Catechesi 79-2005 14124

Mercoledi 14 Dicembre 1994: La vita in comune nella luce evangelica

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1. Circa gli aspetti essenziali della vita consacrata il Concilio Vaticano II, nel Decreto Perfectae Caritatis, dopo aver trattato dei consigli evangelici di castità, povertà, obbedienza, parla della vita in comune in riferimento all'esempio delle prime comunità cristiane e nella luce del Vangelo.

L'insegnamento del Concilio su questo punto è molto importante, anche se è vero che una vita in comune strettamente intesa non esiste o viene molto ridotta in alcune forme di vita consacrata, come quelle eremitiche, mentre non è necessariamente richiesta negli Istituti secolari. Ma essa esiste nella grande maggioranza degli Istituti di vita consacrata ed è ritenuta da sempre, sia da parte dei Fondatori che della Chiesa, come una osservanza fondamentale per il buon andamento della vita religiosa e per un valido ordinamento dell'apostolato. A conferma di ciò, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha pubblicato recentemente (2 febbraio 1994) uno speciale documento su "La vita fraterna in comunità".


2. Se guardiamo al Vangelo, si può dire che la vita in comune risponda all'insegnamento di Gesù sul legame fra i due precetti dell'amore verso Dio e dell'amore verso il prossimo. In uno stato di vita in cui si vuole amare Dio sommamente, non si può non impegnarsi anche ad amare con particolare generosità il prossimo, cominciando da coloro che sono più vicini perché appartengono alla medesima comunità. Questo è lo stato di vita dei "consacrati ".

Inoltre, dal Vangelo risulta che le chiamate di Gesù sono state rivolte, si, a delle singole persone, ma in genere per invitarle ad associarsi, a formare un gruppo: così è stato per il gruppo dei discepoli, così per quello delle donne.

Nelle pagine evangeliche si trova anche documentata l'importanza della carità fraterna come anima della comunità e quindi come valore essenziale della vita comune. Vi si riferisce delle dispute che si ebbero a più riprese tra gli stessi Apostoli, i quali, seguendo Gesù, non avevano cessato di essere uomini, figli del loro tempo e del loro popolo: si preoccupavano di stabilire primati di grandezza e di comando. La risposta di Gesù fu una lezione di umiltà e disponibilità a servire (cfr.
Mt 18,34 paralleli). Poi egli diede loro il "suo" comandamento quello dell'amore mutuo (cfr. Jn 13,34 Jn 15,12 Jn 15,17) secondo il suo esempio. Nella storia della Chiesa, e in particolare degli Istituti di religiosi, il problema dei rapporti tra individui e gruppi si è spesso riproposto, e non ha avuto altra risposta valida che quella dell'umiltà cristiana, dell'amore fraterno, che unisce nel nome e per virtù della carità di Cristo, come ripete l'antico canto delle "agapi": Congregavit nos in unum Christi amor: l'amore di Cristo ci ha raccolti insieme.

Certo, la pratica dell'amore fraterno nella vita comune richiede sforzi e sacrifici notevoli, ed esige generosità non meno dell'esercizio dei consigli evangelici. perciò l'ingresso in un Istituto religioso o in una Comunità implica un serio impegno a vivere l'amore fraterno in ogni suo aspetto.


3. E di esempio in ciò la comunità dei primi cristiani. Essa si raduna, subito dopo l'Ascensione, per pregare in unità di cuore (cfr. Ac 1,14), e per perseverare nella "comunione" fraterna (Ac 2,42), giungendo persino alla condivisione dei beni: "tenevano ogni cosa in comune" (Ac 2,44). L'unità desiderata da Cristo trovava in quel momento dell'inizio della Chiesa un'attuazione degna di essere ricor

Data: "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola" (Ac 4,32).

Nella Chiesa è rimasto sempre vivo il ricordo - forse anche la nostalgia - di quella comunità primitiva, e in fondo le comunità religiose hanno sempre cercato di riprodurre quell'ideale di comunione nella carità diventata norma pratica di vita in comune. I loro membri, radunati dalla carità di Cristo, vivono insieme perché intendono permanere in questo amore. così possono essere testimoni del vero volto della Chiesa, in cui si riflette la sua anima: la carità.

"Un cuore solo, un'anima sola" non significa uniformità, monolitismo, appiattimento, ma comunione profonda nella mutua comprensione e nel reciproco rispetto.


