Catechesi 2005-2013 30048

Mercoledì, 30 aprile 2008: Viaggio Apostolico negli Stati Uniti d'America

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Cari fratelli e sorelle,

benché siano passati già diversi giorni dal mio rientro, desidero tuttavia dedicare l’odierna catechesi, come di consueto, al viaggio apostolico che ho compiuto presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e negli Stati Uniti d’America dal 15 al 21 aprile scorso. Rinnovo innanzitutto l’espressione della mia più cordiale riconoscenza alla Conferenza Episcopale statunitense, come pure al Presidente Bush, per avermi invitato e per la calorosa accoglienza che mi hanno riservato. Ma il mio “grazie” vorrebbe estendersi a tutti coloro che, a Washington e a New York, sono venuti a salutarmi e a manifestare il loro amore per il Papa, o che mi hanno accompagnato e sostenuto con la preghiera e con l’offerta dei loro sacrifici. Com’è noto, l’occasione della visita è stata il bicentenario della elevazione a Metropolia della prima Diocesi del Paese, Baltimora, e della fondazione delle sedi di New York, Boston, Filadelfia e Louisville. In questa ricorrenza tipicamente ecclesiale, ho avuto perciò la gioia di recarmi di persona, per la prima volta quale Successore di Pietro, a visitare l’amato popolo degli Stati Uniti d’America, per confermare nella fede i cattolici, per rinnovare e incrementare la fraternità con tutti i cristiani, e per annunciare a tutti il messaggio di “Cristo nostra Speranza”, come suonava il motto del viaggio.

Nell’incontro con il Signor Presidente nella sua residenza, ho avuto modo di rendere omaggio a quel grande Paese, che fin dagli albori è stato edificato sulla base di una felice coniugazione tra principi religiosi, etici e politici, e che tuttora costituisce un valido esempio di sana laicità, dove la dimensione religiosa, nella diversità delle sue espressioni, è non solo tollerata, ma valorizzata quale “anima” della Nazione e garanzia fondamentale dei diritti e dei doveri dell’uomo. In tale contesto la Chiesa può svolgere con libertà ed impegno la sua missione di evangelizzazione e promozione umana, e anche di “coscienza critica”, contribuendo alla costruzione di una società degna della persona umana e, al tempo stesso, stimolando un Paese come gli Stati Uniti, a cui tutti guardano quale ad uno dei principali attori della scena internazionale, verso la solidarietà globale, sempre più necessaria ed urgente, e verso l’esercizio paziente del dialogo nelle relazioni internazionali.

Naturalmente la missione e il ruolo della Comunità ecclesiale sono stati al centro dell’incontro con i Vescovi, che ha avuto luogo nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione, a Washington. Nel contesto liturgico dei Vespri, abbiamo lodato il Signore per il cammino compiuto dal Popolo di Dio negli Stati Uniti, per lo zelo dei suoi Pastori e il fervore e la generosità dei suoi fedeli, che si manifesta nell’alta e aperta considerazione della fede e in innumerevoli iniziative caritative e umanitarie all’interno e all’estero. Al tempo stesso ho sostenuto i miei Confratelli nell’episcopato nel loro non facile compito di seminare il Vangelo in una società segnata da non poche contraddizioni, che minacciano anche la coerenza dei cattolici e del clero stesso. Li ho incoraggiati a far sentire la loro voce sulle attuali questioni morali e sociali e a formare i fedeli laici, affinché siano buon “lievito” nella comunità civile, a partire dalla cellula fondamentale che è la famiglia. In questo senso li ho esortati a riproporre il sacramento del Matrimonio come dono e impegno indissolubile tra un uomo e una donna, ambito naturale di accoglienza e di educazione dei figli. La Chiesa e la famiglia, insieme con la scuola – specialmente quella di ispirazione cristiana – devono cooperare per offrire ai giovani una solida educazione morale, ma in questo compito hanno grande responsabilità anche gli operatori della comunicazione e dell’intrattenimento. Pensando alla dolorosa vicenda degli abusi sessuali su minori commessi da ministri ordinati, ho voluto esprimere ai Vescovi la mia vicinanza, incoraggiandoli nell’impegno di fasciare le ferite e di rafforzare i rapporti con i loro sacerdoti. Nel rispondere ad alcuni interrogativi posti dai Vescovi, mi è stato dato di sottolineare alcuni aspetti importanti: il rapporto intrinseco tra il Vangelo e la “legge naturale”; la sana concezione della libertà, che si comprende e si realizza nell’amore; la dimensione ecclesiale dell’esperienza cristiana; l’esigenza di annunciare in modo nuovo, specialmente ai giovani, la “salvezza” come pienezza di vita, e di educare alla preghiera, dalla quale germogliano le risposte generose alla chiamata del Signore.

