Catechesi 79-2005 60494

Mercoledi 6 Aprile 1994: Siamo destinati in Cristo Gesù a vincere la morte e a partecipare alla sua Risurrezione

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Fratelli e sorelle, Celebriamo il giorno che diventa un'Ottava. Ogni giorno recitiamo lo stesso "Haec est dies". Oggi è mercoledi, il quarto giorno di questa Ottava ed oggi si legge nella liturgia il racconto, secondo San Luca, dei due discepoli che andavano ad Emmaus. Questi discepoli parlavano fra di loro sugli avvenimenti degli ultimi giorni, naturalmente soprattutto sul grande evento che aveva sconvolto tutta Gerusalemme: i capi del popolo, i grandi, i sacerdoti, i farisei avevano crocifisso Gesù Cristo, grande profeta. Si pensava che Lui avrebbe liberato Israele dalla schiavitù romana; invece l'avevano crocifisso. Era morto e sepolto.

In questo momento si avvicino a loro un viandante; non sapevano chi fosse. Continuarono nella loro conversazione perché costui gli chiese perché erano tristi.

Erano tristi a causa di questo evento.

Erano discepoli di Gesù e probabilmente fuggivano da Gerusalemme per non trovarsi in pericolo. E quando spiegarono la loro preoccupazione, Gesù disse loro: "Non avete capito quello che hanno detto i profeti sul Messia? Il Messia non era quello che doveva liberare Israele in senso politico; il Messia, secondo Isaia e secondo altri Profeti, era colui che avrebbe liberato tutta l'umanità dalla schiavitù del peccato e della morte. Lui stesso avrebbe preso su di sé la morte e sarebbe stato crocifisso, prima flagellato ed incoronato di spine. Ma dopo sarebbe risorto". Quando i due discepoli lo ebbero ascoltato dissero: "E' vero; questa mattina si è diffusa la notizia che la tomba è vuota. Lo dicevano alcune donne. Ma noi non sappiamo come stanno le cose, benché alcuni di noi discepoli siano andati alla tomba". Erano Pietro e Giovanni.

Ci troviamo nel giorno della Domenica, dopo il sabato. Nella Domenica, cioè nel giorno in cui Cristo è risorto, di notte e al mattino presto. Ci troviamo nel pomeriggio, verso sera.

Prima di loro gli avvenimenti si erano svolti in questo modo. Giunsero per prime, di mattina presto, tre donne di nome Maria. Si recavano al sepolcro per ungere Gesù nel suo sepolcro. Esse videro la grande pietra rotolata ed il sepolcro vuoto. Questa è stata la prima costatazione, il sepolcro vuoto. Con questa notizia le donne andarono dagli Apostoli, radunati timorosi nel Cenacolo, e dissero: "Qualcuno ha rubato il corpo di Gesù, perché il sepolcro è vuoto". Gli Apostoli non le credettero. Due di loro, Pietro e Giovanni, decisero di andare a costatare.

Sono andati ed hanno costatato la stessa cosa: il sepolcro era vuoto ed il corpo non c'era. Cosa vuol dire questo? Se il sepolcro è vuoto qualcuno deve aver rubato il corpo. così penso Maria Maddalena: qualcuno ha rubato il corpo. E quando è tornata per la seconda volta al sepolcro vuoto, ha incontrato là un giardiniere e gli ha chiesto: "Forse tu l'hai rubato e l'hai messo in un altro luogo; diccelo".

Ma Gesù la chiamo per nome "Maria". Allora Maddalena capi che egli era Gesù. Gesù per la prima volta si è rivelato come vivo, dopo la sua morte, a questa donna, Maria Maddalena. Era la prima rivelazione di Gesù risorto in persona.

Dopo di lei, i secondi sono stati i due discepoli di Emmaus. A Maria si è rivelato di mattina; lei poi porto la notizia ai discepoli "Io l'ho visto!". Ai due discepoli di Emmaus si è rivelato di pomeriggio, verso la sera. Quando hanno capito che quel viandante con il quale parlavano era Gesù, essi sono tornati subito a Gerusalemme per cercare gli altri discepoli, gli altri Apostoli. Li trovarono nel Cenacolo e questi gli dissero "E' stato già qui". Perché la domenica sera Gesù è apparso agli Apostoli nel Cenacolo. Li ha salutati "Pace a voi!". E poi ha dato a tutti loro questa grande missione: "Come il Padre ha inviato me così io vi invio. "Accipite Spiritum Sanctum": ricevete lo Spirito Santo" e ha donato loro il potere di rimettere i peccati.

Questa è più o meno la cronologia della prima giornata della Risurrezione, la Domenica. Noi siamo già nel quarto giorno della Ottava, ma leggiamo ogni giorno un brano cronologico di questi avvenimenti della prima giornata. Oggi abbiamo letto il quarto avvenimento, cioè l'incontro con i discepoli di Emmaus.

