Catechesi 79-2005 11195

Mercoledi 11 Gennaio 1995: La vita consacrata al servizio della Chiesa

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Aula Paolo VI -


1. Il Concilio Vaticano II mette in luce la dimensione ecclesiologica dei consigli evangelici (
LG 44). Gesù stesso, nel Vangelo, lascia intendere che i suoi appelli alla vita consacrata hanno come scopo l'instaurazione del Regno: il celibato volontario deve essere praticato per il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,12) e la rinuncia universale per seguire il Maestro si giustifica con il "Regno di Dio" (Lc 18,29).

Gesù pone una relazione molto stretta tra la missione da Lui affidata agli Apostoli e la richiesta loro rivolta di lasciare tutto per seguirlo: le loro attività profane e i loro beni (ta idia), come si legge in Lc 18,28. Pietro ne è consapevole; per questo dichiara a Gesù, anche a nome degli altri Apostoli: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mc 10,28 cfr. Mt 19,27).

Quanto Gesù reclama dai suoi Apostoli, lo chiede anche a chi, nelle varie epoche della storia della Chiesa, accetterà di seguirlo nell'apostolato sulla via dei consigli evangelici: il dono di tutta la persona e di tutte le forze per lo sviluppo del Regno di Dio sulla terra, sviluppo di cui la Chiesa ha la principale responsabilità. E va detto che, secondo la tradizione cristiana, scopo della vocazione non è mai esclusivamente la santificazione personale. Anzi, una santificazione esclusivamente personale non sarebbe autentica, perché Cristo ha legato strettamente santità e carità. Quindi chi tende alla santità personale lo deve fare nel contesto di un impegno di servizio alla vita e alla santità della Chiesa. Anche la vita puramente contemplativa, come abbiamo visto in una precedente catechesi, comporta questo orientamento ecclesiologico.

Di qui deriva, secondo il Concilio, il compito e il dovere dei religiosi di "lavorare in ogni parte della terra" (Lc 44), per consolidare e dilatare il Regno di Cristo. Nella grande varietà dei servizi di cui la Chiesa ha bisogno, c'è posto per tutti: e ogni consacrato può e deve impegnare tutte le sue forze nella grande opera dell'instaurazione e dell'estensione del Regno di Cristo sulla terra, secondo le capacità e i carismi a lui concessi in armonia costruttiva con la missione della propria famiglia religiosa.


2. Alla dilatazione del Regno di Cristo (cfr. LG 44) mira in particolare l'attività missionaria. Di fatto, la storia conferma che i religiosi hanno svolto un ruolo importante nell'espansione missionaria della Chiesa. Chiamati e votati a una consacrazione totale, i religiosi manifestano la loro generosità impegnandosi a portare l'annuncio della buona novella del loro Maestro e Signore dappertutto, anche nelle regioni più lontane dai loro paesi, come avvenne per gli Apostoli.

Accanto agli Istituti nei quali una parte dei membri si dedicano all'attività missionaria "ad gentes", ve ne sono altri fondati espressamente per l'evangelizzazione delle popolazioni che non hanno o non avevano ancora ricevuto Vangelo.

L'indole missionaria della Chiesa si concretizza così in una "Vocazione speciale" (cfr. RMi 65), che la rende operante oltre tutte le frontiere geografiche, etniche, culturali, "in universo mundo" (cfr. Mc 16,15).


3. Il Decreto Perfectae Caritatis del Concilio Vaticano II ricorda che "vi sono nella Chiesa moltissimi Istituti, clericali o laicali, dediti alle varie opere di apostolato, che hanno differenti doni secondo la grazia che è stata loro data" (PC 8). E lo Spirito Santo che distribuisce i carismi in relazione ai bisogni crescenti della Chiesa e del mondo. Non si può non riconoscere in questo fatto uno dei segni più chiari della generosità divina, ispiratrice e stimolatrice della generosità umana. E bisogna veramente rallegrarsi quando questo segno è così frequente, come nel nostro tempo, proprio perché indica che si allarga e si approfondisce il senso del servizio al Regno di Dio e allo sviluppo della Chiesa.

