Catechesi 2005-2013 9018

Mercoledì, 9 gennaio 2008: Sant’Agostino - I: La vita

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Cari fratelli e sorelle,

dopo le festività natalizie, vorrei tornare alle meditazioni sui Padri della Chiesa e parlare oggi del più grande Padre della Chiesa latina, sant’Agostino: uomo di passione e di fede, di intelligenza altissima e di premura pastorale instancabile, questo grande Santo e Dottore della Chiesa è spesso conosciuto, almeno di fama, anche da chi ignora il cristianesimo o non ha consuetudine con esso, perché egli ha lasciato un’impronta profondissima nella vita culturale dell’Occidente e di tutto il mondo. Per la sua singolare rilevanza, sant’Agostino ha avuto un influsso larghissimo, e si potrebbe affermare, da una parte, che tutte le strade della letteratura latina cristiana portano a Ippona (oggi Annata, sulla costa algerina) – la città dell’Africa romana, di cui egli fu Vescovo dal 395 fino alla morte nel 430 – e, dall’altra, che da questo luogo si diramano molte altre strade del cristianesimo successivo e della stessa cultura occidentale.

Di rado una civiltà ha trovato uno spirito così grande, che sapesse accoglierne i valori ed esaltarne l’intrinseca ricchezza, inventando idee e forme di cui si sarebbero nutriti i posteri, come sottolineò anche Paolo VI: «Si può dire che tutto il pensiero dell’antichità confluisca nella sua opera e da essa derivino correnti di pensiero che pervadono tutta la tradizione dottrinale dei secoli successivi» (AAS, 62, 1970, p. 426). Agostino è inoltre il Padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere. Il suo biografo Possidio dice: sembrava impossibile che un uomo potesse scrivere tante cose nella propria vita. Di queste diverse opere parleremo in un prossimo incontro. Oggi la nostra attenzione sarà riservata alla sua vita, che si ricostruisce bene dagli scritti, e in particolare dalle Confessioni, la straordinaria autobiografia spirituale, scritta a lode di Dio, che è la sua opera più famosa. E giustamente, perché sono proprio le Confessioni agostiniane, con la loro attenzione all’interiorità e alla psicologia, a costituire un modello unico nella letteratura occidentale (e non solo occidentale) anche non religiosa, fino alla modernità. Questa attenzione alla vita spirituale, al mistero dell’io, al mistero di Dio che si nasconde nell’io, è una cosa straordinaria, senza precedenti, e rimane per sempre, per così dire, un «vertice» spirituale.

Ma, per venire alla sua vita, Agostino nacque a Tagaste – nella provincia della Numidia, nell’Africa romana – il 13 novembre 354 da Patrizio, un pagano che poi divenne catecumeno, e da Monica, fervente cristiana. Questa donna appassionata, venerata come santa, esercitò sul figlio una grandissima influenza e lo educò nella fede cristiana. Agostino aveva anche ricevuto il sale, come segno dell'accoglienza nel catecumenato, e rimase sempre affascinato dalla figura di Gesù Cristo. Egli anzi dice di aver sempre amato Gesù, ma di essersi allontanato sempre più dalla fede ecclesiale, dalla pratica ecclesiale, come succede anche oggi per molti giovani.

Agostino aveva anche un fratello, Navigio, e una sorella, della quale ignoriamo il nome e che, rimasta vedova, fu poi a capo di un monastero femminile. Il ragazzo, di vivissima intelligenza, ricevette una buona educazione, anche se non fu sempre uno studente esemplare. Egli tuttavia studiò bene la grammatica, prima nella sua città natale, poi a Madaura, e dal 370 retorica a Cartagine, capitale dell’Africa romana: divenne un perfetto dominatore della lingua latina. Non arrivò però a maneggiare con altrettanto dominio il greco e non imparò il punico, parlato dai suoi conterranei. Proprio a Cartagine Agostino lesse per la prima volta l’Hortensius, uno scritto di Cicerone, poi andato perduto, che si colloca all’inizio del suo cammino verso la conversione. Il testo ciceroniano, infatti, svegliò in lui l’amore per la sapienza, come scriverà, ormai Vescovo, nelle Confessioni: «Quel libro cambiò davvero il mio modo di sentire», tanto che «all’improvviso perse valore ogni speranza vana e desideravo con un incredibile ardore del cuore l’immortalità della sapienza» (III,4,7).