Vi saluto tutti molto cordialmente e vi dico "Haec dies quam fecit Dominus", e vi auguro ancora una volta una Buona Pasqua, perché è veramente buona questa notizia della risurrezione di Gesù. Essa ci dice che la vita vince la morte, che la grazia vince il peccato e noi siamo destinati in Cristo Gesù a vincere i nostri peccati e la nostra morte e a partecipare alla sua Risurrezione.

(Numerosi pellegrini provenienti da ogni parte del mondo sono convenuti in Piazza San Pietro per partecipare all'udienza generale di mercoledi 6 aprile. Dopo aver svolto la catechesi settimanale in italiano, il Papa ne ha riassunto il testo nelle varie espressioni linguistiche, rivolgendo parole di saluto ai diversi gruppi presenti.) (Ai cechi:) Ricordiamo l'anniversario della morte di San Metodio apostolo degli Slavi.

Cari pellegrini di Moravia! Oggi 6 aprile è l'anniversario della morte dell'apostolo degli Slavi, San Metodio (6.4.885). Egli insieme a San Cirillo annuncio il Vangelo di Cristo ai vostri avi nella Grande Moravia. Per questo motivo confessate e cantate in un inno di Velehrad: Non perirà la stirpe che non avrà cessato di credere Signore conservaci l'eredità dei padri.

Benedico di cuore voi e tutti i vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!

(Agli sloveni:)

Siate fedeli ministri di Cristo e della Chiesa sotto la protezione di Maria Ausiliatrice.

Benvenuti i seminaristi di Ljubljana ed i pellegrini di Mokronog e di Smihel presso Zuzemberk in Slovenija. Con la visita dei monumenti cristiani a Roma e delle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo nonché del Successore di San Pietro volete professare la propria fedeltà a Cristo. Siate fedeli ministri di Cristo e della Chiesa sotto la protezione di Maria Ausiliatrice.

Con questo desiderio benedico Voi ed i Vostri cari.

(Ai croati:)

Una coerente vita cristiana e una profonda fede nutrite dai sacramenti e dalla preghiera.

Di cuore saluto tutti i pellegrini croati. Benvenuti! Mi rivolgo soprattutto agli studenti dell'Istituto teologico catechistico di Split e della sezione di Dubrovnik. Carissimi, il servizio per il quale vi state preparando è molto importante per la Chiesa e per la società, e richiede la comunione con i vescovi e i sacerdoti. Affinché tale servizio sia efficace sono necessari la vostra coerente vita cristiana e la profonda fede, che devono essere nutriti dai sacramenti e dalla preghiera.

Dio vi benedica tutti. Siano lodati Gesù e Maria!

(Agli albanesi:)

La vostra missione dia un contributo efficace alla rinascita del Paese.

Saluto il gruppo albanese che ha frequentato il corso per educatori di bambini cerebrolesi organizzato dall'Opera Madonnina del Grappa di Firenze, presso l'Istituto Stella Maris. Vi auguro che con la vostra nuova missione diate un efficace contributo alla rinascita della vostra patria.

Portate il mio augurio a tutti gli albanesi in Cristo Risorto! (La serie dei saluti si è conclusa, come di consueto, con i gruppi di lingua italiana. Ad essi il Santo Padre ha indirizzato le seguenti parole di saluto:) Rivolgo ora un cordiale augurio pasquale ai pellegrini di lingua italiana, in particolare, al gruppo di ministranti della Basilica di San Vittore in Varese ed ai giovani del Movimento "Shalom" della Diocesi di San Miniato, che quest'anno celebrano il loro ventesimo anniversario di fondazione.

Carissimi, vi esprimo la mia gratitudine per la vostra partecipazione ed auspico che il Signore accompagni sempre con la sua grazia le vostre aspirazioni e i vostri propositi.

Formulo un augurio tutto speciale ai Neodiaconi della Congregazione dei Legionari di Cristo e della Compagnia di Gesù, provenienti da diversi Continenti.

Mentre assicuro un particolare ricordo nella preghiera perché possiate rispondere fedelmente alla chiamata del Signore, vi saluto con affetto insieme ai vostri familiari.

(Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli:)

Riconoscete che nell'evento di Cristo è annunciata la più profonda verità sull'uomo e sul suo destino.

Un saluto, ancora colmo della gioia della Pasqua, va ora ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli presenti a questa Udienza.

Il messaggio che scaturisce dal mistero della Risurrezione sia per voi giovani un impegno di testimonianza: riconoscete che nell'evento di Cristo è annunciata la più profonda verità sull'uomo ed è tracciato il suo destino; sia per voi malati motivo di consolazione, poiché il Risorto assicura del valore redentore della croce, di ogni croce; sia per voi sposi novelli un programma per la vostra vocazione coniugale, poiché nella luce della Risurrezione ogni famiglia scopre la gioia e la bellezza di rispettare e di servire la vita, che è dono di Dio.

