Catechesi 2005-2013 15108

Mercoledì, 15 ottobre 2008: San Paolo (8) - La dimensione ecclesiologica del pensiero di Paolo

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Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato della relazione di Paolo con il Gesù pre-pasquale nella sua vita terrena. La questione era: “Che cosa ha saputo Paolo della vita di Gesù, delle sue parole, della sua passione?”. Oggi vorrei parlare dell’insegnamento di san Paolo sulla Chiesa. Dobbiamo cominciare dalla costatazione che questa parola “Chiesa” nell’italiano - come nel francese “Église” e nello spagnolo “Iglesia” - essa è presa dal greco “ekklesía”! Essa viene dall’Antico Testamento e significa l’assemblea del popolo di Israele, convocata da Dio, particolarmente l’assemblea esemplare ai piedi del Sinai. Con questa parola è ora significata la nuova comunità dei credenti in Cristo che si sentono assemblea di Dio, la nuova convocazione di tutti i popoli da parte di Dio e davanti a Lui. Il vocabolo ekklesía fa la sua apparizione per la prima volta sotto la penna di Paolo, che è il primo autore di uno scritto cristiano. Ciò avviene nell’incipit della prima Lettera ai Tessalonicesi, dove Paolo si rivolge testualmente “alla Chiesa dei Tessalonicesi” (cfr poi anche “la Chiesa dei Laodicesi” in
Col 4,16). In altre Lettere egli parla della Chiesa di Dio che è in Corinto (1Co 1,2 2Co 1,1), che è in Galazia () – Chiese particolari, dunque – ma dice anche di avere perseguitato “la Chiesa di Dio”: non una determinata comunità locale, ma “la Chiesa di Dio”. Così vediamo che questa parola “Chiesa” ha un significato pluridimensionale: indica da una parte le assemblee di Dio in determinati luoghi (una città, un paese, una casa), ma significa anche tutta la Chiesa nel suo insieme. E così vediamo che “la Chiesa di Dio” non è solo una somma di diverse Chiese locali, ma che le diverse Chiese locali sono a loro volta realizzazione dell’unica Chiesa di Dio. Tutte insieme sono “la Chiesa di Dio”, che precede le singole Chiese locali e si esprime, si realizza in esse.

È importante osservare che quasi sempre la parola “Chiesa” appare con l’aggiunta della qualificazione “di Dio”: non è una associazione umana, nata da idee o interessi comuni, ma da una convocazione di Dio. Egli l’ha convocata e perciò è una in tutte le sue realizzazioni. L’unità di Dio crea l’unità della Chiesa in tutti i luoghi dove essa si trova. Più tardi, nella Lettera agli Efesini, Paolo elaborerà abbondantemente il concetto di unità della Chiesa, in continuità col concetto di Popolo di Dio, Israele, considerato dai profeti come “sposa di Dio”, chiamata a vivere una relazione sponsale con Lui. Paolo presenta l’unica Chiesa di Dio come “sposa di Cristo” nell’amore, un solo corpo e un solo spirito con Cristo stesso. È noto che il giovane Paolo era stato accanito avversario del nuovo movimento costituito dalla Chiesa di Cristo. Ne era stato avversario, perché aveva visto minacciata in questo nuovo movimento la fedeltà alla tradizione del popolo di Dio, animato dalla fede nel Dio unico. Tale fedeltà si esprimeva soprattutto nella circoncisione, nell’osservanza delle regole della purezza cultuale, dell’astensione da certi cibi, del rispetto del sabato. Questa fedeltà gli Israeliti avevano pagato col sangue dei martiri, nel periodo dei Maccabei, quando il regime ellenista voleva obbligare tutti i popoli a conformarsi all’unica cultura ellenistica. Molti israeliti avevano difeso col sangue la vocazione propria di Israele. I martiri avevano pagato con la vita l’identità del loro popolo, che si esprimeva mediante questi elementi. Dopo l’incontro con il Cristo risorto, Paolo capì che i cristiani non erano traditori; al contrario, nella nuova situazione, il Dio di Israele, mediante Cristo, aveva allargato la sua chiamata a tutte le genti, divenendo il Dio di tutti i popoli. In questo modo si realizzava la fedeltà all’unico Dio; non erano più necessari segni distintivi costituiti da norme e osservanze particolari, perché tutti erano chiamati, nella loro varietà, a far parte dell’unico popolo di Dio della “Chiesa di Dio” in Cristo.