Secondo l'insegnamento del Concilio l'azione dei religiosi, sia sul piano più direttamente apostolico sia su quello caritativo, non è un ostacolo alla loro santificazione, ma contribuisce a produrla, perché sviluppa l'amore verso Dio e verso il prossimo e fa partecipare chi svolge l'apostolato alla grazia concessa a coloro che ricevono il beneficio di quella attività.


4. Ma il Concilio aggiunge che tutta l'attività apostolica deve essere animata dall'unione a Cristo, alla quale non possono non tendere i religiosi, in forza della loro stessa professione. "Proprio tutta la vita religiosa dei membri sia compenetrata di spirito apostolico, e tutta l'azione apostolica sia animata da spirito religioso" (Ibedem). I consacrati devono essere i primi, nella Chiesa, a dar prova di saper resistere alla tentazione di sacrificare la preghiera all'azione. Spetta ad essi dimostrare come l'azione tragga la sua fecondità apostolica da una vita interiore carica di fede e di esperienza delle cose divine: "ex plenitudine contemplationis", come dice San Tommaso d'Aquino (II-II 288,6 III 40,1, ad2).

Il problema della conciliazione dell'attività apostolica con la preghiera è stato posto varie volte nei secoli e anche oggi, particolarmente negli istituti monastici. Il Concilio tributa onore alla "veneranda istituzione della vita monastica che lungo il corso dei secoli si acquisto insigni benemerenze verso la Chiesa e la società" (PC 9). Esso riconosce la possibilità di accentuazioni differenti dell'"ufficio principale dei monaci", che è quello di "prestare umile e insieme nobile servizio alla divina Maestà, entro le mura del monastero", secondo che si ha una dedizione totale al culto divino con una vita di nascondimento o si assume anche "qualche legittimo incarico di apostolato o di carità cristiana" (PC 9).

Più in generale, il Concilio raccomanda a tutti gli istituti un conveniente adattamento delle osservanze e degli usi alle esigenze dell'apostolato cui si dedicano, tenendo pero conto delle "molteplici forme di vita religiosa consacrata all'apostolato", e quindi della diversità e anche della necessità che "presso i vari istituti la vita dei membri a servizio di Cristo sia sostentata con mezzi propri e rispondenti allo scopo" (PC 8). In quest'opera di adattamento, inoltre, non si dovrà mai dimenticare che esso è anzitutto opera dello Spirito Santo, al quale perciò bisogna essere docili nel cercare i mezzi di un'azione più efficace, più feconda.


5. Per questo molteplice contributo che i religiosi, secondo la varietà delle loro vocazioni e dei loro carismi, danno con la preghiera e con l'azione alla dilatazione e al consolidamento del Regno di Cristo, la Chiesa - dice il Concilio - "difende e sostiene l'indole propria dei vari Istituti religiosi" (Costituzione LG 44); e "non solo erige con la sua sanzione la professione religiosa alla dignità dello stato canonico, ma con la sua azione liturgica la presenta pure come stato consacrato a Dio... associando la loro oblazione al sacrificio eucaristico" (LG 45).

In particolare, il Romano Pontefice, secondo il Concilio, guarda al bene degli Istituti religiosi e dei loro singoli membri "perché sia provveduto il meglio possibile alle necessità dell'intero gregge del Signore": nel raggio di questa finalità rientra l'esenzione per cui alcuni Istituti sono sottoposti direttamente all'autorità pontificia. Questa esenzione non dispensa i religiosi dalla "riverenza e obbedienza ai Vescovi" (LG 45). Essa ha unicamente lo scopo di assicurare la possibilità di un'azione apostolica meglio votata al bene della Chiesa intera. Essendo a servizio della Chiesa, la vita consacrata è più specialmente a disposizione delle sollecitudini e dei programmi del Papa, capo visibile della Chiesa universale. Qui la dimensione ecclesiale della vita consacrata raggiunge un vertice che non è solo di ordine canonico, ma spirituale: vi si concretizza la professione di obbedienza che i religiosi fanno all'autorità della Chiesa, nella funzione vicariale che le è stata assegnata da Cristo.

