigi Maria Grignion de Montfort e di tutti i fedeli della Chiesa in Francia. Rendiamo grazie anche per il nostro Battesimo e chiediamo al Signore di renderci capaci di rispondere pienamente alla grazia che abbiamo ricevuto in questo sacramento.



Mercoledì, 2 ottobre 1996

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Catechesi 79-2005 21896