Catechesi 79-2005 11899

Mercoledì, 11 agosto 1999: La vita cristiana come cammino verso la piena comunione con Dio

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Lettura:
Ep 2,4-6

1. Dopo aver meditato sul traguardo escatologico della nostra esistenza, cioè sulla vita eterna, vogliamo ora riflettere sul cammino che ad esso conduce. Sviluppiamo per questo la prospettiva presentata nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente: “Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il ‘figlio perduto’ (cfr Lc 15,11-32). Tale pellegrinaggio coinvolge l’intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per raggiungere l’intera umanità” (TMA 49).

In realtà, ciò che il cristiano vivrà un giorno in pienezza è già in qualche modo anticipato oggi. La Pasqua del Signore è infatti inaugurazione della vita del mondo che verrà.

2. L'Antico Testamento prepara l'annuncio di questa verità attraverso la complessa tematica dell'Esodo. Il cammino del popolo eletto verso la terra promessa (cfr Ex 6,6) è come una magnifica icona del cammino del cristiano verso la casa del Padre. Ovviamente la differenza è fondamentale: mentre nell’antico Esodo la liberazione era orientata al possesso della terra, dono provvisorio come tutte le realtà umane, il nuovo “Esodo” consiste nell'itinerario verso la casa del Padre, in prospettiva di definitività ed eternità, che trascende la storia umana e cosmica. La terra promessa dell’Antico Testamento fu perduta di fatto con la caduta dei due regni e con l’esilio babilonese, in seguito al quale si sviluppò l'idea di un ritorno come nuovo Esodo. Tuttavia questo cammino non si risolse unicamente in un altro insediamento di tipo geografico o politico, ma si aprì ad una visione “escatologica” che ormai preludeva alla piena rivelazione in Cristo. In questa direzione si muovono appunto le immagini universalistiche, che nel Libro di Isaia descrivono il cammino dei popoli e della storia verso una nuova Gerusalemme, centro del mondo (cfr Is 56-66).

3. Il Nuovo Testamento annuncia il compimento di questa grande attesa, additando in Cristo il Salvatore del mondo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). Alla luce di questo annuncio la vita presente è già sotto il segno della salvezza. Questa si realizza nell’evento di Gesù di Nazaret che culmina nella Pasqua, ma avrà la sua piena realizzazione nella “parusia”, nell’ultima venuta di Cristo.

Secondo l’apostolo Paolo questo itinerario di salvezza che collega il passato al presente proiettandolo nell'avvenire è frutto di un disegno di Dio, tutto incentrato nel mistero di Cristo. Si tratta del “mistero della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle sulla terra” (Ep 1,9-10 cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, CFR ).

In questo disegno divino, il presente è il tempo del “già e non ancora”, tempo della salvezza già realizzata e del cammino verso la sua perfetta attuazione: “Finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ep 4,13).

4. La crescita verso una tale perfezione in Cristo, e perciò verso l’esperienza del mistero trinitario, implica che la Pasqua si realizzerà e celebrerà pienamente solo nel regno escatologico di Dio (cfr Lc 22,16). Ma l’evento dell’incarnazione, della croce e della risurrezione costituisce già la rivelazione definitiva di Dio. L’offerta di redenzione che tale evento implica si inscrive nella storia della nostra libertà umana chiamata a rispondere all'appello di salvezza.

La vita cristiana è partecipazione al mistero pasquale, come cammino di croce e risurrezione. Cammino di croce, perché la nostra esistenza è continuamente sotto il vaglio purificatore che porta al superamento del vecchio mondo segnato dal peccato. Cammino di risurrezione, perché risuscitando Cristo, il Padre ha sconfitto il peccato, per cui nel credente il “giudizio della croce” diventa “giustizia di Dio”, vale a dire trionfo della sua Verità e del suo Amore sulla perversità del mondo.

5. La vita cristiana è in definitiva una crescita verso il mistero della Pasqua eterna. Essa esige pertanto di tenere fisso lo sguardo alla meta, alle realtà ultime, ma al tempo stesso di impegnarsi nelle realtà ‘penultime’: tra queste e il traguardo escatologico non vi è opposizione, ma al contrario un rapporto di mutua fecondazione. Se va affermato sempre il primato dell’Eterno, ciò non impedisce che viviamo rettamente alla luce di Dio, le realtà storiche (cfr CCC, 1048s).

Si tratta di purificare ogni espressione dell’umano e ogni attività terrena, perché in esse traspaia sempre più il Mistero della Pasqua del Signore. Come infatti ci ha ricordato il Concilio, l’attività umana, che porta sempre con sé il segno del peccato, è purificata ed elevata a perfezione dal mistero pasquale, cosicché “i beni quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale” (Gaudium et spes GS 39).

Questa luce d’eternità illumina la vita e l’intera storia dell’uomo sulla terra.



Traduzione italiana del saluto in lingua lituana

Cari pellegrini lituani, Fratelli e Sorelle!

