Catechesi 2005-2013 28911

Mercoledì, 28 settembre 2011: Viaggio Apostolico in Germania

28911
Piazza San Pietro


Cari fratelli e sorelle!

Come sapete, da giovedì a domenica scorsi ho compiuto una Visita Pastorale in Germania; sono lieto, perciò, come di consueto, di cogliere l’occasione dell’odierna Udienza per ripercorrere insieme con voi le intense e stupende giornate trascorse nel mio Paese d’origine. Ho attraversato la Germania dal nord al sud, dall’est all’ovest: dalla capitale Berlino ad Erfurt e all’Eichsfeld e infine a Freiburg, città vicina al confine con la Francia e la Svizzera. Ringrazio anzitutto il Signore per la possibilità che mi ha offerto di incontrare la gente e parlare di Dio, di pregare insieme e confermare i fratelli e le sorelle nella fede, secondo il particolare mandato che il Signore ha affidato a Pietro e ai suoi successori. Questa visita, svoltasi sotto il motto “Dov’è Dio, là c’è futuro”, è stata davvero una grande festa della fede: nei vari incontri e colloqui, nelle celebrazioni, specialmente nelle solenni Messe con il popolo di Dio. Questi momenti sono stati un prezioso dono che ci ha fatto percepire di nuovo come sia Dio a dare alla nostra vita il senso più profondo, la vera pienezza, anzi, che solo Lui dona a noi, dona a tutti un futuro.

Con profonda gratitudine ricordo l’accoglienza calorosa ed entusiasta come anche l’attenzione e l’affetto dimostratimi nei vari luoghi che ho visitato. Ringrazio di cuore i Vescovi tedeschi, specialmente quelli delle Diocesi che mi hanno ospitato, per l’invito e per quanto hanno fatto, insieme con tanti collaboratori, per preparare questo viaggio. Un sentito grazie va ugualmente al Presidente Federale e a tutte le autorità politiche e civili a livello federale e regionale. Sono profondamente grato a quanti hanno contribuito in vario modo al buon esito della Visita, soprattutto ai numerosi volontari. Così essa è stata un grande dono per me e per tutti noi e ha suscitato gioia, speranza e un nuovo slancio di fede e di impegno per il futuro.

Nella capitale federale Berlino, il Presidente Federale mi ha accolto nella sua residenza e mi ha dato il benvenuto a nome suo e dei miei connazionali, esprimendo la stima e l’affetto nei confronti di un Papa nativo della terra tedesca. Da parte mia, ho potuto tracciare un breve pensiero sul rapporto reciproco tra religione e libertà, ricordando una frase del grande Vescovo e riformatore sociale Wilhelm von Ketteler: “Come la religione ha bisogno della libertà, così anche la libertà ha bisogno della religione.”

Ben volentieri ho accolto l’invito a recarmi al Bundestag, quello che è stato certamente uno dei momenti di grande portata del mio viaggio. Per la prima volta un Papa ha tenuto un discorso davanti ai membri del Parlamento tedesco. In tale occasione ho voluto esporre il fondamento del diritto e del libero Stato di diritto, cioè la misura di ogni diritto, inscritto dal Creatore nell’essere stesso della sua creazione. E’ necessario perciò allargare il nostro concetto di natura, comprendendola non solo come un insieme di funzioni ma oltre questo come linguaggio del Creatore per aiutarci a discernere il bene dal male. Successivamente ha avuto luogo anche un incontro con alcuni rappresentanti della comunità ebraica in Germania. Ricordando le nostre comuni radici nella fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, abbiamo evidenziato i frutti ottenuti finora nel dialogo tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo in Germania. Ho avuto modo ugualmente di incontrare alcuni membri della comunità musulmana, convenendo con essi circa l’importanza della libertà religiosa per uno sviluppo pacifico dell’umanità.

La Santa Messa nello stadio olimpico a Berlino, a conclusione del primo giorno della Visita, è stata una delle grandi celebrazioni liturgiche che mi hanno dato la possibilità di pregare insieme con i fedeli e di incoraggiarli nella fede. Mi sono molto rallegrato della numerosa partecipazione della gente! In quel momento festoso e impressionante abbiamo meditato sull’immagine evangelica della vite e dei tralci, cioè sull’importanza di essere uniti a Cristo per la nostra vita personale di credenti e per il nostro essere Chiesa, suo corpo mistico.

La seconda tappa della mia Visita è stata in Turingia. La Germania, e la Turingia in modo particolare, è la terra della riforma protestante. Quindi, fin dall’inizio ho voluto ardentemente dare particolare rilievo all’ecumenismo nel quadro di questo viaggio, ed è stato mio forte desiderio vivere un momento ecumenico ad Erfurt, perché proprio in tale città Martin Lutero è entrato nella comunità degli Agostiniani e lì è stato ordinato sacerdote. Perciò mi sono molto rallegrato dell’incontro con i membri del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania e dell’atto ecumenico nell’ex-Convento degli Agostiniani: un incontro cordiale che, nel dialogo e nella preghiera, ci ha portato in modo più profondo a Cristo. Abbiamo visto di nuovo quanto sia importante la nostra comune testimonianza della fede in Gesù Cristo nel mondo di oggi, che spesso ignora Dio o non si interessa di Lui. Occorre il nostro comune sforzo nel cammino verso la piena unità, ma siamo sempre ben consapevoli che non possiamo “fare” né la fede né l’unità tanto auspicata. Una fede creata da noi stessi non ha alcun valore, e la vera unità è piuttosto un dono del Signore, il quale ha pregato e prega sempre per l’unità dei suoi discepoli. Solo Cristo può donarci quest’unità, e saremo sempre più uniti nella misura in cui torniamo a Lui e ci lasciamo trasformare da Lui.