Una cosa fu per Paolo subito chiara nella nuova situazione: il valore fondamentale e fondante di Cristo e della “parola” che Lo annunciava. Paolo sapeva che non solo non si diventa cristiani per coercizione, ma che nella configurazione interna della nuova comunità la componente istituzionale era inevitabilmente legata alla “parola” viva, all’annuncio del Cristo vivo nel quale Dio si apre a tutti i popoli e li unisce in un unico popolo di Dio. È sintomatico che Luca negli Atti degli Apostoli impieghi più volte, anche a proposito di Paolo, il sintagma “annunciare la parola” (Ac 4,29 Ac 4,31 Ac 8,25 Ac 11,19 Ac 13,46 Ac 14,25 Ac 16,6 Ac 16,32), con l’evidente intenzione di evidenziare al massimo la portata decisiva della “parola” dell’annuncio. In concreto, tale parola è costituita dalla croce e dalla risurrezione di Cristo, in cui hanno trovato realizzazione le Scritture. Il Mistero pasquale, che ha provocato la svolta della sua vita sulla strada di Damasco, sta ovviamente al centro della predicazione dell’Apostolo (cfr 1Co 2,2 1Co 15,14). Questo Mistero, annunciato nella parola, si realizza nei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia e diventa poi realtà nella carità cristiana. L’opera evangelizzatrice di Paolo non è finalizzata ad altro che ad impiantare la comunità dei credenti in Cristo. Questa idea è insita nella etimologia stessa del vocabolo ekklesía, che Paolo, e con lui l'intero cristianesimo, ha preferito all’altro termine di “sinagoga”: non solo perché originariamente il primo è più ‘laico’ (derivando dalla prassi greca dell'assemblea politica e non propriamente religiosa), ma anche perché esso implica direttamente l'idea più teologica di una chiamata ab extra, non quindi di un semplice riunirsi insieme; i credenti sono chiamati da Dio, il quale li raccoglie in una comunità, la sua Chiesa.

In questa linea possiamo intendere anche l'originale concetto, esclusivamente paolino, della Chiesa come “Corpo di Cristo”. Al riguardo, occorre avere presente le due dimensioni di questo concetto. Una è di carattere sociologico, secondo cui il corpo è costituito dai suoi componenti e non esisterebbe senza di essi. Questa interpretazione appare nella Lettera ai Romani e nella Prima Lettera ai Corinti, dove Paolo assume un’immagine che esisteva già nella sociologia romana: egli dice che un popolo è come un corpo con diverse membra, ognuna delle quali ha la sua funzione, ma tutte, anche le più piccole e apparentemente insignificanti, sono necessarie perché il corpo possa vivere e realizzare le proprie funzioni. Opportunamente l’Apostolo osserva che nella Chiesa ci sono tante vocazioni: profeti, apostoli, maestri, persone semplici, tutti chiamati a vivere ogni giorno la carità, tutti necessari per costruire l’unità vivente di questo organismo spirituale. L’altra interpretazione fa riferimento al Corpo stesso di Cristo. Paolo sostiene che la Chiesa non è solo un organismo, ma diventa realmente corpo di Cristo nel sacramento dell’Eucaristia, dove tutti riceviamo il suo Corpo e diventiamo realmente suo Corpo. Si realizza così il mistero sponsale che tutti diventano un solo corpo e un solo spirito in Cristo. Così la realtà va molto oltre l’immagine sociologica, esprimendo la sua vera essenza profonda, cioè l’unità di tutti i battezzati in Cristo, considerati dall’Apostolo “uno” in Cristo, conformati al sacramento del suo Corpo.

Dicendo questo, Paolo mostra di saper bene e fa capire a noi tutti che la Chiesa non è sua e non è nostra: la Chiesa è corpo di Cristo, è “Chiesa di Dio”, “campo di Dio, edificazione di Dio, ... tempio di Dio” (1Co 3,9 1Co 3,16). Quest'ultima designazione è particolarmente interessante, perché attribuisce a un tessuto di relazioni interpersonali un termine che comunemente serviva per indicare un luogo fisico, considerato sacro. Il rapporto tra Chiesa e tempio viene perciò ad assumere due dimensioni complementari: da una parte, viene applicata alla comunità ecclesiale la caratteristica di separatezza e purità che spettava all’edificio sacro, ma, dall'altra, viene pure superato il concetto di uno spazio materiale, per trasferire tale valenza alla realtà di una viva comunità di fede. Se prima i templi erano considerati luoghi della presenza di Dio, adesso si sa e si vede che Dio non abita in edifici fatti di pietre, ma il luogo della presenza di Dio nel mondo è la comunità viva dei credenti.