Nella grande e festosa Celebrazione eucaristica al Nationals Park Stadium di Washington abbiamo invocato lo Spirito Santo sull’intera Chiesa che è negli Stati Uniti d’America, perché, saldamente radicata nella fede trasmessa dai padri, profondamente unita e rinnovata, affronti le sfide presenti e future con coraggio e speranza, quella speranza che “non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (
Rm 5,5). Una di tali sfide è certamente quella dell’educazione, e perciò nella Catholic University of America ho incontrato i Rettori di Università e College cattolici, i responsabili diocesani per l’insegnamento e i rappresentanti dei docenti e degli studenti. Il compito educativo è parte integrante della missione della Chiesa, e la Comunità ecclesiale statunitense si è sempre molto impegnata in esso, rendendo al tempo stesso un grande servizio sociale e culturale all’intero Paese. E’ importante che ciò possa continuare. Ed è altrettanto importante curare la qualità degli istituti cattolici, affinché in essi ci si formi veramente secondo “la misura della maturità” di Cristo (cfr Ep 4,13), coniugando fede e ragione, libertà e verità. Con gioia pertanto ho confermato i formatori nel loro prezioso impegno di carità intellettuale.

In un Paese a vocazione multiculturale quale gli Stati Uniti d’America, hanno assunto speciale rilievo gli incontri con i rappresentanti di altre religioni: a Washington, nel Centro Culturale Giovanni Paolo II, con ebrei, musulmani, indù, buddisti e giainisti; a New York, la visita alla Sinagoga. Momenti, specialmente quest’ultimo, molto cordiali, che hanno confermato il comune impegno al dialogo e alla promozione della pace e dei valori spirituali e morali. In quella che si può considerare la patria della libertà religiosa, ho voluto ricordare che questa va sempre difesa con sforzo concorde, per evitare ogni forma di discriminazione e pregiudizio. Ed ho evidenziato la grande responsabilità dei leaders religiosi, sia nell’insegnare il rispetto e la non-violenza, sia nel tener vive le domande più profonde della coscienza umana. Anche la celebrazione ecumenica, nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe, è stata caratterizzata da grande cordialità. Insieme abbiamo pregato il Signore perché aumenti nei cristiani la capacità di rendere ragione, anche con una sempre maggiore unità, dell’unica grande speranza che è in essi (cfr 1P 3,15) per la comune fede in Gesù Cristo.

Altro principale obiettivo del mio viaggio era la visita alla sede centrale dell’ONU: la quarta visita di un Papa, dopo quella di Paolo VI nel 1965 e le due di Giovanni Paolo II, nel ‘79 e nel ‘95. Nella ricorrenza del 60° anniversario della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, la Provvidenza mi ha dato l’opportunità di confermare, nel più ampio e autorevole consesso sovranazionale, il valore di tale Carta, richiamandone il fondamento universale, cioè la dignità della persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza per cooperare nel mondo al suo grande disegno di vita e di pace. Come la pace, anche il rispetto dei diritti umani è radicato nella “giustizia”, vale a dire in un ordine etico valido per tutti i tempi e per tutti i popoli, riassumibile nella celebre massima “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, o, espressa in forma positiva con le parole di Gesù: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). Su questa base, che costituisce l’apporto tipico della Santa Sede all’Organizzazione delle Nazioni Unite, ho rinnovato, e anche oggi rinnovo, il fattivo impegno della Chiesa Cattolica per contribuire al rafforzamento di relazioni internazionali improntate ai principi di responsabilità e di solidarietà.

Nel mio animo sono rimasti fortemente impressi anche gli altri momenti della mia permanenza a New York. Nella Cattedrale di Saint Patrick, nel cuore di Manhattan – davvero una “casa di preghiera per tutti i popoli” – ho celebrato la Santa Messa per i sacerdoti e i consacrati, venuti da ogni parte del Paese. Non dimenticherò mai con quanto calore mi hanno fatto gli auguri per il terzo anniversario della mia elezione alla sede di Pietro. E’ stato un momento commovente, in cui ho sperimentato in modo sensibile tutto il sostegno della Chiesa per il mio ministero. Altrettanto posso dire per l’incontro con i giovani e i seminaristi svoltosi proprio presso il Seminario diocesano, e che è stato preceduto da una sosta molto significativa in mezzo a ragazzi e giovani portatori di handicap con i loro familiari. Ai giovani, per loro natura assetati di verità e di amore, ho proposto alcune figure di uomini e donne che hanno testimoniato in modo esemplare il Vangelo in terra americana, il Vangelo della verità che rende liberi nell’amore, nel servizio, nella vita spesa per gli altri. Guardando in faccia le tenebre di oggi, che minacciano la vita dei giovani, i giovani possono trovare nei santi la luce che disperde queste tenebre: la luce di Cristo, speranza per ogni uomo! Questa speranza, più forte del peccato e della morte, ha animato il momento carico di emozione che ho trascorso in silenzio nella voragine di Ground Zero, dove ho acceso un cero pregando per tutte le vittime di quella terribile tragedia. Infine, la mia visita è culminata nella Celebrazione eucaristica nello Yankee Stadium di New York: porto ancora nel cuore quella festa di fede e di fraternità, con cui abbiamo celebrato i bicentenari delle più antiche Diocesi dell’America del Nord. Il piccolo gregge delle origini si è enormemente sviluppato, arricchendosi della fede e delle tradizioni di successive ondate di immigrazione. A quella Chiesa, che ora affronta le sfide del presente, ho avuto la gioia di annunciare nuovamente “Cristo nostra Speranza” ieri, oggi e sempre.