Saluto di cuore voi e per mezzo vostro tutti gli abitanti della Lituania. Nella preghiera vi affido a Maria, la Santa Madre di Dio, che vi sostenga nel cammino verso Cristo e vi aiuti nell'impegno cristiano di essere artefici di pace e di solidarietà.

Invoco su di voi, sulle vostre famiglie e su tutta la vostra patria, la Lituania, l'abbondanza delle benedizioni divine. Sia lodato Gesù Cristo.

Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi dalla parrocchia di Nimnica Spišské Vlachy e Šaštin.

Cari pellegrini, come ai tempi di San Lorenzo diacono, di cui abbiamo ieri commemorato il martirio, anche oggi in diversi paesi i cristiani soffrono per la loro fede in Gesù Cristo. Per questo vi prego, carissimi pellegrini di pensare nelle vostre preghiere anche a coloro che soffrono per il nome di Gesù.

Imparto di cuore a voi e a tutti i vostri cari la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!
* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, alle Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù, ai giovani che partecipano al Campo Internazionale promosso dall'Opera per la Gioventù "Giorgio La Pira", che si svolge al Villaggio "La Vela" a Castiglion della Pescaia, ed ai partecipanti all'edizione del Festival internazionale del Folklore, organizzato dalla Pro loco di Alatri.

Saluto, poi, voi, cari scout, che provenite da diverse città d'Italia, e profitto della vostra presenza per rinnovare la mia solidarietà per la tragica perdita di tre vostre amiche in Val Chiavenna. Ricordo queste ragazze nella preghiera insieme ai loro parenti ed alla grande e benemerita famiglia educativa dell'AGESCI.

Il mio cordiale pensiero si rivolge, ora, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.

Celebriamo oggi la memoria di Santa Chiara d'Assisi, luminoso modello di giovane, che ha saputo vivere con coraggio e generosità la sua adesione a Cristo.

Imitate il suo esempio particolarmente voi, cari ragazzi e ragazze, perché possiate come lei rispondere fedelmente alla chiamata del Signore.

Incoraggio voi, cari malati, ad unirvi ogni giorno a Gesù sofferente nel portare con fede la vostra croce per la salvezza di tutti gli uomini.

E voi, cari sposi novelli, siate sempre nella vostra famiglia apostoli del Vangelo dell'amore. A tutti la mia Benedizione.

Concludo ora, perché so che alcuni di voi hanno fretta di vedere l'eclissi di sole. Prima di lasciarci, però, non posso non ricordare che ricorre proprio domani il 50° anniversario delle Convenzioni di Ginevra, adottate alla fine della seconda Guerra Mondiale per assicurare protezione ai civili, ai prigionieri e a tutte le vittime dei conflitti armati.

Questo anniversario ripropone all'attenzione della comunità internazionale la situazione delle vittime delle guerre che, ancora oggi, insanguinano numerosi Stati.

Quel minimo di protezione della dignità di ogni essere umano, garantito dal diritto internazionale umanitario è troppo spesso violato in nome di esigenze militari o politiche, che mai dovrebbero avere il sopravvento sul valore della persona umana.

Si avverte oggi la necessità di trovare un nuovo consenso sui principi umanitari e di rafforzarne i fondamenti per impedire il ripetersi di atrocità e abusi.

La Chiesa non si stanca di ripetere che è indispensabile l'educazione al rispetto di ogni vita umana, collaborando attivamente con quanti lavorano per assicurare il rispetto della dignità e l'assistenza dei sofferenti, sia civili che militari.

Su quanti si prodigano a favore delle tante e innocenti vittime dei conflitti, dei prigionieri, dei civili in balìa delle violenze, invoco la benedizione del Signore.




Mercoledì, 18 agosto 1999: Il cammino di conversione come liberazione dal male

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1. Fra i temi proposti in modo speciale alla considerazione del popolo di Dio in questo terzo anno di preparazione al grande Giubileo del 2000, troviamo la conversione, che include la liberazione dal male (cfr Tertio Millennio Adveniente
TMA 50). È un tema che tocca profondamente la nostra esperienza. Tutta la storia personale e comunitaria, infatti, si presenta in gran parte come una lotta contro il male. L'invocazione “Liberaci dal male” o dal “maligno”, contenuta nel Padre Nostro, scandisce la nostra preghiera perché ci allontaniamo dal peccato e siamo liberi da ogni connivenza con il male. Essa ci richiama la lotta quotidiana, ma soprattutto ci ricorda il segreto per vincerla: la forza di Dio che si è manifestata e ci è offerta in Gesù (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 2853).