A tutti la mia Benedizione.



L'Anno per la Famiglia non diventi un anno contro la Famiglia

Prima di passare alla benedizione conclusiva e prima di cantare il Regina Caeli, dobbiamo sottolineare ancora una volta l'importanza dell'incontro del Cairo, durante l'Anno della Famiglia. La Famiglia è la prima e fondamentale comunità dell'amore e della vita. Questo anno è dedicato alla Famiglia, dalla Chiesa ma prima ancora dalle Nazioni Unite, in ogni comunità civile.

Noi siamo preoccupati che questo Anno per la Famiglia non diventi un Anno contro la Famiglia. E potrebbe diventare facilmente l'Anno contro la Famiglia se questi progetti, ai quali è già stata data risposta, diventassero i progetti veramente della Conferenza mondiale al Cairo, che si prepara a settembre.

Noi protestiamo! Io ho scritto a tutti i Presidenti del mondo, soprattutto ai Presidenti degli Stati ma anche ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, per invitarli a riflettere e a proteggere veramente e a difendere la famiglia. E lo ripeto durante questa grande udienza nella Settimana pasquale perché la Pasqua ci dice della vittoria della vita sulla morte.

Non possiamo camminare verso il futuro con un progetto di morte sistematica dei non-nati! Possiamo camminare solamente con una civiltà dell'amore che accoglie la vita.






Mercoledi 13 Aprile 1994: L'opera dei laici nell'ordine temporale

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1. Esiste un ordine di realtà - istituzioni, valori, attività - che si suol chiamare temporale, in quanto riguarda direttamente le cose che appartengono all'ambito della vita presente, pur essendo anch'esse finalizzate alla vita eterna. Il mondo presente non è fatto di apparenze e di ombre ingannevoli, né può essere considerato solo in funzione dell'aldilà. Come dice il Concilio Vaticano II, "tutte le realtà che costituiscono l'ordine temporale... non soltanto sono mezzi con cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un valore proprio" (
AA 7). Il racconto biblico della creazione ci presenta questo valore come riconosciuto, voluto, fondato da Dio, il quale, secondo il Libro della Genesi, "vide che (ciò che aveva creato) era cosa buona" (1,12.18.21), e anzi, "cosa molto buona" dopo la creazione dell'uomo e della donna (1,31). Con l'Incarnazione e la Redenzione, il valore delle cose temporali non viene annullato o intaccato, come se l'opera del Redentore si opponesse all'opera del Creatore: ma viene ristabilito ed elevato, secondo il disegno di Dio "di ricapitolare in Cristo tutte le cose" (Ep 1,10) "e per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose" (Col 1,20). In Cristo, dunque, tutte le cose trovano la loro piena consistenza (cfr. Col 1,17).


2. E tuttavia non si può ignorare l'esperienza storica del male e, per l'uomo, del peccato, che solo la rivelazione della caduta dei progenitori, e di quelle successivamente avvenute nelle generazioni umane, può spiegare. "Nel corso della storia, - dice il Concilio - l'uso delle cose temporali è stato macchiato da gravi manchevolezze" (AA 7). Anche oggi, non pochi, invece di dominare le cose secondo il disegno e l'ordinazione di Dio, come potrebbero consentire i progressi nella scienza e nella tecnica, per la loro eccessiva fiducia nei loro nuovi poteri, ne diventano schiavi e ne traggono danni anche gravi.

Compito della Chiesa è di aiutare gli uomini a ben orientare tutto l'ordine temporale e a indirizzarlo a Dio per mezzo di Cristo (cfr. AA). La Chiesa si fa così serva degli uomini e i laici "partecipano alla missione di servire la persona e la società" (CL 36).


3. Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che i laici sono chiamati a contribuire alla promozione della persona, oggi particolarmente necessaria ed urgente. Si tratta di salvare - e spesso di ristabilire - il valore centrale dell'essere umano che, proprio perché persona, non può mai essere trattato "come un oggetto utilizzabile, uno strumento, una cosa" (CL 37).

Quanto alla dignità personale, tutti gli uomini sono uguali fra loro: nessuna discriminazione può essere ammessa, né razziale, né sessuale, né economica, né sociale, né culturale, né politica, né geografica. Alle differenze che provengono dalle condizioni di luogo e di tempo in cui ciascuno nasce e vive è dovere di solidarietà sopperire con un fattivo sostegno umano e cristiano, tradotta in forme concrete di giustizia e di carità, come spiegava e raccomandava san Paolo ai Corinzi: "Non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza... La vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza" (2Co 8,13-14).