Cari fratelli e sorelle, vi invito ad unirvi a me nel rendimento di grazie per la confortante riuscita di questo viaggio apostolico e nel domandare a Dio, per intercessione di Maria Vergine, che esso possa produrre abbondanza di frutti per la Chiesa in America e in tutte le parti del mondo.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Brno. Prego Iddio affinché infonda in voi la gioia della Risurrezione di Cristo e vi accompagni sempre con i suoi numerosi doni. Con questi voti volentieri vi benedico! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia di Belice, agli insegnanti e agli impiegati del Comune di Primošten e ai professori dell’Università di Osijek. Vi accompagni la pace e la benedizione d Cristo, che intercede per noi presso il Padre celeste. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lituana:

Saluto di cuore i pellegrini lituani! Lo Spirito di Cristo risorto vi ricolmi dei suoi doni, affinché possiate essere sempre più testimoni di giustizia e di pace. Vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Do il cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Polonia. Tante grazie a tutti coloro che mi hanno sostenuto con le loro preghiere durante il pellegrinaggio agli Stati Uniti dell’America. Sono stati indimenticabili giorni di comune condivisione della testimonianza della fede, colmi di grazia e di tante manifestazioni dell’umana bontà. Alla Madre Santissima affido i frutti di questo viaggio. Dio vi benedica!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava, Jasová, Kozárovce e Šahy. Fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma nel Tempo di Pasqua sia per ognuno di voi occasione di autentico rinnovamento spirituale. Signore Risorto vi accompagni con la sua pace. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini sloveni, in particolare modo a quelli provenienti da Velenje e Sticna ed ai membri del coro di Kamnik! Il Signore Risorto sia la vostra forza e il vostro canto! Volentieri vi imparto l’Apostolica Benedizione.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto voi, Religiose di diverse Congregazioni partecipanti all’incontro promosso dall’USMI e invoco lo Spirito Santo perché vi aiuti a proseguire con generosità nella vostra testimonianza evangelica. Saluto voi, Seminaristi della diocesi di Vicenza, accompagnati dal vostro Pastore Monsignor Cesare Nosiglia. Cari amici, vi assicuro la mia vicinanza spirituale e prego perché lo Spirito del Risorto vi illumini nel discernere la vostra vocazione e nel seguirla con fedeltà e gioia. Saluto voi, partecipanti al convegno promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, ed auguro che Cristo sia sempre per voi la Via, la Verità e la Vita.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Oggi la liturgia fa memoria del santo Pontefice Pio V che, mosso da profondo amore per la Chiesa, promosse con instancabile ardore la propagazione della fede e riformò il culto liturgico. Il suo esempio e la sua intercessione incoraggino voi, cari giovani, a realizzare in modo autentico e coerente la vostra vocazione cristiana; sostengano voi, cari malati, a perseverare nella speranza e ad offrire le vostre sofferenze in unione a quelle di Cristo per la salvezza dell’umanità; facciano crescere voi, cari sposi novelli, nel reciproco impegno di fedeltà e di amore.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 7 maggio 2008: Pentecoste

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Parole di benvenuto del Santo Padre al Catholicos Karekin II


Con grande gioia saluto oggi Sua Santità il Catholicos Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, e la distinta delegazione che l'accompagna. Santità, prego affinché la luce dello Spirito Santo illumini il suo pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, gli importanti incontri che avrà qui e, in particolare, i nostri colloqui personali. Chiedo a quanti sono presenti oggi di pregare affinché Dio benedica questa visita.

Santità, la ringrazio per l'impegno personale profuso nella crescente amicizia fra Chiesa apostolica armena e Chiesa cattolica. Nel 2000, subito dopo la sua elezione, è venuto a Roma per incontrare Papa Giovanni Paolo II e, un anno dopo, lo ha affabilmente ricevuto nella Santa Etchmiadzin. Per le sue esequie è venuto di nuovo a Roma insieme a numerosi responsabili ecclesiali d'oriente e d'occidente. Sono certo che questo spirito di amicizia verrà ulteriormente approfondito nei prossimi giorni.