2. Il male morale provoca la sofferenza, la quale viene presentata, soprattutto nell’Antico Testamento, come castigo collegato a comportamenti in contrasto con la legge di Dio. D’altra parte, la Sacra Scrittura evidenzia che, dopo il peccato, si può chiedere a Dio la sua misericordia, cioè il perdono della colpa e la fine delle pene da essa provocate. Il ritorno sincero a Dio e la liberazione dal male sono due aspetti di un unico percorso. Così, ad esempio, Geremia esorta il popolo: ”Ritornate, figli traviati, io risanerò le vostre ribellioni” (Jr 3,22). Nel Libro delle Lamentazioni si sottolinea la prospettiva del ritorno al Signore (cfr Lm 5,21) e l’esperienza della sua misericordia: “Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione; esse sono rinnovate ogni mattina, grande è la sua fedeltà” (Lm 3,22; cfr Lm 2,32).

Tutta la storia di Israele è riletta alla luce della dialettica “peccato - castigo - pentimento - misericordia” (cfr ad es. Jg 3,7-10): è questo il nucleo centrale della tradizione deuteronomistica. La stessa disfatta storica del regno e della città di Gerusalemme è interpretata come castigo divino per la mancata fedeltà all’alleanza.

3. Nella Bibbia il lamento rivolto a Dio quando si è attanagliati dalla sofferenza si accompagna al riconoscimento del peccato commesso e alla fiducia nel suo intervento liberatore. La confessione della colpa è uno degli elementi attraverso cui emerge tale fiducia. A questo proposito sono molto indicativi alcuni salmi, che esprimono con forza la confessione della colpa e il dolore per il proprio peccato (cfr Ps 38,19 Ps 41,5). Una tale ammissione di colpevolezza, descritta efficacemente nel Salmo 51, è imprescindibile per iniziare una vita nuova. La confessione del proprio peccato fa risaltare di riflesso la giustizia di Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio” (Ps 51,6). Nei Salmi ritorna continuamente l'invocazione di aiuto e l'attesa fiduciosa della liberazione di Israele (cfr Ps 88 Ps 130). Gesù stesso sulla croce pregò col Salmo 22 per ottenere l’intervento amorevole del Padre nell’ora suprema.

4. Rivolgendosi con quelle espressioni al Padre, Gesù dà voce a quell’attesa di liberazione dal male che, secondo la prospettiva biblica, avviene attraverso una persona che accoglie la sofferenza con il suo valore espiatorio: è il caso della figura misteriosa del Servo del Signore in Isaia (Is 42,1-9 Is 49,1-6 Is 50,4-9 Is 52,13-53 Is 12). Anche altri personaggi assumono la stessa funzione, come il profeta che sconta ed espia le iniquità di Israele (cfr Ez 4,4-5), il trafitto verso il quale si volgerà lo sguardo (cfr Za 12,10-11 Jn 19,37 cfr Ap 1,7), i martiri che accettano la loro sofferenza in espiazione dei peccati del loro popolo (cfr 2M 7,37-38).

Gesù riassume tutte queste figure e le reinterpreta. Solamente in Lui e attraverso Lui prendiamo coscienza del male ed invochiamo il Padre per esserne liberati.

Nella preghiera del Padre Nostro si fa esplicito il riferimento al male; il termine ponerós (Mt 6,13), che di per sé è una forma aggettivale, qui può indicare una personificazione del male. Questo è provocato nel mondo da quell’essere spirituale, chiamato dalla rivelazione biblica Diavolo o Satana, che si è posto deliberatamente contro Dio (cfr CCC, 2851s). La ?malignità’ umana costituita dal demoniaco o suscitata dal suo influsso, si presenta anche ai nostri giorni in forma allettante, seducendo le menti e i cuori, così da far perdere il senso stesso del male e del peccato. Si tratta di quel “mistero di iniquità” di cui parla san Paolo (cfr 2Th 2,7). Esso è certamente legato alla libertà dell'uomo, “ma dentro il suo stesso spessore umano agiscono fattori, per i quali esso si situa al di là dell’umano, nella stessa zona di confine dove la coscienza, la volontà e la sensibilità dell'uomo sono in contatto con le forze oscure che, secondo san Paolo, agiscono nel mondo fin quasi a signoreggiarlo” (Reconciliatio et paenitentia RP 14).

Purtroppo gli esseri umani possono diventare protagonisti di malvagità, cioè “generazione maligna e perversa” (Mt 12,39).

5. Noi crediamo che Gesù ha vinto definitivamente Satana e ci ha sottratti così alla paura nei suoi confronti. Ad ogni generazione la Chiesa ripresenta, come l’apostolo Pietro nel discorso a Cornelio, l’immagine liberante di Gesù di Nazaret, “il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (Ac 10,38)

Se in Gesù è avvenuta la sconfitta del maligno, la sua vittoria tuttavia dev’essere liberamente accettata da ciascuno di noi, finché il male non sia completamente eliminato. La lotta contro il male richiede quindi impegno e continua vigilanza. La liberazione definitiva è intravista solo in una prospettiva escatologica (cfr Ap 21,4).

Al di là delle nostre fatiche e degli stessi nostri fallimenti rimane questa consolante parola di Cristo: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Jn 16,33).