Un momento particolarmente emozionante è stata per me la celebrazione dei Vespri mariani davanti al santuario di Etzelsbach, dove mi ha accolto una moltitudine di pellegrini. Già da giovane avevo sentito parlare della regione dell’Eichsfeld – striscia di terra rimasta sempre cattolica nelle varie vicissitudini della storia – e dei suoi abitanti che si sono opposti coraggiosamente alle dittature del nazismo e del comunismo. Così sono stato molto contento di visitare questa Eichsfeld e la sua gente in un pellegrinaggio all’immagine miracolosa della Vergine Addolorata di Etzelsbach, dove per secoli i fedeli hanno affidato a Maria le proprie richieste, preoccupazioni, sofferenze, ricevendo conforto, grazie e benedizioni. Altrettanto toccante è stata la Messa celebrata nella magnifica piazza del Duomo a Erfurt. Ricordando i santi patroni della Turingia – Santa Elisabetta, San Bonifacio e San Kilian – e l’esempio luminoso dei fedeli che hanno testimoniato il Vangelo durante i sistemi totalitari, ho invitato i fedeli ad essere i santi di oggi, validi testimoni di Cristo, e a contribuire a costruire la nostra società. Sempre, infatti, sono stati i santi e le persone pervase dall’amore di Cristo a trasformare veramente il mondo. Commovente è stato anche il breve incontro con Mons. Hermann Scheipers, l’ultimo sacerdote tedesco vivente sopravvissuto al campo di concentramento di Dachau. Ad Erfurt ho avuto anche occasione di incontrare alcune vittime di abuso sessuale da parte di religiosi, alle quali ho voluto assicurare il mio rammarico e la mia vicinanza alla loro sofferenza.

L’ultima tappa del mio viaggio mi ha portato nel sud-ovest della Germania, nell’Arcidiocesi di Freiburg. Gli abitanti di questa bella città, i fedeli dell’Arcidiocesi e i numerosi pellegrini venuti dalle vicine Svizzera e Francia e da altri Paesi mi hanno riservato un’accoglienza particolarmente festosa. Ho potuto sperimentarlo anche nella veglia di preghiera con migliaia di giovani. Sono stato felice di vedere che la fede nella mia patria tedesca ha un volto giovane, che è viva e ha un futuro. Nel suggestivo rito della luce ho trasmesso ai giovani la fiamma del cero pasquale, simbolo della luce che è Cristo, esortandoli: “Voi siete la luce del mondo”. Ho ripetuto loro che il Papa confida nella collaborazione attiva dei giovani: con la grazia di Cristo, essi sono in grado di portare al mondo il fuoco dell’amore di Dio.

Un momento singolare è stato l’incontro con i seminaristi nel Seminario di Freiburg. Rispondendo in un certo senso alla toccante lettera che essi mi avevano fatto pervenire qualche settimana prima, ho voluto mostrare a quei giovani la bellezza e grandezza della loro chiamata da parte del Signore e offrire loro qualche aiuto per proseguire il cammino della sequela con gioia e in profonda comunione con Cristo. Sempre nel Seminario ho avuto modo di incontrare in un’atmosfera fraterna anche alcuni rappresentanti delle Chiese ortodosse e ortodosse orientali, alle quali noi cattolici ci sentiamo molto vicini. Proprio da questa ampia comunanza deriva anche il compito comune di essere lievito per il rinnovamento della nostra società. Un amichevole incontro con rappresentanti del laicato cattolico tedesco ha concluso la serie di appuntamenti nel Seminario.

La grande celebrazione eucaristica domenicale all’aeroporto turistico di Freiburg è stata un altro momento culminante della Visita pastorale, e l’occasione per ringraziare quanti si impegnano nei vari ambiti della vita ecclesiale, soprattutto i numerosi volontari e i collaboratori delle iniziative caritative. Sono essi che rendono possibili i molteplici aiuti che la Chiesa tedesca offre alla Chiesa universale, specie nelle terre di missione. Ho ricordato anche che il loro prezioso servizio sarà sempre fecondo, quando deriva da una fede autentica e viva, in unione con i Vescovi e il Papa, in unione con la Chiesa. Infine, prima del mio ritorno, ho parlato ad un migliaio di cattolici impegnati nella Chiesa e nella società, suggerendo alcune riflessioni sull’azione della Chiesa in una società secolarizzata, sull’invito ad essere libera da fardelli materiali e politici per essere più trasparente a Dio.

Cari fratelli e sorelle, questo Viaggio Apostolico in Germania mi ha offerto un’occasione propizia per incontrare i fedeli della mia patria tedesca, per confermarli nella fede, nella speranza e nell’amore, e condividere con loro la gioia di essere cattolici. Ma il mio messaggio era rivolto a tutto il popolo tedesco, per invitare tutti a guardare con fiducia al futuro. È vero, “Dov’è Dio, là c’è futuro”. Ringrazio ancora una volta tutti coloro che hanno reso possibile questa Visita e quanti mi hanno accompagnato con la preghiera. Il Signore benedica il popolo di Dio in Germania e benedica voi tutti. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Vi ringrazio per l’orante sostegno durante la mia visita nella nativa Germania. Ringrazio anche tutti i Polacchi, che sono stati presenti a Berlin, Erfurt, Feiburg e in altri luoghi, unendosi ai fratelli tedeschi e arricchendosi a vicenda della testimonianza della Fede. Dio vi benedica!


Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati ed in modo particolare i fedeli della parrocchia di San Nicola Tavelic di Zagabria. Cari amici, sull’esempio degli Apostoli e di tanti santi del vostro popolo, siate appassionati a Cristo e seguiteLo nell’amore. Siano lodati Gesù e Maria!


Saluto in lingua ceca:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua ceca, in particolare al gruppo proveniente da Stipa. Cari amici, assicuro un ricordo nella preghiera per voi e per le vostre famiglie e tutti vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua ungherese:

Saluto con grande affetto i pellegrini di lingua ungherese, specialmente i fondatori della Via Mariana dell’Europa Centro-orientale ed i fedeli che sono arrivati da Kunszentmiklós. Il vostro pellegrinaggio alle Basiliche di Roma e l’incontro con la tradizione della Città Eterna rafforzino la vostra fede e diventino fonte della crescita spirituale. Chiedendo la intercessione dei santi Arcangeli imparto volentieri a voi la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua ucraina:

Saluto cordialmente il coro giovanile ucraino, proveniente da Przemysl. Cari amici anche attraverso il canto, diffondete i più alti valori umani e cristiani. A tutti voi la mia benedizione.

* * *


Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, sono lieto di accogliere i sacerdoti del Pontificio Collegio San Pietro, provenienti da vari Paesi, come pure le Suore Benedettine della Divina Provvidenza, che ricordano significativi anniversari, ed auguro a ciascuno di continuare con fervore la testimonianza evangelica nella Chiesa e nel mondo. Saluto poi i fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, che, insieme al loro Vescovo Mons. Giuseppe Andrich, sono venuti a Roma per fare grata e orante memoria del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo I, nell’anniversario della sua scomparsa. Saluto il pellegrinaggio della diocesi di Ascoli Piceno, guidato dal Vescovo Mons. Silvano Montevecchi, ed auspico che questa sosta presso le tombe degli Apostoli segni per l’intera Comunità diocesana una rinnovata vitalità spirituale nella fedele adesione a Cristo e sotto lo sguardo materno della celeste patrona la Beata Vergine delle Grazie.

Come di consueto, il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Tutti invito ad essere sempre fedeli all’ideale evangelico per realizzarlo nella vita di ogni giorno, sperimentando così la gioia della presenza di Cristo.




Mercoledì, 5 ottobre 2011: Salmo 23

51011
Piazza San Pietro

Ps 23

Cari fratelli e sorelle,

rivolgersi al Signore nella preghiera implica un radicale atto di fiducia, nella consapevolezza di affidarsi a Dio che è buono, «misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Ex 34,6-7 Ps 86,15 cfr Jl 2,13 Gn 4,2 Ps 103,8 Ps 145,8 Ne 9,17). Per questo oggi vorrei riflettere con voi su un Salmo tutto pervaso di fiducia, in cui il Salmista esprime la sua serena certezza di essere guidato e protetto, messo al sicuro da ogni pericolo, perché il Signore è il suo pastore. Si tratta del Salmo 23 - secondo la datazione greco latina 22 - un testo familiare a tutti e amato da tutti.

«Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla»: così inizia questa bella preghiera, evocando l’ambiente nomade della pastorizia e l’esperienza di conoscenza reciproca che si stabilisce tra il pastore e le pecore che compongono il suo piccolo gregge. L’immagine richiama un’atmosfera di confidenza, intimità, tenerezza: il pastore conosce le sue pecorelle una per una, le chiama per nome ed esse lo seguono perché lo riconoscono e si fidano di lui (cfr Jn 10,2-4). Egli si prende cura di loro, le custodisce come beni preziosi, pronto a difenderle, a garantirne il benessere, a farle vivere in tranquillità. Nulla può mancare se il pastore è con loro. A questa esperienza fa riferimento il Salmista, chiamando Dio suo pastore, e lasciandosi guidare da Lui verso pascoli sicuri:

«Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome» (vv. 2-3).

La visione che si apre ai nostri occhi è quella di prati verdi e fonti di acqua limpida, oasi di pace verso cui il pastore accompagna il gregge, simboli dei luoghi di vita verso cui il Signore conduce il Salmista, il quale si sente come le pecore sdraiate sull’erba accanto ad una sorgente, in situazione di riposo, non in tensione o in stato di allarme, ma fiduciose e tranquille, perché il posto è sicuro, l’acqua è fresca, e il pastore veglia su di loro. E non dimentichiamo qui che la scena evocata dal Salmo è ambientata in una terra in larga parte desertica, battuta dal sole cocente, dove il pastore seminomade mediorientale vive con il suo gregge nelle steppe riarse che si estendono intorno ai villaggi. Ma il pastore sa dove trovare erba e acqua fresca, essenziali per la vita, sa portare all’oasi in cui l’anima “si rinfranca” ed è possibile riprendere le forze e nuove energie per rimettersi in cammino.