Una nicchia esterna della Basilica di San Pietro ospita l'elegante statua di san Gregorio l'Illuminatore, fondatore della Chiesa armena. Ci ricorda le dure persecuzioni subite dai cristiani armeni, in particolare nello scorso secolo. Molti martiri armeni sono un segno della forza dello Spirito Santo all'opera in tempi bui e un pegno di speranza per i cristiani ovunque.

Santità, cari Vescovi e cari amici, insieme a voi imploro Dio Onnipotente, mediante l'intercessione di san Gregorio l'Illuminatore, di aiutarci a crescere nell'unità, in un unico, santo vincolo di fede, speranza e amore cristiani.


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Pentecoste

Cari fratelli e sorelle,

come vedete, è tra noi questa mattina Sua Santità il Catholicos Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, accompagnato da una distinta delegazione. Rinnovo l’espressione della mia gioia per la possibilità che mi è data stamani di accoglierLo: l’odierna sua presenza ci ravviva nella speranza della piena unità di tutti i cristiani. Colgo volentieri l’occasione per ringraziarLo anche dell’amabile accoglienza che Egli ha riservato di recente in Armenia al mio Cardinale Segretario di Stato. E’ un piacere per me fare altresì memoria dell’indimenticabile visita che il Catholicos compì a Roma nell’anno Duemila, appena dopo la sua elezione. IncontrandoLo, il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, Gli consegnò una insigne reliquia di San Gregorio l’Illuminatore e in seguito si recò in Armenia per restituirGli la visita.

È noto l’impegno della Chiesa Apostolica Armena per il dialogo ecumenico, e sono certo che anche l’attuale visita del venerato Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni contribuirà ad intensificare i rapporti di fraterna amicizia che legano le nostre Chiese. Questi giorni di immediata preparazione alla Solennità di Pentecoste ci stimolano a ravvivare la speranza nell’aiuto dello Spirito Santo per avanzare sulla strada dell’ecumenismo. Noi abbiamo la certezza che il Signore Gesù non ci abbandona mai nella ricerca dell’unità, poiché il suo Spirito è instancabilmente all’opera per sostenere i nostri sforzi tesi a superare ogni divisione e a ricucire ogni lacerazione nel vivo tessuto della Chiesa.

Proprio questo Gesù promise ai discepoli negli ultimi giorni della sua missione terrena, come abbiamo sentito poc’anzi nel brano del Vangelo: assicurò loro l’assistenza dello Spirito Santo, che Egli avrebbe mandato perché continuasse a far loro sentire la sua presenza (cfr
Jn 14,16-17). Tale promessa divenne realtà quando, dopo la risurrezione, Gesù entrò nel Cenacolo, salutò i discepoli con le parole «La pace sia con voi» e, alitando su di loro, disse: "Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,22). Li autorizzava a rimettere i peccati. Lo Spirito Santo, quindi, appare qui come forza del perdono dei peccati, del rinnovamento dei nostri cuori e della nostra esistenza; e così Egli rinnova la terra e crea unità dov'era divisione. Poi, nella festa di Pentecoste, lo Spirito Santo si mostra attraverso altri segni: attraverso il segno di un vento gagliardo, di lingue di fuoco, e gli Apostoli parlano in tutte le lingue. Questo è un segno che la dispersione babilonica, frutto della superbia che separa gli uomini, è superata nello Spirito che è carità e che dà unità nella diversità. Dal primo momento della sua esistenza la Chiesa parla in tutte le lingue — grazie alla forza dello Spirito Santo e alle lingue di fuoco — e vive in tutte le culture, non distrugge niente dei vari doni, dei diversi carismi, ma riassume tutto in una grande e nuova unità che riconcilia: unità e multiformità.

Lo Spirito Santo, che è la carità eterna, il legame dell'unità nella Trinità, unisce con la sua forza nella carità divina gli uomini dispersi, creando così la multiforme e grande comunità della Chiesa in tutto il mondo. Nei giorni dopo l'Ascensione del Signore fino alla domenica di Pentecoste, i discepoli con Maria erano riuniti nel Cenacolo per pregare. Sapevano di non poter essi stessi creare, organizzare la Chiesa: la Chiesa deve nascere ed essere organizzata dall’iniziativa divina, non è una creatura nostra, ma è dono di Dio. E solo così essa crea anche unità, una unità che deve crescere. La Chiesa in ogni tempo — in particolare, in questi nove giorni tra l'Ascensione e la Pentecoste — si unisce spiritualmente nel Cenacolo con gli Apostoli e con Maria per implorare incessantemente l'effusione dello Spirito Santo. Sospinta dal suo vento gagliardo essa potrà così essere capace di annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra.