4. La promozione della dignità della persona è legata con "il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana" (CL 38). Anzitutto il riconoscimento della inviolabilità della vita umana: il diritto alla vita è essenziale, e può essere considerato come "diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti" (). Ne consegue che "tutto ciò che è contro la vita... tutto ciò che viola l'integrità della persona umana... tutto ciò che offende la dignità umana... tutte queste cose... ledono grandemente l'onore del Creatore" (GS 27), che ha voluto l'uomo fatto a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,26) e posto sotto la sua signoria.

Una responsabilità speciale in questa difesa della dignità personale e del diritto alla vita appartiene ai genitori, agli educatori, agli operatori sanitari ed a quanti detengono il potere economico e politico (cfr. CL 38). In particolare la Chiesa esorta i laici ad affrontare coraggiosamente le sfide poste dai nuovi problemi della bioetica (cfr. ).


5. Tra i diritti della persona, da difendere e promuovere, vi è quello della libertà religiosa, della libertà di coscienza e della libertà di culto (cfr. CL 39). La Chiesa sostiene che la società ha il dovere di assicurare il diritto della persona a professare le sue convinzioni ed a praticare la sua religione, entro i debiti limiti determinati dal giusto ordine pubblico (cfr. DH 2 DH 7). Per la difesa e la promozione di questo diritto non sono mancati i martiri, in tutti i tempi.

I laici sono chiamati ad impegnarsi nella vita politica, secondo le capacità e le condizioni di tempo e di luogo, per promuovere il bene comune in tutte le sue esigenze, e specialmente per attuare la giustizia a servizio dei cittadini, in quanto persone. Come leggiamo nella Esortazione apostolica Christifideles laici, "una politica per la persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella difesa e nella promozione della giustizia" (CL 42). E' chiaro che in tale impegno, che è di tutti i membri della città terrena, i laici cristiani sono chiamati a dare l'esempio di un comportamento politico onesto, che non cerca vantaggi personali, né pretende di servire cause di gruppi e partiti con mezzi illeciti, su vie che, di fatto, portano al crollo degli ideali anche più nobili e sacri.


6. I laici cristiani non mancheranno di unirsi agli sforzi della società per ristabilire nel mondo la pace. Per loro si tratta di attuare la pace data da Cristo (cfr. Jn 14,27 Ep 2,14) nelle sue dimensioni sociali e politiche, nei singoli Paesi e nel mondo, come sempre più richiede la coscienza dei popoli. A questo scopo, è loro compito svolgere un'opera educativa capillare, destinata a sconfiggere la vecchia cultura dell'egoismo, della rivalità, della sopraffazione, della vendetta, e a sviluppare quella della solidarietà e dell'amore del prossimo (cfr. CL 42).

Ai laici cristiani spetta pure di impegnarsi nello sviluppo economico-sociale. E' un'esigenza del rispetto della persona, della giustizia, della solidarietà, dell'amore fraterno. Sta a loro collaborare con tutti gli uomini di buona volontà per trovare i modi di assicurare la destinazione universale dei beni, qualunque sia il regime sociale di fatto vigente (cfr. CL 43). Sta a loro, inoltre, difendere i diritti dei lavoratori, cercando adeguate soluzioni ai gravissimi problemi della crescente disoccupazione e lottando per il superamento di tutte le ingiustizie. Come laici cristiani, essi sono nel mondo espressione della Chiesa che attua la propria dottrina sociale. Devono tuttavia essere consapevoli della loro personale libertà e responsabilità nelle questioni opinabili, sulle quali le loro scelte, pur sempre ispirate ai valori del Vangelo, non vanno presentate come le uniche possibili per i cristiani. Anche il rispetto delle legittime opinioni e scelte diverse dalle proprie è un'esigenza della carità.


7. I laici cristiani hanno infine il compito di contribuire allo sviluppo della cultura umana, con tutti i suoi valori. Presenti nei vari campi della scienza, della creazione artistica, del pensiero filosofico, della ricerca storica ecc., essi vi porteranno l'ispirazione necessaria che viene dalla loro fede. E, poiché lo sviluppo della cultura comporta sempre più l'impegno dei mass media, strumenti così importanti per la formazione della mentalità e del costume, essi avranno un vivo senso di responsabilità nel loro impegno nella stampa, nel cinema, nella radio, nella televisione, nel teatro, proiettando sul loro lavoro la luce del mandato di annunciare il Vangelo in tutto il mondo: esso è particolarmente attuale nel mondo d'oggi, nel quale è urgente mostrare le vie della salvezza aperte per tutti da Gesù Cristo (cfr. CL 44).





Ai ragazzi italiani presenti nella Basilica Vaticana

Il Sinodo Speciale per l'Africa manifesta l'universalità della famiglia dei credenti

Carissimi ragazzi e ragazze! Carissimi studenti!


1. Sono lieto di accogliervi quest'oggi nella splendida Basilica di San Pietro, che rappresenta il cuore dell'intera cristianità.

