Agostino Qu. Heptateuco 3094


LIBRO QUARTO

QUESTIONI SUI NUMERI

Chiamati per il numero di uomini quelli che erano a capo.

4001
(
Nb 1,1-44) Che significa il fatto che viene comandato di scegliere dei capi da ogni tribù ed essi sono chiamati (capo di mille uomini)? Alcuni traduttori latini li hanno chiamati tribuni, ma sembra che il termine stia ad indicare capi di mille. Quando però Ietro, suocero di Mosè, diede al suo genero il consiglio, approvato anche da Dio, di organizzare il popolo sotto dei capi, in modo che non tutte le cause comuni gravassero sopra Mosè più in là delle sue forze, chiamò coloro che dovevano essere posti a capo di mille uomini, quelli a capo di cento, quelli a capo di cinquanta e quelli a capo di dieci, chiamati così per il numero di uomini dei quali erano a capo 1. Il termine deve forse prendersi nel senso che ciascuno di essi fosse a capo di mille uomini? No di certo. Poiché a quel tempo la totalità degli uomini del popolo d'Israele non era composta solo da dodicimila individui. In realtà ciascuno di questi furono scelti tra ciascuna tribù; quelle dodici tribù senza dubbio non contenevano mille uomini ciascuna ma molte migliaia. Il termine è dunque uguale a quello di coloro che sono chiamati così nell'Esodo, in quanto ciascuno di essi era a capo di mille uomini, mentre ciascuno di questi era a capo di migliaia di uomini, poiché la disposizione delle lettere che compongono il nome manda lo stesso suono sia che venga da " mille " che da " migliaia ".

L'importanza del numero cinque.

4002
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Nb 1,20-46) Con ragione si pone il quesito che cosa significhi il fatto che, per ciascuna delle tribù, dei figli di Israele in età adatta a fare il soldato, per ciascuna di esse si dice: Secondo le loro parentele, secondo i loro popoli, secondo il loro casato, secondo il numero delle loro persone, secondo le loro teste, e queste cinque formule sono ripetute in modo del tutto uguale fino a quando è terminato il censimento di tutte le tribù, come se una cosa fosse secondo le loro parentele, un'altra secondo i loro popoli, un'altra secondo le casate, un'altra secondo il numero delle persone, un'altra ancora secondo le teste, mentre pare piuttosto che venga indicata una medesima cosa con espressioni diverse. Ma desta la nostra riflessione il fatto che le medesime espressioni sono riportate per tutte le tribù con tanta diligenza che si può pensare che ciò non avviene senza uno scopo anche se non si capisce. Senza dubbio dunque lo stesso numero indica qualche mistero nel ripetere la medesima cosa cinque volte con diverse espressioni. L'importanza di questo numero, che è il medesimo dei cinque libri di Mosè, il numero cinque, è messa in risalto specialmente nell'Antico Testamento. Al contrario le altre quattro espressioni che poi sono concatenate tra loro, cioè i maschi da vent'anni in su, chiunque poteva andare in guerra, il censimento di essi, sebbene siano ripetute assolutamente allo stesso modo anch'esse per tutte le tribù, hanno una inevitabile differenza. Trattandosi infatti del numero di tutte quante le persone facenti parte d'una tribù, doveva distinguersi il sesso, e perciò si dice: tutti i maschi. Ma perché tra questi non fossero contati anche i ragazzi si aggiunge: dai venti anni in su. Invece perché non fossero computati i vecchi, inadatti alla guerra, si aggiunge: chiunque poteva andare in guerra. Tutte le espressioni si concludono con la frase denotante l'operazione che veniva svolta dicendo: il censimento di essi. Si faceva infatti il censimento per contare quelle migliaia di uomini. Orbene quelle cinque categorie: " parentele, clan, casati, numero delle persone, testa ", e di poi queste altre quattro: " sesso, età, esercito, censimento " con il loro numero insegnano qualcosa d'importante. Poiché se uno di questi due numeri, cioè il cinque e il quattro, si moltiplicasse per l'altro, vale a dire cinque per quattro, oppure quattro per cinque, si otterrebbe venti. Con questo numero si indica anche l'età degli adolescenti (atti alle armi). Questo numero inoltre viene menzionato anche quando (gli Israeliti) entrano nella terra promessa e si afferma che quell'età di venti anni non si sarà piegata né a destra né a sinistra. In questo fatto mi pare che sono simboleggiati i santi fedeli d'ambedue i Testamenti che conservano la vera fede. Infatti l'Antico Testamento eccelle soprattutto nei cinque libri di Mosè e il Nuovo nei quattro Evangeli.

Lo straniero cui era proibito toccare la tenda-santuario.

4003
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Nb 1,51) Quando la Scrittura parla di spostare, di collocare al suo posto e di erigere la tenda-santuario dice: e lo straniero, che si avvicinerà, dovrà morire; questo straniero deve intendersi anche come uno degli Israeliti non appartenenti alla tribù che aveva l'obbligo di prestar servizio alla tenda-santuario, che cioè non era della tribù di Levi. È però strano che si chiami impropriamente straniero chi più propriamente significa una persona di un'altra stirpe, cioè e non più propriamente , che significa " una persona di un'altra tribù ". La Scrittura usa questo termine piuttosto per denotare individui di altri popoli, cosicché vengono chiamati " allofili " come se fossero individui di altre tribù.

Le veglie o le guardie a difesa del tabernacolo.

4004
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Nb 3,5-7) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Prendi la tribù di Levi e mettila a disposizione del sacerdote Aronne e lo serviranno, e osserveranno le osservanze officiate da lui e le osservanze degli Israeliti, che non erano di quella tribù davanti alla tenda-santuario del Signore ". Quelle che il greco chiama , i nostri traduttori le chiamano alcuni custodias (guardie), altri excubias (sentinelle). Ma molto probabilmente sarebbe meglio chiamarle vigilias (veglie), poiché avevano l'ufficio di vegliare a difesa dell'accampamento, a turno di tre ore ciascuno. Ecco perché la Scrittura dice: Alla quarta veglia della notte andò da essi camminando sulle acque 2, cioè dopo l'ora nona nove della notte, ossia dopo tre turni di veglia. Anche in molti altri passi della Scrittura i nostri autori hanno tradotto con vigiliae quelle che i Greci chiamano . Non c'è alcun dubbio che in quei passi sono indicati gli spazi del tempo della notte, come credo che si debba intendere anche qui. In qual modo infatti ai leviti è ordinato di osservare i turni di guardia di Aronne e degli Israeliti, cioè le , salvo forse che ciò è detto affinché essi non pensassero di dover essere esenti dall'osservare i turni di guardia, che propriamente si suole osservare nell'accampamento, a motivo dell'onore che avevano di prestare servizio per la tenda-santuario, quando invece anch'essi dovevano osservare a loro volta non meno degli altri, a motivo delle opere riguardanti la tenda-santuario, i turni di guardia negli altri accampamenti degli Israeliti posti tutto all'intorno?

La morte a chi tocca il tabernacolo.

4005
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Nb 3,10 Nb 38) Lo straniero che avrà toccato morirà. Dobbiamo chiederci perché nel Levitico 3 si dice: Chi avrà toccato la tenda-santuario sarà santificato, mentre qui si dice: Lo straniero che avrà toccato morirà, ove con lo straniero si vuol fare intendere coloro che non erano della tribù di Levi. Toccherà si riferisce forse, qui, al servizio del culto di Dio che per comando (del Signore) doveva essere prestato dai soli leviti? Di ciò parla infatti l'agiografo.

Dio si riserva i leviti al posto dei primogeniti dei figli d'Israele.

4006
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Nb 3,12-14 Nb 41-47) Che vuol dire il fatto che Dio si riserva i leviti al posto dei primogeniti dei figli d'Israele, cosicché, fatto il computo dei primogeniti del popolo, quelli che superavano il numero dei leviti dovevano essere riscattati con il denaro in ragione di cinque sicli per ciascuno? Ciò non si effettuò con il bestiame minuto perché Dio volle che il bestiame dei leviti fosse riservato a lui al posto del bestiame dei figli di Israele. Di conseguenza come potrebbero appartenere a Dio i loro primogeniti o quelli del loro bestiame, dal momento che comandò che i primogeniti impuri anche degli uomini fossero riscattati con pecore? Come mai in seguito non si contavano anche per questi primogeniti i figli dei leviti, dato che nei posteri perdurava la medesima tribù, che avrebbe potuto computarsi per i primogeniti venuti dopo? Ciò non si spiega forse perché era giusto che i figli che sarebbero nati da coloro che già appartenevano alla porzione del Signore, assegnatagli in ragione dei primogeniti ch'erano usciti dall'Egitto, Dio li possedeva già come suoi, discendenti dai suoi e non avrebbero potuto essere computati giustamente per coloro che in seguito avrebbero dovuto essere dati come primogeniti? Poiché da tutto quanto il popolo e da tutti quanti i bestiami minuti del popolo era stata data a Dio una parte in ragione dei primogeniti. E questa parte erano i leviti e il loro bestiame. Tutto ciò che avessero generato apparteneva a Dio; ma ciò non poteva darsi come se fosse dato dal popolo poiché non era sua proprietà. E perciò i primogeniti in seguito dovevano essere offerti a Dio e al loro posto non potevano contarsi i posteri dei leviti né quelli del loro bestiame .

Continua la presenza dei pani sulla mensa.

4007
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Nb 4,7) Quando il Signore diede l'ordine di togliere la tavola, comandò di levare con essa anche i pani dicendo: e anche i pani che saranno sempre sopra di essa. Evidentemente l'espressione: sopra di essa saranno non indica i medesimi pani ma altri simili, poiché quelli venivano tolti e ogni giorno se ne mettevano di freschi, purché tuttavia la tavola non restasse senza pani. Ecco perché è detto: i quali saranno sempre su di essa, cioè: vi saranno sempre i pani, ma non i medesimi pani.

La copertura stesa sul tavolo della mensa.

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Nb 4,11) E sull'altare d'oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola e lo copriranno con una coperta di pelle di colore viola. Potrebbe sembrare solo un modo di dire la frase: E sull'altare d'oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola, che i traduttori latini non vollero tradurre quasi fosse senza senso e non completa, come per dire: " copriranno l'altare d'oro con un drappo di colore viola ". Infatti copriranno il drappo di color viola sembra voler dire che il drappo doveva essere coperto con un drappo diverso, non che l'altare doveva essere coperto con lo stesso drappo. A me però sembra che non si tratti tanto di un tipo di espressione quanto d'un senso non molto chiaro (della frase). La frase: E sull'altare d'oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola può infatti essere inteso nel senso che il Signore comanda di coprire il drappo di stoffa viola con un'altra copertura, ch'era già sull'altare; in tal modo con una brachilogia si indicherebbero entrambe le coperture: il drappo di stoffa violacea con cui si doveva coprire l'altare e l'altra copertura per coprire quel drappo di stoffa violacea. Per conseguenza il testo soggiunge con che cosa si doveva coprire il drappo di stoffa violacea dicendo: e lo copriranno con una coperta di pelle violacea.

Non rimanga impunito il peccato commesso.

4009
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Nb 5,6-8) Chiunque, uomo o donna, avrà commesso qualunque peccato umano e non curandosi avrà trascurato e peccato, quell'anima dovrà riconoscere il peccato commesso e dovrà restituire il peccato per intero e vi aggiungerà il quinto di esso e lo restituirà a colui contro il quale ha peccato. Se però quella persona non avrà un prossimo a cui rendere il peccato, il peccato che si restituisce al Signore sarà del sacerdote, oltre all'ariete dell'espiazione con il quale (il sacerdote) offrirà per lui il sacrificio del perdono. Qui sono da intendersi i peccati commessi in relazione a oggetti che possono restituirsi con denaro, altrimenti non si vedrebbe in qual modo si devono restituire se non si tratti di un danno pecuniario. È comandato infatti di restituire l'intero e il quinto cioè l'intero oggetto, quale che esso sia, e un quinto di esso oltre al capro, che si sarebbe dovuto offrire per il sacrificio per espiare il peccato. Si comanda poi che ciò che si restituisce sia del sacerdote, cioè l'intero più un quinto, se non ha parenti stretti colui contro il quale fu commesso il peccato. Con ciò s'intende che si deve rendere al Signore quanto è del sacerdote, se non sopravvive la persona che patì il danno né un suo prossimo, che penso debba intendersi l'erede. La Scrittura però non dice nulla di questa persona; tuttavia quando dice: se non avrà un prossimo, con questa brachilogia fa capire che allora si deve ricercare il suo prossimo se non vive più il derubato. Se poi non si trova neppure il suo erede, la refurtiva sarà restituita al Signore perché non rimanga impunito il peccato commesso, essa tuttavia non deve andare per il sacrificio, ma dev'essere del sacerdote. La frase della Scrittura deve avere di certo la seguente interpunzione: Se però la persona non avrà un prossimo, per restituire il peccato a lui stesso; l'aggiunta a lui stesso è un idiomatismo proprio della Scrittura; o forse si dice a lui stesso perché appartiene a lui, cioè è suo possesso. Il testo poi continua dicendo: Il peccato che viene restituito al Signore sarà del sacerdote. È chiamata peccato la cosa tolta commettendo un peccato e poi viene restituita.

Differenza fra l'Esodo e i Numeri.

4010
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Nb 5,6-7) Possiamo chiederci inoltre come mai nell'Esodo si dice che chi avrà rubato un bue o una pecora deve restituire cinque buoi o quattro pecore, se li uccise o li vendette; se però la refurtiva si trovi in suo possesso salva e sana, si deve restituire il doppio 4, mentre qui si comanda di restituire l'oggetto per intero e un quinto in più che è lontano finanche dal doppio, che è più lontano dal quadruplo e ancor più dal quintuplo. Sennonché forse, poiché qui si dice: qualunque uomo o donna avrà commesso qualsiasi peccato umano, per " peccati umani " si debbono intendere i peccati commessi per ignoranza. Può infatti avvenire che uno, prestando poca attenzione, per negligenza si appropri di un oggetto altrui: questo è un peccato poiché, se uno prestasse la debita attenzione, non lo commetterebbe. Il Signore inoltre volle che di quegli oggetti fosse restituita la totalità e un quinto, ma non volle che le relative appropriazioni fossero punite come furti. Poiché se penseremo che in questo passo si trattasse di furti e di frodi che si commettono non per ignoranza dovuta a negligenza, ma con l'intenzione di rubare e di frodare e sono quindi chiamati umani perché sono commessi contro uomini, la soluzione di questo quesito consisterà - se non mi sbaglio - nel fatto che colui il quale commise il peccato non dovrebbe restituire neppure il doppio, poiché non viene sorpreso e non viene convinto irrefutabilmente della sua colpa, ma egli stesso confessa il proprio peccato a coloro che non sanno da chi fu commesso o se fu commesso. La Scrittura infatti, dopo aver detto: Chiunque, uomo o donna, avrà commesso uno qualunque dei peccati umani e non curandosene avrà trascurato e peccherà, cioè avrà commesso tali azioni per trascuratezza, soggiunge: quella persona farà conoscere il peccato da lei commesso e restituirà il maltolto per intero più un quinto di quello. Forse dunque è irrogata solo questa punizione poiché quell'individuo confessò da se stesso la propria azione e perciò non doveva essere punito con lo stesso castigo con cui doveva essere punito il ladro sorpreso in flagrante o convinto della propria colpa.