Ecco perché, pur di fronte alle difficoltà e alle divisioni, i cristiani non possono rassegnarsi né cedere allo scoraggiamento. Questo chiede a noi il Signore: perseverare nella preghiera per mantenere viva la fiamma della fede, della carità e della speranza, a cui si alimenta l’anelito verso la piena unità. Ut unum sint! dice il Signore. Sempre risuona nel nostro cuore questo invito di Cristo; invito che ho avuto modo di rilanciare nel mio recente Viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America, dove ho fatto riferimento alla centralità della preghiera nel movimento ecumenico. In questo tempo di globalizzazione e, insieme, di frammentazione, “senza preghiera, le strutture, le istituzioni e i programmi ecumenici sarebbero privi del loro cuore e della loro anima” (Incontro ecumenico nella chiesa di S. Joseph a New York, 18 aprile 2008). Rendiamo grazie al Signore per i traguardi raggiunti nel dialogo ecumenico grazie all’azione dello Spirito Santo; restiamo docili all’ascolto della sua voce, affinché i nostri cuori, ricolmi di speranza, percorrano senza sosta il cammino che conduce alla piena comunione di tutti i discepoli di Cristo.

San Paolo, nella Lettera ai Galati, ricorda che “il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (5,22-23). Sono questi doni dello Spirito Santo che invochiamo anche noi oggi per tutti i cristiani, perché nel comune e generoso servizio al Vangelo, possano essere nel mondo segno dell’amore di Dio per l’umanità. Volgiamo fiduciosi lo sguardo a Maria, Santuario dello Spirito Santo, e per mezzo di Lei preghiamo: “Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore”. Amen!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i Polacchi venuti a Roma. Domani nella vostra Patria ricorre la solennità di San Stanislao, il principale patrono della Polonia. A immagine del “Buon Pastore che da la vita per le sue pecore” Egli vigilava sull’ordine morale e proteggeva i diritti della Chiesa. Invito le vostre famiglie, le parrocchie ed ognuno di voi a mantenere il rispetto dei comandamenti e la cura per la Chiesa. Che Cristo sia il fondamento della vostra vita.

Saluto in lingua ungherese:

Saluto con affetto i Membri della Conferenza Episcopale Ungherese, che sono arrivati alla visita ad limina.Saluto inoltre tutti fedeli ungheresi, specialmente il folto gruppo arrivato dalla Diocesi di Pécs. Questa visita romana approfondisca il vostro amore per il successore di san Pietro. Volentieri benedico voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia di Tutti i Santi di Sesvete e della Missione Cattolica Croata di Köln. Invocate spesso lo Spirito Santo come hanno fatto gli apostoli aspettando il giorno delle Pentecoste, affinché anche voi siate testimoni convincenti del Signore risorto. Siano lodati Gesù e Maria!

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Saluto i pellegrini di lingua italiana. In particolare, rivolgo un cordiale pensiero al pellegrinaggio promosso dalle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento in occasione della beatificazione di Maria Maddalena dell’Incarnazione, ed incoraggio a promuovere sempre più l’amore per l’Eucarestia affinché sorgano, accanto ad ogni Monastero dell’Ordine, gruppi di “adoratori”. Si realizzerà così l’anelito della vostra Beata Fondatrice che amava ripetere: “Gesù sia da tutti conosciuto, amato, adorato e ringraziato ogni momento nel SS.mo e Divinissimo sacramento”. Saluto i rappresentanti delle Scuole delle Maestre Pie Venerini che ricordano il 280° anniversario di morte della Fondatrice, ed auspico che il loro pellegrinaggio a Roma sia ricco di frutti spirituali. Saluto i Dirigenti e i calciatori dell’Inter, nel centesimo anniversario di fondazione, e colgo l’occasione per sottolineare ancora una volta l’importanza dei valori morali dello sport nell’educazione delle nuove generazioni. Un affettuoso saluto rivolgo poi agli studenti del Circolo didattico di Sant’Antioco e a quelli dell’Istituto Madre Teresa di Calcutta, di Campodipietra.

Desidero, infine, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, in questo mese di maggio da poco iniziato, che la tradizione popolare dedica a Maria, imparate da Lei a compiere sempre la volontà di Dio. Contemplando la Madre di Cristo crocifisso, voi, cari malati, sappiate riconoscere il valore salvifico di ogni croce; e voi, cari sposi novelli, affidatevi alla protezione della Santa Vergine, per creare nella vostra famiglia quel clima di preghiera e di serenità che regnava nella casa di Nazareth.