In questi giorni un grande evento si sta svolgendo proprio qui in Vaticano: l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi, dedicata all'evangelizzazione in Africa. Si può avvertire così, in maniera ancor più incisiva, quanto sia universale la famiglia dei credenti e quanto importante sia il servizio alla verità e all'unità che il Successore di Pietro è chiamato a svolgere con il suo Universale Ministero Apostolico. Vi invito a pregare per questo. Come pure vi esorto tutti a vivere intensamente il clima della Santa Pasqua, da poco celebrata, che si prolunga durante l'intero tempo liturgico pasquale e caratterizza anche l'odierno nostro incontro, rendendolo più festoso e spirituale. "Il Signore è veramente risorto, Alleluja!", ripete la liturgia. Il Risorto è presente nella sua Chiesa e la guida con la forza del suo Spirito.

So che alcuni di voi stanno per ricevere, od hanno da poco ricevuto, la santa Comunione o il sacramento della Cresima. Sappiate accogliere con amore, carissimi, il Signore che si dona a voi nei segni sacramentali, e siate testimoni di Cristo, trasmettendo ai vostri coetanei, con la parole e l'esempio, i perenni valori del Vangelo.


2. Saluto cordialmente ciascuno di voi, particolarmente i numerosi gruppi di alunni e studenti, provenienti da varie regioni d'Italia. Vi invito tutti ad impegnarvi seriamente nella formazione umana, culturale e spirituale.

Desidero rivolgere una parola di apprezzamento ai ragazzi ed ai responsabili delle scuole aderenti alla F.I.D.A.E., per il significativo servizio di animazione che la loro Federazione offre in campo scolastico ed educativo, valorizzando la grande tradizione pedagogica e culturale cattolica. Carissimi, auguro ad ognuno di voi di crescere armoniosamente nel corpo e nello spirito, preparandovi adeguatamente ai compiti che in futuro vi saranno affidati.

Con questo auspicio, invoco su di voi la celeste protezione di Maria, Madre di Dio e Madre nostra, e di cuore vi benedico, insieme con i vostri genitori, educatori ed amici.






Mercoledi 20 Aprile 1994: I lavoratori nella Chiesa

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1. Tra i fedeli laici meritano una speciale menzione i lavoratori. La Chiesa è consapevole dell'importanza che il lavoro ha nella vita umana e ne riconosce il carattere di componente essenziale della società, sia a livello socioeconomico e politico, sia a livello religioso. Sotto quest'ultimo aspetto, essa lo considera come espressione primaria dell'"indole secolare" (
LG 31) dei laici, che in massima parte sono dei lavoratori e possono trovare nel lavoro la via della santità. Il Concilio Vaticano II, mosso da questa convinzione, considera nella prospettiva dell'impegno della salvezza l'opera di coloro che vi sono dediti, chiamandoli a collaborare all'apostolato (cfr. LG 41).


2. A questo argomento ho dedicato l'Enciclica "Laborem Exercens" e altri documenti e interventi, con i quali ho cercato di illustrare il valore, la dignità, le dimensioni del lavoro, in tutta la sua eminente grandezza. Qui mi limitero a ricordare che la prima ragione di questa grandezza e dignità consiste nel fatto che il lavoro è una cooperazione all'opera creatrice di Dio. Il racconto biblico della creazione lo fa capire quando dice che "il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse" (Gn 2,15), ricollegandosi in questo modo al precedente ordine di soggiogare la terra (cfr. Gn 1,28). Come ho scritto nell'Enciclica citata, "l'uomo è immagine di Dio, tra l'altro, per il mandato ricevuto dal suo Creatore di soggiogare, di dominare la terra. Nell'adempimento di tale missione, l'uomo, ogni essere umano, riflette l'azione stessa del Creatore dell'universo" (LE 4).


3. Secondo il Concilio (LG 41), il lavoro costituisce una via verso la santità, perché offre l'occasione di a) perfezionare se stessi. Il lavoro, infatti, sviluppa la personalità dell'uomo, esercitandone le qualità e capacità. Lo comprendiamo meglio nella nostra epoca, con il dramma dei numerosi disoccupati che si sentono menomati nella loro dignità di persone umane. Occorre dare il massimo rilievo a questa dimensione personalistica in favore di tutti i lavoratori, cercando di assicurare in ogni caso condizioni di lavoro degne dell'uomo; b) aiutare i concittadini. E' la dimensione sociale del lavoro, che è un servizio per il bene di tutti.