4. Non si può trattare, pero, soltanto di una unione di simpatia e di affetto umano. Il Concilio, eco degli Atti degli Apostoli, parla di "unità di spirito" (PC 15). Si tratta di una unità che ha la sua più profonda radice nello Spirito Santo, che effonde la carità nei cuori (cfr. Rm 5,5) e spinge persone diverse ad aiutarsi nel cammino di perfezione, instaurando e mantenendo fra loro un clima di buona intesa e di cooperazione. Come assicura l'unità in tutta la Chiesa, lo Spirito Santo la stabilisce e la fa durare in modo anche più intenso nelle comunità di vita consacrata.

Quali sono le vie della carità infusa dallo Spirito Santo? Il Concilio attira l'attenzione specialmente sulla stima reciproca (cfr. PC 15). Esso applica ai religiosi due raccomandazioni di San Paolo ai cristiani: "Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,10) - "Portate i pesi gli uni degli altri" (Ga 6,2).

La mutua stima è un'espressione del mutuo amore, che s'oppone alla tendenza così diffusa a giudicare severamente il prossimo e a criticarlo. La raccomandazione paolina stimola a scoprire negli altri le loro qualità e, per quanto è dato di vedere ai poveri occhi umani, la meravigliosa opera della grazia e - in definitiva - dello Spirito Santo. Questa stima comporta l'accettazione dell'altro con le sue proprietà e il suo modo di pensare e di agire; così è possibile superare molti ostacoli all'armonia fra caratteri spesso molto diversi.

"Portare i pesi gli uni degli altri" significa assumere con simpatia i difetti, veri o apparenti, degli altri, anche quando se ne sente fastidio, e accettare volentieri tutti i sacrifici che vengono imposti dalla convivenza con coloro che non hanno mentalità e temperamento pienamente conformi al proprio modo di vedere e di giudicare.


5. Il Concilio (PC 15), sempre a questo riguardo, ricorda che la carità è il compimento della legge (cfr. Rm 13,10), il vincolo della perfezione (cfr. Col 3,14), il segno del passaggio dalla morte alla vita (cfr. 1Jn 3,14), la manifestazione dell'avvento di Cristo (cfr. Jn 14,21 Jn 14,23), la fonte di energia per l'apostolato. Possiamo applicare alla vita in comune l'eccellenza della carità descritta da San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (13,1-13), e attribuire ad essa quelli che l'Apostolo chiama i frutti dello Spirito: "Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza, dominio di sé" (Ga 5,22): frutti - dice il Concilio - dell'"amore di Dio diffuso nei cuori" (PC 15).

Gesù ha detto: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Ecco: la presenza di Cristo è acquisita dovunque vi sia unità nella carità, e la presenza di Cristo è fonte di gioia profonda, che si rinnova ogni giorno, fino al momento dell'incontro definitivo con Lui.

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Ai fedeli di lingua italiana

Accolgo con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le Juniores delle Figlie di San Paolo, ormai prossime alla professione perpetua, che emetteranno nei diversi Paesi di origine dell’Europa, dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia.

Carissime, il Vangelo di Cristo sia sempre la vostra gioia e la vostra forza; annunciatelo dovunque il Signore vi manderà, con la vita, con la parola e mediante il saggio utilizzo degli strumenti di comunicazione sociale.

Saluto inoltre i militari della Scuola di Artiglieria Controaerea, accompagnati dal nuovo Comandante, dal Cappellano e dai familiari. Il Signore Gesù, Principe della Pace, vi renda leali e coraggiosi operatori di pace.

Rivolgendomi poi ai membri della Fondazione “Cetacea”, incoraggio volentieri la loro opera di tutela della fauna marina e, più in generale, del mare e delle sue risorse.


(Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli presenti:)

Rivolgo ora un pensiero cordiale ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli, ai quali addito la grande figura di San Giovanni della Croce, Sacerdote e Dottore della Chiesa, di cui oggi celebriamo la memoria liturgica. Con grande coerenza egli abbraccio per primo la riforma dell'Ordine carmelitano e la sostenne tra innumerevoli difficoltà e sofferenze.

Carissimi giovani, sull'esempio di questo grande maestro spirituale, testimoniate nell'esistenza quotidiana la vostra adesione alla volontà di Dio.

Voi, malati e sofferenti, siate pronti ad accettare e a portare la vostra croce ogni giorno, imitando Cristo, nostra pace. E voi, sposi novelli, fate in modo che la vostra famiglia si ispiri sempre al mutuo e fedele amore e all'obbedienza fiduciosa verso il Signore.

Invitandovi tutti ad intensificare la preparazione spirituale al Natale, ormai prossimo, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.