APPELLO PER LA POPOLAZIONE DEL MYANMAR


Faccio mio il grido di dolore e di aiuto della cara popolazione del Myanmar, che ha visto improvvisamente distrutte dalla sconvolgente violenza del ciclone Nargis numerosissime vite, oltre a beni e mezzi di sussistenza.

Come ho già assicurato nel messaggio di solidarietà inviato al Presidente della Conferenza Episcopale, sono spiritualmente vicino alle persone colpite. Vorrei inoltre ripetere a tutti l'invito ad aprire il cuore alla pietà e alla generosità affinché, grazie alla collaborazione di quanti sono in grado e desiderano prestare soccorso, si possano alleviare le sofferenze causate da così immane tragedia.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 14 maggio 2008: Pseudo-Dionigi Areopagita

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei, nel corso delle catechesi sui Padri della Chiesa, parlare di una figura assai misteriosa: un teologo del sesto secolo, il cui nome è sconosciuto, che ha scritto sotto lo pseudonimo di Dionigi Areopagita. Con questo pseudonimo egli alludeva al passo della Scrittura che abbiamo adesso ascoltato, cioè alla vicenda raccontata da San Luca nel XVII capitolo degli Atti degli Apostoli, dove viene riferito che Paolo predicò in Atene sull'Areopago, per una élite del grande mondo intellettuale greco, ma alla fine la maggior parte degli ascoltatori si dimostrò disinteressata, e si allontanò deridendolo; tuttavia alcuni, pochi ci dice San Luca, si avvicinarono a Paolo aprendosi alla fede. L’evangelista ci dona due nomi: Dionigi, membro dell'Areopago, e una certa donna, Damaris.

Se l'autore di questi libri ha scelto cinque secoli dopo lo pseudonimo di Dionigi Areopagita vuol dire che sua intenzione era di mettere la saggezza greca al servizio del Vangelo, aiutare l'incontro tra la cultura e l'intelligenza greca e l'annuncio di Cristo; voleva fare quanto intendeva questo Dionigi, che cioè il pensiero greco si incontrasse con l'annuncio di San Paolo; essendo greco, farsi discepolo di San Paolo e così discepolo di Cristo.

Perché egli nascose il suo nome e scelse questo pseudonimo? Una parte di risposta è già stata data: voleva proprio esprimere questa intenzione fondamentale del suo pensiero. Ma ci sono due ipotesi circa questo anonimato coperto da uno pseudonimo. Una prima ipotesi dice: era una voluta falsificazione, con la quale, ridatando le sue opere al primo secolo, al tempo di San Paolo, egli voleva dare alla sua produzione letteraria un'autorità quasi apostolica. Ma migliore di questa ipotesi — che mi sembra poco credibile — è l'altra: che cioè egli volesse proprio fare un atto di umiltà. Non dare gloria al proprio nome, non creare un monumento per se stesso con le sue opere, ma realmente servire il Vangelo, creare una teologia ecclesiale, non individuale, basata su se stesso. In realtà riuscì a costruire una teologia che, certo, possiamo datare al sesto secolo, ma non attribuire a una delle figure di quel tempo: è una teologia un po' disindividualizzata, cioè una teologia che esprime un pensiero comune in un linguaggio comune. Era un tempo di acerrime polemiche dopo il Concilio di Calcedonia; lui invece, nella sua settima Epistola, dice: «Non vorrei fare delle polemiche; parlo semplicemente della verità, cerco la verità». E la luce della verità da se stessa fa cadere gli errori e fa splendere quanto è buono. Con questo principio egli purificò il pensiero greco e lo mise in sintonia con il Vangelo. Questo principio, che egli rivela nella sua settima Epistola, è anche espressione di un vero spirito di dialogo: cercare non le cose che separano, cercare la verità nella Verità stessa; essa poi riluce e fa cadere gli errori.

Quindi, pur essendo la teologia di questo autore, per così dire “soprapersonale”, realmente ecclesiale, noi possiamo collocarla nel VI secolo. Perché? Lo spirito greco, che egli mise al servizio del Vangelo, lo incontrò nei libri di un certo Proclo, morto nel 485 ad Atene: questo autore apparteneva al tardo platonismo, una corrente di pensiero che aveva trasformato la filosofia di Platone in una sorte religione filosofica, il cui scopo alla fine era di creare una grande apologia del politeisimo greco e ritornare, dopo il successo del cristianesimo, all’antica religione greca. Voleva dimostrare che, in realtà, le divinità erano le forze operanti nel cosmo. La conseguenza era che doveva ritenersi più vero il politeismo che il monoteismo, con un unico Dio creatore. Era un grande sistema cosmico di divinità, di forze misteriose, quello che mostrava Proclo, per il quale in questo cosmo deificato l'uomo poteva trovare l'accesso alla divinità. Egli però distingueva le strade per i semplici, i quali non erano in grado di elevarsi ai vertici della verità — per loro certi riti anche superstiziosi potevano essere sufficienti — e le strade per i saggi, che invece dovevano purificarsi per arrivare alla pura luce.