Desidero ora rivolgere un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana e, in particolare, ai seminaristi del Seminario Vescovile di Bergamo. Questo pellegrinaggio romano sia per voi, carissimi, un'occasione propizia per vivere insieme una singolare esperienza di fede, che vi incoraggi a proseguire con rinnovata fiducia nel cammino vocazionale intrapreso.

Un saluto, poi, va ai giovani torinesi, che, partiti da Malta, concludono a Roma presso la tomba degli Apostoli il loro pellegrinaggio "sulle orme di san Paolo". Sia sempre il Vangelo, carissimi, ad orientare ogni vostra scelta e decisione.

Saluto con affetto i pellegrini giunti dalla Lituania.

Carissimi Fratelli e Sorelle, auguro a voi, presenti in questa udienza, ai vostri cari e a tutta la vostra Patria ogni bene nel nome di Cristo, nostro Salvatore. Che la Sua grazia vi aiuti di riaffermare l'identità storica e culturale del vostro Paese, basata da sempre sulla tradizione cristiana e sulla fedeltà alla Chiesa!

Unisco nel ricordo tutti gli altri giovani, i malati e gli sposi novelli, presenti a questo nostro incontro.

Domenica scorsa abbiamo celebrato la Solennità dell'Assunzione di Maria Vergine al cielo, che dà una singolare impronta mariana a questi giorni di Ferragosto.

A voi tutti, cari giovani, cari malati e cari sposi novelli auguro di sperimentare la materna protezione di Maria, nostra Madre celeste, e di essere da Lei sostenuti nella quotidiana esistenza.

Vi accompagni, inoltre, la Benedizione, che imparto con affetto a tutti voi ed estendo alle persone a voi care.




Mercoledì, 25 agosto 1999: Combattere il peccato personale e le “strutture di peccato”

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1. Continuando a riflettere sul cammino di conversione, sostenuti dalla certezza dell'amore del Padre, vogliamo oggi portare la nostra attenzione sul senso del peccato sia personale che sociale. Guardiamo innanzitutto all’atteggiamento di Gesù venuto appunto a liberare gli uomini dal peccato e dall’influsso di Satana.

Il Nuovo Testamento sottolinea fortemente l’autorità di Gesù sui demoni, che egli scaccia “con il dito di Dio” (
Lc 11,20). Nella prospettiva evangelica, la liberazione degli indemoniati (cfr Mc 5,1-20) assume un significato più ampio della semplice guarigione fisica, in quanto il male fisico è posto in relazione con un male interiore. La malattia dalla quale Gesù libera è anzitutto quella del peccato. Gesù stesso lo spiega in occasione della guarigione del paralitico: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2,10-11). Prima ancora che nelle guarigioni, Gesù ha vinto il peccato superando egli stesso le “tentazioni” che il diavolo gli presentava nel periodo da lui trascorso nel deserto dopo il battesimo ricevuto da Giovanni (cfr Mc 1,12-13 Mt 4,1-11 Lc 4,1-13). Per combattere il peccato che si annida dentro di noi e attorno a noi, dobbiamo metterci sulle orme di Gesù e imparare il gusto del “sì” da Lui continuamente pronunciato al progetto di amore del Padre. Questo “sì” richiede tutto il nostro impegno, ma non potremmo pronunciarlo senza l’aiuto della grazia, che Gesù stesso ci ha ottenuto con la sua opera redentrice.

2. Guardando ora al mondo contemporaneo, dobbiamo constatare che in esso la coscienza del peccato si è notevolmente affievolita. A causa di una diffusa indifferenza religiosa, o del rifiuto di quanto la retta ragione e la Rivelazione ci dicono di Dio, viene meno in tanti uomini e donne il senso dell’alleanza di Dio e dei suoi comandamenti. Molto spesso poi la responsabilità umana viene offuscata dalla pretesa di una libertà assoluta, che si reputa minacciata e condizionata da Dio legislatore supremo.

Il dramma della situazione contemporanea, che sembra abbandonare alcuni valori morali fondamentali, dipende in gran parte dalla perdita del senso del peccato. Su questo punto avvertiamo quanto grande debba essere il cammino della ‘nuova evangelizzazione’. Occorre restituire alla coscienza il senso di Dio, della sua misericordia, della gratuità dei suoi doni, perché possa riconoscere la gravità del peccato, che mette l’uomo contro il suo Creatore. La consistenza della libertà personale va riconosciuta e difesa come dono prezioso di Dio, contro la tendenza a dissolverla nella catena dei condizionamenti sociali o a staccarla dal suo irrinunciabile riferimento al Creatore.

3. È anche vero che il peccato personale ha sempre una valenza sociale. Mentre offende Dio e danneggia se stesso, il peccatore si rende pure responsabile della cattiva testimonianza e degli influssi negativi legati al suo comportamento. Anche quando il peccato è interiore, produce comunque un peggioramento della condizione umana e costituisce una diminuzione di quel contributo che ogni uomo è chiamato a dare al progresso spirituale della comunità umana.