Ma poiché era convinto che senza Gesù la verità non può dirsi effettivamente trovata, e perché in questo libro appassionante quel nome gli mancava, subito dopo averlo letto cominciò a leggere la Scrittura, la Bibbia. Ma ne rimase deluso. Non solo perché lo stile latino della traduzione della Sacra Scrittura era insufficiente, ma anche perché lo stesso contenuto gli apparve non soddisfacente. Nelle narrazioni della Scrittura su guerre e altre vicende umane non trovava l’altezza della filosofia, lo splendore di ricerca della verità che ad essa è proprio. Tuttavia non voleva vivere senza Dio, e così cercava una religione corrispondente al suo desiderio di verità e anche al suo desiderio di avvicinarsi a Gesù. Cadde così nella rete dei manichei, che si presentavano come cristiani e promettevano una religione totalmente razionale. Affermavano che il mondo è diviso in due principi: il bene e il male. E così si spiegherebbe tutta la complessità della storia umana. Anche la morale dualistica piaceva a sant’Agostino, perché comportava una morale molto alta per gli eletti: e a chi, come lui, vi aderiva era possibile una vita molto più adeguata alla situazione del tempo, specie per un uomo giovane. Si fece pertanto manicheo, convinto in quel momento di aver trovato la sintesi tra razionalità, ricerca della verità e amore di Gesù Cristo. Ed ebbe anche un vantaggio concreto per la sua vita: l’adesione ai manichei infatti apriva facili prospettive di carriera. Aderire a quella religione che contava tante personalità influenti gli permetteva di andare avanti nella sua carriera, oltre che continuare la relazione intrecciata con una donna. (Da questa donna ebbe un figlio, Adeodato, a lui carissimo, molto intelligente, che sarà poi presente nella preparazione al Battesimo presso il lago di Como, partecipando a quei Dialoghi che sant’Agostino ci ha trasmesso. Il ragazzo, purtroppo, morì prematuramente.) Agostino, a circa vent’anni già insegnante di grammatica nella sua città natale, tornò presto a Cartagine, dove divenne un brillante e celebrato maestro di retorica. Con il tempo, tuttavia, egli iniziò ad allontanarsi dalla fede dei manichei, che lo delusero proprio dal punto di vista intellettuale in quanto incapaci di risolvere i suoi dubbi, e si trasferì a Roma e poi a Milano, dove allora risiedeva la corte imperiale e dove aveva ottenuto un posto di prestigio grazie all’interessamento e alle raccomandazioni del prefetto di Roma, il pagano Simmaco, ostile al Vescovo di Milano sant’Ambrogio.

A Milano Agostino prese l’abitudine di ascoltare – inizialmente allo scopo di arricchire il suo bagaglio retorico – le bellissime prediche del Vescovo Ambrogio, che era stato rappresentante dell’imperatore per l’Italia settentrionale. Dalla parola del grande presule milanese il retore africano rimase affascinato, e non soltanto dalla sua retorica: soprattutto i contenuti toccarono sempre più il suo cuore. Il grande problema dell’Antico Testamento – la mancanza di bellezza retorica e di altezza filosofica – si risolse nelle prediche di sant’Ambrogio grazie all’interpretazione tipologica dell’Antico Testamento: Agostino capì che tutto l’Antico Testamento è un cammino verso Gesù Cristo. Così trovò la chiave per capire la bellezza, la profondità pure filosofica dell’Antico Testamento e capì tutta l’unità del mistero di Cristo nella storia e anche la sintesi tra filosofia, razionalità e fede nel Logos, in Cristo Verbo eterno che si è fatto carne.

In breve tempo Agostino si rese conto che la lettura allegorica della Scrittura e la filosofia neoplatonica coltivate dal Vescovo di Milano gli permettevano di risolvere le difficoltà intellettuali che, quando era più giovane, nel suo primo avvicinamento ai testi biblici gli erano sembrate insuperabili.

Alla lettura degli scritti dei filosofi Agostino fece così seguire quella rinnovata della Scrittura e soprattutto delle Lettere paoline. La conversione al cristianesimo, il 15 agosto 386, si collocò quindi al culmine di un lungo e tormentato itinerario interiore, del quale parleremo ancora in un’altra catechesi, e l’africano si trasferì nella campagna a nord di Milano, verso il lago di Como – con la madre Monica, il figlio Adeodato e un piccolo gruppo di amici – per prepararsi al Battesimo. Così, a trentadue anni, Agostino fu battezzato da Ambrogio il 24 aprile 387, durante la Veglia pasquale, nella Cattedrale di Milano.

