Catechesi 79-2005 20895

Mercoledi 2 Agosto 1995: L'azione ecumenica

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Aula Paolo VI -


1. Nella precedente catechesi abbiamo sottolineato come il Concilio Vaticano II indichi la preghiera come ineludibile compito principale dei cristiani che intendono veramente impegnarsi per la piena realizzazione dell'unità voluta da Cristo. Il Concilio aggiunge che il movimento ecumenico "impegna tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori" ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno, quanto negli studi teologici e storici (cfr.
UR 5). Ciò significa che la responsabilità in tale ambito può e deve essere considerata a vari livelli. Essa coinvolge tutti i cristiani ma, come e ben comprensibile, impegna alcuni, come ad esempio i teologi e gli storici, in un modo tutto speciale. Già dieci anni fa osservavo che "occorre dimostrare in ogni cosa la premura di venire incontro a ciò che i nostri fratelli cristiani, legittimamente, desiderano e si attendono da noi, conoscendo il loro modo di pensare e la loro sensibilità... Bisogna che i doni di ciascuno si sviluppino per l'utilità e a vantaggio di tutti" (28 giugno 1985).


2. Possiamo elencare le piste principali che il Concilio propone di percorrere nell'azione ecumenica. Esso ricorda anzitutto il bisogno di un continuo rinnovamento. "La Chiesa peregrinante - afferma - è chiamata da Cristo alla continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno" (UR 6). E una riforma che riguarda tanto i costumi quanto la disciplina. Si può aggiungere che tale bisogno proviene dall'alto, ossia dalla stessa disposizione divina che pone la Chiesa in stato di permanente sviluppo. Ciò comporta un adeguamento alle circostanze storiche, ma anche e soprattutto il progresso nel compimento della sua vocazione come risposta sempre più adeguata alle esigenze del disegno salvifico di Dio.

Altro punto fondamentale è l'impegno della Chiesa nel prendere coscienza delle mancanze e dei difetti che, a causa della fragilità umana affliggono i suoi membri pellegrinanti lungo la storia. Ciò vale specialmente per le colpe che, anche da parte dei cattolici, sono state commesse contro l'unità. Non bisogna dimenticare l'ammonimento di Giovanni: "Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1Jn 1,10). Proprio riferendosi a questo ammonimento, il Concilio esorta: "perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori" (UR 7).

Di grande importanza si rivela, in questo cammino, la purificazione della memoria storica, poiché "ciascuno deve convertirsi più radicalmente al Vangelo e, senza mai perdere di vista il disegno di Dio, deve mutare il suo sguardo" (Lett. enc. UUS 15).


3. Si deve inoltre ricordare che la concordia con i fratelli delle altre Chiese e comunità ecclesiali, come del resto col prossimo in generale, si radica nella determinazione di condurre una vita più conforme a Cristo. Sarà dunque la santità di vita, assicurata dall'unione con Dio mediante la grazia dello Spirito, a rendere possibile e a far progredire anche l'unione di tutti i discepoli di Cristo, poiché l'unità è un dono che proviene dall'alto.

Insieme con la "conversione del cuore" e la "santità di vita", rientrano nell'azione ecumenica anche le "preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani", che si sogliono promuovere in diverse circostanze e specialmente in occasione di convegni ecumenici. Esse risultano tanto più necessarie quanto più si constatano le difficoltà lungo il cammino verso la piena e visibile unità. Si comprende così che solo dalla grazia divina può venire un reale progresso verso l'unità voluta da Cristo. perciò è da lodarsi qualsiasi occasione in cui i discepoli di Cristo si incontrano per invocare da Dio il dono dell'unità.

Il Concilio dichiara che questo non solo è lecito, ma anche desiderabile (cfr. UR 8). Il comportamento concreto da tenersi nelle diverse circostanze - di luogo, di tempo e di persone - deve essere deciso in sintonia con il Vescovo locale, nel contesto delle norme date dalle Conferenze episcopali e dalla Santa Sede (cfr. Ibidem UR 8; Direttorio ecumenico, 28-34).


4. Con uno speciale impegno si dovrà cercare di conoscere meglio sia gli stati d'animo, sia le posizioni dottrinali, spirituali e liturgiche dei fratelli delle altre Chiese o Comunità ecclesiali. A tale scopo giovano i convegni di studio, riuniti "con la partecipazione di entrambe le parti, per affrontare specialmente questioni teologiche, dove ognuno tratti da pari a pari, purché quelli che vi partecipano sotto la vigilanza dei Vescovi siano veramente dei periti" (UR 9).