Giuramento per esecrazione.

4011
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Nb 5,21) Ecco le parole che la Scrittura ordina al sacerdote di dire alla donna quando il marito la conduce per il sospetto di adulterio: Il Signore ti dia alla maledizione e all'esecrazione; il testo greco ha , parola che sembra significhi: " giuramento per esecrazione ", come se uno dicesse: Così non mi succeda questo o quello, o come se giurasse così: " non avvenga questo o quello se farò o non farò (questo e quello) ". In questo modo si dice qui: Il Signore ti dia in maledizione e in esecrazione, come se si dicesse: come giurano riguardo a te ciò che giureranno per esecrazione, così ciò non avvenga loro o avvenga loro se non faranno quello.

L'agnello offerto per l'olocausto.

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Nb 6,14-17) E presenterà come suo dono al Signore un agnello di un anno, senza difetti, per l'olocausto, e un'agnella di un anno come peccato. Alcuni nostri traduttori non vollero tradurre così, per evitare un'espressione da loro ritenuta inusitata e dissero pro peccato (in sacrificio espiatorio del peccato) e non in peccatum (come peccato), pur essendo questo il senso che non doveva essere alterato in quella espressione. In effetti è detto come peccato poiché ciò che si presentava per il peccato si chiamava peccato. Ecco perché l'Apostolo così si esprime a proposito di Cristo Signore: Colui che non aveva conosciuto il peccato lo fece peccato per noi 5, cioè Dio Padre fece peccato per noi Dio Figlio, vale a dire " sacrificio per il peccato ". Quindi, come l'agnello (era offerto) per l'olocausto, di modo che quell'animale era olocausto, così anche l'agnella era offerta come peccato, di modo che lo stesso animale fosse peccato, diventasse cioè sacrificio per il peccato, allo stesso modo che nel seguito il testo dice del montone che sarà per la salvezza, come se esso fosse la salvezza, mentre era sacrificio di salvezza. La Scrittura di poi rende ciò chiaro ripetendo (le due espressioni) poiché chiama sacrificio pro peccato (in espiazione del peccato) quello che prima aveva chiamato in peccatum (come peccato) e sacrificio di salvezza questo che prima aveva chiamato sacrificio per la salvezza.

La legge riguardo ai leviti.

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Nb 8,23-24) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Questo riguarda i leviti ". Altri hanno tradotto la frase così: Questa è la legge riguardo ai leviti, ma la frase: Questo riguarda i leviti, vuol dire: " Questo io stabilisco riguardo ai leviti ".

L'iperbato rende oscuro il senso.

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Nb 8,24-26) Di poi segue: (I leviti) entreranno a prestare servizio nelle attività della tenda della testimonianza da venticinque anni in su; ma a partire da cinquant'anni si ritirerà dal servizio e non lavorerà più, e presterà servizio suo fratello, nella tenda della testimonianza per osservare le osservanze del Signore ma non dovrà compiere alcun lavoro. Il senso di questo passo è reso oscuro dall' (ipèrbato) il quale così risulta confuso, come se si riferisse al fratello l'espressione osservare le osservanze, mentre si riferisce a colui che cesserà di servire (nella Tenda), ma gli resterà il compito di osservare le osservanze nella Tenda della testimonianza, ma non dovrà accudire alle occupazioni del suo ministero, che saranno invece svolte dal fratello che, incominciando il suo servizio a partire dall'età di venticinque anni, non è ancora giunto al cinquantesimo. Il testo del passo deve quindi essere diviso nel modo seguente: A partire dai cinquanta anni cesserà dal suo servizio cultuale e non dovrà accudire più alle occupazioni del suo ministero e le compirà il fratello di lui. Di poi torna a parlare del levita cinquantenne, del quale parlava prima e di cui espone gli altri compiti: osservare le osservanze nella Tenda della testimonianza ma non accudirà alle fatiche del suo servizio cultuale. Quanto all'infinito osservare è sottinteso " comincerà "; è come se con un solo verbo si dicesse: " osservare i precetti cultuali ", poiché anche nelle frasi latine suole usarsi abitualmente un verbo all'infinito invece di un tempo finito.

L'obbligo della celebrazione della Pasqua.

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Nb 9,6-12) Siccome nel tempo della Pasqua alcuni che erano diventati impuri a causa dell'anima di un uomo, cioè a causa del contatto con un cadavere, chiesero in che modo avrebbero potuto celebrare la Pasqua, poiché secondo la legge dovevano purificarsi dalle impurità per sette giorni, Mosè consultò il Signore e ricevette in risposta che chiunque al quale fosse accaduto qualcosa di simile o si fosse trovato in un viaggio tanto lungo da non poter arrivare in tempo, deve celebrare la Pasqua in un altro mese per attenersi al 14 del mese, in cui si osservava quel numero della luna. Ma se fosse stato chiesto che cosa fare qualora per caso una tale impurità si fosse presentata verso il secondo mese, penso che si sarebbe dovuto ritenere come norma ciò che era stato detto del secondo mese, che si osservasse il precetto della Pasqua nel terzo mese oppure che non ci sarebbe stata colpa nel non celebrare la Pasqua a causa di un ostacolo derivante da una tale necessità.

Un passo reso oscuro da inusitate specie di locuzioni.

4016
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Nb 9,15-23) E nel giorno in cui si finì di erigere la tenda-santuario, una nuvola coprì la tenda, la dimora della testimonianza; e la sera c'era sulla tenda come l'aspetto di un fuoco, fino al mattino. Così avveniva sempre: la nube la copriva di giorno e l'aspetto di fuoco durante la notte. Quando la nube si alzava dalla tenda i figli di Israele si mettevano in marcia e in qualunque luogo ove la nube si fermava lì ponevano l'accampamento i figli d'Israele. All'ordine del Signore i figli di Israele erigeranno l'accampamento e all'ordine del Signore si rimetteranno in marcia. Tutti i giorni in cui la nube coprirà con la sua ombra la tenda i figli di Israele rimarranno accampati. E quando la nube si attarderà per più giorni sulla tenda i figli di Israele osserveranno l'osservanza del Signore e non si metteranno in marcia. E accadrà che quando la nube coprirà per pochi giorni la tenda, alla voce del Signore rimarranno accampati e alla voce del Signore si metteranno in marcia. E avverrà che quando la nube sarà stata dalla sera fino alla mattina e nella mattina la nube sarà salita, si metteranno in marcia di giorno e partiranno di notte se la nube sarà salita; durante il giorno o il mese del giorno quando la nube coprirà per lungo spazio di tempo la tenda, i figli di Israele resteranno accampati e non partiranno, poiché partiranno all'ordine del Signore. Osserveranno l'osservanza del Signore per mezzo di Mosè.

16. 2. Tutto questo passo dev'essere spiegato diligentemente, poiché è reso oscuro da inusitate specie di locuzioni. E il giorno - è detto - in cui si finì di erigere la tenda-santuario una nube coprì la tenda, la dimora della testimonianza; la tenda è chiamata anche la dimora della testimonianza. E la sera c'era sulla tenda come l'aspetto di un fuoco, fino al mattino. Così avveniva sempre. Di poi si espone precisamente che cosa avveniva sempre. La nube - è detto - coprì la tenda, la dimora della testimonianza; e la sera c'era sulla tenda come l'aspetto di un fuoco, fino al mattino. E la nube si alzava al mattino e i figli di Israele si mettevano in marcia. Questa frase è oscura solo a causa dell'espressione idiomatica nella quale è messa in più la congiunzione e. La successione ordinata delle parole procederebbe compiuta anche se mancasse la stessa congiunzione e il discorso risulterebbe così: ed una volta alzatasi la nube dalla tenda, dopo i figli di Israele si mettevano in marcia, quantunque il senso della frase potrebbe risultare compiuto se mancasse anche lo stesso avverbio dopo. Il testo poi continua dicendo: in qualsiasi luogo si fermava la nube i figli di Israele si accampavano.

16. 3. Narrando poi tutto ciò che gli Israeliti facevano secondo il precetto del Signore, il testo lo riassume così: All'ordine del Signore - dice - i figli d'Israele costruiranno l'accampamento e all'ordine del Signore si metteranno in marcia. Viene chiamato ordine del Signore il segnale dato dalla nube sia quando rimaneva ferma coprendo con la sua ombra la tenda, affinché anche l'accampamento restasse fermo, sia quando si era alzata spostandosi altrove affinché (gli Israeliti) levassero il campo e la seguissero. In quest'ultima frase è cambiato certamente il modo di narrare dell'agiografo e, come uno che predice e preannunzia, comincia ad usare i verbi del tempo futuro. Poiché non dice: All'ordine del Signore i figli di Israele " si accampavano ", ma s'accamperanno; e non dice: All'ordine del Signore " si mettevano in marcia ", ma si metteranno in marcia. Anche nelle frasi seguenti conserva questo modo di narrare, che è quanto mai inconsueto nelle Scritture. Sappiamo infatti che spesso (nelle Scritture) sono stati predetti avvenimenti futuri con verbi del tempo passato, come per esempio: Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi 6, e: È stato condotto per essere immolato 7, e altre innumerevoli frasi di tal genere; ma è assai difficile trovare nelle Scritture che un narratore di avvenimenti passati usi verbi del tempo futuro.

16. 4. L'agiografo quindi, dopo aver detto a quale segnale del giorno o della notte il popolo si metteva in marcia o rimaneva fermo, affinché non si pensasse che erano soliti marciare di notte e restare fermi durante il giorno e fare così ogni giorno, prosegue dicendo: In tutti i giorni in cui la nube coprirà con la sua ombra la tenda, i figli d'Israele rimarranno accampati. E quando la nube rimarrà per più giorni sulla tenda. Richiamando poi alla mente che ciò non avveniva in forza delle loro condizioni critiche ma per volontà di Dio, e i figli d'Israele - dice - osserveranno l'osservanza di Dio, cioè il precetto dato da Dio, e non si metteranno in marcia. E come se uno avesse chiesto: " Quando dunque si metteranno in marcia? ", è detto: E avverrà quando la nube coprirà la tenda un numero di giorni - cioè per un determinato numero di giorni, un numero che di certo piace a Dio - alla voce del Signore rimarranno nell'accampamento e all'ordine del Signore si metteranno in marcia. Sembra che l'agiografo chiami voce del Signore il segnale dato mediante il sostare e il muoversi della nube, poiché anche la voce di chi parla è senza dubbio della volontà. Quanto dunque all'espressione e all'ordine credo sia da intendere come il medesimo segnale. Sennonché l'espressione potrebbe prendersi anche nel senso di " parlò a Mosè " - come suole esprimersi la Scrittura - e " ordinò si facesse così ". Poiché (gli Israeliti) non avrebbero potuto sapere che dovevano partire al muoversi della nube e dovevano restare accampati al sostare della nube se non fosse stato ordinato loro in precedenza.

16. 5. Da quanto abbiamo detto non è ancora chiaro se gli Israeliti marciassero solo durante il giorno o anche durante la notte a seconda del segnale che la nube dava con il suo movimento. Sebbene infatti rimanessero nell'accampamento per più giorni, se la nube non si muoveva, tuttavia potevano forse pensare che la nube non era solita alzarsi dall'accampamento e dare il segnale di mettersi in viaggio se non durante il giorno. L'agiografo dunque seguita dicendo: E avverrà che quando la nube sarà rimasta dalla sera alla mattina e la nube si sarà innalzata la mattina, e partiranno di giorno. Qui è usata la congiunzione copulativa e, secondo l'usanza della Scrittura; una volta che sia tolta si ha un senso perfetto del seguente tenore: "E avverrà che, quando la nube rimarrà dalla sera alla mattina e la nube si sarà innalzata la mattina, si metteranno in marcia di giorno ". Di conseguenza, poiché partivano anche di notte se la nube s'innalzava ed effettuavano il viaggio di notte, se ricevevano quel segnale, il testo aggiunge quanto segue: oppure partiranno di notte se la nube s'innalzerà. Ma questa è un'espressione più inconsueta, poiché non solo è inserita una e, ma nel modo che non è abituale. Mi sembra perciò che l'ordine delle parole sia invertito come suole accadere spesso anche nelle espressioni latine e questo modo di esprimersi si chiama antistrofe. Pertanto il senso risulterebbe assai chiaro se si dicesse così: " oppure si metteranno in marcia se la nube si sarà innalzata ", o per lo meno si dicesse così: " se anche di notte si sarà innalzata la nube, si metteranno in marcia ".

16. 6. Tuttavia ancora un altro quesito si presentava allo spirito desideroso di maggior conoscenza. Come si sa che gli Israeliti erano soliti marciare di giorno o di notte o restare accampati di giorno e di notte a seconda del segnale della nube, così erano soliti restare accampati solo nei giorni nelle cui notti essi marciavano; io penso che la Scrittura faccia intendere ciò quando dice: I figli d'Israele rimarranno nell'accampamento e non si metteranno in marcia nel giorno o nel mese del giorno mentre la nube coprirà per lungo spazio di tempo la tenda. Poiché aveva detto: anche di notte, e se s'innalzerà la nube si metteranno in viaggio, come se restasse da dire: " ma di giorno non si metteranno in cammino se non si alzerà " quando pareva come se dovessero mettersi in marcia. Ma siccome poteva accadere anche per parecchi giorni che potevano marciare di notte, quando la nube si alzava, e non si mettevano in cammino nei giorni in cui essa restava ferma (sulla tenda), perciò si dice: durante il giorno o durante il mese del giorno. Non è detto: " durante il mese " perché non s'intendesse che in quella frase fossero incluse anche le notti dello stesso mese, ma è detto: durante il mese del giorno, cioè durante il mese per la parte relativa ai suoi giorni, non per la parte relativa alla notte. Nel giorno, dunque, o nel mese del giorno, quando la nube la copre abbondantemente - cioè quando abbonda nel coprirla con la sua ombra o quando la copre più abbondantemente con la sua ombra - al di sopra di essa - vale a dire al di sopra della tenda - i figli d'Israele resteranno accampati e non si metteranno in marcia. Alla fine la Scrittura ripete che tutto quello (che racconta) fu compiuto per la volontà di Dio, alla quale naturalmente non doveva essere opposta resistenza e aggiunge: poiché si metteranno in cammino all'ordine del Signore. Osservarono l'osservanza del Signore secondo il comando del Signore per mano di Mosè. Qui l'agiografo torna al verbo usato nel tempo passato, dicendo osservarono. L'espressione usata alla fine: per mano di Mosè è un idiomatismo assai usato nella Scrittura, poiché Dio comandava queste cose " per mezzo di Mosè ".