Dopo il Battesimo, Agostino decise di tornare in Africa con gli amici, con l’idea di praticare una vita comune, di tipo monastico, al servizio di Dio. Ma a Ostia, in attesa di partire, la madre improvvisamente si ammalò e poco più tardi morì, straziando il cuore del figlio. Rientrato finalmente in patria, il convertito si stabilì a Ippona per fondarvi appunto un monastero. In questa città della costa africana, nonostante le sue resistenze, fu ordinato presbitero nel 391 e iniziò con alcuni compagni la vita monastica a cui da tempo pensava, dividendo il suo tempo tra la preghiera, lo studio e la predicazione. Egli voleva essere solo al servizio della verità, non si sentiva chiamato alla vita pastorale, ma poi capì che la chiamata di Dio era quella di essere Pastore tra gli altri, e così di offrire il dono della verità agli altri. A Ippona, quattro anni più tardi, nel 395, venne consacrato Vescovo. Continuando ad approfondire lo studio delle Scritture e dei testi della tradizione cristiana, Agostino fu un Vescovo esemplare nel suo instancabile impegno pastorale: predicava più volte la settimana ai suoi fedeli, sosteneva i poveri e gli orfani, curava la formazione del clero e l’organizzazione di monasteri femminili e maschili. In breve, l’antico retore si affermò come uno degli esponenti più importanti del cristianesimo di quel tempo: attivissimo nel governo della sua Diocesi – con notevoli risvolti anche civili – negli oltre trentacinque anni di episcopato, il Vescovo di Ippona esercitò infatti una vasta influenza nella guida della Chiesa cattolica dell’Africa romana e più in generale nel cristianesimo del suo tempo, fronteggiando tendenze religiose ed eresie tenaci e disgregatrici come il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo, che mettevano in pericolo la fede cristiana nel Dio unico e ricco di misericordia.

E a Dio si affidò Agostino ogni giorno, fino all’estremo della sua vita: colpito da febbre, mentre da quasi tre mesi la sua Ippona era assediata dai Vandali invasori, il Vescovo – racconta l’amico Possidio nella Vita di Agostino – chiese di trascrivere a grandi caratteri i Salmi penitenziali «e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua malattia li poteva vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime» (31,2). Così trascorsero gli ultimi giorni della vita di Agostino, che morì il 28 agosto 430, quando ancora non aveva compiuto 76 anni. Alle sue opere, al suo messaggio e alla sua vicenda interiore dedicheremo i prossimi incontri.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i polacchi. La vita di Sant’Agostino è un esempio dell’opera della grazia divina che dirige le complicate vicende dell’uomo verso la conoscenza della definitiva Verità, verso l’unione con Cristo e verso il servizio alla Sua Chiesa. Questa grazia trasformi la nostra quotidianità, affinché trovi il suo compimento nella felice eternità. Dio vi benedica!

* * *


Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore Figlie della Croce, qui convenute a suggello delle celebrazioni per il centesimo anniversario della morte del venerato fondatore, il Servo di Dio Nunzio Russo, e le incoraggio a proseguire nel loro servizio al Vangelo con rinnovato slancio apostolico. Saluto il folto gruppo di fedeli della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù, in Rocca di Papa, che compiono un devoto pellegrinaggio presso la tomba degli Apostoli, e auguro che un sempre più grande fervore missionario animi ogni loro attività pastorale. Saluto la Comunità diaconale della diocesi di Biella, auspicando che ciascuno perseveri nella fede e nella testimonianza della carità. Saluto poi i dirigenti e gli atleti della Serie D. Possa il gioco del calcio essere sempre più veicolo di educazione ai valori dell'onestà, della solidarietà e della fraternità, specialmente fra le giovani generazioni.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Carissimi, in questi giorni che seguono la festa dell'Epifania, continuiamo a meditare sulla manifestazione di Gesù a tutti i popoli. La Chiesa invita voi, cari giovani, a essere testimoni entusiasti di Cristo tra i vostri coetanei; esorta voi, cari malati, a diffondere ogni giorno la sua luce con serena pazienza; e sprona voi, cari sposi novelli, a essere segno della sua presenza rinnovatrice col vostro amore fedele.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 16 gennaio 2008: Sant’Agostino II: Gli ultimi anni e la morte

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Cari fratelli e sorelle,

oggi, come mercoledì scorso, vorrei parlare del grande Vescovo di Ippona, sant’Agostino. Quattro anni prima di morire, egli volle designare il successore. Per questo, il 26 settembre 426, radunò il popolo nella Basilica della Pace, ad Ippona, per presentare ai fedeli colui che aveva designato per tale compito. Disse: «In questa vita siamo tutti mortali, ma l’ultimo giorno di questa vita è per ogni individuo sempre incerto. Tuttavia nell’infanzia si spera di giungere all’adolescenza; nell’adolescenza alla giovinezza; nella giovinezza all’età adulta; nell’età adulta all’età matura; nell’età matura alla vecchiaia. Non si è sicuri di giungervi, ma si spera. La vecchiaia, al contrario, non ha davanti a sé alcun altro periodo da poter sperare; la sua stessa durata è incerta… Io per volontà di Dio giunsi in questa città nel vigore della mia vita; ma ora la mia giovinezza è passata e io sono ormai vecchio» (
Ep 213,1). A questo punto Agostino fece il nome del successore designato, il prete Eraclio. L’assemblea scoppiò in un applauso di approvazione ripetendo per ventitré volte: «Sia ringraziato Dio! Sia lodato Cristo!». Con altre acclamazioni i fedeli approvarono, inoltre, quanto Agostino disse poi circa i propositi per il suo futuro: voleva dedicare gli anni che gli restavano a un più intenso studio delle Sacre Scritture (cfr EP 213,6).