Questi incontri di studio devono essere animati dal desiderio di porre in comune i beni dello Spirito e della conoscenza per un effettivo scambio di doni alla luce della verità di Cristo e con l'animo ben disposto (cfr. Ibidem UR 9). Una metodologia animata dalla passione per la verità nella carità richiede da tutti i partecipanti il triplice impegno di esporre bene la propria posizione, sforzarsi di capire gli altri, ricercare i punti di concordia.

Anche in vista di queste forme di azione ecumenica, il Concilio raccomanda che l'insegnamento della teologia e delle altre discipline, specialmente storiche, sia fatto "anche sotto l'aspetto ecumenico" (UR 10). Esso eviterà lo stile polemico e tenderà invece a mostrare le convergenze e le divergenze che ci sono tra le varie parti nel modo di recepire e di presentare le verità della fede. E evidente che la fermezza nella fede definita non sarà scossa, se una sincera adesione alla Chiesa sarà alla base della metodologia ecumenica seguita nell'opera di formazione.


5. Su questa stessa base dovranno poggiare le modalità del dialogo. In esso la dottrina cattolica deve essere esposta con chiarezza nella sua integralità: "Niente è più alieno dall'ecumenismo quanto quel falso irenismo, dal quale viene a soffrire la purezza della dottrina cattolica e viene oscurato il suo senso genuino e preciso" (UR 11).

L'impegno dei teologi deve dunque essere quello di spiegare la fede cattolica con profondità ed esattezza. Essi devono procedere "con amore della verità, con carità e umiltà".

Inoltre, nel mettere a confronto le dottrine, si ricordino - come raccomanda il Concilio - "che esiste un ordine o "gerarchia" nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana" (Ibidem UR 11). Su questo. importante punto dovranno essere ben preparati e capaci di discernere il riferimento che le varie tesi e gli stessi articoli del Credo hanno con le due verità fondamentali del Cristianesimo la Trinità e l'Incarnazione del Verbo Figlio di Dio "propter nos homines et propter nostram salutem". I teologi cattolici non possono mettersi su vie che contrastino con la fede apostolica, insegnata dai Padri e ribadita dai Concili. Essi dovranno sempre partire dall'umile e sincera accettazione della esortazione ripetuta dal Concilio proprio a proposito del dialogo ecumenico: "Tutti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede in Dio uno e trino, nell'incarnato Figlio di Dio, Redentore e Signore nostro" (UR 12).

(Quindi il Santo Padre ha così continuato:] Questi mesi estivi, tempo di riposo e di vacanze per molti, continuano ad essere funestati dalla tremenda violenza che, senza tregua, sembra annientare le popolazioni della Bosnia Erzegovina. Tutti ne siamo testimoni: chi potrà in futuro affermare di non esserne stato al corrente? Seguo quotidianamente questa tragedia e porto nella mia preghiera le indicibili sofferenze di quelle popolazioni: lo smarrimento dei fanciulli, la stanchezza mortale degli anziani, la paura ed il coraggio delle donne, lo sterminio di uomini. Tutto è nel mio cuore.

Ancora una volta, chiedo alle istanze internazionali di voler continuare la loro opera ardua di persuasione presso le parti in lotta. La ricerca della giustizia, il rispetto del prossimo, la pietà per tutte quelle popolazioni senza distinzione ispirino le scelte dei responsabili delle nazioni. Il negoziato leale e perseverante, accompagnato da gesti concreti di buona volontà, sia il fine di ogni iniziativa. Turba pensare che l'intensificarsi delle azioni militari, da qualsiasi parte esse provengano, possa condurre a sviluppi difficilmente prevedibili e controllabili.

In quella parte d'Europa è posto in gioco il diritto alla vita di migliaia di nostri fratelli. Nessuno può decidere chi abbia diritto di vivere e chi debba scomparire. Lo può solo Dio, che "dà a tutti la vita ed il respiro ed ogni cosa" (Ac 17,25). Egli ispiri a tutti sentimenti di pace e di umanità! (Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli:] Saluto, poi, i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli qui presenti.

Esorto voi, cari giovani, a non trascurare durante questo tempo di vacanze e di riposo il raccoglimento e la preghiera, che più ci avvicinano a Dio.

Auguro a voi, cari malati, che le vostre sofferenze, unite spiritualmente a quelle del Crocifisso, vi siano di consolazione e di conforto e costituiscano un prezioso dono spirituale per il mondo intero.

Ed incoraggio voi, cari sposi novelli, ad edificare costantemente la vostra casa con il Signore, perché mai manchi l'alimento della sua grazia alla lampada della fede che deve brillare incessantemente nella vostra famiglia.

A tutti la mia Benedizione.