Oltre a tutto ciò, i peccati dei singoli consolidano quelle forme di peccato sociale che sono appunto frutto dell’accumulazione di molte colpe personali. Le vere responsabilità restano ovviamente delle persone, dato che la struttura sociale in quanto tale non è soggetto di atti morali. Come ricorda l’Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, “la Chiesa, quando parla di situazioni di peccato o denuncia come peccati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere nazioni o blocchi di nazioni, sa e proclama che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l’accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali … Le vere responsabilità sono delle persone” (RP 16).

È tuttavia un fatto incontrovertibile, come più volte ho avuto modo di ribadire, che l’interdipendenza dei sistemi sociali, economici e politici, crea nel mondo di oggi molteplici strutture di peccato (cfr Sollicitudo rei socialis SRS 36 Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 1869). Esiste una spaventosa forza di attrazione del male che fa giudicare ‘normali’ e ‘inevitabili’ molti atteggiamenti. Il male si accresce e preme con effetti devastanti sulle coscienze, che rimangono disorientate e non sono neppure in grado di discernere. Se si pensa poi alle strutture di peccato che frenano lo sviluppo dei popoli più svantaggiati sotto il profilo economico e politico (cfr Sollicitudo rei socialis SRS 37), verrebbe quasi da arrendersi di fronte a un male morale che sembra ineluttabile. Tante persone avvertono l’impotenza e lo smarrimento di fronte a una situazione schiacciante che appare senza via d'uscita. Ma l’annuncio della vittoria di Cristo sul male ci dà la certezza che anche le strutture più consolidate dal male possono essere vinte e sostituite da “strutture di bene” (cfr Ibidem, SRS 39).

4. La “nuova evangelizzazione” affronta questa sfida. Essa deve impegnarsi perché tutti gli uomini recuperino la consapevolezza che in Cristo è possibile vincere il male con il bene. Occorre formare al senso della responsabilità personale, intimamente connessa agli imperativi morali e alla coscienza del peccato. Il cammino di conversione implica l’esclusione di ogni connivenza con quelle strutture di peccato che oggi particolarmente condizionano le persone nei diversi contesti di vita.

Il Giubileo può costituire un’occasione provvidenziale perché i singoli e le comunità camminino in questa direzione, promuovendo un’autentica “metánoia”, ossia un cambiamento di mentalità, che contribuisca alla creazione di strutture più giuste e più umane, a vantaggio del bene comune.

Chers frères et soeurs,

je salue cordialement les pèlerins francophones, notamment ceux du diocèse d'Autun, avec leur Évêque, Monseigneur Raymond Séguy, et les jeunes de Reims et de Marseille. J'accueille avec joie les pèlerins du Sénégal, avec Monseigneur Adrien-Théodore Sarr, Évêque de Kaolack, ainsi que les Camerounais. Que votre pèlerinage à Rome vous rende forts dans la foi!

De grand coeur, je vous bénis tous.

Desidero ora rivolgere un caro saluto a tutti i gruppi di lingua italiana. Anzitutto, saluto i ragazzi, i giovani e gli adulti della Parrocchia dei santi Pietro e Paolo in Arcellasco d’Erba, e, mentre volentieri benedico la fiaccola votiva che essi porteranno a piedi da Roma a casa, li esorto a tenere sempre viva nel loro cuore la luce della fede.

Un saluto cordiale ai giovani provenienti da San Pietroburgo, amici dell’opera “Giorgio La Pira” e ai volontari che li accolgono; saluto poi il gruppo ciclistico “Amore e Vita” della Parrocchia di san Lorenzo in Villanova Mondovì e i pellegrini della Parrocchia di sant’Antonio Abate in Priero, guidati dai rispettivi Parroci ed accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Luciano Pacomio.

Desidero, infine, rivolgere il mio pensiero agli altri giovani presenti, agli ammalati ed agli sposi novelli.

A voi, cari giovani, rinnovo l’invito a testimoniare con generosità la vostra fedeltà al Vangelo fra i vostri coetanei e tra quanti ancora non lo conoscono.

Voi, cari ammalati, non mancate di rinvigorire ogni giorno la vostra adesione a Cristo, il quale vi è vicino e vi conforta nella sofferenza e nella malattia.

E voi, cari sposi novelli, rispondete prontamente al Signore, che vi chiede di fare della vostra famiglia la casa del suo amore.






Mercoledì, 1° settembre 1999: La Chiesa chiede perdono per le colpe dei suoi figli

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1. “Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri […] noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti . . . ” (
Da 3,26 Da 3,29). Così pregavano gli Ebrei dopo l’esilio (cfr anche Ba 2,11-13), facendosi carico delle colpe commesse dai loro padri. La Chiesa imita il loro esempio e chiede perdono per le colpe anche storiche dei suoi figli.