(Ai giovani, agli ammalati e alle coppie di sposi novelli:] Salutando i giovani, i malati e gli sposi novelli desidero riferirmi a quanto ho detto all'Angelus, domenica scorsa.

Carissimi giovani, vi do appuntamento a Manila, perché vi uniate spiritualmente a quanti là s'incontreranno per riflettere sulle parole di Cristo: "Come il Padre ha mandato me, così, anch'io mando voi".

Voi, cari malati, ricordate nelle vostre preghiere e sacrifici i giovani che condivideranno con me un così importante evento per la Chiesa e per il mondo.

E voi, sposi novelli, possiate trovare sempre nelle vostre famiglie spazio per l'impegno formativo ed educativo nei confronti dei vostri figli, affinché essi sentano ed accolgano la chiamata di Cristo a seguirlo.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.

(Giovanni Paolo II ha quindi parlato dell'imminente viaggio apostolico:] Con l'aiuto di Dio, nel tardo pomeriggio di oggi partiro per un pellegrinaggio apostolico, che mi condurrà anzitutto a Manila, nelle Filippine, per celebrarvi con i giovani di ogni parte del mondo la decima Giornata Mondiale della Gioventù. Mi rechero poi in Papua Nuova Guinea, in Australia e nello Sri Lanka, per proclamare tre nuovi Beati.

Nel corso del viaggio avro modo di incontrare rappresentanti di varie religioni, tra i quali anche qualificati esponenti del Buddismo. Colgo volentieri l'occasione per assicurare gli aderenti alla religione buddista del mio profondo rispetto e della mia sincera stima.

Confido che la visita nello Sri Lanka e negli altri Paesi possa rafforzare il dialogo e la comprensione tra le religioni, favorendo una sempre più intensa collaborazione per la pace e la solidarietà tra i popoli. Per questo prego il Signore, invocandone la benedizione su quanti mi sarà dato di incontrare nei prossimi giorni.




Mercoledi 25 Gennaio 1995: Ostacoli apparentemente insormontabili possono diventare occasione di crescita verso una conoscenza più piena della Verità

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Nella festa della conversione di S. Paolo, Roma



1. Oggi, festa della conversione di San Paolo, svilupperemo la nostra riflessione sul tema dell'unità dei cristiani. Del viaggio apostolico in Asia ed Oceania, nel corso del quale ho avuto la gioia di prender parte alla decima Giornata Mondiale della Gioventù, intendo parlare nella prossima Udienza generale.

Con la festa della conversione di San Paolo si conclude la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani". Il tema scelto per quest'anno è tratto dal Vangelo di San Giovanni: "lo sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (
Jn 15,5).

L'analogia su cui si basa il simbolo della vite è ricorrente nella Sacra Scrittura (cfr. Is 5,1-7 Jr 2,21 Ez 15,1-8). E un simbolo che allude all'unione di Dio col suo popolo e all'amore col quale Egli lo ha scelto e lo ama. Gesù stesso lo riprende per spiegare la relazione esistente tra Lui e i discepoli.


2. L'immagine tratta dalla natura descrive con immediatezza ed efficacia il mistero soprannaturale della comunione di vita tra Gesù ed i suoi. Come avviene per la vite e i tralci, anche tra il Maestro e i discepoli scorre la stessa linfa vitale, si trasmette la stessa vita divina, quella vita eterna "che era presso il Padre e si è resa visibile a noi" (1Jn 1,2).

I tralci sono uniti alla vite e da essa traggono alimento così da far germogliare e crescere il "frutto". Allo stesso modo i discepoli sono uniti al Signore e grazie a questa unione esistenziale possono operare spiritualmente e portare frutto: "Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me" (Jn 15,4).

I tralci non hanno vita propria: vivono soltanto se rimangono uniti alla vite che li ha fatti nascere. La loro vita si identifica con quella della vite.

Un'unica linfa scorre tra l'una e gli altri; vite e tralci danno lo stesso frutto.

Tra loro vi è dunque un legame inscindibile, che ben simboleggia quello esistente tra Gesù e i suoi discepoli: "Rimanete in me e io in voi" (Jn 15,4).