Di fatto, quelli che seguirono furono quattro anni di straordinaria attività intellettuale: portò a termine opere importanti, ne intraprese altre non meno impegnative, intrattenne pubblici dibattiti con gli eretici – cercava sempre il dialogo –, intervenne per promuovere la pace nelle province africane insidiate dalle tribù barbare del Sud. In questo senso scrisse al conte Dario, venuto in Africa per comporre il dissidio tra il conte Bonifacio e la corte imperiale, di cui stavano profittando le tribù dei Mauri per le loro scorrerie: «Titolo più grande di gloria – affermava nella lettera – è proprio quello di uccidere la guerra con la parola, anziché uccidere gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la pace con la pace e non già con la guerra. Certo, anche quelli che combattono, se sono buoni, cercano senza dubbio la pace, ma a costo di spargere il sangue. Tu, al contrario, sei stato inviato proprio per impedire che si cerchi di spargere il sangue di alcuno» (EP 229,2). Purtroppo, la speranza di una pacificazione dei territori africani andò delusa: nel maggio del 429 i Vandali, invitati in Africa per ripicca dallo stesso Bonifacio, passarono lo stretto di Gibilterra e si riversarono nella Mauritania. L’invasione raggiunse rapidamente le altre ricche province africane. Nel maggio o nel giugno del 430 «i distruttori dell’Impero romano», come Possidio qualifica quei barbari (Vita 30,1), erano attorno ad Ippona, che strinsero d’assedio.

In città aveva cercato rifugio anche Bonifacio, il quale, riconciliatosi troppo tardi con la corte, tentava ora invano di sbarrare il passo agli invasori. Il biografo Possidio descrive il dolore di Agostino: «Le lacrime erano, più del consueto, il suo pane notte e giorno e, giunto ormai all’estremo della sua vita, più degli altri trascinava nell’amarezza e nel lutto la sua vecchiaia» (Vita 28,6). E spiega: «Vedeva infatti, quell’uomo di Dio, gli eccidi e le distruzioni delle città; abbattute le case nelle campagne e gli abitanti uccisi dai nemici o messi in fuga e sbandati; le chiese private dei sacerdoti e dei ministri, le vergini sacre e i religiosi dispersi da ogni parte; tra essi, altri venuti meno sotto le torture, altri uccisi di spada, altri fatti prigionieri, perduta l’integrità dell’anima e del corpo e anche la fede, ridotti in dolorosa e lunga schiavitù dai nemici» (ibid., 28,8).

Anche se vecchio e stanco, Agostino restò tuttavia sulla breccia, confortando se stesso e gli altri con la preghiera e con la meditazione sui misteriosi disegni della Provvidenza. Parlava, al riguardo, della «vecchiaia del mondo» – e davvero era vecchio questo mondo romano –, parlava di questa vecchiaia come già aveva fatto anni prima per consolare i profughi provenienti dall’Italia, quando nel 410 i Goti di Alarico avevano invaso la città di Roma. Nella vecchiaia, diceva, i malanni abbondano: tosse, catarro, cisposità, ansietà, sfinimento. Ma se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane. E allora l’invito: «Non rifiutare di ringiovanire unito a Cristo, anche nel mondo vecchio. Egli ti dice: Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella dell’aquila» (cfr Sermoni 81,8). Il cristiano quindi non deve abbattersi anche in situazioni difficili, ma adoperarsi per aiutare chi è nel bisogno. È quanto il grande Dottore suggerisce rispondendo al Vescovo di Tiabe, Onorato, che gli aveva chiesto se, sotto l’incalzare delle invasioni barbariche, un Vescovo o un prete o un qualsiasi uomo di Chiesa potesse fuggire per salvare la vita: «Quando il pericolo è comune per tutti, cioè per Vescovi, chierici e laici, quelli che hanno bisogno degli altri non siano abbandonati da quelli di cui hanno bisogno. In questo caso si trasferiscano pure tutti in luoghi sicuri; ma se alcuni hanno bisogno di rimanere, non siano abbandonati da quelli che hanno il dovere di assisterli col sacro ministero, di modo che o si salvino insieme o insieme sopportino le calamità che il Padre di famiglia vorrà che soffrano» (Ep 228,2). E concludeva: «Questa è la prova suprema della carità» (ibid., 3). Come non riconoscere, in queste parole, l’eroico messaggio che tanti sacerdoti, nel corso dei secoli, hanno accolto e fatto proprio?