Un discorso a parte meriterebbe la qualifica di “popolo di Dio”, che in Paolo è applicata sostanzialmente al popolo dell’Antico Testamento e poi ai pagani che erano “il non popolo” e sono diventati anch’essi popolo di Dio grazie al loro inserimento in Cristo mediante la parola e il sacramento. E finalmente un’ultima sfumatura. Nella Lettera a Timoteo Paolo qualifica la Chiesa come «casa di Dio» (1Tm 3,15); e questa è una definizione davvero originale, poiché si riferisce alla Chiesa come struttura comunitaria in cui si vivono calde relazioni interpersonali di carattere familiare. L’Apostolo ci aiuta a comprendere sempre più a fondo il mistero della Chiesa nelle sue diverse dimensioni di assemblea di Dio nel mondo. Questa è la grandezza della Chiesa e la grandezza della nostra chiamata: siamo tempio di Dio nel mondo, luogo dove Dio abita realmente, e siamo, al tempo stesso, comunità, famiglia di Dio, il Quale è carità. Come famiglia e casa di Dio dobbiamo realizzare nel mondo la carità di Dio e così essere, con la forza che viene dalla fede, luogo e segno della sua presenza. Preghiamo il Signore affinché ci conceda di essere sempre più la sua Chiesa, il suo Corpo, il luogo della presenza della sua carità in questo nostro mondo e nella nostra storia.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i Polacchi venuti al sepolcro del Servo di Dio Giovanni Paolo II, in occasione della Sua elezione alla Sede di Pietro. Ringraziando per la vostra presenza mi unisco spiritualmente a tutti voi nella preghiera presso questo sepolcro. Saluto anche i pellegrini di Bialystok i quali sono qui convenuti in ringraziamento per la beatificazione di Don Michal Sopocko. Vi benedico tutti di cuore. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i pellegrini ungheresi, specialmente i fedeli della parrocchia di Tarján. In questo mese di ottobre, dedicato al Santo Rosario, vi esorto a riscoprire la comunione con la Vergine Maria, in virtù di questa antica preghiera. Con la Benedizione Apostolica!
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi provenienti da Nitra e dintorni.
Fratelli e sorelle, la preghiera del Rosario è preghiera di comunione. Rafforzate anche voi questa comunione della preghiera con Cristo e la sua Madre e con i fratelli. Vi aiuti in ciò la Madonna del Rosario. Con questo augurio vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, in modo particolare ai fedeli della parrocchia della Madonna degli Angeli di Trogir e al gruppo di fedeli della Missione Cattolica Croata in Paesi Bassi. La fede in Cristo Signore sia per voi incrollabile appoggio e certezza come lo era per San Paolo. Siano lodati Gesù e Maria!

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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli della diocesi di Ischia, venuti con il loro Pastore Mons. Filippo Strofaldi, in occasione della conclusione del sinodo diocesano, evento prezioso di rilancio dell’attività pastorale. Saluto le partecipanti ai Capitoli Generali delle Francescane Missionarie di Maria e delle Serve di Maria Ministre degli Infermi.Care Sorelle, mantenete vivi i vostri rispettivi carismi e continuate con rinnovato slancio di carità sulla via tracciata dai vostri Fondatori. Saluto le Infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, che ricordano il primo centenario di fondazione della loro Associazione e le incoraggio a proseguire nell’impegno di cristiana solidarietà verso il prossimo. Saluto l’Associazione regionale dei Cori pugliesi ed esorto ciascuno a fare del canto uno strumento di lode a Dio e un dono di gioia ai fratelli.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Cari amici, celebriamo oggi la festa di santa Teresa d’Avila. Questa grande Santa testimonia a voi cari giovani che l’amore autentico non può essere scisso dalla verità; mostra a voi, cari malati, che la croce di Cristo è mistero di amore redentore; per voi, cari sposi novelli, è modello di fedeltà a Dio, il quale affida ad ognuno una speciale missione.


Piazza San Pietro

Mercoledì, 22 ottobre 2008: San Paolo (9) - L'importanza della cristologia: preesistenza e incarnazione

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Cari fratelli e sorelle,

nelle catechesi delle scorse settimane abbiamo meditato sulla ‘conversione’ di san Paolo, frutto dell’incontro personale con Gesù crocifisso e risorto, e ci siamo interrogati su quale sia stata la relazione dell’Apostolo delle genti con il Gesù terreno. Oggi vorrei parlare dell’insegnamento che san Paolo ci ha lasciato sulla centralità del Cristo risorto nel mistero della salvezza, sulla sua cristologia. In verità, Gesù Cristo risorto, “esaltato sopra ogni nome”, sta al centro di ogni sua riflessione. Cristo è per l’Apostolo il criterio di valutazione degli eventi e delle cose, il fine di ogni sforzo che egli compie per annunciare il Vangelo, la grande passione che sostiene i suoi passi sulle strade del mondo. E si tratta di un Cristo vivo, concreto: il Cristo – dice Paolo – “che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (
Ga 2,20). Questa persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, questo è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia.