Il suono della tromba non come segnale.

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Nb 10,7) E quando adunerete l'assemblea, sonerete la tromba, ma non come segnale. Non fu dunque comandato di sonare la tromba per adunare l'assemblea - poiché se viene sonata a questo scopo è un segnale - ma è comandato di sonare la tromba dopo che l'assemblea è stata già radunata, come se facesse parte del canto e non per dare un segnale, con il quale si avverte di fare qualcosa. Quando perciò il fatto che sonavano le trombe dopo che era già stata riunita l'assemblea, qualsiasi persona del Nuovo Testamento lo interpreta in un senso spirituale, è un segnale per lui che intende per quale scopo ciò avviene, non per coloro che non lo comprendevano se non quando si faceva allo scopo d'indicare qualche opera (da compiere).

Diverso è lo Spirito di Dio, di cui lo spirito dell'uomo diventa partecipe.

4018
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Nb 11,17) Io prenderò un po' dello spirito che è su di te e lo porrò su di loro; e porteranno con te il peso del popolo e non li porterai da solo. Un gran numero di traduttori latini non tradussero come il testo riporta nel greco, ma lo resero esprimendosi così: prenderò del tuo spirito che è in te e lo porrò su di essi, oppure in essi, e così formarono un'espressione dal senso difficile a comprendersi. Poiché si potrebbe pensare che si trattasse dello spirito dell'uomo di cui insieme al corpo risulta formata la natura umana, che è composta di corpo e di spirito, detto anche anima; di questo spirito anche l'Apostolo dice: Poiché tra gli uomini chi mai conosce i pensieri dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Allo stesso modo nessuno conosce le proprietà di Dio, se non lo Spirito di Dio. E quanto aggiunge e dice: Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio 8, mostra senz'altro che diverso è lo Spirito di Dio, di cui lo spirito dell'uomo diventa partecipe per grazia di Dio. Tuttavia nell'espressione: Dello spirito tuo che è in te - come l'hanno tradotta altri - si potrebbe intendere anche lo Spirito di Dio; l'agiografo avrebbe detto tuo in quanto diventa anche nostro quello che è di Dio, quando lo riceviamo, come la Scrittura dice a proposito di Giovanni: (camminerà) con lo spirito e la potenza di Elia 9. Evidentemente non era trasmigrata in lui l'anima di Elia. Se taluni la pensano così con una perversità eretica, che cosa diranno a proposito della seguente affermazione della Scrittura: Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo 10, quando costui era già in possesso sicuramente della propria anima? La Scrittura parla quindi dello Spirito di Dio, che anche per mezzo di lui compiva azioni come quelle che compiva per mezzo di Elia, senza allontanarsi da lui al fine di poter riempire costui e senza essere minore in Elia dopo essere stato diviso, per poter essere in qualche misura anche in Eliseo? Dio infatti è tanto grande da poter essere in tutti coloro in cui vorrà essere per sua grazia. Ora però, poiché la Scrittura dice: Prenderò una parte dello spirito che è su di te, e non " del tuo spirito ", più facile è la soluzione del nostro problema, in quanto comprendiamo che Dio volle indicare solo che anche quegli altri avrebbero ricevuto l'aiuto della grazia dal medesimo Spirito dal quale lo aveva Mosè, di modo che anch'essi ne avessero quanto Dio avrebbe voluto senza che Mosè ne avesse di meno.

Dio giudica non secondo le parole ma secondo i sentimenti intimi.

4019
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Nb 11,21-23) E Mosè disse: Seicentomila soldati a piedi in mezzo ai quali io sono e tu mi hai detto: Darò loro carni e ne mangeranno per un mese di giorni. Si ammazzeranno forse per loro pecore e buoi e basteranno a loro? Oppure si raccoglieranno per essi tutti i pesci e saranno loro sufficienti? Si è soliti porre il quesito se Mosè disse ciò non avendo fiducia o cercando di sapere. Ma se penseremo che Mosè disse ciò non avendo fiducia, sorge il problema perché il Signore non lo rimproverò di ciò come lo rimproverò per il fatto che presso la roccia, da cui sgorgò l'acqua, sembra che dubitò del potere del Signore 11. Se invece diremo che disse così volendo sapere in qual modo si sarebbe avverata la risposta del Signore quando gli disse: La mano del Signore non sarà forse capace? sembra quella con cui il Signore lo rimprovera per il fatto di non aver creduto alle sue parole. Io però penso che sia meglio intendere che il Signore rispose così come se non avesse voluto dire il modo in cui si sarebbe svolto il fatto, che Mosè cercava di conoscere, ma piuttosto mostrare la sua potenza col compiere l'azione. Anche a Maria quando disse: In qual modo avverrà ciò, poiché non conosco uomo? 12 si sarebbe potuto obiettare da parte dei calunniatori che avesse poca fede, mentre essa cercava di conoscere il modo ma non dubitava affatto della potenza di Dio. Quanto alla risposta che le fu data: Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti avvolgerà con la sua ombra 13, poteva essere formulata come quella data a Mosè: " È forse impossibile allo Spirito Santo, che verrà su di te? ". In questo modo si sarebbe conservato lo stesso senso. Inoltre d'altra parte Zaccaria, dicendo qualcosa di simile, viene rimproverato d'incredulità e viene punito con il restar privo della parola 14. Per qual motivo, se non perché Dio giudica non secondo le parole ma secondo i sentimenti intimi (delle persone). Altrimenti si sarebbero potute scusare le parole di Mosè anche presso la roccia da cui sgorgò l'acqua, se non fosse stata chiara la sentenza di Dio contro di lui nel senso che aveva detto quelle parole perché non aveva avuto fiducia. In realtà le parole (di Mosè) suonano così: Ascoltatemi, increduli, potremo forse far uscire da questa roccia dell'acqua per voi? Il testo poi continua: E Mosè alzando la sua mano colpì due volte la roccia con il suo bastone e ne uscì molta acqua e ne bevve la comunità e il suo bestiame 15. Certamente per questo aveva radunato il popolo e per questo aveva preso il bastone con cui aveva compiuto tanti prodigi e con esso colpì la roccia e ne seguì l'effetto del solito potere. Di conseguenza le parole con cui disse: Potremo forse far uscire per voi dell'acqua da questa roccia? si potrebbero intendere come se fosse stato detto nel seguente senso: " secondo la vostra incredulità non può farsi uscire acqua da questa roccia ", per dimostrare alla fine, colpendola, che era stato possibile per l'intervento di Dio, cosa che quelli non credevano possibile a causa della loro incredulità, soprattutto perché aveva detto: Ascoltatemi, increduli. Queste parole si potrebbero, sì, intendere in questo senso, se Dio, che scruta i cuori 16, non indicasse con quale sentimento furono dette. La Scrittura infatti seguita dicendo: E il Signore disse a Mosè e ad Aronne: " Perché non avete creduto (in me), manifestando la mia santità al cospetto dei figli d'Israele, non sarete voi a introdurre questa comunità nel paese che ho dato loro " 17. Si comprende perciò che Mosè disse quelle parole come se colpisse la roccia senza avere la certezza del risultato, di modo che se questo non fosse seguito, si sarebbe potuto pensare che egli lo aveva predetto quando disse: Potremo forse fare sgorgare dell'acqua per voi da questa roccia? Questa sua diffidenza sarebbe rimasta totalmente nascosta nel suo animo, se non fosse stata svelata dalla sentenza di Dio. In questo passo, al contrario, le parole relative alla promessa delle carni dobbiamo intenderle piuttosto nel senso che furono dette al fine di conoscere in qual modo quella promessa si sarebbe potuta adempiere, anziché pronunciate per diffidenza, dal momento che a esse non seguì alcuna sentenza del Signore diretta a punirlo ma piuttosto ad istruirlo.

Se la moglie di Mosè è la stessa figlia di Ietro.

4020
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Nb 12,1) A proposito della moglie etiope di Mosè si è soliti porre il quesito se era la stessa figlia di Ietro 18 o se aveva sposato una seconda donna o più d'una. È però probabile che fosse la stessa donna, poiché era della stirpe dei Madianiti, che nel libro dei Paralipomeni sono chiamati Etiopi 19 quando Giosafat combatté contro di loro. Nei passi di questo libro si dice che il popolo d'Israele li perseguitò dove abitano i Madianiti, che ora sono chiamati Saraceni. Adesso però quasi nessuno li chiama Etiopi, come spesso i nomi dei luoghi e dei popoli sono soliti cambiare con il lungo passare del tempo.

Non sono spie gli esploratori di Mosè.

4021
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Nb 13,18-26) E disse loro: " Salite attraverso il deserto e salirete sul monte e vedrete com'è la terra e il popolo che l'abita se è forte o debole, se sono pochi o molti ". Si capisce che cosa esprime dicendo: se sono forti o deboli, cioè se sono pochi o molti. Poiché in che modo guardando dall'alto di un monte avrebbero potuto conoscere l'energia delle forze umane? La frase potrebbe avere anche un altro senso molto più appropriato alla realtà. Quando la Scrittura dice: salirete sul monte, vuol dire " nella terra " che volevano esplorare. Perché non avrebbero potuto facilmente essere considerati spie individui che s'informavano d'ogni cosa con esattezza come forestieri. Ora, se pensassimo che essi avessero osservato ed esaminato attentamente il paese dalla cima di una montagna, in qual modo avrebbero potuto indagare tutto ciò che Mosè aveva ordinato d'indagare? Come sarebbero potuti entrare nelle città in cui la Scrittura dice che dovevano entrare? Come avrebbero potuto portar via da quella valle un grappolo d'uva a motivo del quale fu dato il nome anche alla località la quale fu chiamata perciò " la Valle del Grappolo ".

Il terrore del paese esplorato.

4022
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Nb 13,33) E divulgarono il terrore del paese che avevano esplorato. L'espressione terrore del paese non indica il terrore da cui era colpito lo stesso paese, ma quello che gli Israeliti sentivano in sé a causa di quel paese.

Anche agli empi la Provvidenza concede un tempo favorevole.

4023
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Nb 14,9) Caleb e Giosuè, figlio di Nun, parlando al popolo d'Israele perché non temessero di entrare nella terra promessa, tra l'altro dissero: Voi però non dovete temere il popolo di quella terra, poiché essi sono pane per noi. Da loro infatti si è allontanata l'epoca favorevole, il Signore invece è con noi, non abbiate paura di loro. Con la frase: sono pane per noi, vollero intendere: " li distruggeremo ". Quanto alla frase che segue: da loro infatti si è allontanato il tempo favorevole, è da notare che con molta circospezione non dissero: " Il Signore si è allontanato da loro " - poiché erano empi sin dal tempo antico - ma, poiché anche agli empi per una misteriosa disposizione della divina Provvidenza è concesso un tempo favorevole di prosperare e di regnare, dissero: si è allontanato da loro il tempo favorevole, ma il Signore è con noi. Non dissero: " s'è allontanato da loro il tempo favorevole ed è subentrato il nostro ", ma: è con noi il Signore, non il tempo. Quelli ebbero il loro tempo favorevole, questi hanno il Signore Dio, creatore e ordinatore dei tempi, che li distribuisce a chiunque gli piace.

Quali sono i peccati involontari.

4024
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Nb 15,24-29) Quanto al fatto che si ordina in qual modo si devono espiare i peccati commessi involontariamente, a buon diritto ci chiediamo quali siano i peccati involontari: se quelli che si commettono inconsciamente, oppure se può chiamarsi involontario un peccato che uno è costretto a commettere; poiché si suole dire che anche questo peccato lo si fa contro la volontà. Ma in ogni caso uno vuole ciò per cui fa qualcosa; come, per esempio, se uno non volesse giurare il falso, ma lo fa poiché desidera conservare la vita se uno lo minaccia di morte, se non lo farà. Vuole dunque fare quel giuramento poiché vuole vivere e perciò senza desiderare di per se stesso di giurare il falso ma di vivere giurando il falso. Se le cose stanno così, non so se peccati di questa specie possano chiamarsi involontari come quelli che qui si dice che devono essere espiati. Poiché se si considera attentamente la cosa, forse nessuno vorrebbe proprio peccare, ma si commette il peccato in vista di un'altra cosa voluta da chi pecca. In realtà tutti gli uomini, che consapevolmente fanno ciò che è illecito, vorrebbero che fosse lecito; tanto è vero che nessuno vuole proprio peccare per il peccato in se stesso, ma per ciò che ne deriva. Se le cose stanno così, non ci sono peccati involontari ma solo commessi per ignoranza, distinti dai peccati volontari.

Quali sono i peccati commessi con superbia.

4025
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Nb 15,30-31) Qualunque anima tanto degli indigeni quanto dei forestieri, che avrà peccato con mano di superbia, esacerba Dio e quell'anima sarà cacciata via di mezzo al suo popolo, poiché disprezzò la parola del Signore e infranse i suoi precetti. Quell'anima sarà distrutta totalmente: il suo peccato è in essa. Quali siano i peccati commessi con mano di superbia, cioè con superbia la Scrittura lo spiega molto chiaramente nel seguito in cui dice: poiché disprezzò le parole del Signore. Una cosa è dunque disprezzare i precetti e un'altra stimarli molto ma poi agire contro di essi o per ignoranza o per debolezza. Queste due specie di peccati appartengono forse ai peccati che si commettono involontariamente: come questi peccati si espiassero placando Dio con i sacrifici l'ha esposto la Scrittura più sopra e di poi continua parlando dei peccati di superbia quando uno agisce male montando in superbia, cioè disprezzando il precetto. Quanto a questa specie di peccato la Scrittura non dice che si debba espiare con alcuna specie di sacrificio, giudicandolo incurabile solo con il trattamento che veniva compiuto per mezzo dei sacrifici che la Scrittura qui prescrive di fare. Tali sacrifici, considerati in se stessi, non possono espiare nessun peccato; se però si esaminano le cose di cui questi sono prefigurazioni, potrà trovarsi in essi l'espiazione dei peccati. Perciò nell'espressione della Scrittura: quando il peccatore è caduto nel profondo dei mali, disprezza 20, è prefigurato simbolicamente colui - come in questo passo dice la Scrittura - che pecca con la mano della superbia. Questo peccato perciò non può essere cancellato senza la pena di colui che lo commette; e pertanto non può restare impunito e si espia con la penitenza. Poiché l'afflizione del penitente è una pena del peccato sebbene sia medicinale e salubre. Giustamente quindi si giudica grave il peccato commesso da chi disprezza con superbia il precetto; ma, al contrario, affinché possa essere perdonato, Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato 21. Tuttavia, poiché ciò non avviene senza pena, per conseguenza sono dette tali cose. Costui - dice la Scrittura - esarceba Dio, poiché Dio resiste ai superbi 22. E quell'anima sarà cacciata via di mezzo al suo popolo - poiché un tale individuo non è affatto del numero di coloro che appartengono a Dio - in quanto disprezzò la parola di Dio e infranse i suoi precetti; quell'anima sarà totalmente distrutta. Il motivo per cui sarà totalmente distrutta la Scrittura lo dice subito dopo: il suo peccato è in essa. Se perciò il peccatore applicherà da sé a se stesso la debita contrizione per tale peccato pentendosi, Dio non disprezza un cuore contrito, come è stato già detto. Sennonché in questo passo il testo greco non dice: quell'anima sarà totalmente distrutta, ma: sarà completamente consumata; espressione, questa, che può prendersi nel senso che quell'anima, a forza di venir logorata, si consuma fino a cessare di esistere. Ma a questo senso si oppone anzitutto la natura dell'anima che è immortale; in secondo luogo, se ciò che si consuma si consumasse totalmente fino a cessare di esistere, la Scrittura non direbbe del sapiente: il tuo piede consumi i gradini della sua porta 23. Nondimeno si deve considerare sempre più la distinzione da fare per sapere se si pecca solo per ignoranza o perché si cede alla passione o per disprezzo; ma di ciò ora sarebbe troppo lungo discutere.