Intanto la città di Ippona resisteva. La casa-monastero di Agostino aveva aperto le sue porte ad accogliere i colleghi nell’episcopato che chiedevano ospitalità. Tra questi vi era anche Possidio, già suo discepolo, il quale poté così lasciarci la testimonianza diretta di quegli ultimi, drammatici giorni. «Nel terzo mese di quell’assedio – egli racconta – si pose a letto con la febbre: era l’ultima sua malattia» (Vita 29,3). Il santo Vegliardo profittò di quel tempo finalmente libero per dedicarsi con più intensità alla preghiera. Era solito affermare che nessuno, Vescovo, religioso o laico, per quanto irreprensibile possa sembrare la sua condotta, può affrontare la morte senza un’adeguata penitenza. Per questo egli continuamente ripeteva tra le lacrime i Salmi penitenziali, che tante volte aveva recitato con il popolo (cfr ibid., 31,2).

Più il male si aggravava, più il Vescovo morente sentiva il bisogno di solitudine e di preghiera: «Per non essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento, circa dieci giorni prima d’uscire dal corpo pregò noi presenti di non lasciar entrare nessuno nella sua camera fuori delle ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente e in tutto quel tempo egli attendeva all’orazione» (ibid., 31,3). Cessò di vivere il 28 agosto del 430: il suo grande cuore finalmente si era placato in Dio.

«Per la deposizione del suo corpo – informa Possidio – fu offerto a Dio il sacrificio, al quale noi assistemmo, e poi fu sepolto» (Vita 31,5). Il suo corpo, in data incerta, fu trasferito in Sardegna e da qui, verso il 725, a Pavia, nella Basilica di San Pietro in Ciel d’oro, dove anche oggi riposa. Il suo primo biografo ha su di lui questo giudizio conclusivo: «Lasciò alla Chiesa un clero molto numeroso, come pure monasteri d’uomini e di donne pieni di persone votate alla continenza sotto l’obbedienza dei loro superiori, insieme con le biblioteche contenenti libri e discorsi suoi e di altri Santi, da cui si conosce quale sia stato per grazia di Dio il suo merito e la sua grandezza nella Chiesa, e nei quali i fedeli sempre lo ritrovano vivo» (Vita 31,8). È un giudizio a cui possiamo associarci: nei suoi scritti anche noi lo «ritroviamo vivo». Quando leggo gli scritti di sant’Agostino non ho l’impressione che sia un uomo morto più o meno milleseicento anni fa, ma lo sento come un uomo di oggi: un amico, un contemporaneo che parla a me, parla a noi con la sua fede fresca e attuale. In sant’Agostino che parla a noi, parla a me nei suoi scritti, vediamo l’attualità permanente della sua fede; della fede che viene da Cristo, Verbo eterno incarnato, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. E possiamo vedere che questa fede non è di ieri, anche se predicata ieri; è sempre di oggi, perché realmente Cristo è ieri, oggi e per sempre. Egli è la Via, la Verità e la Vita. Così sant’Agostino ci incoraggia ad affidarci a questo Cristo sempre vivo e a trovare in tal modo la strada della vita vera.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Domani ricorre la memoria di sant’Antonio, abate. Pur essendo ancor giovane, ma maturo nella fede, ha distribuito tutti i propri beni ai poveri. L’intera sua vita ha dedicato all’ascesi e alla penitenza. Lo chiamavano amico di Dio. Sant’Agostino ammirava la sua fede. Mossi dal suo esempio, portiamo l’aiuto ai poveri e ai bisognosi! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ucraina:

Saluto cordialmente i pellegrini dell’Eparchia greco-cattolica di Mukacheve, provenienti dall’Ucraina insieme al loro Vescovo Monsignor Milan Šašik. Restate sempre uniti alla Santa Chiesa di Dio per la quale il beato Teodoro Romža ha donato la propria vita. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Mi rivolgo ora con affetto ai pellegrini di lingua italiana. Grazie per la vostra presenza e la vostra simpatia. Allora, andiamo avanti insieme! In particolare, saluto voi, rappresentanti dell'Associazione Italiana Allevatori, realtà importante per l'economia del Paese, e vi esorto ad operare sempre più nel rispetto dell'ambiente e in favore della sicurezza alimentare dei cittadini. La festa liturgica del vostro patrono sant'Antonio Abate, che celebreremo domani, susciti in voi il desiderio di aderire con crescente generosità a Cristo e testimoniare con gioia il suo Vangelo. Saluto poi gli esponenti della Biblioteca Roncioniana, di Prato e le Piccole Sorelle dei Poveri. Vi ringrazio tutti per la vostra presenza ed invoco su ciascuno la continua assistenza divina.