Chi ha letto gli scritti di san Paolo sa bene che egli non si è preoccupato di narrare i singoli fatti in cui si articola la vita di Gesù, anche se possiamo pensare che nelle sue catechesi abbia raccontato molto di più sul Gesù prepasquale di quanto egli scrive nelle Lettere, che sono ammonimenti in situazioni precise. Il suo intento pastorale e teologico era talmente teso all'edificazione delle nascenti comunità, che gli era spontaneo concentrare tutto nell’annuncio di Gesù Cristo quale “Signore”, vivo adesso e presente adesso in mezzo ai suoi. Di qui la caratteristica essenzialità della cristologia paolina, che sviluppa le profondità del mistero con una costante e precisa preoccupazione: annunciare, certo, il Gesù vivo, il suo insegnamento, ma annunciare soprattutto la realtà centrale della sua morte e risurrezione, come culmine della sua esistenza terrena e radice del successivo sviluppo di tutta la fede cristiana, di tutta la realtà della Chiesa. Per l’Apostolo la risurrezione non è un avvenimento a sé stante, disgiunto dalla morte: il Risorto è sempre colui che, prima, è stato crocifisso. Anche da Risorto porta le sue ferite: la passione è presente in Lui e si può dire con Pascal che Egli è sofferente fino alla fine del mondo, pur essendo il Risorto e vivendo con noi e per noi. Questa identità del Risorto col Cristo crocifisso Paolo l’aveva capita nell’incontro sulla via di Damasco: in quel momento gli si rivelò con chiarezza che il Crocifisso è il Risorto e il Risorto è il Crocifisso, che dice a Paolo: “Perché mi perseguiti?” (Ac 9,4). Paolo sta perseguitando Cristo nella Chiesa e allora capisce che la croce è “una maledizione di Dio” (Dt 21,23), ma sacrificio per la nostra redenzione.

L’Apostolo contempla affascinato il segreto nascosto del Crocifisso-risorto e attraverso le sofferenze sperimentate da Cristo nella sua umanità (dimensione terrena) risale a quell’esistenza eterna in cui Egli è tutt’uno col Padre (dimensione pre-temporale): “Quando venne la pienezza del tempo – egli scrive -, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli” (Ga 4,4-5). Queste due dimensioni, la preesistenza eterna presso il Padre e la discesa del Signore nella incarnazione, si annunciano già nell’Antico Testamento, nella figura della Sapienza. Troviamo nei Libri sapienziali dell’Antico Testamento alcuni testi che esaltano il ruolo della Sapienza preesistente alla creazione del mondo. In questo senso vanno letti passi come questo del Salmo 90: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio” (v. 2); o passi come quello che parla della Sapienza creatrice: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra” (Pr 8,22-23). Suggestivo è anche l’elogio della Sapienza, contenuto nell’omonimo libro: “La Sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo” (Sg 8,1).

Gli stessi testi sapienziali che parlano della preesistenza eterna della Sapienza, parlano anche della discesa, dell’abbassamento di questa Sapienza, che si è creata una tenda tra gli uomini. Così sentiamo echeggiare già le parole del Vangelo di Giovanni che parla della tenda della carne del Signore. Si è creata una tenda nell’Antico Testamento: qui è indicato il tempio, il culto secondo la “Thorà”; ma dal punto di vista del Nuovo Testamento possiamo capire che questa era solo una prefigurazione della tenda molto più reale e significativa: la tenda della carne di Cristo. E vediamo già nei Libri dell’Antico Testamento che questo abbassamento della Sapienza, la sua discesa nella carne, implica anche la possibilità che essa sia rifiutata. San Paolo, sviluppando la sua cristologia, si richiama proprio a questa prospettiva sapienziale: riconosce in Gesù la sapienza eterna esistente da sempre, la sapienza che discende e si crea una tenda tra di noi e così egli può descrivere Cristo, come “potenza e sapienza di Dio”, può dire che Cristo è diventato per noi “sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1Co 1,24 1Co 1,30). Similmente Paolo chiarisce che Cristo, al pari della Sapienza, può essere rifiutato soprattutto dai dominatori di questo mondo (cfr 1Co 2,6-9), cosicché può crearsi nei piani di Dio una situazione paradossale, la croce, che si capovolgerà in via di salvezza per tutto il genere umano.