Se i tralci hanno tutti in comune con la vite la stessa linfa, essi sono pure legati tra loro da reciproca comunione. Da questo essere in comunione di vita deriva l'esigenza della comunione nell'amore: "Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Jn 15,12). Un amore forte, che non conosce limitazioni e confini, e che Gesù mette in relazione con la sua morte sofferta per redimere gli "amici", i discepoli che hanno creduto in Lui: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13). Il riferimento alla redenzione accentua ancor più fortemente il comune destino dei discepoli di Cristo: essi sono tutti redenti da un solo Signore.


3. Il Decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II ha messo in evidenza questo vitale mistero di comunione, e cioè l'incorporazione dei battezzati in Cristo: "Col sacramento del battesimo, quando secondo l'istituzione del Signore è debitamente conferito e ricevuto con la dovuta disposizione di animo, l'uomo è veramente incorporato a Cristo crocifisso e glorificato e viene rigenerato per partecipare alla vita divina" (UR 22). Per questo motivo, il battesimo è il vincolo sacramentale dell'unità esistente tra i discepoli di Cristo.

Nel corso dei secoli, le divisioni hanno purtroppo introdotto un profondo turbamento nella comunità cristiana. Esse hanno provocato incrinature e distacchi a volte gravi e drammatici, causa non raramente di penose sofferenze.

Nessuna divisione, pero, ha potuto infrangere la comunione fondamentale che permane tra coloro che "invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Signore e Salvatore" (Ibidem, UR 1).


4. In obbedienza alla volontà di Cristo, che ha pregato per l'unità dei discepoli, e fiduciosi nel sostegno dello Spirito Santo, il movimento ecumenico si adopera con dedizione perseverante a promuovere gli elementi di unità e a risolvere le eventuali divergenze, in modo da far crescere la comunione parziale già esistente verso la piena unità nella fede, nei sacramenti e nell'armonica articolazione della compagine ecclesiale.

Le diverse iniziative che il movimento ecumenico promuove, come pure il dialogo teologico vero e proprio, tendono, ciascuna per la sua parte, ad un unico scopo: arrivare all'unità voluta dal Signore. Anche quest'anno abbiamo motivo di ringraziare il Signore per i tanti segni di speranza che suscita in noi la ricerca dell'unità.

Le varie forme di dialogo fanno progredire il cammino già felicemente tracciato. Si è pervenuti così ad importanti chiarimenti e, per alcuni temi cruciali, come quello della "giustificazione", la ricerca compiuta ci ha avvicinati ad una comune comprensione.

In tale contesto come non ricordare che di recente ho potuto firmare una dichiarazione cristologica col Patriarca della Chiesa Assira d'Oriente Mar Dinkha IV, nella quale confessiamo insieme la fede comune in Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto Uomo, vero Dio e vero Uomo? Con tale dichiarazione si è risolta una controversia con quella Chiesa che durava da oltre 1500 anni. Si è avuta così la conferma che, mediante il dialogo, malgrado le distanze di tempi e di culture, è possibile chiarire i malintesi e i pregiudizi.


5. I risultati intermedi finora raggiunti mostrano che ostacoli apparentemente insormontabili possono diventare occasione di crescita verso una conoscenza più piena della verità. Sono sfide da raccogliere, che richiedono un personale coinvolgimento da parte dei cristiani, fervore di opere e, forse, una ancor maggiore determinazione. La linfa vitale, che scorre fra i tralci e che proviene loro dalla vite, alimenta l'urgenza di "fare di più". Il traguardo ormai prossimo dell'Anno Duemila è anch'esso una sollecitazione a fare meglio e di più, in modo che nel terzo millennio dell'era cristiana la comunione di vita dei tralci con la vite risulti un'immagine più adeguata di Colui che è la vera Vite: Cristo Gesù.

Cari Fratelli e Sorelle! Rinnoviamo il nostro impegno e preghiamo il Signore affinché ci conceda di continuare a camminare con costanza e buona volontà, lungo la strada già iniziata, per giungere alla pace, alla riconciliazione e alla lode di Dio, così che la nostra testimonianza possa essere credibile di fronte al mondo.

(Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli:] Un pensiero va infine come di consueto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli presenti, che oggi vorrei esortare a tradurre in atteggiamenti concreti la preghiera per l'unità dei cristiani. Voi, giovani, nutriti dalla parola di Dio e accompagnati da una saggia guida spirituale, siate ovunque operatori di pace e di riconciliazione; voi, malati, offrite al Signore le vostre sofferenze perché la comunione sia sempre approfondita e praticata in ogni comunità cristiana, e voi, sposi novelli, siate segno visibile di tale comunione nella dimensione domestica vivendo con un cuore solo e un'anima sola.

(Al termine dell'Udienza generale il Santo Padre ha così concluso:] E adesso, per terminare questa udienza ci rechiamo in spirito nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura dove questo pomeriggio si conclude la Settimana di Preghiera per l'Unità dei cristiani. E preghiamo insieme cantando il Pater Noster in latino per questa intenzione che abbraccia tante intenzioni nel mondo.

(Il Papa ha quindi salutato un gruppo di pellegrini croati presenti all'Udienza:] Con particolare affetto saluto i rappresentanti delle Famiglie vittime della guerra di tutte le contee della Croazia, che sono venuti a Roma in pellegrinaggio di preghiera per la pace e la riconciliazione.

Proprio un anno fa, il 21 e 23 gennaio, hanno avuto luogo le particolari Giornate di Digiuno e di Preghiera per la pace in Bosnia Erzegovina, in Croazia e nell'intera area dei Balcani. Vorrei oggi perciò rinnovare l'invito a continuare la fervida preghiera affinché il Signore conceda il grande dono della pace nella giustizia ai popoli del Sud Est europeo e di altre parti del mondo così che la violenza e la forza non abbiano la prevalenza finale sul dialogo e il rispetto di elementari diritti dell'uomo e dei popoli.

Di cuore imparto la Benedizione apostolica a ciascuno di voi e alle vostre famiglie.

Siano lodati Gesù e Maria!




Mercoledi 1 Febbraio 1995: La recente visita pastorale a Manila, a Port Moresby, a Sydney e a Colombo

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Roma


Un Viaggio Apostolico sotto il segno dei giovani e della giovinezza della Chiesa




1. Vorrei quest'oggi dedicare l'Udienza al recente mio Viaggio Apostolico, che ha avuto luogo nei giorni dall'11 al 21 gennaio scorso. Viaggio che mi ha condotto prima nelle Filippine (Manila), poi in Papua Nuova Guinea (Port Moresby), in Australia (Sydney) e nello Sri Lanka (Colombo). Scopo della visita nelle Filippine è stata la partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù; le tre successive tappe hanno avuto come motivo principale quello di proclamare i primi beati della Chiesa in Papua Nuova Guinea, in Australia e nello Sri Lanka.

Desidero, ancora una volta, ringraziare tutti coloro che hanno collaborato per la realizzazione di questo lungo pellegrinaggio, gli Episcopati e le Autorità civili di ogni Nazione visitata. La Santa Sede esprime profonda gratitudine ai Capi di Stato e ai responsabili politici per quanto hanno fatto in merito all'organizzazione e allo svolgimento della visita.


2. Il motto della decima Giornata Mondiale della Gioventù era costituito dalle parole di Cristo: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (
Jn 20,21). Gli incontri della gioventù si svolgono annualmente nelle singole diocesi e parrocchie, in concomitanza con la Domenica delle Palme. Gli incontri mondiali, invece, si tengono ogni due anni. Quello di Manila è stato il decimo degli incontri annuali ed il sesto di quelli mondiali, svoltisi, a partire dal 1984, a Roma (1985), a Buenos Aires in Argentina (1987), a Santiago de Compostela in Spagna (1989), a Jasna Gora di Czestochowa in Polonia (1991), a Denver negli Stati Uniti (1993). Il prossimo appuntamento sarà, a Dio piacendo, a Parigi nel 1997.