Mercoledi 21 Dicembre 1994: Natale: festa di Dio, della famiglia e della vita

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Il Papa è vicino con la preghiera e con l'affetto agli ammalati, ai sofferenti e a coloro che saranno costretti a trascorrere la lieta ricorrenza lontano dalla loro casa

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. Fra pochi giorni celebreremo il Natale del Signore e siamo tutti impegnati a prepararci a tale evento, affinché il Figlio di Dio trovi nei nostri cuori un ambiente disponibile e ospitale. Quale grande mistero ci apprestiamo a rivivere nella notte santa! In quest'ultimo scorcio del tempo d'Avvento, la liturgia pone in rilievo l'attesa dell'intera creazione. E' come se essa sentisse l'arrivo di Colui che ne ricompone la primordiale armonia, ferita a causa del rifiuto di Adamo; essa attende Colui che la riconduca alla piena unità con il suo Creatore.

Il Verbo incarnandosi - ricorda l'apostolo Paolo - rinnova l'ordine cosmico del creato (cfr.
Ep 1,10 Rm 8,19-22).

Il Natale ormai vicino è festa del creato, ma soprattutto dell'uomo, poiché Colui che sta per venire è il Redentore dell'uomo, che "proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22). Assumendo la carne dell'uomo che aveva rifiutato la familiarità con Dio, Gesù Cristo risana e redime l'umanità tutt'intera, restituendole la somiglianza e l'amicizia con Dio infranta dal peccato. Gesù viene nel mondo "affinché tutti gli uomini abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).


2. L'atmosfera che circonda l'evento di Betlemme è sempre carica di gioia, di luce e di amore. A ragione, in questi giorni, si sente più forte l'invito alla bontà e alla pace; l'invito ad abbandonare il male per volgersi al bene.

Cosa cerca in effetti il credente dentro l'umile mangiatoia accanto a cui vegliano Giuseppe, Maria e l'intera creazione? L'uomo cerca Dio perché avverte che Dio lo sta cercando. Il cuore umano aspira ad incontrare Iddio e a riposare in Lui. Lo ricordava sant'Agostino sottolineando che il Padre celeste ci ha fatti per sé e il nostro cuore è inquieto sino a quando non lo trova e non riposa in Lui.

Il Redentore, il Verbo eterno "pieno di grazia e di verità" (Jn 1,14), venendo sulla terra invita l'umanità al banchetto della sua luce e svela a chi lo accoglie la sua gloria, "gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Jn 1,14). Siamo figli di Dio! "Dio vuole - ho scritto nella Lettera ai Bambini recentemente pubblicata - che tutti siamo suoi figli adottivi mediante la grazia. Sta qui la vera fonte della gioia del Natale". Occorre rallegrarsi "di questo Vangelo della divina figliolanza".

Ogni volta che celebriamo il Natale, annunciamo questo straordinario prodigio: il Verbo, nel quale è la vita, si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi. Ne possiamo così contemplare la gloria di Unigenito dal Padre, luce di verità con cui ciascuno è chiamato a confrontarsi, se vuole essere in grado di discernere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che porta alla vita e ciò che invece lo consegna alla morte. Il Natale, dunque, è la festa della luce, perché la luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo che si incarna a Betlemme.

Ricorda il Concilio Vaticano II che "solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22). Il divin Bambino si consegna a noi come "luce delle genti", affinché tutti possano riconoscere la verità che egli è, dando così compimento alla nostalgia del senso autentico della vita e fornendo sicuro fondamento alla speranza che abita il cuore umano.


3. Il Natale non è solo la festa di Dio che si fa uomo; Natale è pure la festa della famiglia e della vita. Nasce un bambino per noi, ci vien dato un figlio (cfr. Is 9,5). Il Figlio di Dio, con il suo apparire tra gli uomini, pone in evidenza il senso pieno di ogni nascita umana.

Ogni figlio che viene al mondo reca con sé gioia: gioia, prima di tutto per i suoi genitori e poi per la famiglia e per l'umanità tutt'intera (cfr. Jn 16,21). Fra poco si concluderà l'Anno della Famiglia, che abbiamo celebrato lungo tutto il 1994. Le varie manifestazioni che lo hanno contrassegnato sono state tante occasioni per approfondire il "Vangelo della Famiglia" e per porre in evidenza le sfide con cui oggi i nuclei familiari sono posti a confronto in ogni parte del mondo.

Vorrei ancora una volta rendere grazia a Dio per aver voluto Egli nascere nella Santa Famiglia di Nazaret. Allo stesso tempo, dinanzi al presepe, che offre alla nostra meditazione l'immagine della vita nascente, sentiamo il vivo desiderio di riaffermare con forza che la famiglia, ogni famiglia è chiamata ad essere la festa e il santuario della vita. E' questa la vocazione principale della famiglia: donare e coltivare con amore e rispetto la vita d'ogni suo membro.