Uno sviluppo ulteriore di questo ciclo sapienziale, che vede la Sapienza abbassarsi per poi essere esaltata nonostante il rifiuto, si ha nel famoso inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-11). Si tratta di uno dei testi più alti di tutto il Nuovo Testamento. Gli esegeti in stragrande maggioranza concordano ormai nel ritenere che questa pericope riporti una composizione precedente al testo della Lettera ai Filippesi.Questo è un dato di grande importanza, perché significa che il giudeo-cristianesimo, prima di san Paolo, credeva nella divinità di Gesù. In altre parole, la fede nella divinità di Gesù non è una invenzione ellenistica, sorta molto dopo la vita terrena di Gesù, un’invenzione che, dimenticando la sua umanità, lo avrebbe divinizzato; vediamo in realtà che il primo giudeo-cristianesimo credeva nella divinità di Gesù, anzi possiamo dire che gli Apostoli stessi, nei grandi momenti della vita del loro Maestro, hanno capito che Egli era il Figlio di Dio, come disse san Pietro a Cesarea di Filippi: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Ma ritorniamo all’inno della Lettera ai Filippesi. La struttura di questo testo può essere articolata in tre strofe, che illustrano i momenti principali del percorso compiuto dal Cristo. La sua preesistenza è espressa dalle parole: “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio” (v. 6); segue poi l’abbassamento volontario del Figlio nella seconda strofa: “svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo” (v. 7), fino a umiliare se stesso “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (v. 8). La terza strofa dell’inno annuncia la risposta del Padre all’umiliazione del Figlio: “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (v. 9). Ciò che colpisce è il contrasto tra l’abbassamento radicale e la seguente glorificazione nella gloria di Dio. E’ evidente che questa seconda strofa è in contrasto con la pretesa di Adamo che da sé voleva farsi Dio, è in contrasto anche col gesto dei costruttori della torre di Babele che volevano da soli edificare il ponte verso il cielo e farsi loro stessi divinità. Ma questa iniziativa della superbia finì nella autodistruzione: non si arriva così al cielo, alla vera felicità, a Dio. Il gesto del Figlio di Dio è esattamente il contrario: non la superbia, ma l’umiltà, che è realizzazione dell’amore e l’amore è divino. L’iniziativa di abbassamento, di umiltà radicale di Cristo, con la quale contrasta la superbia umana, è realmente espressione dell’amore divino; ad essa segue quell’elevazione al cielo alla quale Dio ci attira con il suo amore.

Oltre alla Lettera ai Filippesi, vi sono altri luoghi della letteratura paolina dove i temi della preesistenza e della discesa del Figlio di Dio sulla terra sono tra loro collegati. Una riaffermazione dell'assimilazione tra Sapienza e Cristo, con tutti i connessi risvolti cosmici e antropologici, si ritrova nella prima Lettera a Timoteo: “Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (3,16). E' soprattutto su queste premesse che si può meglio definire la funzione di Cristo come Mediatore unico, sullo sfondo dell'unico Dio dell’Antico Testamento (cfr 1Tm 2,5 in relazione a Is 43,10-11 Is 44,6). E’ Cristo il vero ponte che ci guida al cielo, alla comunione con Dio.

E, finalmente, solo un accenno agli ultimi sviluppi della cristologia di san Paolo nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini. Nella prima, Cristo viene qualificato come “primogenito di tutte le creature” (1,15-20). Questa parola “primogenito” implica che il primo tra tanti figli, il primo tra tanti fratelli e sorelle, è disceso per attirarci e farci suoi fratelli e sorelle. Nella Lettera agli Efesini troviamo una bella esposizione del piano divino della salvezza, quando Paolo dice che in Cristo Dio voleva ricapitolare tutto (cfr. Ef Ep 1,23). Cristo è la ricapitolazione di tutto, riassume tutto e ci guida a Dio. E così ci implica in un movimento di discesa e di ascesa, invitandoci a partecipare alla sua umiltà, cioè al suo amore verso il prossimo, per essere così partecipi anche della sua glorificazione, divenendo con lui figli nel Figlio. Preghiamo che il Signore ci aiuti a conformarci alla sua umiltà, al suo amore, per essere così resi partecipi della sua divinizzazione.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. Saluto in particolare i bambini ciechi di Laski e i loro assistenti. Oggi rileggiamo il pensiero di San Paolo sull’opera di Cristo. La morte e la risurrezione del Figlio di Dio sono il compimento del piano della salvezza, al quale partecipiamo se collaboriamo con la grazia e cerchiamo di vivere in unione con Cristo. Dio vi benedica!