Ciò che accomuna queste manifestazioni annuali e mondiali è l'idea e la realtà del Popolo di Dio pellegrinante. Nonostante le preoccupazioni e le riserve sorte alcuni anni fa, quest'idea si va affermando sempre più: la Chiesa è il Popolo di Dio pellegrinante nel mondo, come ha ricordato il Concilio Vaticano II nella Costituzione Lumen gentium (cfr. LG 9). E proprio i giovani sono, in modo particolare, sensibili a questa verità. Muovendosi in pellegrinaggio, si incontrano, si scambiano le esperienze e si rafforzano nella fede che scaturisce dall'interno del popolo di Dio.


3. Le parole "come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" sono state pronunciate da Cristo Risorto apparso agli Apostoli radunati nel Cenacolo. In quel momento, dopo gli eventi del Venerdi Santo, nella comunità dei discepoli dominava ancora la paura. Per questo il Signore ripete: "Non abbiate paura!" (Mt 28,10 Mc 16,6 cfr. Lc 24,37-38).

La missione che Cristo ha ricevuto dal Padre e che trasmette agli Apostoli è più grande della paura suscitata dal dramma del Venerdi Santo. Gli Apostoli sono i testimoni della vittoria di Cristo; ed è proprio questa vittoria che li aiuta ad accogliere la missione ricevuta. Cristo dice: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,21-22). così il Cenacolo di Gerusalemme viene preparato per la venuta dello Spirito Santo, prossima a compiersi nel giorno della Pentecoste. La Pentecoste è la piena rivelazione di quanto si è compiuto nel giorno della Risurrezione.

Proprio ciò che è avvenuto in questo giorno e le parole del Risorto agli Apostoli sono stati oggetto di riflessione per i giovani radunati a Manila, dapprima nel gruppo dei Delegati del Forum Internazionale dei Giovani, provenienti da oltre cento Paesi di ogni continente; poi nella grande veglia del sabato sera e, infine, nella Eucaristia domenicale che, secondo le informazioni del luogo, ha visto oltre quattro milioni di partecipanti.


4. La scelta di Manila per l'Incontro Mondiale della Gioventù è stata particolarmente opportuna non soltanto dal punto di vista della geografia, ma anche da quello della storia. La Chiesa nelle Filippine proprio quest'anno celebra il quarto centenario della sua fondazione. Nel 1595 fu creata, infatti, la prima provincia ecclesiastica, composta dalla sede metropolitana di Manila e da tre diocesi: Cebu, Nueva Segovia e Nueva Caceres. Ciò era frutto della missione che già in precedenza aveva raggiunto l'Arcipelago delle Filippine. Nel sedicesimo secolo, quando ebbe inizio la grande epopea missionaria, legata innanzitutto alla scoperta dell'America, le parole di Cristo "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" indicarono la direzione ai missionari, in prevalenza spagnoli. Arrivati in Messico e nell'America del Sud, proseguendo poi verso Occidente, insieme con i grandi pionieri delle scoperte geografiche, essi giunsero nelle Filippine. Sabato 14 gennaio è stato il giorno del ringraziamento per la fondazione della Chiesa gerarchica nell'Arcipelago Filippino.

Si può, dunque, affermare che il pellegrinaggio mondiale della gioventù nelle Filippine ha ripreso, in un certo senso, dopo quattro secoli quella fase missionaria del "pellegrinare" della Chiesa che aveva portato alla creazione della prima provincia ecclesiastica in Estremo Oriente. In questo modo la decima Giornata Mondiale della Gioventù ha rivestito una peculiare dimensione storica.


5. A Manila, poi, mi è stato dato di visitare la sede dell'Emittente cattolica "Radio Veritas - Asia", fondata per iniziativa dell'Episcopato delle Filippine venticinque anni fa e che svolge, con l'aiuto dei mezzi tecnici di cui l'uomo di oggi dispone, la medesima missione che da sempre hanno realizzato i missionari pellegrinanti, prima gli Apostoli e poi i loro successori. Grazie a così meravigliosi mezzi di comunicazione, la parola di Dio raggiunge nelle diverse lingue dell'Asia e dell'Estremo Oriente i popoli che abitano in quelle zone del mondo: li raggiunge attraverso l'informazione, la catechesi, la cultura, il canto e la musica. In questo modo "Radio Veritas" assolve ad una grande opera di formazione della cultura umana. E' del resto quanto la Chiesa ha sempre fatto, fin dall'epoca apostolica.