Le parole di superbia di Datan e Abiron.

4026
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Nb 16,12-14) Che significa ciò che dissero Datan e Abiron quando, essendo insorti alla sommossa (contro Mosè), furono chiamati da Mosè e gli risposero con superbia e con ingiurie: È forse poco averci fatto uscire in una terra ove scorre latte e miele per farci morire nel deserto, perché tu domini su di noi e sei il nostro capo? E tu ci hai condotti in una terra dove scorre latte e miele e ci hai dato in possesso campi e vigne. E di poi aggiunsero: Avresti cavato gli occhi di quegli uomini; noi ci rifiutiamo di salire. Degli occhi di quali uomini parlavano? Forse di quelli del popolo d'Israele, come se volessero dire: " Se tu avessi dato queste cose, avresti cavato gli occhi di quegli uomini, cioè ti avrebbero voluto tanto bene che si sarebbero cavati gli occhi e li avrebbero dati a te "? Anche l'Apostolo dice che questa sia una grande prova d'amore: Poiché, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi per darli a me 24. Di poi, al colmo dell'arroganza, aggiunsero: Noi ci rifiutiamo di salire, cioè " noi non verremo ", poiché li aveva chiamati. Oppure chiama occhi di quegli uomini gli occhi dei nemici, che gli esploratori avevano riferito essere assai crudeli e terribili? Come se dicessero: Anche se tu avessi fatto una cosa simile, non ti ubbidiremmo; sennonché qui è usato un modo del verbo invece di un altro modo, e perciò non avrebbe detto: non saliremo, ma " Non saliamo ", esprimendosi così con una specie di idiomatismo.

Mosè e Aronne separati dalla comunità di Core.

4027
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Nb 16,20-21) E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: "Separatevi di mezzo alla comunità di costui ". Si deve osservare che il Signore comanda di fare la separazione fisica allorché sui malvagi incombe di già il castigo. Così Noè con la sua famiglia viene separato da tutti gli altri destinati a perire nel diluvio 25; così Lot con i suoi viene separato da Sodoma che sarebbe stata distrutta dal fuoco sceso dal cielo 26; così lo stesso popolo (d'Israele) fu separato dagli Egiziani che sarebbero stati sommersi dalle acque del mare 27. Così ora questi vengono separati dalla comunità di Core, Abiron e Datan, che prima avevano voluto separarsi mediante una sommossa. Ma i fedeli servi di Dio, che prima vivevano ed avevano rapporti con essi e con tutti gli altri biasimati da Dio secondo le parole che dice rimproverandoli, non poterono affatto essere contaminati da essi: e nemmeno fu loro ordinato di separarsi da quelli quando il Signore differiva il castigo oppure ne infliggeva un altro, in cui non avrebbero potuto correre pericolo né venir danneggiati gli innocenti, come i morsi dei serpenti o le stragi che causavano la morte, con le quali Dio colpiva chi voleva e come voleva lasciandone immuni altri: non come accadde con l'acqua del diluvio e con la pioggia di fuoco o con l'acqua del mare o con la spaccatura della terra che poteva sterminare tutti, buoni e cattivi, allo stesso modo; e non perché Dio non avrebbe potuto anche in quel caso salvare i suoi, ma che bisogno c'era di attendersi da Dio un miracolo, quando si poteva fare la separazione in modo che l'acqua o il fuoco o la spaccatura della terra potesse sottrarre alla morte coloro che avesse incontrato? Così anche alla fine del mondo il grano sarà separato dalla zizzania, affinché con le fiamme mentre bruciano i malvagi brillino i giusti come il sole nel regno del Padre suo 28.

Significato di visione, fantasma.

4028
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Nb 16,30) Ciò che Mosè dice di Core, Abiron e Datan: Il Signore lo manifesterà in una visione, e la terra, aprendo la sua bocca, li inghiottirà, alcuni l'hanno tradotto così: Il Signore lo manifesterà con l'apertura 29, credendo - a mio parere - che il testo dica , mentre nel greco si dice , espressione corrispondente a quella latina in manifestatione (con la manifestazione) perché apparirà chiaramente agli occhi. In effetti l'espressione in visione non denota una " visione " come quella dei sogni o di qualunque altra immagine vista nell'estasi, ma, come ho detto, una " manifestazione ". Alcuni poi, che hanno un'opinione diversa, hanno voluto tradurre con un fantasma, ma questa versione è assolutamente incompatibile con il nostro consueto modo di esprimerci e perciò quasi mai si dice " fantasma " se non quando i nostri sensi sono ingannati dalla falsità delle cose viste. Tuttavia, anche questo può dirsi della visione, ma - come ho detto - s'oppone a quel senso il modo ordinario d'esprimerci.

Molteplici significati del termine inferi.

4029
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Nb 16,33) Ed essi con tutti i loro averi scesero vivi negli inferi. Bisogna osservare che si parla degli inferi riguardo a un luogo terreno, cioè alle parti inferiori della terra. Poiché il termine inferi nelle Scritture ha diverse accezioni e molteplici significati, come esige il senso delle cose di cui si tratta ed esso suole essere usato soprattutto a proposito di morti. Ma siccome è detto che quegli individui scesero vivi agli inferi e dal racconto appare assai chiaramente che cosa successe, è manifesto - come ho detto - che con il termine inferi sono chiamate le parti inferiori della terra paragonate con la parte superiore, sulla superficie della quale noi viviamo. Allo stesso modo la Scrittura dice che gli angeli peccatori, scacciati giù nell'oscurità dell'atmosfera terrestre, sono riservati per essere puniti, come nel carcere degli inferi, paragonati con il cielo superiore ove dimorano gli angeli santi. Poiché - dice la Scrittura - se Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma precipitandoli nel carcere tenebroso degli inferi sono riservati per essere puniti nel giudizio 30, e l'apostolo Paolo chiama il diavolo principe dell'impero dell'aria che opera negli uomini ribelli 31.

Perché il Signore parlò non a Mosè e ad Aronne, ma a Mosè e ad Eleazaro.

4030
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Nb 16,36-40) E il Signore disse a Mosè e al sacerdote Eleazaro, figlio di Aronne: " Levate gli incensieri di bronzo di mezzo agli incendiati e semina lì il fuoco profano, poiché hanno santificato gli incensieri di questi peccatori nelle loro anime; fanne delle lamine flessibili da porre attorno all'altare, poiché sono stati presentati al Signore e sono divenuti un segno per i figli di Israele ". Perché in questo passo il Signore parlò non a Mosè e ad Aronne come nei passi precedenti, ma a Mosè e ad Eleazaro, figlio di Aronne? Il motivo che per ora mi si presenta alla mente è questo: poiché si trattava di un problema relativo alla parentela dei sacerdoti, cioè di quale famiglia dovevano essere - per questo motivo perirono, puniti con un castigo tanto orrendo e singolare, quegli uomini di un'altra famiglia poiché avevano osato appropriarsi del sacerdozio - Dio volle parlare non ad Aronne, che era già sommo sacerdote, ma ad Eleazaro che gli doveva succedere e già esercitava le funzioni di sacerdote di secondo rango, per mettere in risalto, in quel modo la serie dei discendenti che sarebbe dovuta aversi nella successione dei sacerdoti. Perciò anche nel seguito il testo dice: Ed Eleazaro, figlio del sacerdote Aronne, prese tutti gli incensieri d'oro che avevano presentato (al Signore) coloro che erano stati bruciati e li aggiunse ponendoli intorno all'altare come ricordo per i figli di Israele, affinché non si avvicini alcun estraneo, non facente parte della stirpe di Aronne, per offrire l'incenso davanti al Signore; e non dovrà essere come Core e come la sua banda, come (gli) aveva parlato il Signore per mezzo di Mosè. In questa maniera volle dunque Dio porre in risalto, per mezzo di Eleazaro, non il sacerdozio già conferito ad Aronne, ma la stirpe della successione sacerdotale. Quanto invece all'espressione: e il fuoco profano seminalo lì, si deve intendere nel senso di " spargilo ". E l'espressione con cui il testo prosegue: poiché hanno santificato i turiboli di quei peccatori nelle loro anime, è una frase espressa con un modo di dire inusitato - è vero - ma si deve osservare che il castigo di coloro che avevano commesso quel peccato è detto - in un modo insolito - santificato, poiché per loro mezzo si diede un esempio agli altri affinché avessero paura. Inoltre, per spiegare perché Dio ordinò che di quegli incensieri si facesse un rivestimento (metallico) attorno all'altare, l'agiografo prosegue dicendo: Poiché furono offerti davanti al Signore e furono santificati e sono diventati un segno tra i figli di Israele. Dio dunque non volle che fossero riprovati perché erano stati offerti da quegli uomini, ma che piuttosto si pensasse e si riflettesse seriamente davanti a chi erano stati offerti - cioè che erano stati offerti davanti al Signore - e che, rispetto ad essi il nome del Signore, davanti al quale erano stati offerti, valeva molto di più che la gravissima colpa di coloro che li avevano offerti. Ciò la Scrittura lo aveva già ricordato anche nell'Esodo quando parla della costruzione dell'altare 32. Da ciò si comprende che i vari avvenimenti sono distribuiti nei diversi libri sacri ma senza l'ordine cronologico in cui erano succeduti. Poiché anche a proposito del bastone di Aronne la Scrittura in questo libro narra in qual modo successe che esso con il suo germogliare e con il produrre fiori rivelò per volontà di Dio che Aronne era stato scelto come sacerdote 33. E tuttavia a proposito dello stesso bastone nell'Esodo si dice che si doveva riporre con la manna nel Santo dei Santi dentro l'Arca dell'alleanza, quando il Signore comandò di costruire la tenda-santuario 34 e quest'ordine fu dato, naturalmente, molto prima che la stessa tenda-santuario fosse costruita e terminata completamente. Fu terminata il primo mese del secondo anno dopo l'esodo dall'Egitto 35 e questo libro comincia il primo giorno del secondo mese del medesimo secondo anno 36. È quindi chiaro che questi fatti, se consideriamo l'ordine dei libri, vengono ricordati per ricapitolazione, cioè per ricordo dei fatti passati, fatti che da chi presta meno attenzione si crede siano avvenuti nello stesso ordine in cui sono raccontati.

I sacrifici per i peccati sono santi.

4031
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Nb 18,1) E il Signore disse ad Aronne: " Tu e i tuoi figli e la casa di tuo padre porterete i peccati dei santi e tu e i tuoi figli porterete i peccati del vostro sacerdozio ". Questi peccati sono quelli chiamati sacrifici per i peccati. Perciò non sono chiamati peccati dei santi quelli che commettono i santi ma, poiché i sacrifici per i peccati sono santi, la Scrittura li chiama (peccati) dei santi. Poiché i sacrifici si offrono nel santuario e son detti peccati i sacrifici per i peccati, perciò sono chiamati peccati dei santi. E i peccati del vostro sacerdozio, cioè gli stessi sacrifici che si offrono per i peccati; come la Scrittura ci dà a conoscere chiaramente anche nel Levitico e dice che devono appartenere al sacerdote 37.

Quali sono i primogeniti da offrire al Signore.

4032
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Nb 18,13) Tutti quanti i primogeniti di tutte le cose che saranno sulla terra e che offriranno al Signore saranno tuoi. Qui non sono chiamati primogeniti i primogeniti del bestiame, poiché questi in greco sono chiamati (i primogeniti), mentre qui sono chiamati . Ma in latino non si sono trovate due parole diverse per queste cose. Ecco perché alcuni tradussero il termine con primitias (le primizie), ma le primizie in greco si dicono e sono un'altra cosa. Queste tre cose si distinguono nel modo seguente: sono i primogeniti degli animali, compresi quelli degli uomini, sono al contrario i primi frutti presi dalla terra o dagli alberi o dalle viti; le primizie invece sono i primi frutti - è vero - ma già raccolti dai campi, come ciò che per la prima volta veniva preso dalla pasta di farina, dalla tinozza sotto il torchio del vino, dalla botte, dal tino.

La vacca rossa.

4033
(
Nb 19,1-22) A proposito della vacca rossa, la cenere della quale la legge ordinò che servisse per l'acqua dell'aspersione e per purificare coloro che avessero toccato un cadavere non c'è permesso di tacere - poiché c'è in essa un'evidentissima prefigurazione simbolica del Nuovo Testamento - né siamo capaci di parlare in modo abbastanza degno di un sì grande mistero data la fretta che abbiamo di terminare. Poiché il fatto che la Scrittura per la prima volta prese a parlare di questa cosa, a chi non farebbe impressione e non lo renderebbe quanto mai attento alla profondità del mistero? La Scrittura dice: E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: "Questa è la distinzione della legge riguardo a tutto ciò che ha stabilito il Signore ". Senza dubbio non c'è una distinzione se non tra due o più cose, poiché nell'unità si cerca invano la distinzione. Qui non è menzionata la distinzione d'una cosa qualsiasi, ma il Signore aggiunge: della legge, e non d'una legge qualunque. Nella Scrittura infatti, di ciascuna cosa legittimamente comandata, si dice ripetutamente: " Questa è la legge relativa a questa o a quella cosa ". Qui invece il testo, dopo aver detto: Questa è la distinzione della legge, aggiunse di seguito: per tutto ciò che ha stabilito il Signore, comandando, non creando. Infatti anche alcuni interpreti hanno tradotto: tutto ciò che ordinò il Signore. Se dunque è questa la distinzione della legge, tutto ciò che comandò il Signore, questa distinzione è senza dubbio importante; e si comprende bene che qui si distinguono i due Testamenti. Poiché le medesime cose sono nell'Antico e nel Nuovo Testamento: lì velate, qui rivelate, lì prefigurate, qui manifestate. Poiché sono diversi non solo i misteri ma anche le realtà promesse. Lì pare che sono proposti beni temporali con i quali è indicato simbolicamente il premio spirituale, avvolto nel mistero; qui invece vengono promessi in modo assai chiaro beni spirituali ed eterni. E quale distinzione è più splendida e più sicura della Passione di nostro Signore Gesù Cristo? Nella sua morte risultò evidente che non questa felicità terrena e transitoria dobbiamo sperare e desiderare come un gran dono del Signore, dal momento che mediante una distinzione assai chiara, per mezzo del suo Figlio unigenito, che volle sopportasse patimenti tanto acerbi, manifestò che gli si deve chiedere un bene totalmente diverso. Insomma ciò che si narra del sacrificio della giovenca rossa prefigura in modo assai conveniente la Passione di nostro Signore Gesù Cristo come distinzione dei due Testamenti.