Saluto in lingua ungherese:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua ungherese, specialmente ai fedeli delle parrocchie di Pestszentlorinc, di Brasov e di Szentpéterfa. Vi incoraggio a proseguire con generosità nel vostro impegno di testimonianza cristiana nella scuola e nella società.
Con la particolare Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Rajec, Višnové e Turie.
Fratelli e sorelle, domenica scorsa abbiamo celebrato la Giornata Missionaria Mondiale. Essa costituisce un invito a rinnovare la nostra attiva cooperazione alle opere missionarie della Chiesa. Siate anche voi missionari della Buona Novella di Cristo, specialmente con le vostre preghiere ed opere. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto con gioia i cari Croati, in modo speciale i pellegrini della Diocesi di Krk con il loro Pastore Mons. Valter Župan, pervenuti in occasione della celebrazione dei 1700 anni dal martirio del loro compatrono San Quirino, e il gruppo di fedeli di Smokvica. Il Cristo Signore, che è la figura centrale e più importante della storia del mondo, lo sia anche nella vita di ciascuno di voi. Siano lodati Gesù e Maria!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto gli Incaricati diocesani per la promozione del sostegno economico alla Chiesa e li incoraggio a proseguire nell’impegno di suscitare nei fedeli una operosa e solidale corresponsabilità alla vita e alle necessità della Chiesa. Saluto i cresimati della diocesi di Faenza-Modigliana, qui convenuti con il loro Pastore Mons. Claudio Stagni. Cari amici, con la forza dello Spirito Santo, siate coraggiosi testimoni di Gesù e del suo Vangelo in famiglia, nella scuola, in parrocchia e con i vostri coetanei. Saluto i fedeli di Campocavallo di Osimo qui giunti con una singolare riproduzione del Santuario di Altötting. Saluto gli alunni della scuola “Alfonso Maria Fusco”, di Angri.

Rivolgo, infine, il mio pensiero ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Il mese di ottobre ci invita a rinnovare la nostra attiva cooperazione alla missione della Chiesa. Con le fresche energie della giovinezza, con il sostegno spirituale della preghiera e del sacrificio e con le potenzialità della vita coniugale, sappiate essere missionari del Vangelo dappertutto, offrendo il vostro concreto aiuto a quanti faticano per portarlo a chi ancora non lo conosce.





Piazza San Pietro

Mercoledì, 29 ottobre 2008: San Paolo (10) - L’importanza della cristologia: la teologia della Croce

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Cari fratelli e sorelle,

nella personale esperienza di san Paolo c'è un dato incontrovertibile: mentre all'inizio era stato un persecutore ed aveva usato violenza contro i cristiani, dal momento della sua conversione sulla via di Damasco, era passato dalla parte del Cristo crocifisso, facendo di Lui la sua ragione di vita e il motivo della sua predicazione. La sua fu un’esistenza interamente consumata per le anime (cfr
2Co 12,15), per niente tranquilla e al riparo da insidie e difficoltà. Nell’incontro con Gesù gli si era reso chiaro il significato centrale della Croce: aveva capito che Gesù era morto ed era risorto per tutti e per lui stesso. Ambedue le cose erano importanti; l’universalità: Gesù è morto realmente per tutti, e la soggettività: Egli è morto anche per me. Nella Croce, quindi, si era manifestato l'amore gratuito e misericordioso di Dio. Questo amore Paolo sperimentò anzitutto in se stesso (cfr Ga 2,20) e da peccatore diventò credente, da persecutore apostolo. Giorno dopo giorno, nella sua nuova vita, sperimentava che la salvezza era ‘grazia’, che tutto discendeva dalla morte di Cristo e non dai suoi meriti, che del resto non c’erano. Il “vangelo della grazia” diventò così per lui l'unico modo di intendere la Croce, il criterio non solo della sua nuova esistenza, ma anche la risposta ai suoi interlocutori. Tra questi vi erano, innanzitutto, i giudei che riponevano la loro speranza nelle opere e speravano da queste la salvezza; vi erano poi i greci che opponevano la loro sapienza umana alla croce; infine, vi erano quei gruppi di eretici, che si erano formati una propria idea del cristianesimo secondo il proprio modello di vita.