Di fronte alle tante minacce ed insidie contro la famiglia, primordiale cellula della Chiesa e della società, siamo invitati a prendere rinnovata coscienza della nostra responsabilità di credenti. Tutti.

Ogni famiglia sentirà allora forte, di fronte al presepe, l'appello a difendere, amare e servire la vita umana, specialmente quando essa è debole ed indifesa.

L'incarnazione redentrice del Figlio di Dio è al centro della fede della Chiesa, ed essa mai potrà stancarsi di annunciare il "Vangelo della vita" in ogni angolo della terra ed a ciascuna creatura (cfr. Mc 16,15).


4. Auspico, carissimi Fratelli e Sorelle, che sull'esempio della Santa Famiglia ogni famiglia cristiana sappia essere una scuola di fede, di preghiera, di umanità e di gioia vera, ponendo al centro Dio insieme alle esigenze della sua legge scritta in ogni cuore e rivelata appieno in Cristo Gesù nostro Salvatore. Solo così sarà possibile costruire un avvenire sereno e proficuo per tutti.

Il Signore affida questa missione a ciascuno, ma a Natale la affida in particolare alle famiglie e ai bambini. Come ho scritto nella Lettera appena ricordata, "il Papa conta molto" sulle preghiere dei piccoli e chiede loro di farsi carico "della preghiera per la pace". In effetti, "l'amore e la concordia costruiscono la pace, l'odio e la violenza la distruggono".

Carissimi Fratelli e Sorelle, formulo a voi qui presenti ed alle vostre famiglie ogni più santo augurio natalizio. Il mio cordiale ricordo va in special modo agli ammalati, ai sofferenti ed a coloro che per qualsiasi ragione saranno costretti a trascorrere il Natale lontano dalla loro casa. Il Papa è loro vicino con la preghiera e con il suo affetto. Accompagno questi voti augurali con una speciale Benedizione pegno di copiose consolazioni celesti.

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Ai pellegrini giapponesi

Rendiamo grazie a Dio!

Cari pellegrini del Giappone. Mi auguro che il Signore benedica il vostro “Good Shepherd Movement” con abbondante grazia divina. Anch’io benedico voi e il vostro impegno apostolico.

Rendiamo grazie a Dio!

Ai gruppi di diverse diocesi italiane

Porgo il mio cordiale benvenuto ai pellegrini italiani, in particolare al gruppo di malati e soci delle Associazioni malattie metaboliche ereditarie. Il vostro coordinamento, carissimi, si chiama “Cometa”, un nome natalizio. Auguro che Gesù, nato a Betlemme, sia la luce che guida sempre i vostri passi, specialmente nei momenti difficili.

Saluto poi i Frati Minori del Convento di Santa Maria in Aracoeli e della Provincia Romana, che recano la statua del Bambino Gesù, destinata a sostituire, nel tradizionale Presepe, quella rubata e, purtroppo, non ancora ritrovata. Volentieri benedico il nuovo Bambinello, e sono riconoscente alle Forze dell’Ordine ed ai Benefattori, anzitutto ai Carabinieri e ai dipendenti del Poligrafico dello Stato, che si sono dati da fare per restituire ai romani un segno così caro alla loro devozione.

Con gioia accolgo gli Alpini della Sezione “Abruzzi”, ricordando il bellissimo incontro al Gran Sasso del giugno ‘93, come pure gli ufficiali, i sottufficiali e gli agenti del Corpo Forestale di Sabaudia. Nel ringraziare per i cortesi omaggi, auguro a tutti pace e serenità.

Un saluto inoltre ai membri della Comunità “Amore e Libertà” con i loro bambini, e al Coro “Leptiti Mira” (“Farfalle di pace”), composto da ragazzi bosniaci ospiti nei campi profughi di Cervignano del Friuli, Udine e Ravenna: invoco su tutti voi la speciale protezione della Santa Famiglia di Nazareth.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli presenti oggi, desidero infine rivolgere un particolare augurio natalizio. La nascita del Salvatore sia occasione per voi, cari giovani, di approfondire il senso autentico della vita; rechi a voi, cari ammalati, intimo conforto, e doni a voi, cari sposi novelli, la gioia di essere famiglia cristiana.






Mercoledi 28 Dicembre 1994: Dal Natale parte la nuova storia dell'umanità

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Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. "E apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini..." (
Tt 2,11). così scrive San Paolo al discepolo Tito, mentre l'Autore della Lettera agli Ebrei inizia la sua importante meditazione su Gesù Cristo, sacerdote e vittima, con queste parole: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (He 1,1-2).