Saluto naturalmente con particolare gioia gli universitari, gli studenti. Grazie!

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. L'esempio di Sant'Antonio Abate, insigne padre del monachesimo che molto lavorò per la Chiesa, sostenendo i martiri nella persecuzione, incoraggi voi, cari giovani, a ricercare costantemente e a seguire fedelmente Cristo; conforti voi, cari malati, nel sopportare con pazienza le vostre sofferenze e ad offrirle affinché il Regno di Dio si diffonda in tutto il mondo; ed aiuti voi, cari sposi novelli, ad essere testimoni dell'amore di Cristo nella vostra vita familiare.

APPELLO


Dopodomani, venerdì 18 gennaio, inizia la consueta Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che quest'anno riveste un valore singolare poiché sono trascorsi cento anni dal suo avvio. Il tema è l'invito di San Paolo ai Tessalonicesi: "Pregate continuamente" (1 Tes 5, 17); invito che ben volentieri faccio mio e rivolgo a tutta la Chiesa. Sì, è necessario pregare senza sosta chiedendo con insistenza a Dio il grande dono dell'unità tra tutti i discepoli del Signore. La forza inesauribile dello Spirito Santo ci stimoli ad un impegno sincero di ricerca dell'unità, perché possiamo professare tutti insieme che Gesù è l'unico Salvatore del mondo.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 23 gennaio 2008: Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

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Cari fratelli e sorelle,

stiamo celebrando la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che si concluderà venerdì prossimo, 25 gennaio, festa della Conversione dell’apostolo Paolo. I cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali si uniscono in questi giorni in una corale invocazione per chiedere al Signore Gesù il ristabilimento della piena unità tra tutti i suoi discepoli. E’ una concorde implorazione fatta con un’anima sola e un cuore solo rispondendo all’anelito stesso del Redentore, che nell’Ultima Cena si è rivolto al Padre con queste parole: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (
Jn 17,20-21). Chiedendo la grazia dell’unità, i cristiani si uniscono alla preghiera stessa di Cristo e si impegnano ad operare attivamente perché l’intera umanità lo accolga e lo riconosca come solo Pastore ed unico Signore, e possa così sperimentare la gioia del suo amore.

Quest’anno la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani assume un valore e un significato particolari, perché ricorda i cento anni dal suo inizio. Quando fu avviata, si trattò in effetti di un’intuizione veramente feconda. Fu nel 1908: un anglicano americano, poi entrato nella comunione della Chiesa cattolica, fondatore della “Society of the Atonement” (Comunità dei frati e delle suore dell’Atonement), Padre Paul Wattson, assieme ad un altro episcopaliano, Padre Spencer Jones, lanciò l’idea profetica di un ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani. L’idea venne accolta con favore dall’Arcivescovo di New York e dal Nunzio Apostolico. L’appello a pregare per l’unità fu poi esteso, nel 1916, all’intera Chiesa cattolica grazie all’intervento del mio venerato Predecessore, il Papa Benedetto XV, con il Breve Ad perpetuam rei memoriam. L’iniziativa, che intanto aveva suscitato non poco interesse, andò prendendo piede ovunque progressivamente e, con il tempo, sempre più precisò la propria struttura evolvendosi nel suo svolgimento grazie anche all’apporto dell’Abbé Couturier (1936). Quando poi soffiò il vento profetico del Concilio Vaticano II si avvertì ancor più l’urgenza dell’unità. Dopo l’Assise conciliare proseguì il cammino paziente della ricerca della piena comunione fra tutti i cristiani, cammino ecumenico che di anno in anno ha trovato proprio nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani uno dei momenti più qualificanti e proficui. A cento anni dal primo appello a pregare insieme per l’unità, è ormai diventata una tradizione consolidata questa Settimana di Preghiera, conservando lo spirito e le date scelte all’inizio da Padre Wattson. Egli le aveva infatti scelte per il loro carattere simbolico. Il calendario del tempo prevedeva per il 18 gennaio la festa della Cattedra di S. Pietro, che è saldo fondamento e sicura garanzia di unità dell’intero popolo di Dio, mentre il 25 gennaio, allora come oggi, la liturgia celebra la festa della conversione di San Paolo. Mentre rendiamo grazie al Signore per questi cento anni di preghiera e di impegno comune tra tanti discepoli di Cristo, ricordiamo con riconoscenza l’ideatore di questa provvidenziale iniziativa spirituale, il Padre Wattson e, insieme a lui, coloro che l’hanno promossa ed arricchita con i loro apporti, facendola diventare patrimonio comune di tutti i cristiani.