Per san Paolo la Croce ha un primato fondamentale nella storia dell’umanità; essa rappresenta il punto focale della sua teologia, perché dire Croce vuol dire salvezza come grazia donata ad ogni creatura. Il tema della croce di Cristo diventa un elemento essenziale e primario della predicazione dell’Apostolo: l'esempio più chiaro riguarda la comunità di Corinto. Di fronte ad una Chiesa dove erano presenti in modo preoccupante disordini e scandali, dove la comunione era minacciata da partiti e divisioni interne che incrinavano l'unità del Corpo di Cristo, Paolo si presenta non con sublimità di parola o di sapienza, ma con l'annuncio di Cristo, di Cristo crocifisso. La sua forza non è il linguaggio persuasivo ma, paradossalmente, la debolezza e la trepidazione di chi si affida soltanto alla “potenza di Dio” (cfr 1Co 2,1-4). La Croce, per tutto quello che rappresenta e quindi anche per il messaggio teologico che contiene, è scandalo e stoltezza. L'Apostolo lo afferma con una forza impressionante, che è bene ascoltare dalle sue stesse parole: “La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio... è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Co 1,18-23).

Le prime comunità cristiane, alle quali Paolo si rivolge, sanno benissimo che Gesù ormai è risorto e vivo; l'Apostolo vuole ricordare non solo ai Corinzi o ai Galati, ma a tutti noi, che il Risorto è sempre Colui che è stato crocifisso. Lo ‘scandalo’ e la ‘stoltezza’ della Croce stanno proprio nel fatto che laddove sembra esserci solo fallimento, dolore, sconfitta, proprio lì c'è tutta la potenza dell'Amore sconfinato di Dio, perché la Croce è espressione di amore e l’amore è la vera potenza che si rivela proprio in questa apparente debolezza. Per i Giudei la Croce è skandalon, cioè trappola o pietra di inciampo: essa sembra ostacolare la fede del pio israelita, che stenta a trovare qualcosa di simile nelle Sacre Scritture. Paolo, con non poco coraggio, sembra qui dire che la posta in gioco è altissima: per i Giudei la Croce contraddice l'essenza stessa di Dio, il quale si è manifestato con segni prodigiosi. Dunque accettare la croce di Cristo significa operare una profonda conversione nel modo di rapportarsi a Dio. Se per i Giudei il motivo del rifiuto della Croce si trova nella Rivelazione, cioè la fedeltà al Dio dei Padri, per i Greci, cioè i pagani, il criterio di giudizio per opporsi alla Croce è la ragione. Per questi ultimi, infatti, la Croce è moría, stoltezza, letteralmente insipienza, cioè un cibo senza sale; quindi più che un errore, è un insulto al buon senso.

Paolo stesso in più di un'occasione fece l'amara esperienza del rifiuto dell'annuncio cristiano giudicato ‘insipiente’, privo di rilevanza, neppure degno di essere preso in considerazione sul piano della logica razionale. Per chi, come i greci, vedeva la perfezione nello spirito, nel pensiero puro, già era inaccettabile che Dio potesse divenire uomo, immergendosi in tutti i limiti dello spazio e del tempo. Decisamente inconcepibile era poi credere che un Dio potesse finire su una Croce! E vediamo come questa logica greca è anche la logica comune del nostro tempo. Il concetto di apátheia, indifferenza, quale assenza di passioni in Dio, come avrebbe potuto comprendere un Dio diventato uomo e sconfitto, che addirittura si sarebbe poi ripreso il corpo per vivere come risorto? “Ti sentiremo su questo un’altra volta” (Ac 17,32) dissero sprezzantemente gli Ateniesi a Paolo, quando sentirono parlare di risurrezione dei morti. Ritenevano perfezione il liberarsi del corpo concepito come prigione; come non considerare un’aberrazione il riprendersi il corpo? Nella cultura antica non sembrava esservi spazio per il messaggio del Dio incarnato. Tutto l’evento “Gesù di Nazaret” sembrava essere contrassegnato dalla più totale insipienza e certamente la Croce ne era il punto più emblematico.

Ma perché san Paolo proprio di questo, della parola della Croce, ha fatto il punto fondamentale della sua predicazione? La risposta non è difficile: la Croce rivela “la potenza di Dio” (cfr 1Co 1,24), che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suo amore: “Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio, è più forte degli uomini” (ivi v. 25). Distanti secoli da Paolo, noi vediamo che nella storia ha vinto la Croce e non la saggezza che si oppone alla Croce. Il Crocifisso è sapienza, perché manifesta davvero chi è Dio, cioè potenza di amore che arriva fino alla Croce per salvare l'uomo. Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista solo debolezza. Il Crocifisso svela, da una parte, la debolezza dell'uomo e, dall'altra, la vera potenza di Dio, cioè la gratuità dell'amore: proprio questa totale gratuità dell'amore è la vera sapienza. Di ciò san Paolo ha fatto esperienza fin nella sua carne e ce lo testimonia in svariati passaggi del suo percorso spirituale, divenuti precisi punti di riferimento per ogni discepolo di Gesù: “Egli mi ha detto: ti basta la mia grazia: la mia potenza, infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Co 12,9); e ancora: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1Co 1,28). L’Apostolo si identifica a tal punto con Cristo che anch'egli, benché in mezzo a tante prove, vive nella fede del Figlio di Dio che lo ha amato e ha dato se stesso per i peccati di lui e per quelli di tutti (cfr Ga 1,4 Ga 2,20). Questo dato autobiografico dell'Apostolo diventa paradigmatico per tutti noi.