Sono queste le divine realtà che stanno davanti ai nostri occhi in questi giorni nei quali respiriamo l'atmosfera mistica e suggestiva che promana dalla grotta di Betlemme. Là, nella Città di Davide, è nato da Maria Santissima il divin Salvatore.

E noi Ci siamo inginocchiati in adorazione davanti a questo Bambino, che è il Verbo Divino, fatto Uomo per la nostra salvezza: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio... Tutto è stato fatto per mezzo di Lui... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,1-3 Jn 1,14).

Il Natale è pertanto un tempo di riflessione che non può non avere un impatto su tutta la vita. Dal Natale infatti parte la nuova storia dell'umanità, storia nella quale al peccato dell'uomo si fa incontro la salvezza divina.


2. Il nostro mondo è distratto da tanti interessi e attrattive; confuso e talora deluso, preoccupato e persino a volte angosciato per il persistere di minacce, contrasti e sofferenze. A Natale si sente come il bisogno di rivedere il senso autentico della propria esistenza e affiorano allo spirito le più alte aspirazioni alla solidarietà e alla pace.

In molte persone rimane pero un senso di perplessità e di spirituale disagio davanti al mistero dell'Incarnazione. Sarebbero disposte ad accoglierlo "come una dolce, profonda similitudine, ma non come verità nuda e cruda". Lo notava già Romano Guardini (Il Signore, parte I, cap. III), il quale osservava: occorre "circondare questa, che è la pupilla dei misteri del Cristianesimo, di pacata, trepida e supplice vigilanza: allora ci si svelerà pure una buona volta il senso. E intanto valga come parola d'ordine: Queste cose fa l'Amore" (Ibidem).

Con l'aiuto della grazia, bisogna mettersi nell'ottica del mistero e dell'amore, per giungere alla certezza della vera identità del Bambino nato a Betlemme! E una certezza suffragata, peraltro, dalle prove storiche riportate dai Vangeli e dalle testimonianze parallele contemporanee, come ho ricordato nella Lettera Apostolica "Tertio Millennio Adveniente": "Questo farsi uno di noi del Figlio di Dio - scrivevo - è avvenuto nella più grande umiltà, sicché non meraviglia che la storiografia profana, presa da fatti più clamorosi e da personaggi maggiormente in vista, non gli abbia dedicato all'inizio che fuggevoli, anche se significativi cenni... Il grande evento, che gli storici non cristiani si limitano a menzionare, acquista la sua luce piena negli scritti del Nuovo Testamento che, pur essendo documenti di fede, non sono meno attendibili, nell'insieme dei loro riferimenti, anche come testimonianze storiche" (TMA 5).

Iniziando il suo Vangelo San Luca afferma di aver fatto "ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi" (cfr. Lc 1,3). San Giovanni nel "Prologo" assicura: "Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Jn 1,14); e la Seconda Lettera di Pietro conferma: "Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro. Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza" (2P 1,16).


3. La riflessione che il Natale stimola nei credenti diventa, pertanto, anche momento di gioia intima e profonda. E la gioia sperimentata da Maria per la sua divina maternità (cfr. Lc 1,46-47); è la gioia che l'angelo annunzia ai pastori di Betlemme nella notte santa; è la gioia dei Magi quando rivedono la stella misteriosa del loro viaggio (cfr. Mt 2,10); ed è infine la gioia che Gesù promette e dà agli apostoli e ai suoi fedeli e che farà esclamare San Paolo: "Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione!" (2Co 7,4).

Davanti al mistero dell'Incarnazione, infatti, è possibile scoprire che la vita di ogni singola persona e dell'intero genere umano ha un significato che va oltre il tempo e sfocia nell'eterno.

Gesù, Verbo incarnato, inseritosi nell'umana vicenda, ci rassicura circa la presenza in essa di Dio e della sua provvidenza, del suo amore e del la sua misericordia. Iddio ha un "progetto" di salvezza per tutti ed attende la nostra adesione.


4. Il Natale diventa pertanto anche momento di decisione, come ho ricordato di recente. A motivo della crisi della cultura moderna, i credenti si trovano davanti a tre grandi categorie di uomini in difficoltà: "Coloro che ancora non credono; coloro che sono nati nel contesto di popoli cristiani tra i più fedeli, ma che oggi non credono più; e coloro che avendo il dono della fede, non sono in grado di conformare la propria vita al vangelo" (Ai professori e alunni dell'"Angelicum", n. 3). Possa la solennità del Natale stimolare ogni battezzato ad essere testimone intrepido della fede cristiana, mediante la parola e l'esempio, la preghiera assidua e la carità generosa verso tutti i fratelli, specialmente i più bisognosi.