33. 2. E il Signore parlò a Mosè e Aronne dicendo: " Questa è la distinzione della legge per tutto ciò che ha stabilito il Signore ". E di poi comincia a dare i precetti continuando a dire: Di' ai figli d'Israele. Il testo può avere qui anche la seguente punteggiatura: E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: " Questa è la distinzione della legge per tutto ciò che il Signore ha stabilito dicendo ", non tutto ciò che il Signore ha stabilito creando, come il cielo e la terra e tutto ciò che si trova in essi, ma tutto ciò che il Signore ha stabilito, dicendolo naturalmente nei due Testamenti, continuando poi così di seguito: Di' ai figli d'Israele, e prendano per te una giovenca rossa senza difetto. La giovenca rossa è simbolo della carne di Cristo; è di sesso femminile a causa della debolezza della carne, è rossa a causa della passione cruenta. Quanto all'espressione: prendano per te, essa dimostra nello stesso Mosè la figura della legge, poiché gli Israeliti credettero di uccidere Cristo secondo la legge in quanto, secondo loro, trasgrediva il Sabato e, come essi pensavano, violava le osservanze legittime. Non è dunque strano che si dica che la giovenca sia senza difetti, poiché anche le altre vittime prefiguravano questa carne dal momento che è prescritto che siano ugualmente senza difetti gli animali da immolare. Quella carne infatti era a somiglianza della carne di peccato 38, ma non carne del peccato. Tuttavia qui ove Dio volle far risaltare con maggiore evidenza la distinzione della legge non bastava che dicesse senza difetto, se non avesse detto: che non ha in sé alcun difetto. Questa espressione, se fu detta per ripetere lo stesso concetto, forse non fu detta inutilmente, poiché è proprio la ripetizione a mettere in più forte risalto quel concetto. Sennonché non è incompatibile con la verità se si pensa che è aggiunta la frase: la quale non abbia in sé alcun difetto, pur essendo già stato detto: una giovenca senza difetto, per il fatto che non lo ebbe in sé la carne di Cristo, mentre lo ebbe in altri che sono sue membra. Quale carne infatti è senza peccato in questa vita se non quella che non ha in sé alcun difetto?. E su di essa non sia stato posto il giogo. Poiché non è stata soggiogata all'iniquità, dalla quale liberò coloro che trovò assoggettati ad essa e spezzò le loro catene, affinché gli si possa dire: Tu hai spezzato le mie catene; io ti offrirò un sacrificio di lode39. In effetti non fu posto il giogo sopra la carne di lui, che ebbe il potere di offrire la propria vita e di riprenderla 40.

33. 3. E la darai - è detto - al sacerdote Eleazaro. Perché non ad Aronne, se non forse perché ciò era un annuncio prefigurativo che la Passione del Signore sarebbe arrivata non in quel tempo là ma ai successori di quel sacerdozio? E la cacceranno fuori dell'accampamento; allo stesso modo fu cacciato fuori della città il Signore perché soffrisse la Passione. Quanto poi all'espressione: in un luogo puro, essa significa che il Signore non aveva un capo d'accusa infamante. E la immoleranno alla sua presenza, come fu immolata la carne di Cristo alla presenza di coloro che presto sarebbero stati sacerdoti del Signore nel Nuovo Testamento.

33. 4. Ed Eleazaro prenderà un po' del suo sangue e con il suo sangue spruzzerà sette volte verso la facciata della tenda dell'alleanza. Ciò costituisce una testimonianza che Cristo, secondo le Scritture, versò il suo sangue per la remissione dei peccati 41. Doveva spruzzare il sangue verso la facciata della tenda dell'alleanza, poiché non fu manifestato diversamente da come era stato preannunciato dalla parola di Dio, e fu spruzzato sette volte, poiché lo stesso numero è in relazione con la purificazione spirituale.

33. 5. E la bruceranno alla sua presenza. Penso che la cremazione sia un simbolo della risurrezione, poiché la natura del fuoco è di sollevarsi in alto, e ciò che si brucia si cambia in esso. Lo stesso verbo cremare introdotto dal greco in latino deriva dal verbo che vuol dire " sospendere ". Al contrario con l'espressione che segue: alla presenza di lui, cioè alla presenza del sacerdote, mi pare che sia indicato che la risurrezione di Cristo apparve a coloro che sarebbero divenuti un sacerdozio regale. Inoltre la frase: e la sua pelle, le carni e il sangue di essa saranno bruciati con il suo sterco spiega in qual modo la giovenca dovrà essere bruciata e indica simbolicamente che non solo la sostanza del corpo mortale di Cristo, indicata con la menzione della pelle, delle carni e del sangue, ma anche l'oltraggio e il disprezzo del popolo, indicati - a mio parere - con la parola sterco, si cambieranno nella gloria indicata dalla fiamma della combustione.

33. 6. Il sacerdote prenderà allora del legno di cedro, dell'issopo e dello scarlatto e li getterà in mezzo al fuoco in cui brucia la giovenca. Il legno di cedro è simbolo della speranza, che deve dimorare saldamente in cielo; l'issopo è simbolo della fede, poiché essendo un'erba umile, si attacca con le radici alla roccia; lo scarlatto è simbolo della carità, poiché con il suo colore di fuoco attesta il fervore dello spirito. Queste tre cose dobbiamo gettarle nella risurrezione di Cristo come in mezzo al fuoco della sua combustione affinché la nostra vita sia nascosta con lui, come dice l'Apostolo: E la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio 42.

33. 7. Il sacerdote laverà poi i suoi vestiti, laverà il suo corpo con l'acqua e dopo rientrerà nell'accampamento; il sacerdote sarà impuro fino alla sera. Di che cosa è simbolo la lavanda dei vestiti e del corpo se non la purificazione dell'esterno e dell'interno? Di poi continua dicendo: E chi la brucerà, laverà i suoi vestiti, laverà il proprio corpo e sarà impuro fino a sera. Io penso che in colui che brucia la giovenca sono simboleggiati coloro che seppellirono la carne di Cristo affidandola alla risurrezione, come a una specie di combustione.

33. 8. Uno, che sia puro, raccoglierà la cenere della giovenca e la porrà fuori dell'accampamento in un luogo puro. Che cosa diremo della cenere della giovenca, cioè dei resti di quel sacrificio e di quella combustione, se non che simboleggiano la fama che seguì alla Passione e alla risurrezione di Cristo? Poiché l'uomo che ama la pace avrà i beni che restano alla fine 43. Era infatti anche cenere poiché era disprezzato dagli infedeli come un morto e tuttavia purificava, poiché i fedeli tenevano per certo che egli era risorto. E poiché questa fama rifulse soprattutto presso coloro che erano tra tutti gli altri popoli e non appartenevano alla comunità dei Giudei, per questo io penso che sia detto: E uno che sia puro raccoglierà la cenere della giovenca, uno che non sia macchiato dell'uccisione del Cristo, della quale si erano resi colpevoli i Giudei. E la porrà in un luogo puro, cioè la tratterà con l'onore dovuto, ma tuttavia fuori dell'accampamento, poiché la dignità del Vangelo risplendette al di fuori delle celebrazioni delle osservanze consuete dei Giudei. E per la comunità dei figli d'Israele quella cenere sarà conservata come l'acqua dell'aspersione: è una purificazione. Di poi spiega più chiaramente in qual modo con quella cenere si faceva l'acqua lustrale con la quale si veniva purificati dal contatto dei morti: rito che comunque era simbolo della purificazione dei peccati di questa vita votata alla morte e mortale.

33. 9. È però strana la frase che segue: E chi raccoglie la cenere della giovenca laverà i suoi vestiti e sarà impuro fino alla sera. In qual modo potrà essere immondo a causa di ciò uno che s'era avvicinato, se non perché anche coloro, i quali si credono puri, mediante la fede cristiana riconoscono che tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio, e sono giustificati gratuitamente 44 mediante il suo sangue? Tuttavia è detto che quella persona deve lavare i suoi vestiti ma non anche il suo corpo; io credo che la Scrittura ci voglia fare intendere che quell'uomo, raccogliendo la cenere e ponendola in un luogo puro, fosse già purificato interiormente, se la cosa la s'intende in senso spirituale. Allo stesso modo Cornelio, ascoltando e prestando fede a ciò che aveva predicato Pietro, fu purificato in modo che, prima di ricevere il battesimo visibile, con i suoi familiari che erano presenti, ricevette il dono dello Spirito Santo 45; tuttavia non fu rifiutato neppure il sacramento visibile, cosicché in un certo qual modo lavò esteriormente i suoi vestiti. E sarà una prescrizione perenne per i figli di Israele e per i proseliti residenti presso di loro. Che cos'altro dimostra ciò se non che il battesimo di Cristo, simboleggiato dall'acqua lustrale, sarebbe giovato sia ai Giudei che ai pagani, cioè ai figli d'Israele e agli stranieri, come a rami naturali e a un olivo selvatico inserito nella linfa della radice 46? Di chi poi non richiamerà l'attenzione il fatto che, dopo la lavanda, si dica di ciascuno: e sarà impuro fino alla sera? Inoltre non è detto solo qui ma in tutte o quasi tutte le purificazioni di tal genere. A proposito di ciò non so se potrebbe intendersi altro se non che ognuno, dopo il pieno e completo perdono dei peccati, restando in questa vita contrae qualche impurità a causa della quale resta impuro fino alla fine della sua vita, quando per lui in certo qual modo si compie il giorno terreno; cosa, questa, che simboleggia la sera.

33. 10. La Scrittura prende poi a dire ed espone distintamente in qual modo le persone divenute impure vengono purificate con quell'acqua lustrale. Chi avrà toccato - è detto - un morto, ogni anima di uomo sarà impura per sette giorni; si purificherà il terzo giorno e il settimo giorno, e diverrà puro. Anche qui vedo che non si deve intendere null'altro se non che il contatto con un morto è un peccato dell'uomo. Penso invece che è detta impurità di sette giorni a motivo dell'anima e del corpo; a motivo dell'anima per il numero tre, a motivo del corpo per il numero quattro. Sarebbe troppo lungo esporre esattamente perché è così. Io penso che conforme a questa espressione il profeta dica: Per tre o quattro empietà non mi distoglierò (dal punire) 47. Il testo poi soggiunge e dice: Se però non si sarà purificato nel terzo giorno e nel settimo giorno, resterà impuro. Chiunque avrà toccato un morto, se è un morto di qualsiasi anima di uomo e non si sarà purificato - cioè se, dopo aver toccato un morto, morirà prima d'essersi purificato - contamina la tenda-santuario del Signore; quell'anima verrà tagliata fuori da Israele. Si deve osservare che assai difficilmente nei libri sacri si trova scritta una dichiarazione più chiara sulla vita dell'anima dopo la morte. Qui, dunque, la frase che dice: " se uno morirà prima della purificazione, resta impuro e quell'anima dev'essere tagliata via da Israele, cioè dalla comunità del popolo di Dio ", che cos'altro vuol farci intendere se non che il castigo dell'anima rimane anche dopo la morte se, mentre vive, non viene purificata con questo rito simbolico, con il quale è prefigurato il battesimo di Cristo?. Poiché - si dice - non si è sparsa su di lui l'acqua lustrale, resta impuro; resta ancora in lui la sua impurità. Ancora vuol dire: " anche dopo la morte ". Quanto all'espressione precedente: contamina la dimora del Signore, essa vuol dire che la contamina per quanto sta in lui; è come quando anche l'Apostolo dice: Non spegnete lo spirito 48, sebbene lo Spirito non possa spegnersi. Poiché se il Signore avesse voluto che la tenda-santuario fosse contaminata da quell'azione, certamente avrebbe ordinato di purificarla.

33. 11. Il Signore però ordina poi che si purifichino quanti si sono resi impuri a causa dei morti, cioè a causa delle opere morte, dicendo: Per l'impuro prenderanno della cenere della giovenca bruciata col fuoco della purificazione e sopra di essa - cioè sopra la medesima cenere - verseranno acqua viva in un vaso; e un uomo puro, prendendo dell'issopo, lo getterà nell'acqua e la spargerà attorno sulla dimora sulle suppellettili e su tutte le persone che vi si troveranno, su chi avrà toccato ossa umane, un ferito o un morto o un sepolcro; e un uomo puro aspergerà l'impuro nel terzo giorno e nel settimo giorno, e sarà purificato il settimo giorno e laverà i suoi vestiti e si laverà con l'acqua e sarà impuro fino alla sera. Una cosa è l'acqua lustrale e certamente un'altra l'acqua con la quale l'impuro laverà i propri vestiti. E si laverà con l'acqua, che io penso debba essere quella spirituale nel senso allegorico, non in quello proprio. Poiché era senza dubbio acqua visibile come tutte le ombre delle realtà future. Per conseguenza chi viene purificato nel modo debito con il sacramento del battesimo, prefigurato da quell'acqua lustrale, viene purificato anche spiritualmente, cioè in modo invisibile sia nella carne che nell'anima, cosicché resta puro tanto nel corpo che nello spirito. Riguardo invece a quanto si dice che l'acqua dell'aspersione veniva spruzzata con l'issopo - erba da cui più sopra abbiamo detto che viene prefigurata la fede - che cosa può venire in mente se non la frase della Scrittura: Purificando i loro cuori con la fede 49? Poiché a nulla serve il battesimo se manca la fede. La Scrittura dice poi che quella lavanda dev'essere compiuta da una persona pura, e con ciò sono simboleggiati i ministri, che rappresentano la persona del loro Signore, il quale è la persona pura nel senso proprio della parola. Nel seguito del testo, infatti, a proposito di questi ministri è detto: Chi spargerà tutto intorno l'acqua lustrale resterà impuro fino alla sera. E tutto ciò che l'impuro toccherà sarà impuro, e la persona che lo toccherà, sarà impura sino alla sera. Ho già detto più sopra di che cosa mi pare sia simbolo l'espressione: fino alla sera.