Questo orientamento deve essere sempre sottolineato: il lavoro non è un'attività egoistica, ma altruistica; non si lavora esclusivamente per se stessi, ma anche per gli altri; c) far progredire tutta la società e la creazione. Il lavoro raggiunge dunque una dimensione storico-escatologica, e si direbbe cosmica, in quanto la sua finalità è di contribuire a migliorare le condizioni materiali della vita e del mondo, aiutando l'umanità a raggiungere, su questa via, le mete superiori alle quali Dio la chiama. L'odierno progresso rende più evidente questa finalizzazione del lavoro al miglioramento su scala universale. Ma rimane molto da fare per adeguare il lavoro a questi fini voluti dallo stesso Creatore; d) imitare Cristo con carità operosa. Torneremo su questo punto.


4. Sempre nella luce del Libro della Genesi, secondo il quale Dio istitui e comando il lavoro rivolgendosi alla prima coppia umana (cfr. Gn 1,27-28), acquista tutto il suo significato l'intenzione di tanti uomini e di tante donne che lavorano per il bene della loro famiglia. L'amore per il coniuge e per i figli, che ispira e stimola la maggior parte degli esseri umani al lavoro, conferisce a questo lavoro una maggiore dignità, e ne rende più agevole e piacevole l'esecuzione, anche quando costi molta fatica.

A questo proposito, è doveroso osservare che anche nella società contemporanea, dove vige il principio del diritto degli uomini e delle donne al lavoro retribuito, va sempre riconosciuto ed apprezzato il valore del lavoro non direttamente lucrativo di molte donne che si dedicano alle necessità della casa e della famiglia. E' un lavoro che anche oggi ha un'importanza fondamentale per la vita della famiglia e per il bene della società.


5. Qui ci basti avere accennato a questo aspetto della questione, per passare ad un punto toccato dal Concilio, il quale menziona le "fatiche, spesso dure" (LG 41), comportate dal lavoro, nel quale, anche oggi, si verificano le parole bibliche: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,19). Come ho scritto nell'Enciclica "Laborem Exercens", "questa fatica è un fatto universalmente conosciuto, perché universalmente sperimentato. Lo sanno gli uomini del lavoro manuale, svolto talora in condizioni eccezionalmente gravose... Lo sanno, al tempo stesso, gli uomini legati al banco del lavoro intellettuale... Lo sanno le donne che, talora senza adeguato riconoscimento da parte della società e degli stessi familiari, portano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell'educazione dei figli (LE 9).

Sta qui la dimensione non solo etica, ma si può dire ascetica, che la Chiesa insegna a riconoscere nel lavoro, perché, proprio per la fatica che impone, richiede le virtù del coraggio e della pazienza, e quindi può diventare via di santità.


6. Proprio in virtù della fatica che comporta, il lavoro si manifesta più chiaramente come un impegno di collaborazione con Cristo nell'opera redentrice. Il suo valore, già costituito dalla partecipazione all'opera creatrice di Dio, assume luce nuova se lo si considera come partecipazione alla vita ed alla missione di Cristo. Non possiamo dimenticare che nell'Incarnazione il Figlio di Dio, fattosi uomo per la nostra salvezza, non ha mancato di impegnarsi rudemente nel lavoro comune.

Gesù Cristo ha imparato da Giuseppe il mestiere del carpentiere e lo ha esercitato fino all'inizio della sua missione pubblica. A Nazareth, Gesù era conosciuto come "il figlio del carpentiere" (Mt 13,55), o come "il carpentiere" lui stesso (Mc 6,3). Anche per questo appare così connaturale che nelle sue parabole egli si riferisca al lavoro professionale degli uomini o al lavoro domestico delle donne, come ho notato nell'Enciclica "Laborem Exercens" (LE 26), e che manifesti la sua stima per i lavori più umili. Ed è un aspetto importante del mistero della sua vita: che, come Figlio di Dio, Gesù abbia potuto e voluto conferire una dignità suprema al lavoro umano. Con mani umane e con capacità umana, il Figlio di Dio ha lavorato, come noi e con noi, uomini del bisogno e della quotidiana fatica!


7. Alla luce e sull'esempio di Cristo, il lavoro assume per i credenti la sua più alta finalità, legata al mistero pasquale. Dopo aver dato l'esempio di un lavoro simile a quello di tanti altri lavoratori, Gesù ha compiuto l'opera più alta per la quale era mandato: la Redenzione, culminata nel sacrificio salvifico della Croce. Sul Calvario Gesù, in obbedienza al Padre, offre se stesso per la salvezza universale.

Ebbene, i lavoratori sono invitati a unirsi al lavoro del Salvatore.

Come dice il Concilio, essi possono e devono, "con carità operosa, lieti nella speranza e portando gli uni i pesi degli altri, imitare Cristo, le cui mani si esercitarono in lavori di carpentiere e che sempre opera col Padre alla salvezza di tutti" (LG 41).

Così il valore salvifico del lavoro, intravisto in qualche modo anche in sede filosofica e sociologica negli ultimi secoli, si rivela a un livello ben più alto come partecipazione all'opera sublime della Redenzione.