Vivremo così in maniera autentica le feste natalizie e, in particolare, i giorni che ci separano dalla fine del 1994 e dall'inizio del nuovo anno.

Auguro a voi qui presenti e a tutti i credenti di approfondire nella meditazione e nell'azione il misterioso annuncio del Natale. Auguro questo specialmente alle famiglie affinché possano concludere quest'anno a loro dedicato in un clima di rinnovata scoperta di Cristo, nostra autentica gioia e Principe della pace.

Con tali sentimenti tutti vi benedico.

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Ai pellegrini italiani

Rivolgo ora fervidi voti augurali per le feste Natalizie ed il Nuovo Anno ai pellegrini di lingua italiana presenti a questa Udienza.

Saluto in particolare i membri del gruppo liturgico di Chivasso, che accompagnati dal Vescovo della diocesi di Ivrea, Monsignor Luigi Bettazzi e dal loro Parroco sono venuti a Roma per festeggiare il 30° anniversario di attività.

Formulo un augurio speciale al numeroso gruppo di studenti del Centro di Studi Superiori dei Legionari di Cristo. Carissimi, mentre vi assicuro un costante ricordo nella preghiera perché possiate rispondere sempre fedelmente alla chiamata del Signore, vi saluto con affetto insieme ai vostri superiori ed insegnanti.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo, infine, un cordiale saluto ai giovani, agli ammalati, ed agli sposi novelli.

Il Bambino di Betlemme doni la sua luce a voi cari giovani, perché possiate ispirare al Vangelo i vostri progetti di vita; dia fiducia e conforto a voi cari ammalati, perché possiate con serenità offrire a Dio le vostre quotidiane sofferenze, e conceda a voi cari sposi, la generosa disponibilità nel compiere la volontà divina in famiglia avendo sempre davanti agli occhi il modello della Santa Famiglia di Nazareth.

A tutti la mia benedizione.

Il tributo di sangue dei quattro Padri Bianchi sia seme di riconciliazione e di pace per l’Algeria:

Un ulteriore drammatico avvenimento è venuto a rattristare il clima festoso delle celebrazioni natalizie: il barbaro assassinio di quattro “Padri Bianchi”, perpetrato ieri a Tizi-Ouzou, in Algeria.

Sono particolarmente vicino alla piccola Comunità cattolica che vive in tale martoriato Paese, ai Confratelli Missionari d’Africa, che confermano con questo nuovo tributo di sangue il loro amore per il Continente Africano, e alle famiglie delle vittime.

Prego Iddio che il sacrificio dei quattro sacerdoti sia seme di riconciliazione e di pace, ed induca tutti alla scelta del dialogo e della reciproca comprensione, senza cui non c’è futuro per una società veramente umana.

Dopo aver ricordato il sacrificio dei quattro religiosi uccisi in Algeria il Santo Padre, rispondendo al saluto dei tanti giovani presenti all’udienza, ha concluso:

Buon anno a tutti e grazie per il vostro entusiasmo. I giovani, i Legionari e quelli di “Regnum Christi”, ci entusiasmano e ci fanno guardare con più speranza e con più entusiasmo verso il nuovo anno. Buon anno nuovo!






Mercoledi 4 Gennaio 1995: L'impegno della preghiera nella vita consacrata

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Aula Paolo VI -


1. Nella tradizione cristiana è sempre stato attribuito un posto eminente alla contemplazione come espressione altissima della vita spirituale e momento culminante del processo della preghiera. L'atto contemplativo dà pienezza di significato alla vita religiosa, qualunque essa sia, come conseguenza della speciale consacrazione costituita dalla professione dei consigli evangelici. In forza di questa consacrazione, la vita religiosa è - e non può non essere - vita di preghiera e quindi di contemplazione, anche quando nella impostazione della spiritualità e nella pratica il tempo attribuito alla preghiera non è esclusivo né preponderante.

Per questo il Concilio afferma: "E necessario che i membri di qualsiasi Istituto, avendo di mira unicamente e sopra ogni cosa Iddio, congiungano la contemplazione, con cui siano in grado di aderire a Dio con la mente e col cuore, e l'ardore apostolico" (Decreto
PC 5). così il Concilio sottolinea che la contemplazione non s'impone soltanto negli Istituti di vita puramente contemplativa, ma in tutti gli Istituti, anche in quelli che si dedicano ad opere apostoliche molto impegnative. L'impegno della preghiera è essenziale in ogni vita consacrata.