Mercoledi 9 Agosto 1995: L'ecumenismo nei rapporti con le Chiese Orientali

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Aula Paolo VI -


1. In tema di ecumenismo è particolarmente importante quanto afferma il Concilio Vaticano II a proposito dei rapporti fra le Chiese orientali ortodosse e la Chiesa cattolica: che cioè l'attuale separazione non può far dimenticare il lungo cammino percorso insieme, all'insegna della fedeltà al patrimonio apostolico comune. "Le Chiese d'Oriente e d'Occidente hanno seguito durante non pochi secoli una propria via, unite pero dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo come moderatrice per comune consenso la Sede romana qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina" (
UR 14). Durante quel periodo storico, le Chiese orientali avevano il proprio modo di celebrare e di esprimere il mistero della fede comune, e di seguire la disciplina.

Tali legittime differenze non impedivano di accettare il ministero affidato a Pietro e a suoi successori.


2. Durante il cammino percorso insieme, l'Occidente ha ricevuto molto dall'Oriente nel campo della liturgia, della tradizione spirituale, dell'ordine giuridico. Inoltre, "i dogmi fondamentali della fede cristiana - della Trinità e del Verbo di Dio incarnato da Maria Vergine - sono stati definiti in Concili ecumenici celebrati in Oriente" (Ibidem UR 14). Lo sviluppo dottrinale, che si è avuto in Oriente nei primi secoli, è stato decisivo per la formulazione dell'universale fede della Chiesa. Qui desidero ricordare con profonda venerazione la dottrina definita da alcuni Concili ecumenici dei primi secoli: la consustanzialità del Figlio al Padre, a Nicea nel 325; la divinità dello Spirito Santo, nel primo Concilio di Costantinopoli celebrato nel 381; la Maternità divina di Maria, a Efeso nel 431; l'unità di persona e la dualità di nature in Cristo, a Calcedonia nel 451. Da questo apporto fondamentale e definitivo per la fede cristiana devono partire gli sviluppi tematici che permettono di sondare sempre meglio le "imperscrutabili ricchezze" del mistero di Cristo (cfr. Ep 3,8).

Il Concilio Vaticano II ha evitato di tornare sulle circostanze della separazione, come pure di soffermarsi sulla valutazione dei mutui rimproveri. Esso fa solo notare che l'identica eredità ricevuta dagli Apostoli è stata qua e là variamente sviluppata in Oriente e in Occidente, "anche per la diversità di mentalità e di condizioni di vita" (UR 14). Ciò ha creato delle difficoltà che, "oltre alle cause estranee, anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni" (Ibidem UR 14). Il ricordo delle pagine dolorose del passato, invece di imprigionare in una gabbia di recriminazioni e polemiche, deve stimolare a reciproca comprensione e carità nel presente come nel futuro.


3. A questo riguardo, desidero sottolineare la grande considerazione che il Concilio mostra per i tesori spirituali dell'Oriente cristiano, a cominciare da quelli connessi con la sacra Liturgia. Le Chiese orientali compiono gli atti liturgici con molto amore. Ciò vale in particolar modo per la Celebrazione eucaristica, nella quale siamo tutti chiamati a scoprire sempre meglio la "fonte della vita della Chiesa e il pegno della vita futura" (UR 15). In essa "i fedeli, uniti col Vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità, fatti "partecipi della natura divina" (2P 1,4). così la Chiesa di Dio è edificata e cresce nelle singole Chiese" (Ibidem UR 15).

Il Decreto sull'ecumenismo ricorda poi la devozione degli Orientali verso Maria, la sempre Vergine, Madre di Dio, esaltata con splendidi inni. Il culto dedicato alla Theotokos pone in luce l'importanza essenziale di Maria nell'opera della redenzione ed illumina anche il senso ed il valore della venerazione tributata ai santi. Uno speciale accenno il Decreto riserva infine alle tradizioni spirituali e specialmente a quelle della vita monastica, osservando che da questa fonte "trasse origine la regola monastica dei latini, e in seguito ricevette di tanto in tanto nuovo vigore" (Ibidem UR 15).

Il contributo dell'Oriente alla vita della Chiesa di Cristo è stato e rimane molto importante. perciò il Concilio esorta i cattolici perché sappiano "che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell'integra tradizione cristiana e per la riconciliazione dei cristiani d'Oriente e d'Occidente" (ibidem UR 15). In particolare, i cattolici sono invitati "ad accedere più spesso alle ricchezze dei Padri orientali" nella tradizione di una spiritualità che "trasporta tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine" (ibidem UR 15).


4. Circa gli aspetti dell'intercomunione, il recente Direttorio ecumenico conferma e specifica quanto era già stato affermato dal Concilio, ossia che una certa intercomunione è possibile, poiché le Chiese orientali hanno veri sacramenti, soprattutto il Sacerdozio e l'Eucaristia.