Come dice il Salmista, Dio lo guida verso «pascoli erbosi» e «acque tranquille», dove tutto è sovrabbondante, tutto è donato copiosamente. Se il Signore è il pastore, anche nel deserto, luogo di assenza e di morte, non viene meno la certezza di una radicale presenza di vita, tanto da poter dire: «non manco di nulla». Il pastore, infatti, ha a cuore il bene del suo gregge, adegua i propri ritmi e le proprie esigenze a quelli delle sue pecore, cammina e vive con loro, guidandole per sentieri “giusti”, cioè adatti a loro, con attenzione alle loro necessità e non alle proprie. La sicurezza del suo gregge è la sua priorità e a questa obbedisce nel guidarlo.

Cari fratelli e sorelle, anche noi, come il Salmista, se camminiamo dietro al “Pastore buono”, per quanto difficili, tortuosi o lunghi possano apparire i percorsi della nostra vita, spesso anche in zone desertiche spiritualmente, senza acqua e con un sole di razionalismo cocente, sotto la guida del pastore buono, Cristo, siamo certi di andare sulle strade “giuste” e che il Signore ci guida e ci è sempre vicino e non ci mancherà nulla.

Per questo il Salmista può dichiarare una tranquillità e una sicurezza senza incertezze né timori:

«Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza» (v. 4).

Chi va col Signore anche nelle vali oscure della sofferenza, dell'incertezza e di tutti i problemi umani, si sente sicuro. Tu sei con me: questa è la nostra certezza, quella che ci sostiene. Il buio della notte fa paura, con le sue ombre mutevoli, la difficoltà a distinguere i pericoli, il suo silenzio riempito di rumori indecifrabili. Se il gregge si muove dopo il calar del sole, quando la visibilità si fa incerta, è normale che le pecore siano inquiete, c’è il rischio di inciampare oppure di allontanarsi e di perdersi, e c’è ancora il timore di possibili aggressori che si nascondano nell’oscurità. Per parlare della valle “oscura”, il Salmista usa un’espressione ebraica che evoca le tenebre della morte, per cui la valle da attraversare è un luogo di angoscia, di minacce terribili, di pericolo di morte. Eppure, l’orante procede sicuro, senza paura, perché sa che il Signore è con lui. Quel «tu sei con me» è una proclamazione di fiducia incrollabile, e sintetizza l’esperienza di fede radicale; la vicinanza di Dio trasforma la realtà, la valle oscura perde ogni pericolosità, si svuota di ogni minaccia. Il gregge ora può camminare tranquillo, accompagnato dal rumore familiare del bastone che batte sul terreno e segnala la presenza rassicurante del pastore.

Questa immagine confortante chiude la prima parte del Salmo, e lascia il posto ad una scena diversa. Siamo ancora nel deserto, dove il pastore vive con il suo gregge, ma adesso siamo trasportati sotto la sua tenda, che si apre per dare ospitalità:

«Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca» (v. 5).

Ora il Signore è presentato come Colui che accoglie l’orante, con i segni di una ospitalità generosa e piena di attenzioni. L’ospite divino prepara il cibo sulla “mensa”, un termine che in ebraico indica, nel suo senso primitivo, la pelle di animale che veniva stesa per terra e su cui si mettevano le vivande per il pasto in comune. È un gesto di condivisione non solo del cibo, ma anche della vita, in un’offerta di comunione e di amicizia che crea legami ed esprime solidarietà. E poi c’è il dono munifico dell’olio profumato sul capo, che dà sollievo dall’arsura del sole del deserto, rinfresca e lenisce la pelle e allieta lo spirito con la sua fragranza. Infine, il calice ricolmo aggiunge una nota di festa, con il suo vino squisito, condiviso con generosità sovrabbondante. Cibo, olio, vino: sono i doni che fanno vivere e danno gioia perché vanno al di là di ciò che è strettamente necessario ed esprimono la gratuità e l'abbondanza dell’amore. Proclama il Salmo 104, celebrando la bontà provvidente del Signore: «Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva per trarre cibo dalla terra, vino che allieta il cuore dell’uomo, olio che fa brillare il suo volto e pane che sostiene il suo cuore» (vv. 14-15). Il Salmista è fatto oggetto di tante attenzioni, per cui si vede come un viandante che trova riparo in una tenda ospitale, mentre i suoi nemici devono fermarsi a guardare, senza poter intervenire, perché colui che consideravano loro preda è stato messo al sicuro, è diventato ospite sacro, intoccabile. E il Salmista siamo noi se siamo realmente credenti in comunione con Cristo. Quando Dio apre la sua tenda per accoglierci, nulla può farci del male.

Quando poi il viandante riparte, la protezione divina si prolunga e lo accompagna nel suo viaggio:

«Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni» (v. 6).

La bontà e la fedeltà di Dio sono la scorta che accompagna il Salmista che esce dalla tenda e si rimette in cammino. Ma è un cammino che acquista un nuovo senso, e diventa pellegrinaggio verso il Tempio del Signore, il luogo santo in cui l’orante vuole “abitare” per sempre e a cui anche vuole “ritornare”. Il verbo ebraico qui utilizzato ha il senso di “tornare”, ma, con una piccola modifica vocalica, può essere inteso come “abitare”, e così è reso dalle antiche versioni e dalla maggior parte delle traduzioni moderne. Ambedue i sensi possono essere mantenuti: tornare al Tempio e abitarvi è il desiderio di ogni Israelita, e abitare vicino a Dio nella sua vicinanza e bontà è l’anelito e la nostalgia di ogni credente: poter abitare realmente dove è Dio, vicino a Dio. La sequela del Pastore porta alla sua casa, è quella la meta di ogni cammino, oasi desiderata nel deserto, tenda di rifugio nella fuga dai nemici, luogo di pace dove sperimentare la bontà e l’amore fedele di Dio, giorno dopo giorno, nella gioia serena di un tempo senza fine.