6. Le successive tappe del mio viaggio nell'Estremo Oriente hanno avuto un nesso non soltanto cronologico, ma anche logico con la Giornata Mondiale della Gioventù.

Se questa, infatti, ha mostrato una viva immagine della Chiesa peregrinante, le beatificazioni a Port Moresby, a Sydney e a Colombo hanno additato la mèta verso cui la Chiesa cammina attraverso i secoli e le generazioni. Scopo di questo cammino è l'attuazione della chiamata universale alla santità, come si esprime il Concilio Vaticano II (cfr. Lumen gentium, Cap. V). Santità che trova una peculiare espressione nelle persone che l'hanno realizzata in modo eroico. I santi e i beati sono i grandi testimoni di Cristo e la loro testimonianza possiede una speciale importanza per i popoli, i paesi e i continenti. Inoltre l'esperienza insegna che per ogni Chiesa locale è particolarmente importante il primo di questi beati o santi, come nel caso delle tre recenti beatificazioni.


7. In Papua Nuova Guinea, dove la Chiesa riveste un carattere ancora eminentemente missionario, la chiamata alla santità ha preso il volto di un padre di famiglia, catechista e martire: Peter To Rot, morto per Cristo nel contesto dei drammatici eventi della seconda guerra mondiale, nell'Isola New Britain, presso la capitale Rabaul. Diede la vita come catechista fedele alla propria vocazione, continuando a rendere il suo servizio in un momento in cui esso era particolarmente necessario alla comunità cristiana e insieme comportava forti rischi e pericoli. Offri la propria vita anche come giovane padre di famiglia, santificandosi in questo modo nella vocazione di sposo e di genitore. La Chiesa in Papua Nuova Guinea vede in lui un modello particolarmente eloquente e al tempo stesso un intercessore potente presso Dio.


8. Diverso è il profilo di Madre Mary MacKillop, prima Beata dell'Australia. Di origine scozzese, fu la fondatrice della Congregazione delle Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù e svolse un ruolo di rilievo nell'evangelizzazione dell'Australia, prima di tutto attraverso la sollecitudine per le famiglie povere.

Ho potuto percepire chiaramente il fatto che gli Australiani hanno trovato nella nuova Beata quasi una conferma del loro ruolo nella Chiesa. E' un sentimento comprensibile e motivato. I santi, infatti, nella storia hanno sempre aiutato ad approfondire la consapevolezza delle singole comunità. Anche di quelle nazionali.

L'Australia attendeva questa prima beata, perché in lei si potessero esprimere alcuni tratti essenziali della società australiana. Anche in questo caso si è toccato con mano quanto il mistero della Comunione dei Santi s'incontra con la missione della Chiesa in una determinata parte del mondo.


9. La prima beatificazione nello Sri Lanka possiede un carattere simile. In essa si rispecchia il ruolo della Chiesa e del cristianesimo in un'isola geograficamente molto legata al vasto subcontinente indiano. Il clima culturale di quell'isola rende consapevoli di trovarsi alle soglie dell'Asia. Padre Giuseppe Vaz arrivo come missionario da quel grande centro di espansione evangelica che era il Patriarcato di Goa, fondato dai Portoghesi. Arrivo quando la Chiesa dello Sri Lanka, ancora giovane, era minacciata nei suoi legami con la Sede Apostolica. Il Padre Vaz seppe contrastare tale pericolo e per questo viene ritenuto l'apostolo che impresse nuovo impulso alla Chiesa in quella terra. E' Chiesa di minoranza; tuttavia essa manifesta un'enorme vitalità, che la beatificazione ha evidenziato e favorito. Ciò si è notato sin dall'arrivo a Colombo e durante l'intero soggiorno.