Nel nostro secolo, infatti, l’evento del Concilio Vaticano II ha suscitato un impulso significativo di rinnovamento della Chiesa, perché come comunità dei salvati diventi sempre più trasparenza viva del messaggio di Gesù in mezzo al mondo. Fedele all’insegnamento dell’ultimo Concilio, la Chiesa è sempre più consapevole che solo in una continua purificazione dei suoi membri e delle sue istituzioni, può offrire al mondo una coerente testimonianza del Signore. Per questo, “santa e insieme bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il rinnovamento” (Lumen gentium LG 8).

2. Il riconoscimento delle implicanze comunitarie del peccato spinge la Chiesa a chiedere perdono per le colpe “storiche” dei suoi figli. A ciò induce la preziosa occasione del grande Giubileo del 2000 il quale, sulla scia degli insegnamenti del Vaticano II, intende iniziare una nuova pagina di storia, nel superamento degli ostacoli che ancora dividono tra loro gli esseri umani e i cristiani in particolare.

Perciò nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente ho chiesto che, alla fine di questo secondo Millennio, “la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo Spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano forme di antitestimonianza e di scandalo” (TMA 33).

3. Il riconoscimento dei peccati storici suppone una presa di posizione nei confronti degli eventi, così come sono realmente accaduti e che solo ricostruzioni storiche serene e complete possono far emergere. D’altra parte il giudizio su eventi storici non può prescindere da una considerazione realistica dei condizionamenti costituiti dai singoli contesti culturali, prima di attribuire ai singoli specifiche responsabilità morali.

La Chiesa certo non teme la verità che emerge dalla storia ed è pronta a riconoscere gli sbagli, là dove sono accertati, soprattutto quando si tratta del rispetto dovuto alle persone e alle comunità. Essa è propensa a diffidare delle sentenze generalizzate di assoluzione o di condanna rispetto alle varie epoche storiche. Affida l’indagine sul passato alla paziente e onesta ricostruzione scientifica, libera da pregiudizi di tipo confessionale o ideologico, sia per quanto riguarda gli addebiti che le vengono fatti, sia per i torti da essa subiti.

Quando sono accertate da una seria indagine storica, la Chiesa sente il dovere di riconoscere le colpe dei propri membri e di chiederne perdono a Dio e ai fratelli. Questa domanda di perdono non deve essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua storia bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e della santità. Essa risponde invece a un’irrinunciabile esigenza di verità, che accanto agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le debolezze umane delle varie generazioni dei discepoli di Cristo.

4. L’avvicinarsi del Giubileo attira l’attenzione su alcuni tipi di peccati presenti e passati sui quali in modo particolare occorre invocare la misericordia del Padre.

Penso anzitutto alla dolorosa realtà della divisione tra i cristiani. Le lacerazioni del passato, certamente non senza colpe da ambo le parti, restano uno scandalo di fronte al mondo. Un secondo atto di pentimento riguarda l’acquiescenza a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità (cfr TMA 35). Anche se molti lo fecero in buona fede, non fu certo evangelico pensare che la verità dovesse essere imposta con la forza. Vi è poi il mancato discernimento di non pochi cristiani rispetto a situazioni di violazione dei diritti umani fondamentali. La richiesta di perdono vale per quanto è stato omesso o taciuto per debolezza o errata valutazione, per ciò che è stato fatto o detto in modo indeciso o poco idoneo.

Su questi ed altri punti, “la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l'immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza” (Ibidem).

L’atteggiamento penitenziale della Chiesa del nostro tempo, alle soglie del terzo Millennio, non vuole dunque essere un revisionismo storiografico di comodo, che sarebbe del resto sospetto quanto inutile. Esso piuttosto porta lo sguardo sul passato e nel riconoscimento delle colpe, perché ciò sia di lezione per un futuro di più pura testimonianza.




Rivolgo, ora, un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto il gruppo di seminaristi della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla, accompagnati dai loro Superiori, come pure i ragazzi della prima Comunione e della Cresima della parrocchia di San Giovanni Battista in Quinto (Verona).

Carissimi, nell'esprimervi l'augurio che questo incontro rinsaldi la vostra adesione a Cristo, vi assicuro un ricordo nella preghiera, perché il Signore vi ricolmi sempre dei suoi doni di grazia.

Saluto gli altri giovani presenti, gli ammalati e gli sposi novelli.

Cari giovani, rientrando dalle vacanze estive, riprendete con generosità i vostri impegni, preoccupandovi sempre di essere fedeli discepoli di Gesù.

A voi, cari ammalati, auguro di cuore di sperimentare il conforto del Signore, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo.

Ed invito voi, cari sposi novelli, a sforzarvi di rendere il vostro amore sempre più vero, duraturo e solidale.

A tutti la mia Benedizione.



Mercoledì, 8 settembre 1999: “Credo la remissione dei peccati”

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1. Continuando ad approfondire il senso della conversione, cercheremo oggi di comprendere anche il significato della remissione dei peccati che ci viene offerta da Cristo attraverso la mediazione sacramentale della Chiesa.