Le immagini di questo Salmo, con la loro ricchezza e profondità, hanno accompagnato tutta la storia e l’esperienza religiosa del popolo di Israele e accompagnano i cristiani. La figura del pastore, in particolare, evoca il tempo originario dell’Esodo, il lungo cammino nel deserto, come un gregge sotto la guida del Pastore divino (cfr Is 63,11-14 Ps 77,20-21 Ps 78,52-54). E nella Terra Promessa era il re ad avere il compito di pascere il gregge del Signore, come Davide, pastore scelto da Dio e figura del Messia (cfr 2S 5,1-2 2S 7,8 Ps 78,70-72). Poi, dopo l’esilio di Babilonia, quasi in un nuovo Esodo (cfr Is 40,3-5 Is 40,9-11 Is 43,16-21), Israele è riportato in patria come pecora dispersa e ritrovata, ricondotta da Dio a rigogliosi pascoli e luoghi di riposo (cfr Ez 34,11-16 Ez 34,23-31). Ma è nel Signore Gesù che tutta la forza evocativa del nostro Salmo giunge a completezza, trova la sua pienezza di significato: Gesù è il “Buon Pastore” che va in cerca della pecora smarrita, che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr Mt 18,12-14 Lc 15,4-7 Jn 10,2-4 Jn 10,11-18), Egli è la via, il giusto cammino che ci porta alla vita (cfr Jn 14,6), la luce che illumina la valle oscura e vince ogni nostra paura (cfr Jn 1,9 Jn 8,12 Jn 9,5 Jn 12,46). È Lui l’ospite generoso che ci accoglie e ci mette in salvo dai nemici preparandoci la mensa del suo corpo e del suo sangue (cfr Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19-20) e quella definitiva del banchetto messianico nel Cielo (cfr Lc 14,15ss; Ap 3,20 Ap 19,9). È Lui il Pastore regale, re nella mitezza e nel perdono, intronizzato sul legno glorioso della croce (cfr Jn 3,13-15 Jn 12,32 Jn 17,4-5).

Cari fratelli e sorelle, il Salmo 23 ci invita a rinnovare la nostra fiducia in Dio, abbandonandoci totalmente nelle sue mani. Chiediamo dunque con fede che il Signore ci conceda, anche nelle strade difficili del nostro tempo, di camminare sempre sui suoi sentieri come gregge docile e obbediente, ci accolga nella sua casa, alla sua mensa, e ci conduca ad «acque tranquille», perché, nell’accoglienza del dono del suo Spirito, possiamo abbeverarci alle sue sorgenti, fonti di quell’acqua viva «che zampilla per la vita eterna» (Jn 4,14 cfr Jn 7,37-39). Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do il mio cordiale benvenuto a tutti i Polacchi. In modo particolare saluto i pellegrini della Civitas Cristiana di Stettino, organizzatori della Marcia per la Vita conosciuta in Polonia. La vostra iniziativa annuale ricordi a tutti il rispetto dovuto alla vita nascente e alla dignità della sua trasmissione. Voi tutti qui presenti e i vostri cari benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo.


Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, specialmente quelli provenienti da Nitra e dintorni.
Fratelli e sorelle, dopodomani celebreremo la memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario. Riscoprite il valore della preghiera del Rosario come via per un incontro personale con Cristo.
Con questo auspicio benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua ucraina:

Saluto cordialmente i Seminaristi dell'Eparchia di Mukacevo di Rito Bizantino ed i loro Formatori, pellegrini a Roma alle Tombe degli Apostoli e sui luoghi del Beato Teodor Romzha. Carissimi, vi incoraggio, seguendo l'esempio del beato, a conformare sempre più la vostra vita a Cristo per un generoso servizio alla Chiesa. Vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

APPELLO


Non cessano di giungere drammatiche notizie circa la carestia che ha colpito la regione del Corno d’Africa. Saluto il Cardinale Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” e Mons. Giorgio Bertin, Amministratore Apostolico di Mogadiscio, presenti a quest’udienza insieme ad alcuni rappresentanti di organizzazioni caritative cattoliche, che si incontreranno per verificare e dare ulteriore impulso alle iniziative tese a fronteggiare tale emergenza umanitaria. Parteciperà all’incontro anche un rappresentante dell’Arcivescovo di Canterbury, il quale ha pure lanciato un appello in favore delle popolazioni colpite. Rinnovo il mio accorato invito alla Comunità Internazionale perché continui il suo impegno verso quei popoli e invito tutti a offrire preghiere e aiuto concreto per tanti fratelli e sorelle così duramente provati, in particolare per i bambini che ogni giorno muoiono in quella regione per malattie e mancanza di acqua e di cibo.

* * *


Rivolgo adesso il mio affettuoso saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti al pellegrinaggio delle Diocesi della Sicilia, presieduto dal Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, ed accompagnato da tutti i Vescovi Siciliani in occasione dell’anniversario della mia Visita pastorale del 3 ottobre 2010. Carissimi, la sosta presso le Tombe degli Apostoli rafforzi in tutti voi i propositi di fedele adesione a Cristo e di generosa testimonianza evangelica.

Saluto i fedeli della Diocesi di Adria-Rovigo, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Lucio Soravito de Franceschi, qui convenuti al termine del Sinodo diocesano. Carissimi, vi assicuro la mia preghiera perché possiate realizzare con generoso impegno le disposizioni sinodali, per una rinnovata vitalità spirituale, ed essere fermento nella società civile.