Su questo delicato punto sono state emanate specifiche indicazioni, secondo le quali ogni cattolico quando è impossibilitato a raggiungere un sacerdote cattolico, può ricevere dal ministro di una Chiesa orientale i sacramenti della Penitenza, Eucaristia e Unzione degli infermi (Direttorio, 123).

Reciprocamente, i ministri cattolici possono lecitamente amministrare i sacramenti della Penitenza, Eucaristia e Unzione degli infermi ai cristiani orientali che li chiedono. Si deve comunque evitare ogni forma di azione pastorale che non sia pienamente rispettosa della dignità e della libertà delle coscienze (Direttorio, 12,5). Anche in altri casi specifici sono previste e disciplinate forme di comunicazione nelle cose sacre, in presenza di particolari situazioni concrete.

In questo contesto voglio inviare un cordiale saluto a quelle Chiese orientali che vivono in piena comunione con il Vescovo di Roma, pur conservando le loro antiche tradizioni liturgiche, disciplinari e spirituali. Esse recano una particolare testimonianza in favore di quella diversità nell'unità che contribuisce alla bellezza della Chiesa di Cristo. La missione loro affidata è, oggi più che mai, quella di servire all'unità voluta da Cristo per la sua Chiesa, partecipando "al dialogo della carità e al dialogo teologico, sia a livello locale che a livello universale, contribuendo così alla reciproca comprensione" (Lett. enc. UUS 60).


5. Secondo il Concilio, "le Chiese d'Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline" (UR 16). Vi e anche una legittima diversità nella trasmissione dell'unica dottrina ricevuta dagli Apostoli. Le varie formule teologiche dell'Oriente e dell'Occidente non di rado si completano, piuttosto che opporsi. Il Concilio fa anche notare che le autentiche tradizioni teologiche degli orientali sono "eccellentemente radicate nella Sacra Scrittura" (UR 17).

Dobbiamo dunque apprendere sempre più ciò che il Concilio insegna e raccomanda sul rispetto delle Chiese orientali nei loro usi, nelle loro consuetudini e nelle loro tradizioni spirituali. Con esse occorre mirare ad avere rapporti di sincera carità e di fruttuosa collaborazione, in piena fedeltà alla verità. Non possiamo che condividere e ripetere l'auspicio che "cresca la fraterna collaborazione con loro, in spirito di carità e bandendo ogni sentimento di litigiosa rivalità" (UR 18). Si, questo conceda veramente il Signore, come dono del suo amore alla Chiesa del nostro tempo! (Ai pellegrini croati:] Saluto di cuore gli esuli croati di Baranjsko Petrovo Selo, ospitati in questi giorni in Italia dalla Caritas diocesana di Città di Castello e della parrocchia San Donato di Trestina.

Carissimi, sono profondamente addolorato per le infinite tragedie della guerra iniziate ormai da oltre quattro anni. Insieme a voi elevo al Signore le preghiere affinché al più presto arrivi il giorno della vera pace nell'intera area del Sud Est d'Europa, come pure in altre parti del mondo.

A voi ed a quanti come voi vivono il dramma di profughi ed esuli imparto la Benedizione Apostolica.

(Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli:] Saluto poi i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli qui presenti.

Domani celebreremo la festa liturgica di San Lorenzo, diacono e martire. Come Lorenzo, anche voi, cari giovani, siate generosi nel testimoniare il Vangelo, sempre disponibili verso i poveri e quanti si trovano in difficoltà. Auguro questo soprattutto a voi che prendete parte al "Campo Internazionale" promosso dall'Opera "Giorgio La Pira", e vi esorto ad essere, sull'esempio del Professor La Pira, costruttori di pace e di unità.

Invito voi, cari ammalati, ad accettare di servire il Signore nella sofferenza, chiedendo con insistenza che nei momenti di tenebra, quando la prova si fa più dura, il suo amore sia per voi luce e conforto.

E voi, cari sposi novelli, sappiate fondare la vostra famiglia sulla fedele adesione alla volontà di Dio in ogni circostanza.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 16 agosto 1995

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Carissimi Fratelli e Sorelle,

Grazie per questa vostra visita. In questo giorno che prolunga, in un certo senso, l’esperienza della festa dell’Assunzione della Vergine, sono lieto di accogliervi e rivolgo a tutti un saluto cordiale. L’icona dell’Assunta splendente della luce pasquale di Cristo porta a considerare la persona umana nella sua autentica verità e bellezza, secondo il disegno originario di Dio.

Guardiamo a Maria, carissimi! La Madre di Cristo, già risorta e partecipe della vita eterna in Lui, protegge i suoi figli dall’alto. In Maria assunta in cielo vediamo la realtà della nostra vita presente e quale è la sorte preparataci nel disegno della salvezza divina.