2. E ciò che apprendiamo dal Vangelo, a cui si riferisce lo stesso Concilio. Un episodio evangelico più particolarmente evocato (cfr. PC 5) è quello di Maria di Betania che, "sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola". A Marta, che desiderava che sua sorella l'aiutasse nel servizio e perciò chiedeva l'intervento di Gesù per spingerla al lavoro, il Maestro rispose: "Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,38-42). Il significato di questa risposta è trasparente: la "parte migliore" consiste nell'ascoltare Cristo rimanendo presso di Lui, in adesione di spirito e di cuore. Ecco perché nella tradizione cristiana, ispirata al Vangelo, la contemplazione gode di una indiscussa priorità nella vita consacrata. Per di più il Maestro nella sua risposta fa capire a Marta che l'adesione alla sua persona, alla sua parola, alla verità che egli rivela e dona da parte di Dio, è "l'unica cosa (veramente) necessaria". Come a dire che Dio - e lo stesso suo Figlio fatto uomo - desidera l'omaggio del cuore prima dell'omaggio della attività; e che il senso della religione inaugurata nel mondo da Gesù è adorare "il Padre in spirito e verità" (Jn 4,24), come Egli stesso gradisce, secondo l'insegnamento dato alla Samaritana.


3. In questa priorità dell'omaggio del cuore il Concilio insegna a vedere anche la doverosa risposta all'amore di Dio che per primo ci ha amati (cfr. PC 6). I consacrati, cercati in modo privilegiato dal Padre, sono chiamati a loro volta a "cercare Dio", a volgere i loro desideri verso il Padre, a intrattenere contatti di preghiera con Lui, a donargli il loro cuore con ardente amore.

Questa intimità con Dio è attuata da essi nella vita con Cristo e in Cristo. Dice il Concilio: "In tutte le circostanze si sforzino di alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3)" (PC 6). E la vita nascosta della quale San Paolo enuncia la legge fondamentale: pensare "alle cose di lassù, non a quelle della terra" (Col 3,2). Questo aspetto nascosto dell'intima unione con Cristo si rivelerà nella sua profonda verità e bellezza quando ci troveremo nell'aldilà.


4. Sulla base di questa ragione essenziale della vita consacrata, il Concilio raccomanda: "I membri degli Istituti (religiosi) coltivino con assiduità lo spirito di preghiera e la preghiera stessa" (PC 6). Qui ci basti spiegare che lo "spirito di preghiera" si identifica con l'atteggiamento dell'anima che ha sete della intimità divina e si sforza di vivere in questa intimità, con totale dedizione di sé. Questo atteggiamento si esprime nella preghiera concreta, alla quale si dedica un certo tempo in ogni giorno della vita. Anche in questo si imita Gesù, che pure nel periodo più intenso del suo ministero riservava dei momenti al dialogo esclusivo col Padre nella preghiera solitaria (cfr. Mc 1,35 Lc 5,16 Lc 6,12).


5. Si sa che nella tradizione cristiana si sogliono distinguere varie forme di preghiera, e in particolare la preghiera "in comune" e la preghiera "solitaria".

Entrambe sono utili e generalmente prescritte. Forse è sempre da evitare che la preghiera comune disabitui a quella solitaria, o che questa diventi così preponderante da eliminare o svalutare quella comune. Un genuino spirito di preghiera evangelico regola entrambe le forme secondo un dosaggio benefico per l'anima, che i Fondatori e i Legislatori degli Istituti religiosi stabiliscono in sintonia con l'autorità della Chiesa.

Lo stesso si può ripetere circa la distinzione tra la preghiera vocale e la preghiera mentale, o "orazione". In realtà, ogni preghiera deve essere preghiera del cuore.

Gesù raccomanda la preghiera umile e sincera: "Prega il Padre tuo nel segreto" (Mt 6,6), avvertendo che non è la moltitudine delle parole ad assicurare l'esaudimento (Mt 6,7). Ma è altrettanto vero che la preghiera interiore tende, per la natura stessa dell'uomo, a esprimersi ed espandersi nelle parole, nei gesti, in un insieme di atti di culto cosiddetto esterno, la cui anima resta sempre la preghiera del cuore.