Saluto anche i pellegrini della Diocesi di Lucera-Troia, con il Vescovo Mons. Domenico Cornacchia, che, unitamente ai Frati Minori Conventuali di Puglia, concludono l’anno giubilare per il venticinquesimo anniversario della canonizzazione di San Francesco Antonio Fasani. Cari Pastori e fedeli, l’esempio del vostro “Padre Maestro” susciti in tutti il desiderio di corrispondere alla chiamata universale alla santità.

Sono particolarmente lieto di accogliere le Suore di carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, che domenica scorsa hanno avuto la gioia di vedere innalzata agli onori degli Altari la loro Fondatrice Madre Antonia Maria Verna. Auspico che il luminoso esempio della nuova Beata rafforzi lo slancio di una vita totalmente donata e, per quanti ne condividono il carisma, rinnovata fedeltà agli impegni di vita cristiana.

Saluto pure i Formatori e gli alunni del Pontificio Collegio Internazionale Mater Ecclesiae, e la Fondazione Opera Edimar di Padova.

Infine, mi rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. San Francesco d’Assisi, di cui abbiamo celebrato ieri la festa liturgica, aiuti ciascuno di voi a vivere il Vangelo in carità e letizia. A tutti la mia Benedizione.




Mercoledì, 12 ottobre 2011: Salmo 126

12101
Piazza San Pietro

Ps 126
Cari fratelli e sorelle,

nelle precedenti catechesi abbiamo meditato su alcuni Salmi di lamento e di fiducia. Quest’oggi vorrei riflettere con voi su un Salmo dalle note festose, una preghiera che, nella gioia, canta le meraviglie di Dio. È il Salmo 126 - secondo la numerazione greco latina 125 -, che celebra le grandi cose che il Signore ha operato con il suo popolo e che continuamente opera con ogni credente.

Il Salmista, a nome di tutto Israele, inizia la sua preghiera ricordando l’esperienza esaltante della salvezza:

«Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia» (vv. 1-2a).

Il Salmo parla di una “sorte ristabilita”, cioè restituita allo stato originario, in tutta la sua precedente positività. Si parte, cioè, da una situazione di sofferenza e di bisogno a cui Dio risponde operando salvezza e riportando l’orante alla condizione di prima, anzi arricchita e cambiata in meglio. È quello che avviene a Giobbe, quando il Signore gli ridona tutto quanto aveva perduto, raddoppiandolo ed elargendo una benedizione ancora maggiore (cfr Jb 42,10-13), ed è quanto sperimenta il popolo d’Israele ritornando in patria dall’esilio babilonese. E’ proprio in riferimento alla fine della deportazione in terra straniera che viene interpretato questo Salmo: l’espressione “ristabilire la sorte di Sion” è letta e compresa dalla tradizione come un “far tornare i prigionieri di Sion”. In effetti, il ritorno dall’esilio è paradigma di ogni intervento divino di salvezza perché la caduta di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia sono state un’esperienza devastante per il popolo eletto, non solo sul piano politico e sociale, ma anche e soprattutto sul piano religioso e spirituale. La perdita della terra, la fine della monarchia davidica e la distruzione del Tempio appaiono come una smentita delle promesse divine, e il popolo dell’alleanza, disperso tra i pagani, si interroga dolorosamente su un Dio che sembra averlo abbandonato. Perciò, la fine della deportazione e il ritorno in patria sono sperimentati come un meraviglioso ritorno alla fede, alla fiducia, alla comunione con il Signore; è un “ristabilimento della sorte” che implica anche conversione del cuore, perdono, ritrovata amicizia con Dio, consapevolezza della sua misericordia e rinnovata possibilità di lodarLo (cfr Jr 29,12-14 Jr 30,18-20 Jr 33,6-11 Ez 39,25-29). Si tratta di un’esperienza di gioia straripante, di sorrisi e grida di giubilo, talmente bella che “sembra di sognare”. Gli interventi divini hanno spesso forme inaspettate, che vanno al di là di quanto l’uomo possa immaginare; ecco allora la meraviglia e la letizia che si esprimono nella lode: “Il Signore ha fatto grandi cose”. È quanto dicono le nazioni, ed è quanto proclama Israele:

«Allora si diceva tra le genti:
“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”.
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia» (vv. 2b-3).

Dio fa meraviglie nella storia degli uomini. Operando la salvezza, si rivela a tutti come Signore potente e misericordioso, rifugio dell’oppresso, che non dimentica il grido dei poveri (cfr Ps 9,10 Ps 9,13), che ama la giustizia e il diritto e del cui amore è piena la terra (cfr Ps 33,5). Perciò, davanti alla liberazione del popolo di Israele, tutte le genti riconoscono le cose grandi e stupende che Dio compie per il suo popolo e celebrano il Signore nella sua realtà di Salvatore. E Israele fa eco alla proclamazione delle nazioni, e la riprende ripetendola, ma da protagonista, come diretto destinatario dell’azione divina: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi»; “per noi”, o ancor più precisamente, “con noi”, in ebraico ‘immanû, affermando così quel rap­porto privilegiato che il Signore intrattiene con i suoi eletti e che troverà nel nome Immanuel, “Dio con noi”, con cui viene chiamato Gesù, il suo cul­mine e la sua piena manifestazione (cfr Mt 1,23).