Questo pensiero, come si vede, è profondamente anticristiano. È una reazione tarda contro la vittoria del cristianesimo. Un uso anticristiano di Platone, mentre era già in corso un uso cristiano del grande filosofo. È interessante che questo Pseudo-Dionigi abbia osato servirsi proprio di questo pensiero per mostrare la verità di Cristo; trasformare questo universo politeistico in un cosmo creato da Dio – nell'armonia del cosmo di Dio dove tutte le forze sono lode di Dio – e mostrare questa grande armonia, questa sinfonia del cosmo che va dai serafini agli angeli e agli arcangeli, all'uomo e a tutte le creature che insieme riflettono la bellezza di Dio e rendono lode a Dio. Trasformava così l'immagine politeista in un elogio del Creatore e della sua creatura. Possiamo in questo modo scoprire le caratteristiche essenziali del suo pensiero: esso è innanzitutto una lode cosmica. Tutta la creazione parla di Dio ed è un elogio di Dio. Essendo la creatura una lode di Dio, la teologia dello Pseudo-Dionigi diventa una teologia liturgica: Dio si trova soprattutto lodandolo, non solo riflettendo; e la liturgia non è qualcosa di costruito da noi, qualcosa di inventato per fare un'esperienza religiosa durante un certo periodo di tempo; essa è il cantare con il coro delle creature e l'entrare nella realtà cosmica stessa. E proprio così la liturgia, apparentemente solo ecclesiastica, diventa larga e grande, diventa nostra unione con il linguaggio di tutte le creature. Egli dice: non si può parlare di Dio in modo astratto; parlare di Dio è sempre un hymnèin – un cantare per Dio con il grande canto delle creature, che si riflette e concretizza nella lode liturgica. Tuttavia, pur essendo la sua teologia cosmica, ecclesiale e liturgica, essa è anche profondamente personale. Egli creò la prima grande teologia mistica. Anzi la parola “mistica” acquisisce con lui un nuovo significato. Fino a quel tempo per i cristiani tale parola era equivalente alla parola “sacramentale”, cioè quanto appartiene al mystèrion, al sacramento. Con lui la parola “mistica” diventa più personale, più intima: esprime il cammino dell'anima verso Dio. E come trovare Dio? Qui osserviamo di nuovo un elemento importante nel suo dialogo tra filosofia greca e cristianesimo, tra pensiero pagano e fede biblica. Apparentemente quanto dice Platone e quanto dice la grande filosofia su Dio è molto più alto, è molto più “vero”; la Bibbia appare abbastanza “barbara”, semplice, precritica si direbbe oggi; ma lui osserva che proprio questo è necessario, perché così possiamo capire che i più alti concetti su Dio non arrivano mai fino alla sua vera grandezza; sono sempre impropri. Le immagini bibliche ci fanno, in realtà, capire che Dio è sopra tutti i concetti; nella loro semplicità noi troviamo, più che nei grandi concetti, il volto di Dio e ci rendiamo conto della nostra incapacità di esprimere realmente che cosa Egli è. Si parla così – è lo stesso Pseudo-Dionigi a farlo – di una “teologia negativa”. Possiamo più facilmente dire che cosa Dio non è, che non esprimere che cosa Egli è veramente. Solo tramite queste immagini possiamo indovinare il suo vero volto che, d'altra parte, è molto concreto: è Gesù Cristo. E benché Dionigi ci mostri, seguendo Proclo, l'armonia dei cori celesti, in cui sembra che tutti dipendano da tutti, il nostro cammino verso Dio, però, rimarrebbe molto lontano da Lui, egli sottolinea che, alla fine, la strada verso Dio è Dio stesso, il Quale si è fatto vicino a noi in Gesù Cristo.

E così una teologia grande e misteriosa diventa anche molto concreta sia nell’interpretazione della liturgia sia nel discorso su Gesù Cristo: con tutto ciò, questo Dionigi Areopagita ebbe un grande influsso su tutta la teologia medievale, su tutta la teologia mistica sia dell'Oriente sia dell'Occidente, fu quasi riscoperto nel tredicesimo secolo soprattutto da San Bonaventura, il grande teologo francescano che in questa teologia mistica trovò lo strumento concettuale per interpretare l'eredità così semplice e così profonda di San Francesco: Bonaventura con Dionigi ci dice alla fine, che l'amore vede più che la ragione. Dov'è la luce dell’amore non hanno più accesso le tenebre della ragione; l'amore vede, l'amore è occhio e l'esperienza ci dà più che la riflessione. Che cosa sia questa esperienza, Bonaventura lo vide in San Francesco: è l’esperienza di un cammino molto umile, molto realistico, giorno per giorno, è questo andare con Cristo, accettando la sua croce. In questa povertà e in questa umiltà – nell’umiltà che si vive anche nella ecclesialità – c'è un’esperienza di Dio che è più alta di quella che si raggiunge mediante la riflessione: in essa tocchiamo realmente il cuore di Dio.