Possano questi giorni, per molti di distensione e di necessario riposo, aiutarci ad approfondire tali verità che danno senso autentico alla nostra quotidiana esistenza. Abbiamo in effetti tanto bisogno di offrire occasione di riflessione e di preghiera alla vita. E questo è un tempo certamente molto propizio per dare tale alimento allo spirito.

Carissimi Fratelli e Sorelle, pensare a Maria e vedere tra voi molti giovani mi porta con la mente a Loreto. Si svolgerà, fra meno di un mese, presso la Santa Casa, un grande pellegrinaggio dei giovani d’Europa, che costituirà una tappa importante nel cammino di preparazione al Grande Giubileo del 2000. Ci troveremo insieme, prolungando idealmente il clima delle Giornate Mondiali della Gioventù.

Invito in particolare i giovani a prepararsi interiormente alle celebrazioni di sabato 9 e domenica 10 settembre prossimo e spero che saranno veramente numerosi quelli che avranno la possibilità di prendere parte a così significativo appuntamento.

A tutti una speciale Benedizione.

Ai fedeli italiani

Saluto tutti voi, cari pellegrini e villeggianti che siete venuti quest’oggi a trovarmi qui a Castel Gandolfo. Auguro a ciascuno di passare questo tempo estivo nella serenità e nella gioia.



Mercoledi 23 Agosto 1995: Ecumenismo e Chiese separate in Occidente

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Roma -


1. Nell'ambito dell'attuale sforzo ecumenico, vogliamo oggi volgere lo sguardo alle numerose Comunità ecclesiali sorte in Occidente dal periodo della Riforma in poi. Il Concilio Vaticano II ricorda che quelle Comunità ecclesiali "apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo" (
UR 20). Il riconoscimento della divinità di Cristo e la professione di fede nella Trinità costituiscono una base sicura per il dialogo, pur tenendo conto, come osserva lo stesso Concilio, delle "non lievi discordanze dalla dottrina della Chiesa cattolica intorno a Cristo Verbo di Dio incarnato e all'opera della redenzione, e perciò intorno al mistero e al ministero della Chiesa e alla funzione di Maria nell'opera della salvezza" ().

Del resto, differenze notevoli si riscontrano tra le stesse Comunità ecclesiali ora ricordate, al punto che "per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita spirituale (...] è assai difficile descriverle con precisione" (UR 19). Anzi, all'interno di una stessa comunione, non è infrequente rilevare correnti dottrinali fra loro discordi, con divergenze che toccano pure la sostanza della fede. Queste difficoltà, tuttavia, rendono ancor più necessaria la ricerca perseverante del dialogo.


2. Altro significativo elemento che non manca di alimentare il dialogo ecumenico è "l'amore, la venerazione e quasi il culto delle Sacre Scritture" da cui questi nostri fratelli sono spinti "al costante e diligente studio del Libro sacro" (UR 21). Qui, infatti, è offerta a ciascuno la possibilità di conoscere e aderire a Cristo "fonte e centro della comunione ecclesiastica. Presi dal desiderio di unione con Cristo, essi si sentono spinti a cercare sempre più l'unità della Chiesa e a rendere testimonianza della sua fede presso tutti i popoli" (UR 20).

Non possiamo non ammirarli per questo loro atteggiamento spirituale, che è all'origine, tra l'altro, di preziose acquisizioni nella ricerca in campo biblico. Allo stesso tempo, tuttavia, dobbiamo riconoscere che esistono serie divergenze circa la comprensione del rapporto tra le Scritture sacre, la Tradizione e il Magistero autentico della Chiesa. Di quest'ultimo, in particolare, essi negano l'autorità decisiva nell'esporre il senso della Parola di Dio, come pure nel trarne insegnamenti etici per la vita cristiana (cfr. Lett. enc. UUS 69). Questo diverso atteggiamento nei confronti della Rivelazione e delle verità in essa fondate non deve, tuttavia, impedire, ma anzi stimolare il comune impegno nel dialogo ecumenico.


3. Il battesimo che condividiamo con questi fratelli rappresenta "il vincolo sacramentale dell'unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati" (UR 22). Ogni battezzato è incorporato a Cristo crocifisso e glorificato, e viene rigenerato per partecipare alla vita divina. Ma è noto che il battesimo "di per sé è soltanto l'inizio ed esordio" della vita nuova, ordinato com'è "all'integra professione della fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha voluta, e alla piena inserzione nella comunione eucaristica" (ibid UR 22).

Nella logica del Battesimo si trovano, infatti, l'Ordine e l'Eucaristia.