Cari fratelli e sorelle, nella nostra preghiera dovremmo guardare più spesso a come, nelle vicende della nostra vita, il Signore ci ha protetti, guidati, aiutati e lodarlo per quanto ha fatto e fa per noi. Dobbiamo essere più attenti alle cose buone che il Signore ci dà. Siamo sempre attenti ai problemi, alle difficoltà e quasi non vogliamo percepire che ci sono cose belle che vengono dal Signore. Questa attenzione, che diventa gratitudine, è molto importante per noi e ci crea una memoria del bene che ci aiuta anche nelle ore buie. Dio compie cose grandi, e chi ne fa esperienza - attento alla bontà del Signore con l'attenzione del cuore - è ricolmo di gioia. Su questa nota festosa si conclude la prima parte del Salmo. Essere salvati e tornare in patria dall’esilio è come essere ritornati alla vita: la liberazione apre al sorriso, ma insieme all’attesa di un compimento ancora da desiderare e da domandare. È questa la seconda parte del nostro Salmo che suona così:

«Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni» (vv. 4-6).

Se all’inizio della sua preghiera, il Salmista celebrava la gioia di una sorte ormai ristabilita dal Signore, ora invece la chiede come qualcosa ancora da realizzare. Se si applica questo Salmo al ritorno dall’esilio, questa apparente contraddizione si spiegherebbe con l’esperienza storica, fatta da Israele, di un ritorno in patria difficile, solo parziale, che induce l’orante a sollecitare un ulteriore intervento divino per portare a pienezza la restaurazione del popolo.

Ma il Salmo va oltre il dato puramente storico per aprirsi a dimensioni più ampie, di tipo teologico. L’esperienza consolante della liberazione da Babilonia è comunque ancora incompiuta, “già” avvenuta, ma “non ancora” contrassegnata dalla definitiva pienezza. Così, mentre nella gioia celebra la salvezza ricevuta, la preghiera si apre all’attesa della realizzazione piena. Per questo il Salmo utilizza immagini particolari, che, con la loro complessità, rimandano alla realtà misteriosa della redenzione, in cui si intrecciano dono ricevuto e ancora da attendere, vita e morte, gioia sognante e lacrime penose. La prima immagine fa riferimento ai torrenti secchi del deserto del Neghev, che con le piogge si riempiono di acqua impetuosa che ridà vita al terreno inaridito e lo fa rifiorire. La richiesta del Salmista è dunque che il ristabilimento della sorte del popolo e il ritorno dall’esilio siano come quell’acqua, travolgente e inarrestabile, e capace di trasformare il deserto in una immensa distesa di erba verde e di fiori.

La seconda immagine si sposta dalle colline aride e rocciose del Neghev ai campi che i contadini coltivano per trarne il cibo. Per parlare della salvezza, si richiama qui l’esperienza che ogni anno si rinnova nel mondo agricolo: il momento difficile e faticoso della semina e poi la gioia prorompente del raccolto. Una semina che è accompagnata dalle lacrime, perché si getta ciò che potrebbe ancora diventare pane, esponendosi a un’attesa piena di incertezze: il contadino lavora, prepara il terreno, sparge il seme, ma, come illustra bene la parabola del seminatore, non sa dove questo seme cadrà, se gli uccelli lo mangeranno, se attecchirà, se metterà radici, se diventerà spiga (cfr Mt 13,3-9 Mc 4,2-9 Lc 8,4-8). Gettare il seme è un gesto di fiducia e di speranza; è necessaria l’operosità dell’uomo, ma poi si deve entrare in un’attesa impotente, ben sapendo che molti fattori saranno determinanti per il buon esito del raccolto e che il rischio di un fallimento è sempre in agguato. Eppure, anno dopo anno, il contadino ripete il suo gesto e getta il suo seme. E quando questo diventa spiga, e i campi si riempiono di messi, ecco la gioia di chi è davanti a un prodigio straordinario. Gesù conosceva bene questa esperienza e ne parlava con i suoi: «Diceva: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27). È il mistero nascosto della vita, sono le meravigliose “grandi cose” della salvezza che il Signore opera nella storia degli uomini e di cui gli uomini ignorano il segreto. L’intervento divino, quando si manifesta in pienezza, mostra una dimensione prorompente, come i torrenti del Neghev e come il grano nei campi, evocatore quest’ultimo anche di una sproporzione tipica delle cose di Dio: sproporzione tra la fatica della semina e l’immensa gioia del raccolto, tra l’ansia dell’attesa e la rasserenante visione dei granai ricolmi, tra i piccoli semi gettati a terra e i grandi cumuli di covoni dorati dal sole. Alla mietitura, tutto è trasformato, il pianto è finito, ha lasciato il posto a grida di gioia esultante.

A tutto questo fa riferimento il Salmista per parlare della salvezza, della liberazione, del ristabilimento della sorte, del ritorno dall’esilio. La deportazione a Babilonia, come ogni altra situazione di sofferenza e di crisi, con il suo buio doloroso fatto di dubbi e di apparente lontananza di Dio, in realtà, dice il nostro Salmo, è come una semina. Nel Mistero di Cristo, alla luce del Nuovo Testamento, il messaggio si fa ancora più esplicito e chiaro: il credente che attraversa quel buio è come il chicco di grano caduto in terra che muore, ma per dare molto frutto (cfr Jn 12,24); oppure, riprendendo un’altra immagine cara a Gesù, è come la donna che soffre nelle doglie del parto per poter giungere alla gioia di aver dato alla luce una nuova vita (cfr Jn 16,21).