8. Ecco perché il Concilio afferma che tutti possono, "con lo stesso loro quotidiano lavoro ascendere ad una più alta santità anche sotto la forma apostolica" (LG 41). In questo è l'alta missione dei lavoratori, chiamati a cooperare non soltanto alla edificazione di un mondo materiale migliore, ma anche alla trasformazione spirituale della realtà umana e cosmica resa possibile dal Mistero pasquale.

Disagi e sofferenze, provenienti sia dalla fatica del lavoro stesso sia dalle condizioni sociali in cui esso si svolge, acquistano così, in virtù della partecipazione al sacrificio redentore di Cristo, soprannaturale fecondità per l'intero genere umano. Anche in questo caso valgono le parole di san Paolo: "Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola; ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8,22-23). Questa certezza di fede, nella visione storica ed escatologica dell'Apostolo, fonda la sua asserzione, carica di speranza: "Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18).


la preghiera per la martoriata città di Gorazde

Un naufragio dell'umanità

La nostra festosa assemblea post-pasquale è rattristata dalle notizie che giungono dalla città di Gorazde, vittima da tanti mesi di un disumano assedio.

Colpisce il fatto che l'assalto alla martoriata città è continuato nonostante l'accordo sul cessate-il-fuoco raggiunto e la tregua promessa dagli assedianti.

Desidero levare con insistenza il mio accorato appello alle parti affinché si attengano agli impegni assunti ed evitino a quelle popolazioni ulteriori inutili sofferenze.

Prego Iddio perché tutti i responsabili, compresi quelli della Comunità internazionale, si adoperino perché tacciano le armi, riprendano le trattative e si giunga presto alla tanto attesa pace in Bosnia ed Erzegovina. Nessuno può rimanere non coinvolto da un tale naufragio della civile convivenza e, oso dire, della stessa umanità.






Mercoledi 27 Aprile 1994: Dignità ed apostolato di coloro che soffrono

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1. La realtà della sofferenza è da sempre sotto gli occhi e spesso nel corpo, nell'anima, nel cuore di ciascuno di noi. Fuori dell'area della fede, il dolore ha sempre costituito il grande enigma dell'esistenza umana. Ma da quando Gesù con la sua passione e morte ha redento il mondo, una nuova prospettiva si è aperta: mediante la sofferenza è possibile progredire nel dono di sé e raggiungere il grado più alto dell'amore (cfr.
Jn 13,1), grazie a Colui che ci "ha amato e ha dato se stesso per noi" (Ep 5,2). Come partecipazione al mistero della Croce, la sofferenza può ora essere accolta e vissuta quale collaborazione alla missione salvifica di Cristo. Il Concilio Vaticano II ha affermato questa consapevolezza della Chiesa circa la speciale unione a Cristo sofferente per la salvezza del mondo di tutti coloro che sono tribolati ed oppressi (cfr. LG 41).

Gesù stesso, nella proclamazione delle Beatitudini, considera tutte le manifestazioni della sofferenza umana: i poveri, gli affamati, gli afflitti, coloro che sono disprezzati dalla società, o sono ingiustamente perseguitati.

Anche noi, guardando il mondo, scopriamo tanta miseria, in una molteplicità di forme antiche e nuove: i segni della sofferenza sono dappertutto. Parliamone dunque nella presente catechesi, cercando di scoprire meglio il disegno divino che guida l'umanità in un cammino così doloroso e il valore salvifico che la sofferenza - come il lavoro - ha per l'intera umanità.


2. Nella Croce è stato manifestato ai cristiani il "Vangelo della sofferenza" (Salvifici Doloris, 25). Gesù ha riconosciuto nel suo sacrificio la via stabilita dal Padre per la redenzione dell'umanità, e ha seguito questa via. Egli ha anche annunciato ai suoi discepoli che sarebbero stati associati a questo sacrificio: "In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà" (Jn 16,20). Ma questa predizione non resta isolata, non si esaurisce in se stessa, perché si completa con l'annuncio di una trasformazione del dolore in gioia: "Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia" (Jn 16,20). Nella prospettiva redentrice, la Passione di Cristo è orientata verso la Risurrezione. Anche gli uomini sono dunque associati al mistero della Croce, per partecipare, nella gioia, al mistero della Risurrezione.