Sono questi i due sacramenti che mancano a coloro che, proprio a causa dell'assenza del sacerdozio, "non hanno conservato la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico" (UR 22), intorno al quale si costruisce la comunità nuova dei credenti. Occorre, pero, aggiungere che le Comunità del dopo Riforma "nella Santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore", "professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa" (), elementi questi che s'avvicinano alla dottrina cattolica.

Su tutti questi punti di fondamentale importanza è particolarmente necessario continuare il dialogo teologico, incoraggiati dai passi significativi che già sono stati compiuti nella giusta direzione.


4. Numerosi incontri di studio si sono infatti avuti in questi anni con rappresentanti qualificati delle diverse Comunità ecclesiali del dopo Riforma. I risultati sono stati consegnati in documenti di grande interesse che hanno aperto prospettive nuove e, nel contempo, hanno fatto comprendere la necessità di scandagliare più a fondo alcuni argomenti (cfr. Lett. enc. UUS 70).

Bisogna tuttavia riconoscere che l'ampia varietà dottrinale esistente in queste comunità rende alquanto laboriosa, al loro interno, la piena recezione dei risultati raggiunti.

Occorre proseguire con costanza e rispetto sulla via del fraterno confronto, poggiando soprattutto sulla preghiera. "Proprio perché la ricerca della piena unità esige un confronto di fede fra credenti che si riferiscono all'unico Signore, la preghiera è la fonte dell'illuminazione sulla verità da accogliere tutta intera" (Lett. enc. UUS 70).


5. La via che resta da percorrere è ancora lunga. Occorre proseguire con fede e con coraggio, senza leggerezze e imprudenze. La reciproca conoscenza e le convergenze dottrinali raggiunte hanno avuto come conseguenza una confortante crescita affettiva ed effettiva nella comunione. Ma non bisogna dimenticare che "il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati" (Lett. enc. UUS 77). Confortati dai risultati già raggiunti, i cristiani devono raddoppiare l'impegno.

Nonostante le difficoltà vecchie e nuove che ostacolano il cammino ecumenico, noi riponiamo un'incrollabile speranza "nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo" (UR 24), convinti con san Paolo che "la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5).

(Segue un saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli]




Mercoledi 30 Agosto 1995: L'unità vince le divisioni

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Roma -


1. Di fronte alle attuali divisioni dei cristiani, si potrebbe essere tentati di ritenere che l'unità della Chiesa di Cristo non esista, o che rimanga solo un bell'ideale verso cui si deve tendere, ma che non si realizzerà se non nell'escatologia. La fede ci dice pero che l'unità della Chiesa non è soltanto una speranza del futuro: essa già esiste. Gesù Cristo non ha pregato invano per essa.

L'unità, tuttavia, non ha ancora raggiunto il suo visibile compimento nei cristiani, ed anzi, come è noto, è stata sottoposta lungo i secoli a varie difficoltà e prove.

Analogamente si deve dire che la Chiesa è santa, ma la sua santità esige un continuo processo di conversione e di rinnovamento da parte dei singoli fedeli e delle comunità. In ciò si inserisce anche l'umile domanda di perdono per le colpe commesse. Ed ancora: la Chiesa è cattolica, ma la sua dimensione universale deve manifestarsi sempre maggiormente grazie all'attività missionaria, all'inculturazione della fede ed allo sforzo ecumenico guidato dallo Spirito Santo, fino alla completa attuazione della divina chiamata alla fede in Cristo.


2. Il problema dell'ecumenismo non è, pertanto, di suscitare dal nulla una unità che ancora non esiste, ma di vivere pienamente e fedelmente, sotto l'azione dello Spirito Santo, quell'unità in cui la Chiesa è stata costituita da Cristo. Si chiarisce così il vero senso della preghiera per l'unità e degli sforzi intrapresi per assicurare l'intesa tra i cristiani (cfr. Lett. enc.
UUS 21). Non si tratta semplicemente di mettere insieme delle buone volontà per creare degli accordi: bisogna piuttosto accogliere pienamente l'unità voluta da Cristo e continuamente donata dallo Spirito. Ad essa non si può pervenire semplicemente con delle convergenze concordate dal basso; occorre piuttosto che ciascuno si apra ad accogliere sinceramente l'impulso che viene dall'Alto, seguendo docilmente l'azione dello Spirito che vuole riunire gli uomini in "un solo gregge", sotto "un solo Pastore" (cfr. Jn 10,16), Cristo Signore.


3. L'unità della Chiesa deve dunque essere considerata soprattutto come un dono che viene dall'Alto. Popolo dei redenti, la Chiesa ha una struttura singolare, che differisce da quella che regola le società umane. Queste danno a se stesse, quando hanno raggiunto la maturità necessaria e attraverso processi propri, un'autorità che le governi e cerchi di assicurare la confluenza di tutti verso il bene comune.