Cari fratelli e sorelle, questo Salmo ci insegna che, nella nostra preghiera, dobbiamo rimanere sempre aperti alla speranza e saldi nella fede in Dio. La nostra storia, anche se segnata spesso da dolore, da incertezze, da momenti di crisi, è una storia di salvezza e di “ristabilimento delle sorti”. In Gesù, ogni nostro esilio finisce, e ogni lacrima è asciugata, nel mistero della sua Croce, della morte trasformata in vita, come il chicco di grano che si spezza nella terra e diventa spiga. Anche per noi questa scoperta di Gesù Cristo è la grande gioia del “sì” di Dio, del ristabilimento della nostra sorte. Ma come coloro che - ritornati da Babilonia pieni di gioia – hanno trovato una terra impoverita, devastata, come pure la difficoltà della seminagione e hanno sofferto piangendo non sapendo se realmente alla fine ci sarebbe stata la raccolta, così anche noi, dopo la grande scoperta di Gesù Cristo - la nostra vita, la verità, il cammino - entrando nel terreno della fede, nella “terra della fede”, troviamo anche spesso una vita buia, dura, difficile, una seminagione con lacrime, ma sicuri che la luce di Cristo ci dona, alla fine, realmente, la grande raccolta. E dobbiamo imparare questo anche nelle notti buie; non dimenticare che la luce c'è, che Dio è già in mezzo alla nostra vita e che possiamo seminare con la grande fiducia che il “sì” di Dio è più forte di tutti noi. E' importante non perdere questo ricordo della presenza di Dio nella nostra vita, questa gioia profonda che Dio è entrato nella nostra vita, liberandoci: è la gratitudine per la scoperta di Gesù Cristo, che è venuto da noi. E questa gratitudine si trasforma in speranza, è stella della speranza che ci dà la fiducia, è la luce, perché proprio i dolori della seminagione sono l'inizio della nuova vita, della grande e definitiva gioia di Dio.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Un cordiale saluto rivolgo ai pellegrini polacchi, e in particolare ai rappresentanti della Diocesi di Tarnow con S. E. Mons. Wiktor Skworc. Carissimi, il pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli rafforzi la vostra fede, colmi di speranza e ravvivi l’amore per Cristo e per la Chiesa. Dio benedica voi, le vostre famiglie e le comunità. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua slovacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Bardejov e Prešov.
Fratelli e sorelle, il Rosario è per noi una scuola di preghiera. Auguro che il vostro pellegrinaggio in questo mese di ottobre dedicato al Rosario, vi aiuti a scoprire la bellezza di questa preghiera semplice, ma efficace. Volentieri benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua ungherese:

Mi rivolgo adesso ai fedeli ungheresi, specialmente ai membri dei gruppi arrivati da Budapest, da Csilizköz e da Besenyszög. La preghiera del santo rosario vi rinsaldi ancor di più nella fede, nella speranza e nell’amore. In questi giorni abbiamo celebrato la festa della Magna Domina Hungarorum. Chiedendo la Sua intercessione imparto volentieri a voi la mia benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua lituana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini lituani. In particolare ai fedeli di Šiauliai, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Eugenijus Bartulis ed auspico che la visita alle tombe degli apostoli porti rinnovati frutti spirituali. Sia lodato Gesù Cristo.


Saluto in lingua rumena:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini rumeni. Cari amici in questo mese di ottobre che il popolo cristiano dedica in modo particolare al Santo Rosario, vi invito a recitare con crescente devozione questa preghiera mariana. Vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

APPELLO


Sono profondamente rattristato dagli episodi di violenza, che sono stati commessi a Il Cairo domenica scorsa. Mi unisco al dolore delle famiglie delle vittime e dell’intero popolo egiziano, lacerato dai tentativi di minare la coesistenza pacifica fra le sue comunità, che è invece essenziale salvaguardare, soprattutto in questo momento di transizione. Esorto i fedeli a pregare affinché quella società goda di una vera pace, basata sulla giustizia, sul rispetto della libertà e della dignità di ogni cittadino. Inoltre, sostengo gli sforzi delle autorità egiziane, civili e religiose, in favore di una società nella quale siano rispettati i diritti umani di tutti e, in particolare, delle minoranze, a beneficio dell’unità nazionale.

* * *



Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli studenti provenienti da varie Nazioni ed iscritti al Pontificio Collegio San Paolo in Roma per il completamento dei loro studi. Saluto i rappresentanti della Legio Mariae, convenuti numerosi a questo incontro, e li esorto a rendere una sempre più incisiva testimonianza cristiana nei vari ambiti della società, sotto lo sguardo materno della Vergine Maria. Saluto i partecipanti alla Conferenza nazionale di Sanità pubblica ed auspico che il loro importante lavoro al servizio della persona umana rechi frutti copiosi, rafforzando nei cittadini la coscienza del valore sacro della vita ed impegnandoli nella difesa del diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo bene primario.

Mi rivolgo, ora, con tanto affetto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Il mio pensiero va alla Madonna di Fatima, di cui domani ricorderemo l'ultima apparizione. Alla celeste Madre di Dio affido voi, cari giovani, perché possiate generosamente rispondere alla chiamata del Signore. Maria sia per voi, cari malati, conforto nella sofferenza, ed accompagni voi, cari sposi novelli, nel vostro incipiente cammino familiare.




Catechesi 2005-2013 28911