San Paolo ha offerto una mirabile sintesi della teologia della Croce nella seconda Lettera ai Corinzi (5,14-21), dove tutto è racchiuso tra due affermazioni fondamentali: da una parte Cristo, che Dio ha trattato da peccato in nostro favore (v. 21), è morto per tutti (v. 14); dall'altra, Dio ci ha riconciliati con sé, non imputando a noi le nostre colpe (vv. 18-20). E’ da questo “ministero della riconciliazione” che ogni schiavitù è ormai riscattata (cfr 1Co 6,20 1Co 7,23). Qui appare come tutto questo sia rilevante per la nostra vita. Anche noi dobbiamo entrare in questo “ministero della riconciliazione”, che suppone sempre la rinuncia alla propria superiorità e la scelta della stoltezza dell’amore. San Paolo ha rinunciato alla propria vita donando totalmente se stesso per il ministero della riconciliazione, della Croce che è salvezza per tutti noi. E questo dobbiamo saper fare anche noi: possiamo trovare la nostra forza proprio nell’umiltà dell’amore e la nostra saggezza nella debolezza di rinunciare per entrare così nella forza di Dio. Noi tutti dobbiamo formare la nostra vita su questa vera saggezza: non vivere per noi stessi, ma vivere nella fede in quel Dio del quale tutti possiamo dire: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi qui presenti. Il XII Sinodo dei Vescovi, che si è concluso domenica scorsa e ha avuto come tema: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, ci ha ricordato la necessità di nutrirci costantemente della parola ispirata di Dio. La lettura quotidiana della Bibbia sia per voi l’occasione per incontrare Dio e l’incoraggiamento a rinnovare la vita. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto a voi, pellegrini da Zagorje ob Savi in Slovenia! La visita alla Città eterna ravvivi la vostra fede e la fedeltà al Vangelo. A voi e ai vostri familiari imparto l’Apostolica Benedizione!

Saluto in lingua slovacca:

Do un cordiale benvenuto a un gruppo dei pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava.
Fratelli e sorelle, domenica prossima la Chiesa ci invita a pregare per i defunti. Il loro ricordo ci conduca a meditare sull’eternità, orientando la nostra vita ai valori che non periscono. Benedico volentieri voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ceca:

Do il mio cordiale benvenuto ai giovani musicisti di Vyškov! Nel mese di ottobre, dedicato al Santo Rosario, vi esorto a riscoprire la comunione con la Vergine Maria, per mezzo di questa preghiera.
Con tali voti, volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo ora un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, ai fedeli della diocesi di Bergamo, venuti con il loro Pastore, Mons. Roberto Amadei, per ricordare il cinquantesimo anniversario dell'elezione del mio venerato predecessore, il beato Giovanni XXIII. Auguro che la memoria di Papa Roncalli, ancora viva nel popolo cristiano, sproni tutti, e specialmente i suoi conterranei, a seguire con entusiasmo il Vangelo.

Saluto, poi, i dirigenti e i soci della Banca Valdichiana-Credito Cooperativo Tosco Umbro, accompagnati dal Vescovo Mons. Rodolfo Cetoloni. Saluto gli Ispettori Allievi Ufficiali della Guardia di Finanza. Su tutti invoco dalla Vergine ogni desiderato bene e formulo fervidi voti che ciascuno possa rendere ovunque una generosa testimonianza cristiana.

Saluto, infine, i giovani, i malati, e gli sposi novelli. Ieri la Liturgia ha fatto memoria dei Santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo. Il loro esempio sostenga voi, cari giovani, nell'impegno di quotidiana fedeltà a Cristo; incoraggi voi, cari ammalati, a seguire sempre Gesù nel cammino della prova e della sofferenza; aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra famiglia il luogo del costante incontro con l'amore di Dio e dei fratelli.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 5 novembre 2008: San Paolo (11) - L'importanza della cristologia: la decisività della risurrezione.


Catechesi 2005-2013 15108