E in primo luogo vogliamo prendere coscienza del messaggio biblico sul perdono di Dio: messaggio ampiamente sviluppato nell'Antico Testamento e che trova la sua pienezza nel Nuovo. La Chiesa ha inserito questo contenuto della sua fede nello stesso Credo, dove appunto professa la remissione dei peccati: Credo in remissionem peccatorum.

2. L’Antico Testamento ci parla, in diverse maniere, del perdono dei peccati. Troviamo a tal proposito una terminologia variegata: il peccato è “perdonato”, “cancellato” (
Ex 32,32), “espiato” (Is 6,7), “gettato dietro le spalle” (Is 38,17). Dice ad esempio il Salmo 103: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie” (Ps 103,3), “Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe . . . Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono” (Ps 103,10-13).

Questa disponibilità di Dio al perdono non attenua la responsabilità dell’uomo e la necessità di un suo impegno di conversione. Ma come sottolinea il profeta Ezechiele, se il malvagio si ritrae dalla sua condotta perversa il suo peccato non sarà più ricordato, egli vivrà (cfr Ez 18,19-22).

3. Nel Nuovo Testamento, il perdono di Dio si manifesta attraverso le parole ed i gesti di Gesù. Rimettendo i peccati Gesù mostra il volto di Dio Padre misericordioso. Prendendo posizione contro alcune tendenze religiose caratterizzate da ipocrita severità nei confronti dei peccatori, egli illustra in diverse occasioni quanto grande e profonda sia la misericordia del Padre verso tutti i suoi figli (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1443).

Vertice di questa rivelazione può essere considerata la parabola sublime che si suol chiamare “del figliol prodigo”, ma che dovrebbe essere denominata del “padre misericordioso” (Lc 15,11-32). Qui l’atteggiamento di Dio è presentato in termini davvero sconvolgenti rispetto ai criteri e alle attese dell’uomo. Il comportamento del padre nella parabola è compreso in tutta la sua originalità se teniamo presente che, nel contesto sociale del tempo di Gesù, era normale che i figli lavorassero nella casa paterna, come i due figli del padrone della vigna, di cui Egli ci parla in un’altra parabola (cfr Mt 21,28-31). Questo regime doveva durare fino alla morte del padre, e solo allora i figli si dividevano i beni che spettavano loro in eredità. Nel nostro caso, invece, il padre accondiscende al figlio minore, che gli chiede la sua parte di patrimonio, e divide le sue sostanze tra lui e il figlio maggiore (cfr Lc 15,12).

4. La decisione del figlio minore di emanciparsi, sperperando le sostanze ricevute dal padre e vivendo dissolutamente (cfr Lc 15,13), è una sfacciata rinuncia alla comunione familiare. L’allontanamento dalla casa paterna ben esprime il senso del peccato, con il suo carattere di ingrata ribellione e i suoi esiti anche umanamente penosi. Di fronte alla scelta di questo figlio, l’umana ragionevolezza, espressa in qualche modo nella protesta del fratello maggiore, avrebbe consigliato la severità di un’adeguata punizione, prima di una piena reintegrazione nella famiglia.

Ed invece il padre, vistolo tornare da lontano, gli corre incontro pieno di commozione (o meglio, “agitandosi nelle sue viscere”, come dice letteralmente il testo greco: Lc 15,20), lo stringe in un abbraccio d’amore e vuole che tutti gli facciano festa.

La misericordia paterna risalta ancora di più quando questo padre, rimproverando teneramente il fratello maggiore che rivendica i propri diritti (cfr Lc 15,29), lo invita al comune banchetto di gioia. La pura legalità viene superata dal generoso e gratuito amore paterno, che supera la giustizia umana e convoca ambedue i fratelli a sedersi ancora una volta alla mensa del padre.

Il perdono non consiste solo nel ricevere nuovamente sotto il tetto paterno il figlio che se ne è allontanato, ma anche nell’accoglierlo nella gioia di una comunione ricomposta, trasferendolo dalla morte alla vita. Per questo “bisognava far festa e rallegrarsi” (Lc 15,32).

Il Padre misericordioso che abbraccia il figlio perduto è l’icona definitiva del Dio rivelato da Cristo. Egli è anzitutto e soprattutto Padre. È il Dio Padre che stende le sue braccia benedicenti e misericordiose, attendendo sempre, non forzando mai nessuno dei suoi figli. Le sue mani sorreggono, stringono, danno vigore e nello stesso tempo confortano, consolano, accarezzano. Sono mani di padre e di madre nello stesso tempo.

Il padre misericordioso della parabola contiene in sé, trascendendoli, tutti i tratti della paternità e della maternità. Gettandosi al collo del figlio mostra le sembianze di una madre che accarezza il figlio e lo circonda del suo calore. Si comprende, alla luce di questa rivelazione del volto e del cuore di Dio Padre, la parola di Gesù, che sconcerta la logica umana: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Così pure: “C’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte” (Lc 15,10).