3. Per questo motivo Gesù non esita a proclamare la beatitudine di coloro che soffrono: "Beati gli afflitti, perché saranno consolati... Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,4 Mt 5,11-12). Non si può capire questa beatitudine se non si ammette che la vita umana non si limita al tempo della permanenza sulla terra, ma è tutta proiettata verso la perfetta gioia e pienezza di vita dell'aldilà. La sofferenza terrena, quando è accolta nell'amore, è come un nocciolo amaro che racchiude il seme della nuova vita, il tesoro della gloria divina che verrà concessa all'uomo nell'eternità. Anche se lo spettacolo di un mondo carico di mali e di malanni di ogni specie è spesso così miserando, in esso tuttavia è nascosta la speranza di un mondo superiore di carità e di grazia. E' speranza che s'alimenta alla promessa di Cristo. Da essa sorretti, coloro che soffrono uniti a Lui nella fede sperimentano già in questa vita una gioia che può apparire umanamente inspiegabile. Infatti, il cielo inizia sulla terra, la beatitudine è, per così dire, anticipata nelle beatitudini. "Nelle persone sante - diceva San Tommaso d'Aquino - si ha un inizio della vita beata..." (cfr. I-II 69,2; cfr. II-II 8,7).


4. Un altro principio fondamentale della fede cristiana è la fecondità della sofferenza e quindi la chiamata, di tutti coloro che soffrono, ad unirsi all'offerta redentrice di Cristo. La sofferenza diventa così offerta, oblazione: come è avvenuto ed avviene in tante anime sante. Specialmente coloro che sono oppressi da sofferenze morali, che potrebbero sembrare assurde, trovano nelle sofferenze morali di Gesù il senso delle loro prove, ed entrano con Lui nel Getsemani. In Lui trovano la forza di accettare il dolore con santo abbandono e fiduciosa obbedienza alla volontà del Padre. E sentono nascere dal loro cuore la preghiera del Getsemani: "Non ciò che io voglio, o Padre, ma ciò che vuoi tu" (Mc 14,36). Si identificano misticamente col proposito di Gesù al momento dell'arresto: "Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?" (Jn 18,11).

In Cristo essi trovano anche il coraggio di offrire i loro dolori per la salvezza di tutti gli uomini, avendo appreso dall'offerta del Calvario la fecondità misteriosa di ogni sacrificio, secondo il principio enunciato da Gesù: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,24).


5. L'insegnamento di Gesù è confermato dall'apostolo Paolo, che aveva una coscienza molto viva della partecipazione alla Passione di Cristo nella sua vita e della cooperazione che in tal modo poteva offrire al bene della comunità cristiana. Grazie all'unione con Cristo nella sofferenza, egli poteva dire di completare in se stesso ciò che mancava ai patimenti di Cristo in favore del suo Corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). Convinto della fecondità di questa sua unione con la Passione redentrice, affermava: "In noi opera la morte, ma in voi la vita" (2Co 4,12). Le tribolazioni della sua vita di apostolo non scoraggiavano Paolo, ma ne corroboravano la speranza e la fiducia, perché si accorgeva che la Passione di Cristo era sorgente di vita: "Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza" (2Co 1,5-6). Guardando a questo modello, i discepoli di Cristo capiscono meglio la lezione del Maestro, la vocazione alla Croce, in vista del pieno sviluppo della vita di Cristo nella loro esistenza personale e della misteriosa fecondità a beneficio della Chiesa.


6. I discepoli di Cristo hanno il privilegio di capire il "Vangelo della sofferenza", che ha avuto un valore salvifico, almeno implicito, in tutti i tempi, perché "attraverso i secoli e le generazioni è stato constatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l'uomo a Cristo, una particolare grazia" (Salvifici Doloris, 26). Chi segue Cristo, chi accetta la teologia del dolore di San Paolo, sa che alla sofferenza è legata una grazia preziosa, un favore divino, anche se si tratta di una grazia che rimane per noi un mistero, perché si nasconde sotto le apparenze di un destino doloroso.

Certo non è facile scoprire nella sofferenza l'autentico amore divino, che vuole, mediante la sofferenza accettata, elevare la vita umana al livello dell'amore salvifico di Cristo. La fede, pero, ci fa aderire a questo mistero e mette nell'anima di chi soffre, malgrado tutto, pace e gioia: a volte si giunge a dire, con San Paolo: "Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione" (2Co 7,4).


7. Chi rivive lo spirito di oblazione di Cristo è spinto a imitarlo anche nell'aiuto agli altri sofferenti. Gesù ha soccorso le innumerevoli sofferenze umane che lo circondavano. E' un modello perfetto anche in questo. Ed egli ha pure enunciato il precetto del mutuo amore che comporta la compassione e il reciproco aiuto. Nella parabola del Buon Samaritano Gesù insegna l'iniziativa generosa in favore di coloro che soffrono! Egli ha rivelato la sua presenza in tutti coloro che si trovano nel bisogno e nel dolore, sicché ogni atto di soccorso ai miseri raggiunge Cristo stesso (cfr. Mt 25,35-40).

Vorrei lasciare, a tutti voi che mi ascoltate, come conclusione, le parole stesse di Gesù: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Ciò significa che la sofferenza, destinata a santificare coloro che soffrono, è destinata a santificare anche coloro che portano ad essi aiuto e conforto. Siamo sempre nel cuore del mistero della Croce salvifica!




Catechesi 79-2005 60494