E' stata una tappa per certi versi molto simile a quella di Manila, che ha mostrato come la Chiesa dell'Estremo Oriente sia una comunità non soltanto viva ma anche ricca di entusiasmo. Sotto tale aspetto essa ha non poco da dire alle antiche Chiese del continente europeo.

10. Rivedendo in modo globale le esperienze di questo sessantatreesimo Viaggio apostolico, si può dire che esso si è svolto sotto il segno dei giovani e della giovinezza della Chiesa. E' significativo il fatto che questa giovinezza sbocci in mezzo a culture e civiltà molto antiche. Questo si nota specialmente nello Sri Lanka, ma non soltanto là. In ogni tappa ho potuto costatare questa giovinezza della Chiesa, che ha la propria fonte nella presenza di Cristo. Nell'insieme il continente asiatico è cristiano in piccola misura. Il Vangelo ha raggiunto per ora una ridotta percentuale dei suoi abitanti. Ma ha suscitato comunità vive, che certamente non sono ai margini della società. Sono piuttosto quel lievito evangelico che tutta la vivifica, innanzitutto mediante l'alto numero di scuole cattoliche, di ospedali e di altre opere caritative. così quell'amore che è la realtà "più grande", secondo l'espressione di san Paolo (cfr. 1Co 13,13), segna il futuro del cristianesimo in Estremo Oriente. E' dunque davvero bello e provvidenziale che, grazie a questa mia Visita nelle Filippine, in Papua Nuova Guinea, in Australia e nello Sri Lanka, le Chiese dell'Estremo Oriente abbiano avuto modo di sentirsi ancor più vicine alla Sede di Pietro ed il Papa abbia potuto vivere questa vicinanza con i suoi fratelli e le sue sorelle dell'Estremo Oriente proprio nella loro Terra.

Ne vogliamo rendere insieme grazie al Signore.

(Ai giovani presenti nell'Aula Paolo VI, il Santo Padre ha quindi voluto indicare, all'indomani della memoria liturgica di San Giovanni Bosco, maestro dei giovani, i valori che devono essere alla base anche di un sano divertimento. Queste le sue parole:] Un particolare pensiero va poi a tutti i giovani presenti a questa Udienza, come pure agli ammalati e agli sposi novelli.

Ieri abbiamo celebrato la memoria liturgica di San Giovanni Bosco. E' il vostro Santo, carissimi giovani! Vi invito a conoscerlo e a sentirlo vicino. Il suo progetto educativo, infatti, è particolarmente attento alle esigenze dell'animo giovanile. Egli propone ai giovani un cammino di santità che passa attraverso la gioia e non esclude perciò anche il divertimento. Un sano divertimento è sempre rispettoso della legge morale e si nutre di quei valori che favoriscono la crescita integrale della persona; esso non porta mai a forme di stordimento e ad intemperanze che compromettono l'equilibrio psicofisico, mettendo talvolta a repentaglio persino la propria vita e quella degli altri. Il pensiero va spontaneamente alle "stragi del sabato sera" che coinvolgono tanti giovani frequentatori delle discoteche e agli episodi di violenza, con esiti anche tragici, che sempre più frequentemente si registrano in occasione di incontri sportivi. La gioia deve ristorare, non distruggere! (Al termine del suo saluto ai giovani e prima di rivolgersi agli ammalati e agli sposi novelli, il Papa ha detto:] Tanto più sono grato ai partecipanti all'Accademia dell'Immacolata che, venuti dopo Manila, ci hanno portato un po' di quel clima di gioia autentica dei canti che li si intonavano. Canti di preghiera, canti di gioia, ma anche canti che portano verso fini costruttivi, che offrono ai giovani la possibilità di partecipare alla grazia di Dio, alla crescita spirituale. Vi ringrazio per tutto questo, anche per il "Mabuhay" che è stata l'unica parola filippina pronunciata durante quest'udienza. Se ne dovevano dire più di "Mabuhay". La melodia della Giornata Mondiale della Gioventù nelle Filippine deve rimanere come una volta è rimasta la melodia di Czestochowa, "Abba, Ojcze".






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