La Chiesa, invece, riceve la sua istituzione e la sua struttura da Colui che l'ha fondata, Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato. Con la propria autorità, Egli l'ha edificata scegliendo dodici uomini e costituendoli apostoli, cioè inviati, perché continuassero nel suo nome la sua opera; tra questi Dodici ne ha scelto uno, l'apostolo Pietro, al quale ha detto: "Simone... io ho pregato per te; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32).

Pietro è, dunque, uno dei Dodici, con i compiti degli altri Apostoli; a lui, tuttavia, Cristo ha voluto affidare un'incombenza ulteriore: quella di confermare i fratelli nella fede e nella sollecitudine della reciproca carità. Il ministero del Successore di Pietro è un dono che Cristo ha fatto alla sua Sposa, affinché in ogni tempo sia preservata e promossa l'unità dell'intero Popolo di Dio. Il Vescovo di Roma, perciò, è il servus servorum Dei, costituito da Dio quale "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità" (LG 23 cfr. UUS 88-96).


4. L'unità della Chiesa non si manifesterà pienamente fino a che i cristiani non faranno propria questa volontà di Cristo, accogliendo, tra i doni di grazia, anche l'autorità che Egli ha dato agli Apostoli, quella stessa autorità che viene oggi esercitata dai Vescovi, loro Successori, in comunione con il ministero del Vescovo di Roma, Successore di Pietro. Intorno a questo "cenacolo di apostolicità", di istituzione divina, è chiamata a realizzarsi a livello visibile, mediante la potenza dello Spirito Santo, quella stessa unità di tutti i fedeli in Cristo, per la quale egli ha intensamente pregato.

Non sarebbe conforme alla Scrittura e alla Tradizione ipotizzare nella Chiesa un tipo d'autorità sul modello degli ordinamenti politici che si sono sviluppati lungo la storia dell'umanità. Al contrario, secondo il pensiero e l'esempio del Fondatore, a chi è chiamato a far parte del collegio apostolico è richiesto di servire, proprio come Cristo che nel Cenacolo inizio l'ultima Cena lavando i piedi agli apostoli. "Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita" (Mc 10,45). Servire il popolo di Dio affinché tutti siano un cuor solo ed un'anima sola!


5. E' questa la base della struttura della Chiesa. Ma la storia ci rammenta che tale ministero ha lasciato nella memoria dei cristiani delle altre Chiese e Comunità ecclesiali dei ricordi dolorosi che occorre purificare. La debolezza umana di Pietro (cfr. Mt 16,23), di Paolo (cfr. 2Co 12,9-10) e degli Apostoli pone in risalto il valore della misericordia di Dio e della potenza della sua grazia. Le tradizioni evangeliche, infatti, ci insegnano che è proprio questa potenza di grazia a trasformare i chiamati alla sequela del Signore e a renderli uno in lui. Il ministero di Pietro e dei suoi successori, all'interno del collegio degli Apostoli e dei loro successori, è "un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo" (Lett. enc. UUS 92).

Il Buon Pastore ha voluto che nei secoli la sua voce di verità fosse udita da tutto il gregge che egli si è acquistato mediante il suo sacrificio. Per tale ragione ha affidato agli Undici con a capo Pietro, e ai loro successori, la missione di vegliare come sentinelle, affinché in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si realizzi l'una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia. Nella comunione dei Pastori con il Vescovo di Roma, quindi, viene a realizzarsi la testimonianza alla verità che è anche servizio all'unità, in cui il ruolo del successore di Pietro ha un posto tutto particolare.


6. All'alba del nuovo millennio, come non invocare per tutti i cristiani la grazia di quell'unità che è stata loro meritata a un prezzo così alto dal Signore Gesù? L'unità della fede, nell'adesione alla Verità rivelata; l'unità della speranza, nel cammino verso il compimento del Regno di Dio; l'unità della carità, con le sue molteplici forme e applicazioni in tutti i campi del vivere umano. In questa unità tutti i conflitti possono trovare soluzione e tutti i cristiani divisi la loro riconciliazione, per giungere alla meta della piena e visibile comunione.

"E se volessimo chiederci se tutto ciò è possibile, la risposta è sempre: si. La stessa risposta udita da Maria di Nazaret, perché nulla è impossibile a Dio" (Lett. enc. UUS 102). Al termine di questo ciclo di catechesi, torna alla mente l'esortazione dell'apostolo Paolo: "Tendete, fratelli, alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi (...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Co 13,11 2Co 13,13).

Amen!