Ricordavo poc’anzi che al tema dell’unità dei cristiani il Concilio Vaticano II ha dedicato grande attenzione, specialmente con il Decreto sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio ), nel quale, tra l’altro, vengono sottolineati con forza il ruolo e l’importanza della preghiera per l’unità. La preghiera, osserva il Concilio, sta nel cuore stesso di tutto il cammino ecumenico. “Questa conversione del cuore e questa santità di vita insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico” (UR 8). Grazie proprio a questo ecumenismo spirituale – santità della vita, conversione del cuore, preghiere private e pubbliche -, la comune ricerca dell’unità ha registrato in questi decenni un grande sviluppo, che si è diversificato in molteplici iniziative: dalla reciproca conoscenza al contatto fraterno fra membri di diverse Chiese e Comunità ecclesiali, da conversazioni sempre più amichevoli a collaborazioni in vari campi, dal dialogo teologico alla ricerca di concrete forme di comunione e di collaborazione. Ciò che ha vivificato e continua a vivificare questo cammino verso la piena comunione tra tutti i cristiani è innanzitutto la preghiera. “Pregate continuamente” (1Th 5,17) è il tema della Settimana di quest’anno; è al tempo stesso l’invito che non cessa mai di risuonare nelle nostre comunità, perchè la preghiera sia la luce, la forza, l’orientamento dei nostri passi, in atteggiamento di umile e docile ascolto del nostro comune Signore.

In secondo luogo, il Concilio pone l’accento sulla preghiera comune, quella che viene congiuntamente elevata da cattolici e da altri cristiani verso l’unico Padre celeste. Il Decreto sull’ecumenismo afferma in proposito: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità” (UR 8). E ciò perché, nella preghiera comune, le comunità cristiane si pongono insieme di fronte al Signore e, prendendo coscienza delle contraddizioni generate dalla divisione, manifestano la volontà di ubbidire alla sua volontà ricorrendo fiduciosi al suo onnipotente soccorso. Il Decreto aggiunge poi che tali preghiere “sono una genuina manifestazione dei vincoli con i quali i cattolici sono ancora congiunti con i fratelli disgiunti (seiuncti)” (ibid.). La preghiera comune non è quindi un atto volontaristico o puramente sociologico, ma è espressione della fede che unisce tutti i discepoli di Cristo. Nel corso degli anni si è instaurata una feconda collaborazione in questo campo e dal 1968 l’allora Segretariato per l’unità dei cristiani, divenuto poi Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e il Consiglio Ecumenico delle Chiese preparano insieme i sussidi della Settimana di Preghiera per l’Unità, che vengono poi divulgati congiuntamente nel mondo coprendo zone che non si sarebbero mai raggiunte operando da soli.

Il Decreto conciliare sull’ecumenismo fa riferimento alla preghiera per l’unità quando, proprio alla fine, afferma che il Concilio è consapevole che “questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane. Perciò ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa” (UR 24). E’ la consapevolezza dei nostri limiti umani che ci spinge all’abbandono fiducioso nelle mani del Signore. A ben vedere, il senso profondo di questa Settimana di Preghiera è proprio quello di appoggiarsi saldamente sulla preghiera di Cristo, che nella sua Chiesa continua a pregare perchè “tutti siano una cosa sola… perché il mondo creda…” (Jn 17,21). Oggi sentiamo fortemente il realismo di queste parole. Il mondo soffre per l’assenza di Dio, per l’inaccessibilità di Dio, ha desiderio di conoscere il volto di Dio. Ma come potrebbero e possono, gli uomini di oggi, conoscere questo volto di Dio nel volto di Gesù Cristo se noi cristiani siamo divisi, se uno insegna contro l’altro, se uno sta contro l’altro? Solo nell’unità possiamo mostrare realmente a questo mondo – che ne ha bisogno – il volto di Dio, il volto di Cristo. E’ anche evidente che non con le nostre proprie strategie, con il dialogo e con tutto quello che facciamo – che pure è tanto necessario – possiamo ottenere questa unità. Quello che possiamo ottenere è la nostra disponibilità e capacità ad accogliere questa unità quando il Signore ce la dona. Ecco il senso della preghiera: aprire i nostri cuori, creare in noi questa disponibilità che apre la strada a Cristo. Nella liturgia della Chiesa antica, dopo l’omelia, il Vescovo o il presidente della celebrazione, il celebrante principale, diceva: “Conversi ad Dominum”. Quindi egli stesso e tutti si alzavano e si volgevano verso Oriente. Tutti volevano guardare verso Cristo. Solo se convertiti, solo in questa conversione verso Cristo, in questo comune sguardo a Cristo, possiamo trovare il dono dell’unità.