Significato di un uomo ferito con un'arma o un morto.

4034
(
Nb 19,16) Chiunque avrà toccato in aperta campagna un uomo ferito con un'arma o un morto, oppure ossa d'uomo o un sepolcro. Possiamo chiederci che cosa vuol dire l'espressione: un uomo ferito con un'arma o un morto. Se infatti l'agiografo ha voluto che per ferito con un'arma s'intendesse una cosa e per morto un'altra cosa, dovremmo badare a non pensare che è impuro anche colui che avrà toccato un ferito vivo, poiché ciò sarebbe illogico. Ma poiché ci possono essere anche morti feriti con un'arma, s'intende che l'agiografo distingue tra i morti in modo che s'intenda trattarsi anche di un morto, ferito con un'arma, cioè di un morto ch'era stato ucciso con un'arma o di un morto senz'essere colpito con un'arma.

La grazia disseta la sete interiore.

4035
(
Nb 20,11) L'apostolo Paolo spiega di che cosa fosse simbolo l'acqua fatta sgorgare dalla roccia quando dice: E tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, poiché bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava: quella roccia era il Cristo 50. (Con queste parole) viene dunque simboleggiata la grazia spirituale che sgorga da Cristo, con la quale viene dato refrigerio alla sete interiore. Ma il fatto che la roccia è percossa con la verga raffigura la croce di Cristo, poiché questa grazia sgorgò dalla roccia quando fu colpita dal legno (della verga) e il fatto che la roccia viene percossa due volte simboleggia la croce, poiché la croce risulta di due legni.

L'acqua che scaturì dalla roccia.

4036
(
Nb 20,13) Dell'acqua che scaturì dalla roccia è detto: Questa è l'acqua della contraddizione poiché i figli di Israele parlarono male al cospetto del Signore e si fece santo con loro. A proposito di questo fatto l'agiografo prima dice che gli Israeliti parlarono male, quando parlarono contro il dono del Signore con cui erano stati condotti fuori dall'Egitto, e dopo dice che si fece santo con loro quando la sua santità si manifestò chiaramente nel miracolo dell'acqua scaturita (dalla roccia). Si tratta forse di due specie di persone, cioè di coloro che rifiutano la grazia di Cristo e di coloro che l'accolgono, di modo che per quelli è acqua di contestazione, per questi invece acqua di santificazione? Poiché finanche a proposito del Signore si legge nel Vangelo: Egli è quale segno di contraddizione 51.

Messaggio inviato da Mosè al re di Edom.

4037
(
Nb 20,17 Nb 19) Tra gli altri messaggi inviati da Mosè al re di Edom uno dice: Noi non berremo l'acqua del tuo pozzo; nel senso che è sottinteso " gratis ", cioè: " non berremo gratis l'acqua ", come di poi appare chiaramente quando è detto: ma se io e il mio bestiame berremo della tua acqua, te ne pagherò il prezzo.

Le cose che si trovano alla destra o alla sinistra.

4038
(
Nb 20,17) Non devieremo né verso le cose della destra né verso quelle della sinistra; è detto al plurale: verso le cose che si trovano alla destra o alla sinistra.

L'acqua della contraddizione.

4039
(
Nb 20,24) Non entrerete nella terra che ho dato in possesso ai figli di Israele, poiché mi avete irritato all'acqua della maledizione. Quella che prima l'agiografo aveva chiamato acqua della contraddizione qui la chiama della maledizione. Il testo greco non dice: , ma: .

Di solito si usa il termine anatema nel senso di imprecazione.

4040
(
Nb 21,2) E Israele fece un voto al Signore e disse: " Se mi consegnerai sottomesso questo popolo - cioè: se me lo assoggetterai consegnandolo a me - anatemizzerò lui e le sue città. Qui si deve osservare in che senso dica anatemizzerò ciò che si promette in un voto e tuttavia si esprime come un oggetto maledetto, così come si dice di questo popolo. Ecco perché Paolo asserisce: Se uno vi predicherà un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema 52. Di qui viene il fatto che di solito si usa il termine anatema nel senso di " imprecazione ", poiché quasi nessuno dice di votare al male qualcosa se non con una formula di maledizione.

Anatema indica qualcosa di esecrabile e di abominevole.

4041
(
Nb 21,3) E anatemizzò lui e le sue città e il nome di quel luogo fu chiamato " Anatema ". Di qui è derivato che anatema pare indicare qualcosa di esecrabile e di abominevole. Poiché anatematizzare, o, come comunemente si dice, imprecare viene dal fatto che il vincitore non portava via nulla dalla città (conquistata) per il suo personale profitto, ma la votava interamente a scontare il castigo. L'etimologia della parola greca anatema deriva dal fatto che le cose consacrate con voto e poi offerte (alla divinità) venivano appese in alto nei templi , vale a dire " dal porre in alto " col fissarle o con l'appenderle.

È lecito alla divina autorità prendere da dovunque vorrà una testimonianza che troverà verace.

4042
(
Nb 21,13-15) A proposito del viaggio dei figli di Israele durante il quale trasportavano l'accampamento e lo fissavano, tra l'altro sta scritto: E di lì (partirono e) posero il campo oltre l'Arnon che si trova nel deserto a partire dai confini degli Amorrei. Poiché l'Arnon è un confine di Moab, tra Moab e l'Amorreo. Perciò nel libro intitolato "Le guerre del Signore " si dice: Infiammò Zoob e i torrenti dell'Arnon. E fece abitare i torrenti in Er. Non si menziona in quale libro sta scritto ciò e non ce n'è alcuno chiamato così tra quelli della Sacra Scrittura che chiamiamo " canonici ". Da siffatti libri trovano pretesto coloro che tentano di fare entrare i libri apocrifi nelle orecchie degli incauti e dei curiosi per indurli a credere a empietà impastate di fandonie. Qui però mentre si dice che sta scritto nel libro, non si dice nel libro sacro di quale profeta o patriarca. Non si può negare tuttavia che già allora c'erano libri sia dei Caldei, dai quali uscì Abramo, sia degli Egiziani, presso i quali Mosè aveva appreso tutta la loro sapienza 53, sia di qualunque altro popolo, in qualcuno dei cui libri poteva stare scritto questo fatto; ma tuttavia non per questo un tale libro dovrebbe essere preso come le Scritture alle quali è riservata l'autorità di Dio. Allo stesso modo non ha questa autorità neppure quel profeta di Creta menzionato dall'Apostolo 54 né gli scrittori, filosofi o poeti, dei quali proprio il medesimo Apostolo, parlando agli Ateniesi, afferma che dissero qualche verità certamente importante e davvero evidente, e dice: Per mezzo di lui infatti noi viviamo, ci moviamo ed esistiamo 55. In effetti è lecito alla divina autorità prendere da dovunque vorrà una testimonianza che troverà verace, ma non per questo garantisce che si debba accogliere tutto ciò che vi sta scritto. Ma perché il fatto (qui citato) sia stato menzionato in questo passo non appare evidente, salvo che forse si sia trattato di stabilire lì i confini fra due popoli con una guerra, che la gente del medesimo luogo dissero essere una " guerra del Signore " a causa della sua importanza, di modo che in un loro libro si scrisse: La guerra del Signore infiammò Zoob o perché questa città bruciò nella stessa guerra o s'infiammò, cioè si eccitò per combattere, o qualunque altra cosa che rimane nascosta in questo passo oscuro.

Il pozzo dove il popolo ha bevuto.

4043
(
Nb 21,16) Questo è il pozzo di cui il Signore aveva detto a Mosè: " Raduna il popolo e darò loro acqua da bere ". La Scrittura così menziona questo fatto, come se in qualche passo precedente si leggesse che il Signore avesse detto così a Mosè; ora, poiché non si trova in alcun altro passo, qui si deve intendere che anche lì bevve il popolo che si era lamentato della mancanza d'acqua.

L'aiuto di Dio agli Israeliti.

4044
(
Nb 21,24-25) E Israele lo colpì a fil di spada; e furono padroni della sua terra da Arnon fino a Iaboc, fino ai figli di Ammon. Israele prese anche tutte quelle città, ed Israele dimorò in tutte le città degli Amorrei, in Esebon. Stando a queste parole Israele possedette certamente le città degli Amorrei conquistate in guerra, poiché non le aveva votate allo sterminio; se infatti le avesse votate allo sterminio non gli sarebbe stato lecito possederle né appropriarsi di alcunché del bottino per le sue necessità. Bisogna tener presente certamente in qual modo si facevano le guerre giuste. Poiché era stato negato il passaggio innocuo 56 che doveva essere accessibile secondo il diritto più che giusto della società umana. Ma subito Dio, per adempiere le sue promesse, venne in aiuto allora agli Israeliti, ai quali era conveniente fosse dato il paese degli Amorrei. Infatti, poiché Edom aveva ugualmente negato loro il passaggio, gli Israeliti non combatterono con quel popolo, cioè i figli di Giacobbe con i figli di Esaù, i due fratelli germani e gemelli, poiché Dio non aveva promesso agli Israeliti quel paese, ma deviarono da essi per un'altra strada 57.

Chi sono gli enigmatisti.

4045
(
Nb 21,27-30) Perciò gli enigmatisti diranno: " Venite a Esebon ", ecc. Non appare chiaro chi siano gli enigmatisti, poiché non sono personaggi abituali della nostra letteratura e neppure nelle stesse divine Scritture questo nome si trova quasi mai in altri passi, ma poiché pare che cantino una specie di cantico in cui celebrano la guerra combattuta tra gli Amorrei e i Moabiti nella quale Seon, re degli Amorrei, vinse i Moabiti 58, non pare improbabile che allora furono chiamati enigmatisti coloro che noi chiamiamo poeti, per il fatto che è abitudine e licenza di mescolare nelle loro poesie enigmi propri della mitologia, mediante i quali si pensa che essi esprimano il simbolismo di qualcosa. Poiché altrimenti non sarebbero enigmi, se non ci fosse in essi un'espressione metaforica, spiegando la quale si giungerebbe a capire ciò che si cela nell'enigma.

Non tutti i Moabiti s'erano assoggettati al dominio degli Amorrei.

4046
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Nb 22,4-6) La Scrittura dice che dopo che Israele vinse gli Amorrei e s'impossessò di tutte le loro città, Balac, re dei Moabiti, inviò dei messaggeri affinché gli conducessero Balaam per far maledire da lui Israele; ciò dimostra assai chiaramente che non tutti i Moabiti s'erano assoggettati al dominio di Seon, re degli Amorrei, quando li vinse in guerra, dal momento che la nazione dei Moabiti rimase fino al tempo che regnava Balac, re di Moab. Quanto invece a ciò che Moab disse agli anziani dei Madianiti, vale a dire ciò che i Moabiti dissero agli anziani dei Madianiti, e cioè: Ora questa massa di gente divorerà tutti i nostri circonvicini, vuol dire che non formavano un popolo solo ma i vicini dissero ai loro vicini che dovevano guardarsi ugualmente da quel popolo (straniero). Moab infatti era figlio di Lot per parte di una figlia di questi 59, mentre Madian era figlio di Abramo per parte di Cettura 60. Non era dunque un popolo solo ma due popoli vicini e confinanti.

Dio e le divinazioni.

4047
(
Nb 22,7 Nb 9 Nb 13) Che significa l'espressione: E le divinazioni nelle loro mani, usata dalla Scrittura parlando di coloro che Balac aveva inviato perché conducessero Balaam a maledire Israele? Erano forse essi gli indovini? O portavano forse qualcosa con cui Balaam avrebbe potuto fare in modo di effettuare la divinazione, come certe cose che si bruciavano in sacrifici o s'impiegavano in qualsiasi altro modo, e perciò erano chiamate " divinazioni " poiché per mezzo di esse Balaam poteva compiere la divinazione? O che cos'altro poteva essere? In effetti è un'espressione oscura. Si deve poi osservare che Dio venne da Balaam e gli disse: " Chi sono quegli uomini che sono in casa tua? ", ecc. Non viene detto però se ciò avvenne in sogno, sebbene sia evidente che avvenne di notte, dal momento che in seguito, dopo ciò, si dice: E alzandosi Balaam di buon mattino. In realtà può suscitare imbarazzo il fatto che Dio parlasse con un pessimo individuo, perché anche se risultasse che ciò avvenne in sogno, non per questo non rimarrebbe il problema per il fatto che quello era indegno. Così anche nostro Signore Gesù Cristo, a proposito di quel ricco che si proponeva di distruggere i vecchi magazzini e riempirne dei nuovi più vasti, dice: Dio gli disse: " Stolto, questa notte la tua vita ti sarà tolta, e di chi saranno le ricchezze che hai messo in serbo? " 61. Nessuno deve vantarsi che Dio gli parli nel modo con cui sa di dover parlare con siffatti individui, dal momento che ciò può accadere anche ai reprobi, poiché è lui stesso che parla anche quando parla per mezzo di un angelo.

Che cosa ha indotto Balaam a cambiare di sentimento.

4048
(
Nb 22,12-27) Ai messaggeri più ragguardevoli inviatigli Balaam disse: Anche se Balac mi desse la sua casa piena d'argento o d'oro non potrei trasgredire l'ordine del Signore mio Dio per fare una cosa piccola o grande secondo la mia mente. Questa risposta non contiene alcun peccato, ma ciò che segue non è privo di un grave peccato. Poiché Balaam avrebbe dovuto essere risoluto subito appena udito ciò che gli aveva detto il Signore: Non andare con loro e non maledire quel popolo perché è benedetto, e non avrebbe dovuto dar loro alcuna speranza che il Signore avrebbe potuto cambiare la propria disposizione contro il suo popolo, di cui aveva detto ch'era benedetto, come fece Balaam indotto a cambiare di sentimento con doni e onori. Egli dunque si mostrò vinto dalla sua cupidigia allorquando volle che il Signore gli parlasse di nuovo di ciò di cui già aveva conosciuto l'ordine (dello stesso Signore). Che bisogno c'era infatti di aggiungere quanto segue: e adesso trattenetevi qui anche voi questa notte e io saprò che cosa ancora mi dirà il Signore? Di conseguenza il Signore, vedendo la sua cupidigia avvinta e completamente vinta dai doni, gli permise di andare per castigare la sua avidità per mezzo del giumento ch'egli cavalcava, confondendo la sua demenza con il fatto stesso che l'asina non avrebbe trasgredito la proibizione del Signore fattagli per mezzo dell'angelo e che egli cercava di trasgredire spinto dalla cupidigia, sebbene per paura cercasse di soffocare la medesima cupidigia. Venne infatti Dio da Balaam di notte e gli disse: " Se degli uomini sono venuti a chiamarti, àlzati e seguili, ma tu dovrai fare solo ciò che io ti dirò di fare. Balaam la mattina si alzò, sellò la sua asina e andò con i capi di Moab. Perché mai dopo questo permesso non consultò di nuovo Dio, mentre dopo la proibizione aveva pensato di consultarlo di nuovo, se non perché appariva la sua cattiva passione, sebbene fosse soffocata per paura del Signore? La Scrittura quindi seguita dicendo: Ma Dio si accese di sdegno poiché egli era andato, e l'angelo di Dio si pose contro di lui per sbarrargli il passo sulla via, e tutto ciò che segue, fino a quando l'asina si mise a parlare. Qui nulla di certo appare più strano del fatto che Balaam non rimase atterrito sentendo l'asina parlare, anzi, al contrario, come se fosse abituato a siffatti prodigi, perdurando la sua stizza rispose. Gli parla poi anche l'angelo denunciandolo come colpevole e disapprovando il suo viaggio; egli allora, atterrito, si prostrò con la faccia a terra. Di poi gli fu permesso di andare, affinché per mezzo di lui venisse proferita una profezia assai chiara. Poiché gli fu permesso di dire non ciò che voleva ma ciò che era costretto a dire dalla potenza dello Spirito. Egli inoltre veramente rimase un reprobo; infatti la Scrittura del Nuovo Testamento parla di lui, dicendo che alcuni individui biasimevoli e reprobi hanno seguito la condotta di Balaam: Hanno seguito - è detto - le orme di Balaam, figlio di Beor, il quale amò il guadagno ricavato da azioni inique 62.