(Questa la traduzione delle parole rivolte dal Santo Padre ai pellegrini della Croazia e della Bosnia ed Erzegovina:]

Cari pellegrini provenienti dalla Croazia e dalla Bosnia ed Erzegovina, vi saluto tutti. Benvenuti! Le tremende immagini del recente massacro a Sarajevo turbano il cuore di ogni uomo di buona volontà e fanno percepire l'immane tragedia che nelle vostre regioni è stata provocata dalla crudele guerra tuttora in corso.

Vorrei, in questa occasione, riconfermare la mia vicinanza e la vicinanza dell'intera Chiesa Cattolica a tutti coloro che soffrono, in vari modi, a causa della sanguinosa guerra nella Bosnia ed Erzegovina e nella Croazia: a quanti piangono i loro cari tragicamente morti o dispersi, ai prigionieri, agli esuli ed ai profughi, alle famiglie distrutte, a quanti si trovano in condizioni di disagio. Preghiamo insieme, carissimi, affinché vincano l'amore e il perdono, così che gli uomini e i popoli possano avere un futuro sicuro e dignitoso, corrispondente alle loro nobili plurisecolari tradizioni ed alle loro legittime aspirazioni! Nonostante la grave situazione, vi invito tutti a guardare con fiducia e speranza verso il futuro, perché "Dio è dalla parte degli oppressi" (Omelia dell'8 settembre 1994, in L'Osservatore Romano, 9 settembre 1994, p. 5). Questi tempi non facili siano per ciascuno di voi anche occasione di maturazione umana e religiosa, affinché, sotto la guida dei vostri zelanti e benemeriti Vescovi e Presbiteri, possiate di nuovo costruire una vitale Comunità cattolica, testimone fedele e coraggiosa del Vangelo di Cristo.

A voi qui presenti e ai vostri familiari di cuore imparto la Benedizione Apostolica.

Siano lodati Gesù e Maria!

(Questa la traduzione italiana del saluto del Papa ai fedeli polacchi:]

Sia lodato Gesù Cristo! Oggi nella Basilica di San Pietro ci sono soprattutto i pellegrini dalla Polonia, dalla Croazia e dalla Bosnia. Desidero salutare prima i nostri fratelli slavi del sud. E' bene che loro stiano qui in mezzo a noi, di modo che si sentano circondati dalla nostra sollecitudine, dalla nostra benevolenza, dalla nostra compassione e speranza.

Saluto cordialmente tutti i pellegrini dalla Polonia.

Questo incontro dei polacchi e dei croati nella Basilica di San Pietro ci commuove tutti. A noi polacchi fa tornare in mente l'anno 1939, il 1 settembre, che cade proprio dopodomani, l'inizio della seconda guerra mondiale. La seconda guerra mondiale è finita nel 1945, ma come possiamo vedere perdura ancora in Europa, nei Balcani, sul territorio della ex Jugoslavia. Siamo tutti impressionati da questo seguito della seconda guerra mondiale e da ogni suo episodio. Seguiamo giorno dopo giorno ciò che succede ai nostri fratelli slavi del sud che vivono in quei paesi e soprattutto nel territorio della Croazia e della Bosnia ed Erzegovina. E tutti i giorni preghiamo per la pace, affinché la pace sconfigga l'odio. Per questo preghiamo anche noi polacchi, memori delle grandi sofferenze che abbiamo provato durante la seconda guerra mondiale. E' vero che quelle esperienze sono ormai lontane, ma anche così, guardandole da lontano, a distanza di anni, siamo in grado di valutare quanto sono grandi le sofferenze dei nostri fratelli slavi del sud nei Balcani.

Tutto ciò si ricollega alla nostra odierna catechesi. Perché la catechesi parla dell'unità in riferimento alle parole di Gesù che aveva pregato per l'unità dei suoi discepoli, per l'unità dei cristiani, per l'unità della Chiesa e per l'unità degli uomini, dell'umanità, delle nazioni, dei popoli in tutto il pianeta - delle nazioni e dei popoli cristiani in Europa, e in particolare nella Penisola Balcanica.

Oggi dunque, al termine di questo incontro pregheremo per la pace - per la pace, per l'unità, per la vera unità dell'Europa e del mondo. Pregheremo anche per l'unità della Chiesa, per l'unità nel senso ecumenico tra i cristiani dell'Oriente e dell'Occidente: cattolici, ortodossi, protestanti, e nello stesso tempo per l'unità tra le nazioni del continente europeo, affinché la forza dell'amore, dell'unità e della pace sconfigga le forze dell'odio e della guerra.

Pregheremo ora insieme cantando in latino, perché il latino lo conosciamo tutti, Padre nostro - Pater noster!

(Segue saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli]




Catechesi 79-2005 20895