Oggi esiste una nuova attualità di Dionigi Areopagita: egli appare come un grande mediatore nel dialogo moderno tra il cristianesimo e le teologie mistiche dell'Asia, la cui nota caratteristica sta nella convinzione che non si può dire chi sia Dio; di Lui si può parlare solo in forme negative; di Dio si può parlare solo col “non”, e solo entrando in questa esperienza del “non” Lo si raggiunge. E qui si vede una vicinanza tra il pensiero dell'Areopagita e quello delle religioni asiatiche: egli può essere oggi un mediatore come lo fu tra lo spirito greco e il Vangelo.

Si vede così che il dialogo non accetta la superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell'incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l'un l'altro o almeno parlare l'uno con l'altro, avvicinarsi. Il cammino del dialogo è proprio l'essere vicini in Cristo a Dio nella profondità dell'incontro con Lui, nell'esperienza della verità che ci apre alla luce e ci aiuta ad andare incontro agli altri: la luce della verità, la luce dell'amore. E in fin dei conti ci dice: prendete la strada dell'esperienza, dell'esperienza umile della fede, ogni giorno. Il cuore diventa allora grande e può vedere e illuminare anche la ragione perché veda la bellezza di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti anche oggi a mettere al servizio del Vangelo la saggezza dei nostri tempi, scoprendo di nuovo la bellezza della fede, l'incontro con Dio in Cristo.

Saluti:

Saluto in lingua slovacca:

Di cuore saluto gli allievi e insegnanti della Scuola elementare “Giovanni Paolo II” di Bratislava - Vajnory. Fratelli e sorelle, domenica scorsa abbiamo celebrato la Solennità della Pentecoste. Preghiamo Dio che mandi i doni del suo Spirito perché possiamo divenire testimoni coraggiosi della nostra fede cristiana. Con affetto benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini provenienti dalla Polonia, e in particolare i bambini che per la prima volta ricevono la Santa Comunione. Cari bambini, il Signore Gesù abiti sempre nei vostri cuori, affinché siano colmi dell’amore di Dio. La Sua presenza santifichi voi e le vostre famiglie. Vi benedico di cuore.

Saluto in lingua romena:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini rumeni, in particolare al Seminario Greco-Cattolico di Cluj. Mentre assicuro per voi e per tutti i vostri connazionali un ricordo nella preghiera, invoco su ciascuno la mia Benedizione.

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore i pellegrini croati, particolarmente i cresimandi della Missione Cattolica Croata di München e gli alti ufficiali del Ministero della Difesa della Repubblica di Croazia. La vicinanza e la pace di Cristo siano sicurezza e gioia per le vostre vite. Siano lodati Gesù e Maria!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Suore Cappuccine di Madre Rubatto, che partecipano al loro Capitolo generale e le incoraggio a continuare nell’impegno di adesione a Cristo, testimoniando coraggiosamente il Vangelo secondo il carisma della venerata Fondatrice. Saluto con affetto i sacerdoti provenienti da Trento e da Torino ed assicuro la mia preghiera affinchè il loro ministero, sostenuto dalla grazia di Dio, sia sempre più fecondo.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Liturgia odierna ricorda l’Apostolo Mattia, annoverato tra i Dodici per rendere testimonianza della risurrezione del Signore. Il suo esempio sostenga voi, cari giovani, nella costante ricerca di Cristo; incoraggi voi, cari malati, ad offrire le vostre sofferenze affinché il Regno di Dio si diffonda in tutto il mondo; ed aiuti voi, cari sposi novelli, ad essere testimoni dell'amore di Cristo nella vostra famiglia.


APPELLO

Il mio pensiero va, in questo momento, alle popolazioni del Sichuan e delle Province limitrofe in Cina, duramente colpite dal terremoto, che ha causato gravi perdite in vite umane, numerosissimi dispersi e danni incalcolabili. Vi invito ad unirvi a me nella fervida preghiera per tutti coloro che hanno perso la vita. Sono spiritualmente vicino alle persone provate da così devastante calamità: per esse imploriamo da Dio sollievo nella sofferenza. Voglia il Signore concedere sostegno a tutti coloro che sono impegnati nel far fronte alle esigenze immediate del soccorso.: BENEDETTO XVI



Aula Paolo VI

Mercoledì, 21 maggio 2008: Romano il Melode


Catechesi 2005-2013 30048