Possiamo dire che è stata la preghiera per l’unità ad animare e ad accompagnare le varie tappe del movimento ecumenico, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II. In questo periodo la Chiesa cattolica è entrata in contatto con le varie Chiese e Comunità ecclesiali d’Oriente e d’Occidente con diverse forme di dialogo, affrontando con ciascuna quei problemi teologici e storici sorti nel corso dei secoli e stabilitisi come elementi di divisione. Il Signore ha fatto sì che tali amichevoli relazioni abbiano migliorato la reciproca conoscenza, abbiano intensificato la comunione rendendo, al tempo stesso, più chiara la percezione dei problemi che restano aperti e che fomentano la divisione. Oggi, in questa Settimana, rendiamo grazie a Dio che ha sostenuto e illuminato il cammino sinora percorso, cammino fecondo che il Decreto conciliare sull’ecumenismo descriveva come “sorto per impulso della grazia dello Spirito Santo” e “ogni giorno più ampio” (UR 1).

Cari fratelli e sorelle, raccogliamo l’invito a “pregare senza stancarsi”, che l’apostolo Paolo rivolgeva ai primi cristiani di Tessalonica, comunità che lui stesso aveva fondato. E proprio perché aveva saputo che vi erano sorti dei dissensi, volle raccomandare di essere pazienti con tutti, di guardarsi dal rendere male per male, cercando invece sempre il bene tra di loro e con tutti, e restando lieti in ogni circostanza, lieti perché il Signore è vicino. I consigli che San Paolo dava ai Tessalonicesi possono ispirare anche oggi il comportamento dei cristiani nell’ambito delle relazioni ecumeniche. Soprattutto egli dice: “Vivete in pace tra voi” e poi: “Pregate continuamente, in ogni cosa rendete grazie” (cfr 1Th 5,13 1Th 5,18). Accogliamo anche noi questa pressante esortazione dell’Apostolo sia per ringraziare il Signore per i progressi compiuti nel movimento ecumenico, sia per impetrare la piena unità. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, ottenga per tutti i discepoli del suo divin Figlio di poter vivere quanto prima in pace e nella carità reciproca, così da rendere una convincente testimonianza di riconciliazione davanti al mondo intero, per rendere accessibile il volto di Dio nel volto di Cristo, che è il Dio-con-noi, il Dio della pace e dell’unità.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Rivolgo ai pellegrini polacchi qui presenti alcune parole di benvenuto. Fratelli e sorelle, vi esorto a desiderare ardentemente l’unità dei cristiani, obbedendo all’ammonimento dell’Apostolo San Paolo: “Vivete in pace tra voi! Siate pazienti con tutti! Cercate sempre il bene tra voi e con tutti! State sempre lieti, pregate incessantemente!” (cfr 1Th 5,13-17). Che Dio rafforzi questi in voi santi desideri e vi benedica.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi da Cadca – Kýcerka, Zákopcie e Fackov. Fratelli e sorelle, nel corso della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, vi invito ad elevare intense preghiere al Signore affinché si realizzi la parola di Cristo “Perché siano una cosa sola”. Con affetto benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

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Porgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai sacerdoti e seminaristi dell’Ordine Maronita Mariamita, incoraggiandoli a perseverare ferventi nella fede e nella testimonianza evangelica. Saluto la Delegazione della Provincia Autonoma di Trento; cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza e vi auguro di essere sempre più pietre vive nella Chiesa di Dio. Saluto, inoltre, il 44° Reggimento di Sostegno “Penne” di Roma, augurando che questo incontro possa rinnovare in ciascuno propositi generosi di impegno cristiano.

Rivolgo poi un pensiero ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Celebreremo domani la memoria liturgica di san Francesco di Sales, patrono della stampa cattolica. Vescovo di Ginevra in un periodo di gravi conflitti, egli fu uomo di pace e di comunione. Maestro di vita spirituale, egli ha insegnato che la perfezione cristiana è accessibile ad ogni persona. Cari giovani, malati e sposi novelli, per intercessione di san Francesco di Sales vivete anche voi la vostra vocazione nelle concrete condizioni in cui vi trovate, confidando nell'amore di Dio che sempre ci accompagna.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 30 gennaio 2008: Sant’Agostino - La dottrina. Fede e ragione


Catechesi 2005-2013 9018