5. Il mistero del ‘ritorno-a-casa’ esprime mirabilmente l’incontro tra il Padre e l’umanità, tra la misericordia e la miseria, in un circolo d’amore che non riguarda solo il figlio perduto, ma si estende a tutti.

L’invito al banchetto, che il padre rivolge al figlio maggiore, implica l’esortazione del Padre celeste a tutti i membri della famiglia umana perché anch’essi siano misericordiosi.

L’esperienza della paternità di Dio implica l’accettazione della ‘fraternità’, proprio perché Dio è Padre di tutti, anche del fratello che sbaglia.

Narrando la parabola, Gesù non parla solo del Padre, ma lascia intravedere anche i suoi stessi sentimenti. Di fronte ai farisei e agli scribi che lo accusano di ricevere i peccatori e di mangiare con loro (cfr Lc 15,2), egli mostra di preferire i peccatori e i pubblicani che si avvicinano a lui con fiducia (cfr Lc 15,1) e rivela così di essere inviato a manifestare la misericordia del Padre. È la misericordia che rifulge soprattutto sul Golgota, nel sacrificio offerto da Cristo in remissione dei peccati (cfr Mt 26,28).



Traduzione italiana del saluto in lingua neerlandese

Adesso saluto tutti i pellegrini belgi e neerlandesi.

Auguro che il vostro pellegrinaggio ai luoghi sacri vi permetta di avere un approccio alle radici della civiltà cristiana, e rafforzi il vostro amore ed il vostro impegno per la Chiesa nel vostro paese.

Di cuore imparto la Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese

Saluto cordialmente i pellegrini ungheresi da Fertórákos.

Per l’intercessione della Vergine di cuore benedico voi e tutti Vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!

Traduzione italiana del saluto in lingua lituana

Con grande gioia accolgo il gruppo dei pellegrini e dei visitatori giunti dalla Lituania.

Cari Fratelli e Sorelle, vi saluto di cuore e nella preghiera invoco su tutti voi, sulle vostre famiglie e sull'intero popolo lituano l'abbondanza dei doni celesti. Sia lodato Gesù Cristo.

Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi da Bratislava, Holíc e Kazimír.

Cari fratelli e sorelle, quattro anni fa ho iscritto nel Martirologio della Chiesa i tre Martiri di Košice, di cui abbiamo celebrato ieri la festa. Questi Martiri ci ripetono con san Paolo: “Chi ci separerà dall’amor di Cristo?” (Rm 8,35).

Il coraggio dei Martiri di Košice sia per ciascuno di voi incoraggiamento alla vita fedele del Vangelo. Vi aiutino in questo l’intercessione dei Santi Marco, Stefano e Melchiorre e anche la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Traduzione italiana del saluto in lingua slovena

Saluto i partecipanti del simposio scientifico, organizzato dall’Accademia teologica slovena sul s. di Dio Frederico Baraga, zelante missionario nel secolo passato degli Indiani negli Stati Uniti e promotore della loro cultura etnica. Paternamente benedico voi ed il vostro lavoro.
* * *


Rivolgo ora un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della Diocesi di Caltagirone, guidati dal Vescovo Monsignor Vincenzo Manzella. Cari fratelli e sorelle, mentre vi esprimo l'apprezzamento per questa iniziativa in preparazione al Grande Giubileo dell'Anno 2000, auspico di cuore che essa valga a rafforzare il vostro impegno di testimonianza cristiana nella società.

Saluto i fedeli della Parrocchia Santa Croce e San Clemente di Mercato San Severino, venuti per far incoronare la Statua della Madonna Addolorata, recentemente restaurata. Carissimi, auspico che tale provvida iniziativa pastorale valga a rafforzare in voi il fervore spirituale e l'autentica devozione verso la Madre di Dio.

Saluto poi i membri dell'associazione "Casato Soldi", venuti per ricordare il cinquantesimo anniversario di fondazione del sodalizio.

Il mio pensiero, pieno di affetto, si rivolge ora a voi, cari giovani, malati e cari sposi novelli.

A voi, cari ragazzi e ragazze, l’odierna Festa della Natività di Maria ricorda che la giovinezza non è solo una tappa della vostra crescita, ma uno stato d'animo da coltivare nella purezza delle intenzioni e delle azioni.

Per voi, cari malati e sofferenti, questa Festa è un invito alla speranza: Maria, nella sua umiltà e nella sua evangelica "piccolezza" vi è vicina e vi sostiene con la dolcezza di una sorella e la sollecitudine di una madre.

E voi, cari sposi novelli, che iniziate la straordinaria avventura di una nuova famiglia, guardate a Maria: questa Donna meravigliosa vuole entrare nelle vostre case, per riempirle di gioia nell'ora della festa e di conforto nel momento della prova.

A tutti di cuore imparto la Benedizione Apostolica.






Catechesi 79-2005 11899