Dell'angelo che parlò a Balaam nella strada.

4049
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Nb 22,22 Nb 32) Dell'angelo che parlò a Balaam nella strada, quando l'asina al vederlo non osò proseguire, la Scrittura parla nei seguenti termini: Ma Dio si accese di sdegno, poiché quello andava, e l'angelo di Dio si pose contro di lui per ritardarlo nel suo cammino. Qui si deve considerare anzitutto come la Scrittura dice che Dio si accese di sdegno, e l'angelo di Dio si pose contro di lui, senza dire che Dio, sdegnato, inviò l'angelo, ma in un certo qual modo fa dell'angelo una figura simbolica di Dio sdegnato, poiché la verità è che la giustizia di Dio fece sì che l'angelo si sdegnasse. L'espressione insurrexit (gli si levò contro) deve intendersi nel senso di " una eccitazione violenta ". Di poi la frase: per ritardarlo nel suo cammino, il testo greco ha il verbo è quella che dice lo stesso angelo anche nel seguito del racconto: ed ecco, io sono uscito per (causare) il tuo ritardo, dove il testo greco ha . In questo caso il termine accusatio ha forse il senso più appropriato di accusa, e perciò l'espressione: per ritardarlo nel cammino significa: " al fine di accusarlo ". Da questo termine si crede sia derivato il nome " diavolo ", che in latino si dovrebbe dire " accusatore ", non perché nessuno potrebbe accusare opportunamente e rettamente, ma poiché il diavolo è avvezzo ad accusare, spinto solo dagli stimoli dell'invidia, come contro di lui si dà testimonianza nell'Apocalisse 63. Questo verbo è usato anche in una commedia e perciò non c'è dubbio che sia latino, con il medesimo o per lo meno simile significato del greco quando viene detto al figlio:

Egli spera di aver trovato un discorsoper mezzo del quale riesca a sconcertarti 64.

Qui infatti differat suole essere inteso come volesse dire, (in senso metaforico), " ti trasporti qua e là mediante una tempesta di parole ", presso a poco come " ti sbrani e ti sparga qua e là ", cosa che sembrava sul punto di attuare accusandolo. Ma anche se la frase: ritardarlo nel viaggio la intenderemo nel senso che l'angelo fece attendere Balaam ritardando la sua fretta per mostrargli e dirgli ciò che doveva fare, non è illogico usare questo verbo nel suddetto significato.

L'angelo in mezzo alla strada e l'asina di Balaam.

4050
(
Nb 22,23-29) E l'asina, avendo visto l'angelo di Dio che le si opponeva sulla strada con la spada sguainata nella sua mano, deviò dalla sua strada e andò per la campagna. Questa campagna era ancora fuori delle muricce delle vigne. E (Balaam) percosse l'asina con il bastone per farla ritornare sulla strada. Ma l'angelo di Dio le si parò davanti nei viottoli delle vigne con una muriccia da una parte e una muriccia dall'altra. Giustamente possiamo chiederci come mai la Scrittura dice che l'angelo stava ritto nei viottoli delle vigne se le muricce erano costruite lungo entrambi i lati della strada che vi passava nel mezzo - come si fa di solito - poiché i viottoli delle vigne non potevano essere sulla strada che si snodava tra i muretti. Ma l'ordine delle parole è il seguente: Per farla tornare sulla strada fiancheggiata da una muriccia da un lato e da un'altra muriccia dall'altro. Su questa strada dunque Balaam volle far ripiegare l'asina perché camminasse tra i muretti. Nel testo però l'agiografo ha intercalato, tra l'inizio e la fine della frase, le seguenti parole: E l'angelo di Dio si fermò nel mezzo dei viottoli delle vigne, cioè in una delle vigne che nel mezzo lasciavano passare la strada. E avendo visto l'angelo di Dio, l'asina si strinse contro la parete, cioè contro il muretto di quella vigna in cui non era l'angelo, poiché stava dall'altra parte in uno dei sentieri delle vigne. E strinse il piede di Balaam contro la parete ed egli la bastonò ancora una volta. E l'angelo di Dio tornò a sorpassarli e si fermò in un luogo assai stretto - non più in uno dei sentieri delle vigne, ma tra gli stessi muretti a secco, cioè sulla strada - in cui non si poteva deviare né a destra né a sinistra. E l'asina, veduto l'angelo di Dio, si accasciò sotto Balaam. Siccome l'asina, sebbene bastonata, non tornava indietro né si stringeva contro la parete in quanto non veniva spaventata da un'altra parte, ma l'angelo era fermo in un luogo stretto in mezzo alla strada, all'asina restava solo di accasciarsi. Balaam allora montò in collera e prese a colpire l'asina col bastone. Ma il signore aprì la bocca dell'asina che disse a Balaam: " che cosa ti ho fatto perché mi batti già per la terza volta? ". E Balaam rispose all'asina: " Perché ti sei presa gioco di me. E se avessi in mano una spada, già ti avrei ammazzata ". Costui era evidentemente trascinato da tanta avidità che non si era impaurito neppure per un prodigio tanto spaventoso e rispondeva come se parlasse a un uomo quando Dio di certo non aveva cambiato l'anima dell'asina in una natura ragionevole ma, come gli era piaciuto, da essa aveva fatto emettere un suono per reprimere la frenesia di Balaam, forse prefigurando il fatto che Dio ha scelto ciò che è stolto secondo il mondo per confondere i sapienti 65 in favore dell'Israele spirituale e autentico, cioè dei figli della promessa.

Su lo spirito di Dio posato sopra Balaam.

4051
(
Nb 23,6) E lo spirito di Dio si fece su di lui, cioè su Balaam. Lo spirito di Dio non fu fatto, come se lo spirito di Dio fosse una creatura, ma l'espressione: lo spirito di Dio si fece su di lui vuol dire: avvenne che fosse su di lui. Così pure l'espressione: colui che viene dopo di me è stato fatto prima di me vuol dire: avvenne che fosse prima di me, e perciò fosse considerato superiore a me, poiché - è detto - esisteva prima di me 66. Simile a questa è anche l'espressione: Il Signore si è fatto mio aiuto 67; il Signore infatti non è un Essere fatto, ma l'espressione vuol dire: È avvenuto che il Signore mi aiutasse; e così l'espressione: Il Signore si è fatto rifugio dei poveri 68 vuol dire: È avvenuto che i poveri si siano rifugiati presso di lui; così l'espressione: La mano del Signore fu fatta su di me 69 vuol dire: Avvenne che la mano del Signore fosse su di me; e molti altri passi di tale genere si trovano nelle Scritture.

La collera del Signore sugli adulteri.

4052
(
Nb 25,1-4) E il Signore disse a Mosè: " Prendi i capi del popolo ed esponili contro il sole per il Signore; e il furore e la collera del Signore si ritirerà da Israele. Il Signore sdegnato per le fornicazioni non solo carnali ma anche spirituali d'Israele - poiché non solo s'erano uniti in modo spudorato con le figlie di Moab, ma si erano anche consacrati agli idoli - disse a Mosè che presentasse al Signore i capi del popolo contro il sole. Questa frase ci fa intendere che Dio comandò che quelli fossero crocifissi; perciò la frase: esponili contro il sole per il Signore, cioè pubblicamente alla luce del giorno. Il testo greco infatti dice , che si potrebbe tradurre con il verbo exempla (punisci perché siano di esempio agli altri), poiché significa " esempio ". A eccezione dei Settanta si dice che Aquila tradusse: " inchiodali ", o meglio " inchiodali in alto ", corrispondente ad , e Simmaco invece lo traduce con un verbo ancora più espressivo, cioè " impiccali ". È davvero strano che la Scrittura abbia omesso di narrare se fu eseguito ciò che era stato ordinato dal Signore; io non credo che l'adempimento di quell'ordine potesse essere stato trascurato oppure, se fu trascurato, rimanesse impunito. Se però l'ordine fu eseguito e la Scrittura non lo dice, perché dice che il Signore fu placato e cessò il castigo per il fatto che Finees, figlio di Eleazaro, trafisse (i due) adulteri 70?. Sarebbe potuto sembrare che, una volta crocifissi i capi, come aveva ordinato il Signore e, continuando Dio ad essere sdegnato, si dovesse placare in un altro modo, non potendo di certo essere falso ciò che il Signore aveva preannunciato e promesso dicendo: Prendi i capi del popolo ed esponili per il Signore contro il sole; e il furore della collera del Signore si ritirerà da Israele. Se ciò era stato eseguito, chi potrebbe dubitare che la collera del Signore s'era allontanata da Israele? Che bisogno c'era, dunque, che Finees punisse ancora quegli adulteri in quel modo per placare Dio e che la Scrittura gli rendesse testimonianza di aver placato il Signore agendo a quel modo? A meno che non si voglia intendere che, mentre Mosè si proponeva di eseguire gli ordini del Signore, dati riguardo ai capi del popolo, egli avesse voluto punire anche secondo la legge tali azioni vituperevoli e quell'audace sacrilegio e, per conseguenza avesse ordinato che chiunque uccidesse il proprio prossimo consacrato empiamente agli dèi stranieri 71, e frattanto anche Finees facesse quell'azione e così, placata ormai la collera del Signore, non ci fosse più bisogno di crocifiggere i capi del popolo. Questa severità, confacente a quel tempo, mostra assai chiaramente ai fedeli sapienti quanto grave sia il peccato della fornicazione e dell'idolatria.

La causa della morte di Mosè e Aronne.

4053
(
Nb 27,13-14) Il Signore assegna alla morte di Mosè la medesima causa della morte di suo fratello. A entrambi infatti aveva predetto ugualmente che non sarebbero entrati con il popolo di Dio nella terra promessa, poiché non avevano testimoniata la santità di Dio davanti al popolo presso l'acqua della contesa 72, vale a dire poiché avevano dubitato del suo dono, che cioè dalla roccia potesse sgorgare l'acqua come abbiamo spiegato nel passo relativo della Scrittura 73. Di questo fatto si può capire il significato allegorico, che cioè né il sacerdote istituito in precedenza, rappresentato da Aronne, né la legge rappresentata da Mosè, introducono il popolo di Dio nella terra dell'eredità eterna, ma Gesù (Giosuè) che era la figura di nostro Signore Gesù Cristo, cioè la grazia mediante la fede 74. Inoltre Aronne morì, è vero, prima che Israele entrasse in alcuna parte della terra promessa, ma il paese degli Amorrei fu conquistato e posseduto quando Mosè era ancora vivente, ma non gli fu permesso di passare il Giordano con gli Israeliti. La Legge infatti si trova osservata solo in qualche parte mediante la religione cristiana. In essa in realtà sono anche i precetti che a noi Cristiani è comandato di osservare anche adesso. Al contrario il sacerdozio e i sacrifici dell'Antico Testamento non hanno adesso alcuna relazione con la religione cristiana. Salvo che essi non siano, per essa, come le prefigurazioni delle realtà future. Quando invece ad ambedue i fratelli, cioè Aronne e Mosè, viene detto che si riuniranno al loro popolo, è evidente che non si tratta della collera di Dio contro di loro, collera che separa dalla pace dell'eterno consorzio dei santi; è perciò chiaro che non solo le loro funzioni ma anche la loro morte erano prefigurazioni delle realtà future, non castighi della collera di Dio.

Lo Spirito Santo e lo spirito umano.

4054
(
Nb 27,18-19) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Prenditi Gesù, figlio di Nave, un uomo che ha in se stesso lo spirito, e imponi le tue mani su di lui; e lo farai stare davanti al sacerdote Eleazaro e gli darai gli ordini al cospetto di tutta la comunità, ecc. Si deve considerare che, avendo Gesù di Nave già in se stesso lo spirito, come testimonia la Scrittura - poiché di cos'altro dobbiamo pensare si trattasse se non dello Spirito Santo? Non avrebbe infatti detto ciò dello spirito umano giacché non c'era alcuno che non lo avesse - tuttavia Dio diede a Mosè l'ordine d'imporgli le mani, perché nessuno, sebbene superiore agli altri per i doni di Dio, osi rifiutare i riti della consacrazione.

Dio diede a Mosè ordini relativi a Gesù di Nave.

4055
(
Nb 27,20) Che significa ciò che Dio, allorché dava a Mosè ordini relativi a Gesù di Nave, tra l'altro disse: E gli darai della tua gloria? Poiché nella lingua greca c'è: , che equivale a: della gloria, cioè . Alcuni traduttori latini hanno tradotto: gli darai la tua gloria, non della tua gloria. Ma anche se Dio avesse detto: la tua gloria, non per questo Mosè non l'avrebbe avuta, né, per il fatto che disse: della gloria, diminuì per questo la gloria che aveva. L'espressione deve intendersi così, come se dicesse: lo farai socio della tua gloria. Le cose di tal genere però non diminuiscono, come se fossero divise in parti uguali, ma le hanno intere tutti e intere le ha ciascuno di coloro che ne sono compartecipi.

Voto fatto sotto giuramento.

4056
(
Nb 30,3) Chiunque avrà fatto un voto al Signore o si sarà obbligato con giuramento ad una astensione, non violi la sua parola, ma dia esecuzione a quanto ha promesso con la bocca. Questa legge divina non riguarda ogni specie di giuramento, ma quello col quale uno abbia fatto voto con la propria anima di privarsi di qualcosa che gli era lecito usare secondo la legge, ma di cui egli stesso con il voto se n'era reso illecito l'uso.

Sul voto di verginità di una nubile.