6. Il Concilio addita ancora le "fonti genuine della spiritualità cristiana" e della preghiera (PC 6): sono la Sacra Scrittura, della quale suggerisce la lettura e meditazione per poter entrare più profondamente nel mistero di Cristo, e la liturgia, soprattutto la celebrazione eucaristica, con la ricchezza delle sue letture, la partecipazione sacramentale all'offerta redentrice della Croce, il contatto vivo con Cristo, cibo e bevanda nella Comunione. Alcuni Istituti promuovono anche la pratica dell'adorazione eucaristica, atta a favorire la contemplazione e l'attaccamento alla persona di Cristo, e a testimoniare l'attrattiva che la sua presenza esercita sull'umanità (cfr. Jn 12,32). Non possono non essere lodati e proposti all'imitazione.


7. Si sa che ci sono oggi, come sempre in passato, degli Istituti "dediti interamente alla contemplazione" (PC 7). Essi hanno il loro posto nella vita della Chiesa, pur "nell'urgente necessità di apostolato" che si avverte oggi nel mondo. E il riconoscimento concreto della parola di Cristo circa l'"unico necessario". La Chiesa ha bisogno di questa preghiera dei contemplativi per crescere nella sua unione con Cristo e ottenere le grazie necessarie al suo sviluppo nel mondo. I contemplativi, i monaci, i monasteri di clausura sono dunque anche dei testimoni della priorità che la Chiesa attribuisce alla preghiera e della fedeltà che essa vuole sia conservata alla risposta data da Gesù a Marta sulla "parte migliore" scelta da Maria.


8. Bisogna a questo punto ricordare che la risposta alla vocazione contemplativa comporta profondi sacrifici, in particolare quello della rinuncia a un'attività direttamente apostolica, che specialmente oggi sembra così connaturale alla maggioranza dei cristiani, uomini e donne. I contemplativi si dedicano al culto dell'Eterno, e "offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode" (PC 7), in uno stato di oblazione personale così elevato da richiedere una vocazione speciale, che bisogna verificare prima dell'ammissione o della professione definitiva.

E pero da notare che anche gli Istituti contemplativi hanno nella Chiesa una funzione apostolica. Infatti la preghiera è un servizio alla Chiesa e alle anime. Essa produce "frutti abbondantissimi di santità" e procura al popolo di Dio "una misteriosa fecondità apostolica" (PC 7). Di fatto si sa che i contemplativi pregano e vivono per la Chiesa e spesso ottengono per il suo sostegno e il suo progresso grazie e aiuti celesti ben superiori a quelli realizzati con l'azione.

A questo riguardo è bello concludere la presente catechesi col ricordo di Santa Teresa del Bambino Gesù, che con la sua preghiera e il suo sacrificio serviva alla evangelizzazione come e più che se fosse stata tutta dedita all'azione missionaria. Tanto che fu proclamata Patrona delle Missioni. Ciò pone in evidenza l'importanza essenziale degli Istituti di vita contemplativa e richiama la necessità che tutti gli Istituti di vita consacrata, anche quelli dediti all'apostolato più intenso e più vario, ricordino che l'attività - pure la più santa e benefica in favore del prossimo - non dispensa mai dalla preghiera come omaggio del cuore, della mente e di tutta la vita a Dio.

(Ai pellegrini croati il Papa ha detto:] Saluto cordialmente gli alunni e gli insegnanti della Scuola Elementare di Kutina, i profughi di Banja Luka e di Doboj, come pure i bambini di varie località della Bosnia Erzegovina, che in occasione delle Feste Natalizie sono ospiti in Italia delle Parrocchie di Minturno, nei pressi di Latina, e di Casal di Principe, nei pressi di Caserta.

Carissimi, vi auguro che l'anno appena iniziato diventi un anno della vera pace e della giustizia per tutte le care popolazioni della Bosnia Erzegovina e della Croazia, così duramente provate dalla guerra. Vi assicuro che non cesso di pregare per tale intenzione.

Benedico ciascuno di voi e le vostre famiglie.

Siano lodati Gesù e Maria! (Ai giovani, agli amrnalati e alle coppie di sposi novelli:] Con l'augurio che la gioia di questo tempo natalizio riempia i pensieri e l'affetto del vostro cuore, saluto infine voi, giovani, malati e sposi novelli, presenti a questa udienza.

Lieti nella speranza ed appassionati del bene, siate, cari giovani autentici testimoni della luce che il Salvatore ha portato ad ogni uomo e che rischiara il cammino della vita. Voi cari ammalati, servite il Signore sopportando con pazienza e nella preghiera il dolore che colpisce i vostri corpi. E voi, cari sposi novelli, perseverate nel reciproco amore, che il sacramento nuziale ha purificato ed elevato, per edificare la vostra famiglia sulla concordia e sull'imitazione della carità divina.

La mia Benedizione Apostolica ottenga a tutti abbondante grazia e pace.





Catechesi 79-2005 14124