4057
(
Nb 30,4-6) Quando una donna avrà fatto un voto al Signore e si sarà obbligata ad una obbligazione, mentre è ancora a casa del padre, durante la sua giovinezza, se il padre, avuta conoscenza del voto di lei e della astensione alla quale si è obbligata, non dice nulla, tutti i voti di lei saranno validi e saranno valide tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata. Ma se il padre, quando ne viene a conoscenza, le fa opposizione, tutti i voti di lei e tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata non saranno valide; il Signore la perdonerà, perché il padre le ha fatto opposizione. Per il fatto che a mio modo di vedere, il testo parla della donna, che per la sua giovinezza si trova ancora nella casa paterna, qui possiamo a ragione porci anche il quesito se si tratta del voto di verginità; è infatti assai noto che nella Scrittura si suole chiamare donne anche le giovani non maritate. Sembra inoltre che anche l'Apostolo parli del padre quando dice: Conservi la sua vergine e dia in matrimonio la sua vergine 75 e il resto in questo modo. Alcuni in questo passo intesero l'espressione: la sua vergine, nel senso " della sua verginità "; essi tuttavia non dimostrano tale senso con un'altra simile locuzione delle Scritture essendo molto insolita. L'espressione contro la propria anima non deve intendersi come se con siffatti voti recasse danno all'animo; ma contro la propria anima vuol dire contro il suo piacere animale, come anche prima quando ordinò il digiuno disse: E affliggerete le vostre anime 76.

Purificare vuol dire assolvere.

4058
(
Nb 30,6) Quanto poi alla frase: E il Signore la purificherà poiché non glielo ha consentito suo padre, la parola purificherà vuol dire " l'assolverà dal peccato di non aver adempiuto il voto ". Così pure in molti altri passi è detto: E il sacerdote lo purificherà 77, cioè lo riterrà puro, lo giudicherà puro; una simile espressione è la frase: Non purificherai affatto il reo, vale a dire: " non dichiarerai puro colui che è impuro ".

Autorità del padre o del marito sui voti di una donna.

4059
(
Nb 30,7-19) Se invece la vergine sarà legata a un uomo e ha preso su di sé tutti i voti pronunciandoli con le sue labbra e ai quali si è obbligata con un vincolo, e viene a sentire ciò suo marito e non dirà nulla qualunque sia il giorno in cui lo sentirà e così resteranno validi i suoi voti e le obbligazioni prese da lei contro l'anima sua. Ma se suo marito non acconsentirà qualunque sia il giorno in cui ne verrà a conoscenza, tutti i suoi voti e tutte le obbligazioni prese contro la propria anima non saranno validi perché suo marito non le ha dato il suo consenso, e il Signore la purificherà. Quanto alla donna sottoposta all'autorità del padre prima di maritarsi e all'autorità del marito dopo essersi sposata, la legge non volle che facesse voto di qualcosa a Dio contro la propria anima, cioè di rinunciare ad alcune cose lecite e permesse in modo che riguardo ai voti medesimi prevalesse l'autorità della donna, ma quella dell'uomo; per conseguenza qualora il padre avesse concesso alla figlia ancora nubile di adempiere i suoi voti, se si fosse sposata prima di averli adempiuti e il marito venutone a conoscenza non fosse stato d'accordo, la donna non avrebbe potuto adempierli e sarebbe stata del tutto esente dal peccato, poiché il Signore l'avrebbe purificata - come dice la Scrittura - l'avrebbe giudicata pura e non si sarebbe dovuto ritenere che l'inadempienza fosse contro Dio, dal momento che fu Dio a comandare così, a volere così.

59. 2. Il testo continua parlando delle vedove o delle ripudiate, cioè delle donne che non sono sotto il potere del marito o del padre e dice che sono libere per adempiere i voti, esprimendosi così: Il voto di una vedova o d'una ripudiata, tutto ciò di cui ha fatto voto contro la propria anima rimarrà valido per lei. Di poi parla della maritata che, già stabilita nella casa del marito, avesse fatto voto di qualcosa di simile. Prima aveva parlato della donna che aveva fatto qualche voto nella casa paterna e poi s'era sposata prima di adempierlo. Di questa, dunque, che fece un voto in casa del marito, parla così: Se però fece un voto nella casa di suo marito o si obbligò a qualcosa contro la propria anima con giuramento e suo marito ne verrà a conoscenza e non le dirà nulla e non glielo impedirà e saranno validi tutti i suoi voti e tutte le obbligazioni di rinunce assunte da lei contro la propria anima saranno valide contro la sua anima. Se però suo marito li annulla del tutto, in qualunque giorno ne avrà sentito parlare non sarà valido nulla di ciò che sia uscito dalle labbra di lei relativamente ai suoi voti o alle obbligazioni di rinunce che si è assunte contro la propria anima; li ha annullati suo marito e il Signore la purificherà. Ogni voto e ogni giuramento è un legame per mortificarsi: suo marito lo rende valido e suo marito lo annulla. Se però il marito da un giorno all'altro non dirà nulla in proposito, ratificherà i voti di lei e gli obblighi di rinunce da lei assunti, poiché non disse nulla in proposito nel giorno in cui ne ebbe conoscenza. Se invece suo marito li annulla, li annulli il giorno dopo averne avuto conoscenza e prenderà su di sé il peccato di lei.

59. 3. In tal modo è chiaro che la legge ha voluto che la donna fosse sotto l'autorità del marito sicché non è obbligata ad adempiere alcun voto fatto da lei di rinunciare a qualcosa, se il marito non lo ratifichi con il permetterlo. Poiché, sebbene la legge abbia voluto che il peccato sia solo del marito se prima aveva permesso i voti ma poi li aveva proibiti, tuttavia anche in questo caso non dice che la donna adempia il voto che aveva fatto poiché ne aveva avuto il permesso dal marito. Il testo dice che il peccato è del marito perché rifiutò (di approvare) ciò che in precedenza aveva concesso; la legge tuttavia non permette, per questo, alla donna di non tener conto della proibizione di suo marito anche se prima aveva dato il consenso ma in seguito lo aveva negato.

59. 4. Giustamente inoltre si pone il quesito se quei voti concernono anche quelli dell'astinenza e dell'astensione dall'accoppiamento carnale, se per caso si dovessero intendere come voti solo quelli che si fanno contro l'anima riguardo ai cibi e alle bevande. Pare che indichi ciò la frase detta dal Signore: Non vale forse più l'anima che il cibo? 78 E quando si dà il comando riguardo al digiuno, viene dato in questi termini: affliggerete le anime vostre 79. Non so però se in alcun altro passo potrebbe leggersi l'affermazione che è un voto contro l'anima quello dell'astinenza dall'amplesso carnale soprattutto poiché la legge in questo caso dà l'autorità al marito, non alla donna sottoposta al marito, di modo che sono da adempiersi i voti di una donna solo se li avrà approvati il marito; se invece li avrà respinti non dovranno essere adempiuti. L'Apostolo tuttavia, parlando dell'amplesso delle donne sposate, non dà in quel passo più autorità al marito che alla donna, ma dice: Il marito deve rendere il debito alla moglie e ugualmente anche la moglie al marito. Padrona del suo corpo non è la moglie ma il marito, e ugualmente padrone del proprio corpo non è il marito ma la moglie 80. Dal momento dunque che in questo stato di fatto l'Apostolo ha voluto che il diritto di disporre del marito e della moglie fosse uguale, io non credo che la regola relativa al fatto di unirsi o non unirsi nell'amplesso carnale faccia parte dei voti riguardo ai quali non hanno uguale potere il marito e la moglie, ma che il potere maggiore e quasi esclusivo è del marito. La legge infatti non dice che il marito non deve adempiere i suoi voti qualora glielo proibisse la moglie, ma non deve adempierli la moglie se glielo proibirà il marito. Non mi pare quindi tra siffatti voti e legami e obbligazioni, che si fanno contro l'anima, si debbano comprendere anche quelli di mutuo accordo, relativi al coito o all'astenersene.

59. 5. D'altra parte, siccome anche queste norme sono chiamate precetti e ci ricordiamo che, tra i precetti che sono menzionati nell'Esodo 81, vengono prescritte sotto questo nome molte cose che non possono prendersi in senso proprio e non vengono osservate nel Nuovo Testamento - come quella di forare l'orecchio dello schiavo 82 e altri precetti di tal genere - non è illogico ritenere che anche in questo passo si dica qualcosa in senso figurato, e perciò, siccome ci sono molte astinenze rituali contrarie alla ragione e talora anche contrarie alla verità, forse la Scrittura ha voluto indicare qui che quelle rinunce sono state ratificate quando sono razionali, quando cioè sono approvate dalla ragione la quale, come un marito, deve guidare ogni moto che consiste non solo nel desiderare qualcosa ma anche nell'astenersi da qualche altra; in tal modo se l'impulso è determinato dallo spirito e dalla ragione, allora si attua; se invece è disapprovato dalla ragione deliberante non lo si lascia agire. Se poi la ragione, in seguito disapprova ciò che prima aveva rettamente deciso di fare, sarà un peccato di prudenza. Tuttavia anche in questo caso l'impulso dev'essere d'accordo con la ragione.

Sulle parole: la loro potenza.

4060
(
Nb 31,5-6) Che significa la frase: E Mosè ne spedì mille da una tribù e mille da un'altra con la loro potenza? La loro potenza vuol forse dire: " i loro prìncipi ", oppure la potenza data loro dal Signore, oppure ottenuta per essi da Mosè, oppure piuttosto si chiama forse la loro potenza quella mediante la quale veniva sorretto il loro potere?

La morte di Balaam.

4061
(
Nb 31,8) Può essere esaminato il quesito come mai, quando gli Israeliti sconfissero i Madianiti, la Scrittura dice che fu ucciso Balaam, che era stato prezzolato per maledire il popolo d'Israele, dal momento che poco prima, quando Balaam s'era trovato costretto a benedirlo, la Scrittura aveva concluso il racconto di quel fatto con le seguenti parole: E Balaam si alzò e se ne tornò alla sua regione e Balac tornò a casa sua 83. Se dunque Balaam era tornato alla sua regione come mai fu ucciso qui, essendo venuto da tanto lontano, cioè dalla Mesopotamia? Tornò forse da Balac ma la Scrittura non lo dice? Sennonché potrebbe anche intendersi che tornò nella sua regione, poiché dalla località ove faceva i sacrifici tornò alla località da cui era partito, cioè ove aveva l'alloggio. Poiché il testo non dice: "(tornò) a casa sua " o " nella sua patria ", ma nel suo alloggio. Infatti anche qualsiasi forestiero ha un alloggio ove dimorare. Quanto invece a Balac, il quale lo aveva prezzolato, la Scrittura non dice: "tornò al suo luogo ", cioè al luogo ove dimorava, ma presso se stesso, cioè ove abitava come re. La Scrittura avrebbe potuto dire: " al suo luogo " tanto per il re che per il forestiero, ma non vedo come si sarebbe potuto dire che un forestiero era tornato presso se stesso se era tornato al proprio alloggio.

I beni di sostentamento denominati il potere.

4062
(
Nb 31,9) E fecero prigioniere le donne di Madian e depredarono le loro suppellettili e i loro greggi e tutto ciò che possedevano e il loro potere. Avendo già menzionato le donne, la suppellettile, i greggi e tutto ciò che possedevano, perché dopo aggiunge: e depredarono il loro potere? Si tratta certamente del potere a proposito del quale anche prima era stato detto che Mosè aveva mandato mille uomini di ciascuna tribù con il loro potere 84. O forse è chiamato loro potere il cibo dal quale erano sostentati, somministrando il quale le forze restano integre ma, se esso viene a mancare, le forze vengono meno? Ecco perché Dio quando minaccia per mezzo del Profeta dice: Toglierò il sostentamento del pane e il sostentamento dell'acqua 85. Anche Mosè quindi aveva spedito con i viveri quei mille uomini (di ciascuna tribù) poiché la Scrittura dice: con il loro potere; e gli Israeliti, dopo aver sbaragliato i Madianiti, avevano depredato tra gli altri loro beni anche questo sostentamento.

Quando Balaam diede il suo empio consiglio.

4063
(
Nb 31,15-16) Per quale motivo avete lasciato in vita tutte le femmine? Furono proprio esse per i figli d'Israele, per istigazione di Balaam, a farli allontanare (da Dio) e a disprezzare la parola del Signore per causa di Fogor. La Scrittura non dice quando Balaam diede loro questo empio consiglio, che cioè le donne attraendoli con le loro lusinghe si accoppiassero con essi per fornicare non solo fisicamente ma anche spiritualmente adorando il loro idolo, eppure è evidente che ciò accadde realmente dal momento che è ricordato in questo passo. Così pertanto poté tornare indietro lo stesso Balaam, che era già tornato nella sua casa 86 senza doverla intendere come l'alloggio di un forestiero, sebbene la Scrittura non lo dica.

Le città-asilo.

4064
(
Nb 35,11-12) Che cosa significa: E (queste) saranno per voi città di rifugio contro il vendicatore del sangue, e l'omicida non morrà fino a quando non starà davanti alla comunità per essere giudicato? Siccome qui la Scrittura parla di coloro che hanno commesso un omicidio involontariamente, e in un altro passo 87 dice che chiunque vi si rifugia in un siffatto caso esce libero dalla città allorquando sia morto il sommo sacerdote, perché dunque in questo passo dice: l'omicida non morrà fino a quando non starà davanti alla comunità per essere giudicato, se non perché lì viene giudicato affinché possa uscire libero dalla città se nel giudizio si dimostra chiaramente che ha commesso l'omicidio involontariamente?.

Sul vendicatore del sangue.

4065
(
Nb 35,19 Nb 12) Che significa: Sarà dovere del vendicatore del sangue uccidere l'omicida; quando lo incontrerà lo ucciderà? Questa sentenza, così formulata, a coloro che non la comprendono abbastanza può sembrare significhi che, senza distinzione di persone e senza giudizio, fosse data al vendicatore della morte del proprio congiunto la licenza di uccidere l'omicida. La Scrittura però volle far intendere che l'omicida, conforme a quanto è detto più sopra, si rifugiasse in una delle città-asilo fino a quando non comparirà in giudizio, per non essere ucciso dal parente (dell'assassinato) che lo incontrasse. Poiché, sebbene avesse commesso l'omicidio involontariamente, sarebbe stato ucciso se incontrato fuori di quelle città. Quando al contrario fosse comparso in giudizio in una di quelle città e fosse stato giudicato e condannato come omicida in una di quelle, nelle quali gli era concesso di rifugiarsi, non gli veniva permesso di rimanervi; allora solamente, ormai condannato, era lecito al parente di ucciderlo, ovunque lo incontrasse. Non occorreva più condurlo in giudizio, essendo già stato condannato come omicida e perciò espulso da quelle città-asilo.






Agostino Qu. Heptateuco 3094